BIBLIOGRAFIA DISARMATA: GIULIANO PONTARA

Giuliano Pontara (1932). Partiamo da una notizia editoriale: Newton Compton manda in libreria a tempo di record un’edizione aggiornata de I grandi discorsi della storia con il presidente ucraino Zelensky in copertina. Comunque la si pensi, davvero,  vorrei che impiegassimo due minuti del nostro tempo per riflettere su cosa sta accadendo alle nostre menti. Stiamo attraversando la storia? Sì, certo. E’ già il momento per storicizzare un discorso? Non lo so. E’ il momento di usare una fotografia in copertina per vendere? Ahimé, quello sempre. Ma non significa che sia giusto.
Allora, vi parlerò di altri discorsi, e soprattutto di altri libri: quelli di Giuliano Pontara, che trovate qui. Giuliano Pontara è un filosofo ed è uno dei massimi studiosi della nonviolenza. Ha lasciato l’Italia nel 1952, rifiutando il servizio militare, e da allora vive in Svezia. Leggetelo.
La strategia della nonviolenza, per Pontara, si può riassumere in sette punti:  1. astensione dalla violenza; 2. adesione alla verità; 3. auto-sacrificio; 4.agire costruttivo; 5. compromesso; 6. gradualità dei mezzi.
In questa intervista dice di più:

“Dobbiamo essere chiari: la via della violenza è la via della sua escalation che finisce in un vicolo cieco. Se continuiamo su quella strada arriviamo a distruggere l’umanità. Questo è il punto di partenza – la grande novità della storia umana esplosa nel 1945. Quindi possiamo dire che in realtà non ci sono scelte, perché la violenza – nell’era delle armi di distruzione di massa – è una scelta totalmente catastrofica. E allora secondo me siamo costretti, non per virtù, ma per necessità, a imboccare altre strade. O imbocchiamo una strada diversa dalla violenza, per noi, i nostri figli, i nostri nipoti, oppure, se non siamo in grado di fare una scelta nonviolenta, vuol dire che l’umanità non aveva e non ha ragione di esistere. Perché sceglie l’autodistruzione.
Certo, la scelta nonviolenta deve fare i conti con problemi enormi. Ma non dobbiamo dimenticare che anche la scelta violenta comporta enormi problemi. La via della violenza – che da ultimo è la via della guerra – investe somme astronomiche, richiede grandi capacità organizzative, e si serve di stuoli di scienziati. Bene, lo stesso vale per la via della nonviolenza: ci vogliono volontà politica, preparazione, organizzazione, mobilitazione dal basso, risorse, denaro, e ricerca scientifica”.

“…la coerenza tra fini e mezzi è essenziale. Nel nazismo c’è una coerenza terribile da questo punto di vista: dato il fine violento l’unico mezzo per realizzarlo non può che essere la violenza. Vale esattamente il contrario, ma con la stessa coerenza, per la nonviolenza: se si mira realizzare una società liberata il più possibile dalla violenza è necessario, non moralmente, ma empiricamente, ricorrere a mezzi nonviolenti.
Questo discorso vale anche per la democrazia, che è sino ad oggi il tipo di sistema politico pìù vicino alla nonviolenza: un sistema in cui i conflitti vengono condotti e risolti contando le teste, non tagliandole: lo stato democratico non può che essere mantenuto con mezzi democratici – questo è un truismo, ma va ricordato. Anche perchè quando le democrazie cominciano a essere esportate con mezzi non democratici, con i bombardamenti, forze armate mercenarie e in parte privatizzate, e le torture, questi mezzi si ripercuotono all’interno della società democratica, la corrodono, la militarizzano, la rendono più violenta, anche strutturalmente – un processo che è oggi in parte in atto nella società statunitense”.

“Il fallibilismo – inteso come atteggiamento di costante ricerca della verità nella convinzione che nessuno detiene il monopolio di essa – è appunto il contrario del dogmatismo che nutre i movimenti fondamentalisti, sia quelli religiosi sia quelli laici. Sulle possibilità di tener vivo un atteggiamento fallibilista a volte sono piuttosto pessimista. Anche perché a livello politico dovrebbero essere in primo luogo le società democratiche a tener vivo e incoraggiare tale atteggiamento, dando spazio a più voci, alla ricerca comune (quella che Aldo Capitini chiamava la “ricerca corale”) attraverso il dialogo informato tra persone autonome e civili.
Ma le nostre democrazie si stanno indebolendo perchè al posto del dialogo subentra la rissa verbale e tanti media – e in primo luogo la TV – stanno letteralmente indottrinando le coscienze, e questa è violenza culturale. In questo senso il fallibilismo mi sembra in crisi e il rischio è che aumenti la violenza, perché dogmatismo e violenza sono fortemente legati l’uno all’altra. Da una parte quindi ho delle preoccupazioni e forse sono anche un po’ pessimista; dall’altra, ritengo però anche che sia pericoloso abbandonarsi al pessimismo, e quindi cerco di vedere segni di speranza, e colgo questi segni in tutte quelle manifestazioni positive di quella “forza costruttiva” con la quale gli umani nella storia sono riusciti a fare grandi progressi – nonostante la violenza.
Insomma credo che in questa prospettiva sia importante essere intelligentemente, lucidamente ottimisti, ma con i piedi molto, molto per terra. Era anche l’ottimismo intelligente che sosteneva Gandhi nel suo continuo e ininterrotto impegno nella nonviolenza politica”.

In un incontro pubblico, qualcuno gli chiese se la Pace fosse possibile. Pontara citò  Kurt Gödel: “È meglio essere ottimisti e aver torto, che non essere pessimisti e avere ragione”.
Ecco.

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