BLOG, INCIPIT, PENSIONI

Qualche segnalazione, intanto.
Per esempio, il neonato blog di minimum fax, minima et moralia.
Tessertrame, invece, gioca con gli incipit d’autore. E invita i passanti a partecipare.

Poi. C’è un intervento di Chiara Saraceno, uscito venerdì su Repubblica, che mi sembra molto interessante. Eccolo.
Ci sarebbe una via elegante ed equa per rispondere ai rilievi della Corte europea in merito alla inaccettabilità di una età diversa alla pensione di vecchiaia per uomini e donne nel settore pubblico. Basterebbe tornare alla flessibilità dell´età alla pensione – entro un raggio di anni e con conseguente flessibilità dell´ammontare della pensione – prevista dalla riforma Dini e cancellata dal secondo governo Berlusconi a favore di scaloni e scalini e non ripristinata neppure dall´ultimo governo Prodi. Consentirebbe – a uomini e donne – la libertà di decidere rispetto alle proprie convenienze, valutando costi e benefici. Rimarrebbero, ovviamente, le differenze e le disuguaglianze nelle storie contributive e lavorative di uomini e donne, dovute alle disuguaglianze nella divisione del lavoro familiare. Rimarrebbe quindi il problema di come riconoscere questo lavoro senza farne pesare il costo solo sulle donne che lo fanno. Ma il dibattito sarebbe più chiaramente spostato su questo, e non sul fatto se sia opportuno o meno che le donne – nel settore pubblico – vadano in pensione prima. Con il rischio tra l´altro di creare una diversa disparità – tra lavoratrici pubbliche e private – mentre se ne vuole chiudere un´altra.
Ciò detto, trovo francamente miope, oltre che perdente, una difesa ad oltranza di una età alla pensione più bassa per le donne in quanto tali. In primo luogo è una compensazione a doppio taglio delle discriminazioni dirette e indirette che le donne subiscono sul mercato del lavoro anche a causa del doppio lavoro cui molte di loro si sobbarcano. Una età più bassa alla pensione di vecchiaia, in carriere contributive più brevi e meno “ricche” significa una ricchezza contributiva più ridotta. Non è un caso, contrariamente agli stereotipi e al ricordo ormai antico delle baby-pensionate, che sono gli uomini ad andare più spesso in pensione di anzianità e le donne in pensione di vecchiaia. Le pensioni di anzianità maschili sono infatti molto spesso più alte di quelle di vecchiaia femminili. In secondo luogo, si continua a considerare che tutte le donne, in quanto tali, svolgano lavoro familiare gratuito e con la stessa intensità, a prescindere dal numero di figli, o che si occupino di persone non autosufficienti e così via.
Un modo più serio e più produttivo di affrontare la questione sarebbe quello di non limitarsi a chiedere genericamente che “prima” vengano fatte le riforme delle politiche sociali e famigliari che nessun governo ha ancora mai fatto e che non sono mai neppure tra le priorità dei sindacati quando si siedono ai vari tavoli. Certo, queste riforme vanno chieste, rifiutando, tra l´altro, lo scambio improprio tra regolarizzazione delle badanti e assenza di servizi per la non autosufficienza che sta avvenendo in questi giorni. Ma nel caso specifico della età alla pensione delle donne sarebbe opportuno lavorare su contromisure precise, che prendano sul serio la necessità di riconoscere il lavoro di cura all´interno della storia lavorativa. Circolano diverse proposte su come potrebbe essere utilizzato il risparmio prodotto da un innalzamento dell´età pensionistica delle donne. Tutte più o meno ruotano attorno a due idee: dare tempo – compensato – quando la domanda di cura è più elevata e compensare tramite contributi figurativi il tempo dedicato alla cura. Ciò significa due cose: una migliore copertura finanziaria del congedo genitoriale (ora retribuito al solo 30% dello stipendio, a fronte del 67% della Germania, 80-100% dei paesi nordici); un riconoscimento contributivo sostanzioso – almeno un anno – per chi ha avuto figli, oppure si è occupata intensamente di una persona non autosufficiente. Questi contributi si aggiungerebbero a quelli maturati nel corso della vita lavorativa (e anche a quelli durante il periodo di congedo di maternità).
Queste due proposte hanno a mio parere quattro non disprezzabili vantaggi. Darebbero più tempo – alle madri e ai padri – per stare con i propri bambini quando sono molto piccoli. Salvo che per i contributi legati all´avere un figlio, riguarderebbero sia le donne che gli uomini che prestano, appunto, cura. Introdurrebbero una distinzione non tra donne e uomini, ma tra chi ha figli e chi no, tra chi presta cura e chi no. Infine, aumentando la storia contributiva, di fatto consentirebbero a chi vuole di andare in pensione prima, con la pensione di anzianità. Perché non provare a fare questo tipo di controproposte, invece di arroccarsi in una battaglia senza speranza, o di accettare generiche promesse che quanto si risparmierà sarà destinato a politiche della famiglia ancora nebulose o, ancora peggio, a un qualche fondo per la formazione delle lavoratrici?

3 pensieri su “BLOG, INCIPIT, PENSIONI

  1. Innanzi tutto, Loredana, belli i blog che hai proposto.
    Rispetto all’articolo della Saraceno, invece, mi ha stupito il fatto che nessuno sia intervenuto a proposito.
    Io trovo le sue proposte molto sensate, ma temo che vadano a cozzare contro una cultura difficilie da scalfire.
    Che la donna vada in pensione cinque anni prima rispetto agli uomini è un palese contentino: per circa quarant’anni lavorativi, cara donna, sobbarcati un doppio lavoro, non chiedere servizi di welfare, accetta mansioni e pagamenti inferiori a quelli di un uomo, però poi – a fine di tutto – avrai un abbuono di cinque anni lavorativi. Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato.
    E’ una differenziazione tra uomini e donne che qualcuno maschera quasi come un atto di cavalleria (prima le donne e i bambini, come si sa), chi invece fa pesare quasi come un privilegio (ma come: avete voluto la parità, però andate in pensione cinque anni prima), comunque di fatto rimane un patteggiamento su basi implicite accettate da tutti.
    Introdurre invece delle differenziazioni esplicite e misuralbili tra donne (ma anche uomini, se non ho capito male) in base alla variabile cura temo sia molto più difficile da mandare giù, andrebbe a cozzare contro quella cultura della uguaglianza tra lavoratori (di fatto: lavoratrici) che poi in realtà è una finzione, perché se è vero che le donne sono gravate dal doppio lavoro e dal lavoro di cura rispetto agli uomini, non è vero che tutte le donne lo sono o lo sono nella stessa misura.
    Quello della Saraceno mi pare un discorso sensato, circostanziato e realistico, ma molto impopolare. Che poi sul lavoro di dovrebbe aprire un dibattito molto più ampio è un’altra questione.

  2. Anch’io penso che l’assenza di commenti a questa saggia proposta sia indicativa della mentalità più diffusa in Italia, anche a sinistra evidentemente, di non cercare soluzioni pragmatiche che darebbero vera uguaglianza.
    La posizione dei sindacati è palesemente sbagliata e perdente, soprattutto perhcé non pensa alle persone vere che lavorano e che curano bambini e anziani.

  3. … lessi il post di corsa, e mi trovai assolutamente d’accordo con Saraceno. Ché il vero problema non è innalzare o abbassare l’età di pensionamento, ma offrire delle soluzioni per continuare a far lavorare le persone anche dopo i sessant’anni, tenendo conto delle esigenze di salute, famiglia, dei lavori usuranti, della possibilità di lavorare per meno ore guadagnando di meno ma mantenendo il reddito. Delle proposte di Saraceno mi inquieta soltanto il fatto che se in una famiglia lavora solo una persona (e non ne indico il sesso, anche nella maggior parte delle famiglie eterosessuali è il maschio) e l’altra si occupa di casa-figli se ce n’è-cure a persone anziane non autosufficienti non sarà possibile prevedere un qualche tipo di agevolazione relativa allo stipendio/alla pensione che tenga conto di questo lavoro ‘non retribuito’ (o dovrebbe finire in qualche modo sulla busta paga del membro lavorante?).
    Come d’altra parte se una persona ‘non ha famiglia’ ma si ritrova a a occuparsi di ‘quella di provenienza’ (anche senza gravi problemi) non potrebbe rientrare nelle categorie di riferimento.
    Insomma, non sarebbe più opportuno pensare diverse possibilità su come gestire il proprio tempo dedicato al lavoro e il reddito relativo a partire dai sessant’anni, in modo che ciascun* scelga da sé?

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