BIBLIOGRAFIA DISARMATA: NOI CREDEVAMO (GLI ANNI DI EUGENIO SCALFARI)

Eugenio Scalfari (1924-2022). Non tanto, non solo Eugenio Scalfari, ma quegli anni. Gli anni dei giornali su cui ha scritto o che ha fondato. Il Mondo, L’Espresso, Repubblica. Quegli anni in cui noi crescevamo, e noi credevamo. Eravamo nate, noi ragazze (parlo di Graziella e di me, in particolare), un anno dopo il Partito radicale e de L’Espresso, che Scalfari aveva contribuito a fondare (nel 1955). Quando arrivammo in prima media, Eugenio Scalfari e Lino Jannuzzi denunciarono sul settimanale l’esistenza del Piano Solo: in pratica, il progetto di assicurare all’Arma dei Carabinieri, guidata dal generale Giovanni De Lorenzo, il controllo militare dello stato. Ne avevamo 19 quando Il Mondo uscì con una copertina dove Marco Pannella era raffigurato come Robin Hood. Del resto a lui (“a M., con autonomia) era dedicata Il signor Hood di Francesco De Gregori. Proprio questa:

Il signor Hood era un galantuomo
Sempre ispirato dal sole
Con due pistole caricate a salve
Ed un canestro di parole

Avevamo vent’anni da compiere quando, il 14 gennaio 1976, Repubblica arrivò nelle edicole. Sei giorni dopo Graziella e io eravamo davanti alla porta del Partito radicale. Valter Vecellio, che lavorava con noi a Notizie radicali, conservava tutti i numeri, in una pila che andava crescendo, e che gli invidiavamo un po’.

I giornali di Eugenio Scalfari hanno accompagnato la giovinezza e l’età adulta. Ricordo di aver avuto la percezione del tempo in mutamento quando, negli anni Ottanta, lo spot televisivo per i dieci anni di Repubblica mostrava la fotografia di un ragazzo in eskimo incorniciata sulla scrivania di un manager, che era stato, un tempo, quel ragazzo. Nel 1990 (e fino al 2019), ho cominciato a scrivere su quel giornale, sulle pagine culturali, quando ancora la redazione era a piazza Indipendenza e nell’open space della cultura troneggiava una grande testa di cartapesta di Scalfari: era un gioco affettuoso, tra familiari.

Mi fermo. Questo non è in modo alcuno un post nostalgico sulla giovinezza perduta. E’ però la preoccupazione per una perdita, questo sì: la perdita della possibilità di credere in qualcuno, in qualcosa, in un progetto.

Noi credevamo, appunto, che attraverso un giornale si potessero sventare i piani dei servizi segreti deviati, portare allo scoperto i fili di trame velenose, provare a costruire un mondo meno oscuro. Il fatto che oggi  non sia possibile credere, questo sì, innesca il rimpianto.

Non conta, è ininfluente, ma fra i molti post che affollavano la mia bacheca Facebook dedicati a Scalfari, mi ha colpito quello che lamentava che a causa dei libri che ha scritto scrittori meritevoli non sono stati pubblicati. Mi ha tolto, non “mi ha dato”. Io merito, gli altri no.

E’ uno dei segni dei tempi. Ed è, se posso, tristissimo.

 

 

Un pensiero su “BIBLIOGRAFIA DISARMATA: NOI CREDEVAMO (GLI ANNI DI EUGENIO SCALFARI)

  1. Nel 1976 io li avevo appena compiuti i miei vent’anni. Ricordo distintamente il giorno in cui mia sorella, più giovane di me di tre anni, portò a casa entusiasta quella prima copia di Repubblica che ora rimpiango di non aver tenuto da parte. Una vera rivoluzione di densità, lucidità e determinazione, in una stagione importante della storia nazionale che abbiamo avuto la fortuna di vivere con l’ottimismo e la fiducia della giovinezza. Sono queste le cose che mi fanno ricordare positivamente quegli anni fatti di conquiste sociali e partecipazione, di impegno sincero. Al di là degli esiti nefasti che li hanno poi marchiati come “anni di piombo”.

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