BIBLIOGRAFIA DISARMATA: JOHAN GALTUNG

Johan Galtung (1930). Sì, va bene, ma come si fa? Se siete pacifisti, nonviolenti, disobbedienti, prima o poi (più prima che poi) vi siete sentiti rivolgere questa domanda, seguita da “e tu che proponi?”. Come se, per schivare le accuse di pacifintismo egoista e divanaro, occorresse tirar fuori dal cassetto della scrivania una serie di volumi dove si va a delineare passo per passo come si procede qui e ora. E’ una domanda mal posta, spesso con malizia: ignorala come hai ignorato le altre, direbbe Guccini.
Ma se non volete ignorarla, leggete e fate leggere Johan Galtung. Che è un sociologo, un matematico norvegese e soprattutto uno dei più grandi studiosi della pace e fondatore dei peace studies, oltre che della rete “Transcend International: A peace and development network”.
La sua storia, come molte, comincia con l’obiezione di coscienza, che lo porta a sei mesi di carcere. Dove studia Gandhi e la lotta nonviolenta. Negli anni Cinquanta va in Sicilia, a studiare e sostenere la battaglia di Danilo Dolci. Come ricorda Rocco Altieri, “durante un suo viaggio in Cile nel 1964, viene chiamato a collaborare a un progetto di ricerca sociale sulle povertà in America Latina, il cosiddetto progetto Camelot. Quando scopre che il progetto è pensato e finanziato dal Dipartimento della Difesa degli Usa, ne denuncia l’obiettivo di utilizzare le scienze sociali in funzione di controllo sociale. Lo studio dei problemi sociali della disoccupazione e della fame in America Latina sarebbe servito non per aiutare la soluzione dei problemi, ma per individuare e spegnere i focolai possibili di contestazione e di rivolta sociale. La dura presa di posizione di Galtung porterà all’annullamento definitivo del progetto”.
Che significa allora “trascendere” un conflitto? Ridefinirlo, dice Galtung. Partendo dalla definizione di pace non come assenza di guerra ma come assenza di violenza strutturale. Inoltre, formando e diffondendo la pratica della trasformazione nonviolenta dei conflitti, con la rete mondiale di mediatori.

In pratica, scrive ancora Altieri, “Il lavoro del mediatore dei conflitti è essenzialmente culturale ed educativo, la sua medicina è di tipo nonviolento. Agisce negli strati profondi delle persone e delle società, curando la cultura degli attori del conflitto attraverso un processo maieutico, alla maniera indicata da Danilo Dolci, perché un conflitto, potenzialmente distruttivo, può diventare, attraverso la consapevolezza degli attori coinvolti, generatore di nuove realtà. L’obiettivo del mediatore sarà, quindi, quello di aiutare le parti a trovare le possibili alternative alla violenza e alla guerra, attivando dinamiche e processi sociali costruttivi, e non distruttivi.”

(…)

“”Trascendere” significa ridefinire la situazione affinché ciò che sembrava incompatibile e bloccato si apra a una nuova prospettiva. La creatività è la chiave per trasformare il conflitto. L’atto creativo non significa necessariamente l’inserimento di nuovi elementi, ma può consistere anche nella combinazione diversa di quelli già esistenti. Il metodo TRANSCEND riprende molto della cosmologia buddista, in cui la compassione porta alla comprensione dell’altro attraverso la propria auto-purificazione nella comune ricerca della verità”

Ah, c’è uno slogan. Oltre a consigliare i libri di Galtung, potete usare quello: There are alternatives . Ci sono sempre alternative.

 

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