“C’è una domanda immediatamente successiva, che forse doveva essere precedente: come mai quando le macerie sono ancora al loro posto dall’ottobre 2016, si pensa alla costruzione di una struttura commerciale? Anzi, due domande: come mai in un Parco? Come mai si corre rapidamente per la realizzazione del Deltaplano mentre i paesi sono crollati e le Sae ancora di là da venire? Le domande non sono ammesse”.
Era un anno fa, giugno 2018. Di Castelluccio di Norcia parlavamo in pochi: Mario Di Vito, Silvia Ballestra, Terre in Moto Marche, e davvero, davvero pochi altri. Quelle domande vennero poste in un mio articolo su Lo stato delle cose. La reazione, da parte di molti castellucciani, di alcuni frequentatori temporanei e, uhm, dell’allora governatrice dell’Umbria Catiuscia Marini, fu alquanto violenta, da una parte, e dall’altra spingeva su un punto: si rinasce col commercio e col turismo. Il territorio non è fatto da chi ci abita, ma da chi ci passa, per un periodo breve dell’anno, e mangia. L’Umbria e le Marche sono quel che si mangia, sembra la sintesi preferita. Per carità, in Umbria e nelle Marche si mangia benissimo, ma una regione non è fatta solo di olive e ciauscolo: ma di quel che ha ricevuto in eredità e che dovrebbe passare in eredità agli altri.
Oggi, Alessandro Calvi di Internazionale torna a Castelluccio, per una bellissima inchiesta che potete leggere qui. E scopre quel che si prevedeva:
“le otto casette che sono state appena consegnate, con tanto di cerimonia e benedizione, non sono ancora pronte. Perché siano abitabili, spiegano in paese, si rischia di dover attendere la fine della stagione e mancano anche gli alloggi promessi per gli operatori dei ristoranti. In queste condizioni, a sera, qui non resta nessuno, dunque non si lavora. E ancora: si fa notare che si è pensato alle attività di ristorazione ma non ai servizi per chi aveva la seconda casa in paese. Persone con cui, peraltro, i ristoranti lavoravano molto”.
“Mancano le case, le macerie sono ancora qui, il lavoro serve ma da solo non basta. Si devono ricostruire anche e soprattutto le condizioni della vita quotidiana. E tre anni sono già troppi per chi qui si suda la vita, perché sì, adesso ci sono le condizioni per ricominciare, ma mancano quelle perché riprenda anche l’esistenza. Castelluccio, insomma, nonostante i turisti che tornano a migliaia e la vita che rinasce è, dicono qui, “un paese fantasma”.”
“Per quanto il Deltaplano abbia un impatto visivo inferiore a quanto inizialmente alcuni avevano temuto, la ferita al paesaggio c’è e non basta l’insistenza sulla temporaneità della struttura a rassicurare, poiché in Italia il temporaneo si fa permanente con estrema disinvoltura e a volte perfino un terremoto può diventare la scusa per eternare il provvisorio. È ciò che, per esempio, è successo a Messina, dove si è passati ineffabilmente dalle case costruite in pochissimo tempo nel 1908 alle baracche in lamiera di oggi e che da decenni formano slum incredibilmente mal raccontati, se non taciuti senz’altro, dalle cronache italiane.”
E’ orribile aver avuto ragione.