BADILI, PICCONI, LETTORI

Oggi Repubblica riporta un intervento di Olivier Nora, presidente di Grasset e di Fayard, tratto dall’Almanacco Guanda dedicato a “Fare Libri”. Mi sembra molto interessante e lo riposto.
Che cos´è accaduto nella pratica di questo mestiere, in Francia, da quando vi ho mosso i primi passi venticinque anni fa? Tutti i nostri punti di riferimento vanno modificati: mentre una volta potevamo accontentarci della “pila” in libreria e della pubblicità, ora bisogna inventare qualche tipo di promozione virale per ogni titolo. Più lavoro, più umiltà, meno boria parigina: quanti riflessi da cambiare!
Il mestiere è diventato più competitivo, più completo, più arduo. La sensazione condivisa, in tutti i reparti di tutte le case editrici, è di lavorare sempre di più per risultati sempre minori. Perché questa inflazione controvento? Tutto congiura in tal senso: il fatto che il numero di acquirenti non sia aumentato quanto la produzione, cosa che rende gli autori legittimamente inquieti e frustrati; la burocrazia crescente, moltiplicata dall´ondata del digitale, che cannibalizza un terzo del nostro tempo per meno del cinque per cento del fatturato; la nuova complessità delle società di gestione collettiva dei diritti d´autore; le esigenze contraddittorie nate dall´era digitale, che fanno di noi tanti sciatori nella neve farinosa, in difficoltà a prevedere rocce e crepacci; la “giudiziarizzazione” crescente di tutti gli aspetti della professione; la censura e l´autocensura che ogni giorno inquinano l´esercizio del mestiere. Perché non c´è da ingannarsi: raramente si è tanto denunciata la permissività di un´epoca e, d´altro canto, raramente l´opinione pubblica è stata tanto normativa e convenzionale, persino nella sua ortodossia dell´eterodossia…
Quanto agli agenti letterari, a poco a poco si sono imposti, anche se ancora in misura marginale. Meglio trattare con agenti realisti che con autori non realisti, si dirà… Il problema è che capita di rado di avere a che fare con agenti realisti! Sono spesso emiplegici: assai mobili sulle cifre, ma paralizzati sulle lettere.
Se il loro ruolo si limita a ottenere per l´autore un anticipo superiore ai diritti effettivamente generati dall´opera precedente, la cosa non è per forza controproducente, a breve termine, per l´autore in questione, però mette in pericolo tutto l´equilibrio del mestiere, poiché ci condanna ad acquistare del fatturato a margine negativo. Tutte le nostre case editrici ruotano su un principio non ufficiale ma evidente di perequazione, o di mutualizzazione dei rischi: gli autori più popolari ci portano l´ossigeno necessario agli investimenti in perdita sulla novità, alla scommessa letteraria a lungo termine, all´esigenza intellettuale a perfusione lenta.
Se gli autori che avevano l´abitudine di darci ossigeno ci soffocano un po´ di più, che accadrà con i nuovi autori, sempre più esigenti, e sul lungo periodo? È questa dimensione temporale che si trova al centro delle mie preoccupazioni.
Una volta, i “tempi lunghi” pagavano i tempi brevi: il catalogo finanziava il rischio della novità, per lo meno per le case editrici con un catalogo letterario importante.
Oggi, è esattamente il contrario: sulla fine punta d´ago dei tempi brevi dobbiamo finanziare insieme i tempi lunghi del passato – mantenere il catalogo- e investire su ciò che speriamo destinato a costituire i tempi lunghi del futuro. Da ciò deriva l´agitazione febbrile cui assistiamo… Come diceva ironicamente Jérôme Lindon, «l´editoria è l´unico settore che ha risposto a una diminuzione della domanda con un aumento dell´offerta».
Io sono arrivato a questo mestiere spinto da un´ossessione per la verticalità: «Ricevere, celebrare, trasmettere», secondo lo splendido motto di Emmanuel Lévinas. Questo naturalmente pone il problema della qualità dei libri che pubblichiamo, e quello del rinnovamento generazionale dei lettori.
La crescente mancanza di curiosità della nostra epoca, la sua “divizzazione”, il suo impoverimento emotivo e culturale non possono non riflettersi sul mondo dell´editoria, che cresce nel liquido amniotico della Francia – e, temo, delle democrazie mediatiche, individualiste e consumiste – del giorno d´oggi. Abbiamo molti buoni autori, buoni libri, buoni editori, buoni venditori, buoni librai e buoni critici, ma cominciamo a mancare drammaticamente di buoni lettori…
Insomma, le cause di inquietudine non mi sembrano risiedere là dove le sento indicare più spesso. Non sono fra coloro che, in nome di McLuhan e “the medium is the message”, postulano che la carta garantisca la qualità del contenuto mentre lo schermo porta con sé la mediocrità della distrazione: gli editori sono stati i primi a svalutare il contenuto di ciò che hanno accettato di pubblicare sotto forma di libro. Io penso che si debba essere feticisti del contenuto, non del contenitore!
Preferisco testi di qualità letti su qualsiasi supporto a testi mediocri letti in octavo… Se è necessario fare delle concessioni alla tecnologia per passare il testimone alle generazioni future e badare a conservare una lingua- e un corpus culturale – in comune con loro (sperando magari che nascano un giorno autori realmente in grado di produrre un´opera atta a coniugare testo, suono e immagine in un insieme che sia più della somma di questi mezzi d´espressione artistica), io non ci vedo alcuno svantaggio, purché la tecnologia non sia un fine in sé… e impari a essere un po´ meno arrogante. Lo schermo elettronico non ucciderà la carta più di quanto la radio non abbia ucciso la stampa, o la televisione la radio… Ricordiamo alle Cassandre un semplice dato: nessuna tecnologia fondata sul principio binario dell´informatica è durata più di dieci anni, cosicché risulta perduto tutto ciò che non viene convertito ogni dieci anni nell´ultimo standard. Siamo ben lontani dalla biblioteca di Babele! Al contrario, è ancora possibile consultare manoscritti di venti secoli fa. Chi può fare di meglio?
Quanto ai rischi di “disintermediazione” dell´editore preconizzati dai profeti dell´Apocalisse come risultato di una relazione diretta fra gli autori e Amazon/Google/Apple o altri giganti di domani, neppure questi mi sembrano pertinenti.
Ogni generazione crede di vedere la Storia (dis)farsi sotto i suoi occhi, ma tutti conoscono le astuzie della Storia: ai tempi della corsa all´oro, furono i fabbricanti di badili e picconi a fare fortuna! Fabbrichiamo con cura i nostri badili e i nostri picconi, da bravi artigiani, e lasciamo il miraggio delle fortune effimere ai pionieri di passaggio…

6 pensieri su “BADILI, PICCONI, LETTORI

  1. Il sistema è al collasso e non funziona più. In questi anni si è puntato tutto sugli accordi commerciali, sul marketing, sui libri a basso prezzo, di intrattenimento, della star di turno. Le librerie, quelle di catena, non hanno capito che essere catena non significa essere tutte uguali. Sono spersonalizzate non hanno identità, i librai e le libraie sono ridotti a semplici commessi, non hanno più potere decisionale, sono sempre meno, devono fare sempre più cose e tutto questo va a discapito non solo del servizio al cliente ma anche del tempo da dedicare alla conoscenza del prodotto. Si ha l’impressione, a volte, che sia tutta una grande bolla pronta ad esplodere da un momento all’altro.
    Le cose non vanno bene. Non vanno bene per i piccoli editori e non vanno bene per i grandi. In campo librario, per fortuna, almeno mi sembra, alcune piccole realtà riescono a sopravvivere (con difficoltà) a un mercato che uniforma e appiattisce. Le grandi catene invece vanno in crisi, sono spiazzate, non capiscono come sia possibile. Eppure è tutto talmente chiaro. Hanno ucciso l’oggetto libro trattandolo come un prodotto qualsiasi, i libri rimangono sugli scaffali al massimo 3 mesi, gli editori pubblicano continuamente nuovi libri per riuscire a pescare il best seller. Non c’è più tempo di capire, di studiare, di promuovere un libro. Dopo sei mesi è già vecchio, superato, avanti il prossimo e così sino al crollo totale.

  2. “cosicché risulta perduto tutto ciò che non viene convertito ogni dieci anni nell´ultimo standard…” No, informaticamente parlando risulta perduto tutto ciò che non viene adeguatamente salvato, le conversioni sono sempre possibili.
    Ma il problema è appunto nella conservazione, non tanto nel formato. E io sono sicuramente una Cassandra riguardo alla possibilità che una gran parte degli scritti possa essere irrimediabilmente perduta.
    Io non penso tanto ala costruzione di badili e picconi, piuttosto penso alla costruzioni di “monasteri” in cui si conservi il sapere.

  3. Quanti sono quegli editori (editori) che producono titoli capaci di vendere almeno 5-600 copie ognuno (che poi credo sia la quantità minima per non andare in rimessa – parlo della carta)? A parte i grandi e qualche medio, praticamente nessuno. E in molti casi la promozione è affidata alla buona volontà (leggi: sfruttamento) dello stesso autore. Anche i grandi ci riescono sempre meno tanto che, senza vergognarsi di espedienti cosmetico/comunicativi ridicoli (o peggio, compresa la ormai sistematica pubblicazione di ben individuati “prodotti” esclusivamente commerciali mortificanti per se e per gli altri), si stanno indirizzando rapidissimi verso il self-publishing “certificato”, nome esotico buono per entrare senza tanti patemi inutili (!) nel fiume in piena degli Autori a Proprie Spese.

  4. “Abbiamo molti buoni autori, buoni libri, buoni editori, buoni venditori, buoni librai e buoni critici, ma cominciamo a mancare drammaticamente di buoni lettori…”
    A me sembra un punto chiave dell’articolo. La mancata formazione di lettori forti, o comunque il mancato allargamento del loro numero, pesa in modo determinante sulla crisi attuale. però… però bisognerebbe anche chiedersi chi ha cominciato la rincorsa al lettore/non lettore, in nome dei fatturati, delle economie di scala e quant’altro. E qui mi sembra che la responabilità – o parte cospicua della responsabilità – pesi proprio sugli editori. Che adesso si lamentano del mostro di Frankenstein che loro stessi hanno assemblato: vale a dire il lettore di paccottiglia.

  5. “la burocrazia crescente, moltiplicata dall´ondata del digitale, che cannibalizza un terzo del nostro tempo per meno del cinque per cento del fatturato”
    “la censura e l´autocensura che ogni giorno inquinano l´esercizio del mestiere. Perché non c´è da ingannarsi: raramente si è tanto denunciata la permissività di un´epoca e, d´altro canto, raramente l´opinione pubblica è stata tanto normativa e convenzionale, persino nella sua ortodossia dell´eterodossia…”
    qualcuno può spiegarmi cosa intende?
    “Questo naturalmente pone il problema della qualità dei libri che pubblichiamo”
    per qualità si intende qualità dell’oggetto o qualità letteraria? questo problema è solo recente o c’è sempre stato? qualcuno è stato obbligato a pubblicare libri non ritenuti di qualità?
    “La crescente mancanza di curiosità della nostra epoca, la sua “divizzazione”, il suo impoverimento emotivo e culturale non possono non riflettersi sul mondo dell´editoria, che cresce nel liquido amniotico della Francia – e, temo, delle democrazie mediatiche, individualiste e consumiste – del giorno d´oggi”. quest’uomo evidentemente non sta sa di cosa parla.
    “Abbiamo molti buoni autori, buoni libri, buoni editori, buoni venditori, buoni librai e buoni critici, ma cominciamo a mancare drammaticamente di buoni lettori…” abbiamo chi? il buon lettore cos’è?

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