Battlefield, di Peter Brook (2016). E’ lo spettacolo che proviene dal Mahābhārata e dalla pièce di Jean-Claude Carrière. Peter Brook (scomparso ieri) e Marie-Hélène Estienne firmano adattamento e regia. Dalla presentazione:
“Il testo parla di una grande guerra di sterminio, una guerra che fa a pezzi una famiglia, quella dei Bharata. Da un lato i cinque fratelli, i Pandava, dall’altro i cugini, i Kaurava, cento figli dello zio, il re cieco Dritarashtra. In questa guerra così violenta vengono utilizzate armi di distruzione di massa. Alla fine i Pandava vincono. Milioni di cadaveri coprono il suolo del campo di battaglia. Il maggiore dei Pandava, Yudishtira, deve ora salire sul trono. La vittoria, per lui che ha visto morire tutta la sua famiglia, ha il gusto amaro della sconfitta”.
Così il testo dell’episodio finale del Mahābhārata (portato in scena da Brook nel 1985, per il Festival d’Avignon, anche film del 1989).
«Il sole si alza su diciotto milioni di cadaveri. Gli sciacalli e gli avvoltoi si contendono la carne, e la terra stessa emana un odore di morte. La bellezza degli eroi scompariva nelle gole delle fiere. Le donne avanzavano per prime, a migliaia, alla ricerca dei loro sposi, dei loro figli. Draupadi e Gandhari s’incontrarono. Nessun figlio era sopravvissuto alla carneficina. Sapevano che sarebbero invecchiate senza eredi. Yudishstira e i suoi fratelli apparvero sul campo di battaglia, piangendo i loro figli assassinati da Aswatthaman. Vyasa li raggiunse. Nessuno si sognava di rinfacciargli il massacro. Sapevano bene – come Vyasa stesso aveva detto – che avrebbero potuto fermare la guerra, che non vi era là nessun destino predeterminato, irresistibile.».
Tutti escono sconfitti. Disse Brook:
“In guerra una vittoria è una sconfitta. Voglio raccontare la storia di Battlefield per far capire a Obama, Hollande, Putin e a tutti i presidenti cosa succede dopo la battaglia. Se tu sei un leader e sostieni una guerra devi sapere che farai milioni di morti, anche se vinci. Il nuovo adattamento del Mahābhārata sembra proprio un tentativo di risposta alla domanda “Cos’è la vittoria?”. Perché oggi il teatro che fa veramente ricerca non può non interrogarsi sull’immensa quantità di gente che arriva senza passaporto in Europa, o che muore nel tentativo di arrivarci, a causa di una guerra che l’Occidente sta cercando di vincere a tutti i costi”.
Brook disse anche che dieci anni prima dello spettacolo del 1985 si era riunito con i suoi attori e con i colleghi americani per riflettere sulla guerra del Vietnam: “Arrivò un giovane indiano che mi disse di non avere nessuna esperienza diretta, ma solo un piccola pièce di 5 pagine ispirata al Mahābhārata, ambientata sul campo di battaglia, in cui il protagonista Yudishtira si ferma, intenzionato a non fare più la guerra e chiede al dio Khrisna: “Perché io devo combattere ancora?””
Così Vyasa consola Yudishsthira:
Due pezzi di legno che galleggiano si incontrano nell’oceano e l’istante dopo si separano.
Ugualmente tu e tua madre, tu e tuo fratello, tu e la tua donna, tu e tuo figlio.
Li chiami moglie, padre, amico, ma non sono che un incontro lungo il tuo cammino.
Questo mondo è una ruota che gira, un passaggio nel grande oceano del tempo dove nuotano due squali, la vecchiaia e la morte.
Niente dura, neanche il tuo corpo.
Nessun legame resiste al tempo.
In questo momento non vedi i tuoi antenati, e i tuoi antenati non ti vedono.
Non vedi né il cielo né l’inferno.
Che fanno i venti, il fuoco, la luna, il sole, il giorno, la notte, i fiumi, le stelle?
Tutto è fisso in questa creazione diversa, di cui non si comprende la causa.
Nulla resta, nulla torna.
Piacere, dolore, tutto è fissato dal destino.
Quello che desideri, ce l’hai.
Quello che non desideri, ce l’hai.
Nessuno sa perché.
Niente garantisce la felicità dell’uomo.
Dove sono? Dove andrò? Chi sono? Perché?
E su cosa dovrei piangere?