LETTURE DI FINE MARZO

Un po’ di segnalazioni.
Su Il primo amore, la terza e ultima parte dell’intervento di Wu Ming 1, Wu Ming/Tiziano Scarpa: Face Off (il pdf completo qui).
Su Sorelle d’Italia, un post di Gaia Giordani da meditare.
Sul quotidiano di oggi, un’incursione della vostra eccetera nell’ambito di un’inchiesta sul porno a firma di Antonio Dipollina. Vi posto la versione large dell’intervista a Giovanna Cosenza.

Curioso che il binomio donne-pornografia desti ancora scalpore, in anni in cui il consumo femminile di storie hard sembrava essere un fatto assodato.  “Invece – dice la semiologa Giovanna Cosenza,  docente di Semiotica dei Nuovi Media all’Università di Bologna- fa ancora scandalo. Forse perché è ancora radicato l’antico presupposto secondo il quale la sessualità maschile sarebbe basata sulla visione, e quella femminile sarebbe più complessa e variegata. Sta di fatto che molto spesso le donne ammettono di consumare porno solo in coppia con il partner: basta dare uno sguardo alle riviste femminili per verificare che esiste ancora molto pudore nel confessare di aver guardato un film da sole, e senza la legittimazione del proprio compagno”.

Reticenza ancor più singolare se si pensa che la pornografia non risiede più soltanto nei luoghi deputati, ma invade la pubblicità, la televisione, i libri, i mezzi di comunicazione. Dove, però, è imposta, e non scelta consapevolmente.

“E’ vero, e avviene ovunque. Gli elementi fondamentali di questo processo di normalizzazione sono due. Il primo consiste nel fare a pezzi i corpi, sia femminili che maschili, e inquadrarne soltanto delle parti. Un sedere, un addominale, un seno, le gambe. Se si riduce  un corpo a un quarto di manzo, come avviene in foto, filmati, affissioni pubblicitarie, si adotta il taglio tipico dello sguardo pornografico. Il secondo elemento è l’assenza della storie:  tipica della pornografia, che utilizza sempre la stessa trama con pochissime varianti, e tipica di molti spot e fotografie”.
Da quanto tempo il  porno è uscito dai propri confini?

“Dalla fine degli anni sessanta. Il primo a fare a pezzi il corpo femminile è stato il calendario Pirelli del 1969, anticipando una tendenza che è poi dilagata nella comunicazione di massa. In quell’occasione è stato utilizzato per la prima volta lo zoom su una bocca femminile su cui era poggiato un ghiacciolo rosa, o l’imboccatura di una bottiglia, a evidente imitazione della fellatio. Ma le combinazioni del porno sono ormai comuni nella visione pubblicitaria: lo sbaffo di latte sulle labbra di una modella, la goccia di yogurt bianco leccata via da una mano femminile, l’amore di gruppo nelle pubblicità di Dolce&Gabbana o della birra Guinness. Anche la ripresa dal basso, molto utilizzata in televisione per inquadrare le giovani donne, proviene dal cinema hard”.

Quindi l’antica condanna del porno che veniva da parte del femminismo radicale americano ha fatto più male che bene?

“A mio parere, quell’impostazione ha introiettato un punto di vista paternalistico e maschile, decidendo a priori che la pornografia non piace alle donne. Invece, dev’essere la singola persona, maschio o femmina o altro, a decidere per se stessa. Sicuramente non è una scelta libera quella di trovarsi circondati da soft-porno che qualcun altro ha ritenuto giusto per noi”.

3 pensieri su “LETTURE DI FINE MARZO

  1. Segnalo: (Non) mi piace come sei, di Alberto Calligaris. Assieme Survivor di Palahniuk, la miglior meditazione sull’«intelligenza del porno» (sì, doppio genitivo, certo) che mi sia capitata fra le mani.
    Quanto alla posizione femminista sul porno, beh, diciamo che si serviva di argomenti maschili per contrastare un fenomeno che non era ancora esploso. Con il fenomeno esploso, i conti da fare sono diversi. A proposito: mi dicono che Taiwan ha legalizzato alcune forme di vendita di organi.

  2. Qualche tempo fa, poco, ho fatto un post lungherrimo sulla questione del femminismo e la pornografia. E ho scritto tutto li, a parere mio qui in Italia c’è un oscuro cortocircuito, dovuta alla nostra singolare esperienza storica: in genere infatti c’è una speice di proporzionalità diretta tra libertà intellettuale politica e sessuale: dove allignano le minigonne fioriscono le avvocatesse, dove germogliano i chador si molteplicano le casalinghe procapite. Alla disinibizione sessuale corrisponde una maggiore libertà e tutela sotto il profilo professionale. Noi siamo quelle invece nella simpatica posizione di stare colle tette de fori e il cervello a casa. Le due cose sono in una deliziosamente italica relazione, per cui noi siamo spossessate di entrambe: e il cervello e le tette. Questo rende difficile alla femminista nostrana non qualificare con dispetto la pornografia, perchè tende – a qualificarla politicamente in relazione a quella espropriazione e quindi a scotomizzare la possibilità che invece all’attrice porno ni ci piaccia eccome stare con diverse cippe dislocate nei suoi diversi pertugi. Tendiamo sempre a tradurre che lei è usata dai tre, e non ci viene il pensiero (come vedendo un uomo con tre donne) che lei usa i tre.
    Eppure- quando per esempio nelle stanze di psicoterapia vai a sollecitare le fantasie delle persone, ecco non è che le fanciulle sognino li fiori e li principi azzurri.
    In ogni caso, un conto è il porno che secondo me è piuttosto onesto nella sua autoreferenzialità, e non si serve del sesso per altro che per il sesso, un conto è la birra che me vendi con allusione fellaziesca, che invece usa la sessualità e una serie di significati gerarchici e politici aggregati per fare quatrini.

  3. “Curioso che il binomio donne-pornografia desti ancora scalpore”
    Beh no, non è curioso. La pornografia è un segno di libertà sessuale che credo continui a essere considerato, da chi appartiene al genere maschile, come prerogativa del suo genere. Che questa libertà sia esercitata dalle donne equivale a una ribellione contro il regime di segregazione urinaria 🙂
    (Ovviamente il mio è un discorso grossolano che non tiene conto per esempio delle donne lesbiche…).
    .
    Eh Zauberei dirà: ma questo che interventi fa??? 🙂

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