NARRAZIONI

Stanchezza. Forse perchè sono alle prese con un libro decisamente difficile da scrivere e con una tematica spietata (gli stereotipi sulla vecchiaia sono spaventosi, e il rimosso è impressionante). E forse perchè ogni tanto capita di scoraggiarsi, e di sentirsi delle sciocche cacciatrici di utopia.
Segnalazione del giorno. L’intervento di Vitaliano Trevisan su Repubblica.

La mia esperienza personale, privata, esistenziale, come scriveva PPP: l´autore non ha da offrire niente più di questo. Tenendo presente che con PPP ho poco a che fare. Niente estetica della mia vita please, né nella vita, né nell´opera. Questo non significa che vita e opera siano due cose distinte, al contrario; a tal punto al contrario che pensarle separatamente non mi è possibile. A dire il vero non ci ho mai nemmeno provato, non mi viene naturale, è uno di quei problemi che il mio cervello semplicemente rifiuta, non riconosce, non decodifica, gli manca l´interfaccia adeguata. Una questione di piattaforma io credo. Suonerà strano, ma il fatto è che ho sempre ben presente il suolo che calpesto, anche e soprattutto quando scrivo. Una sorta di atteggiamento – non saprei come altro chiamarlo, che mi porta ad aver sempre coscienza della mia gravità e del suolo che mi sostiene. Tutta la mia attività si fonda su questo. Tutta la mia vita si fonda su questo. Che bisogno c´è di scriverlo due volte? Schopenhauer dice: La vita è un lavoro da sbrigare; in questo senso defunctus è una bella parola. A patto di non suicidarsi, cosa che avrebbe forse un effetto positivo sull´opera, ma certo assai meno sull´autore, trovo che defunctus sia davvero una gran bella parola. Non c´è fretta. Ci arriveremo, come tutti, quando sarà il momento.
Per tornare a noi, malgrado la complessità del mondo, la cosa è relativamente semplice: forma/funzione/contenuto: nelle questioni di scrittura, è a questa triade che sempre ci teniamo. Per quanto datata, e ormai anche smentita, e fatta a pezzi, triturata, letteralmente fagocitata, e infine evacuata da quello stesso organismo che l´aveva partorita, malgrado non sia ormai che l´ennesima deiezione oramai disidratata nell´immenso scarico della storia, lo stesso noi ci teniamo alla forma, alla funzione, al contenuto, e alla dinamica che si sviluppa dalla compresenza, in ogni momento, ovvero in ogni frase riga parola segno di punteggiatura e spazio nella pagina, di questi tre elementi (il packaging, fisico o intellettuale che sia, non ci riguarda). Compito non facile, ma paradossalmente la letteratura sembra resistere meglio di altre discipline, tanto artistiche che scientifiche, all´attuale delirio d´interpretazione, conseguenza – sintomo, di quella crisi profonda e generale che riguarda oggi l´insieme delle rappresentazioni del mondo. A patto di non trasformarsi in uno di quei professionisti della realtà che infestano il globo, e di cui l´Italia è ormai satura, che volteggiano leggeri sulle periferie diffuse in cerca di cadaveri. Il tempo di spolparli e di cagare la relativa narrazione, e via di nuovo in volo, in cerca di un terremoto, di una guerra, di un assassino, di una vittima, di una qualsiasi sfiga, purché di mercato. E se la denuncia, civile o meno, è diventata un mercato, e basta entrare in una libreria, o scorrere il programma di un teatro, o andare al cinema, o accendere la televisione, o la radio, o sfogliare un giornale, per rendersi conto che si tratta di un mercato ormai consolidato, significa che, al tempo presente, denunciare una qualsiasi iniquità è molto vicino all´inutile inutile. Sia dunque il nostro un altro scopo.
Ora, avendo in certo qual modo definito il contenuto – il rapporto tra l´autore e la terra che lo sostiene, e dando per scontato che la funzione di un qualsivoglia scritto sia di essere leggibile, nel senso migliore della parola, non resterà che occuparsi della forma. Certo essa, la forma, non è tutto, ma è molto, moltissimo, qualcosa di indispensabile: senza una forma, nessuna triangolazione sarebbe possibile e ci ritroveremmo a correre avanti e indietro per una strada che non porta da nessuna parte, o meglio, visti i tempi, ci ritroveremmo a girare in tondo come trottole nell´orbita di una gigantesca rotatoria il cui unico sbocco ci riporterebbe sulla strada da cui siamo venuti. Perché un´azione letteraria possa aver luogo, l´autore deve sapersi orientare nel suo ambiente, deve cioè costruirsi un´immagine spaziale. Questo non significa che le immagini siano al primo posto: dobbiamo guardarci dal ridurre la scrittura, come sempre più spesso accade, a semplice arte della didascalia, o meglio del sottotitolo, visto che è ormai implicito che l´immagine cui si fa riferimento sia da considerarsi in movimento. Velocità, ritmo, sincronizzazione, in una parola: Tempo. Se non considerassimo questo fattore, nessuna forma risulterebbe adeguata. Dunque mi correggo: l´immagine dovrà essere spazio-temporale. Ma in un mondo in cui la pianificazione del tempo, pubblico e privato, è determinante, tutto ciò che non è a tempo, è fuori dal tempo, e si trasforma automaticamente in un potenziale intoppo a quella libera circolazione delle merci, e delle persone, che non potrebbe certo essere così “libera”, se non fosse accompagnata da una stretta, strettissima, ormai totalizzante, e asfissiante, regolamentazione del tempo, e dunque dello spazio, e dunque, com´è logico e inevitabile, delle persone.
E tuttavia, anche se ce ne rendiamo conto solo in modo effimero e intuitivo, vi sono, nel mondo che ci circonda e in ciascuno di noi, zone di resistenza all´evidenza. Lo scopo del viaggio, lo scopo della ricerca letteraria, dovrebbe essere, ed è talvolta, l´esplorazione di queste zone di resistenza (Marc Augé, Le Temps en ruines).
Personalmente, l´autore ritiene che la letteratura, così come la vita, o è ricerca o non è. Così, lo scopo della nostra azione letteraria, non potrà che essere l´esplorazione/ricognizione di quelle zone di resistenza all´evidenza di cui parla l´inventore del non-luogo, con la sostanziale differenza che della loro esistenza, fuori e dentro di noi, abbiamo coscienza, da sempre, come di qualcosa di affatto concreto, per niente effimero, assolutamente reale. Spostarsi da una all´altra di queste zone è una questione complicata e pericolosa. La frammentazione, la parcellizzazione, l´atomizzazione del territorio, esterno e interno, è tale, che finire spiaccicati, o formattati, è questione di un momento. Destrezza, senso del tempo e fortuna ci hanno evitato, finora, una simile fine, consentendoci così di scoprire che, oltre a zone, esistono anche percorsi che resistono all´evidenza.
Zone e percorsi letterariamente praticabili, a patto, ancora una volta, di non perder tempo a correre dietro alle immagini, riducendo di nuovo tutto a una questione di sottotitoli. Si tratterà piuttosto, individuato di volta in volta il terreno/percorso adatto, di abitarlo col giusto atteggiamento, così che le immagini vi germoglino spontaneamente, con quella forza sorprendente e addirittura, per l´autore, commovente, che hanno certe piante quando bucano l´asfalto, o mettono radici in una crepa sul muro, o nell´incavo di una grondaia trascurata, e crescono, si sviluppano, in una parola vivono, senza rendersi conto che non è lì che dovrebbero essere, e di quanto precaria sia la loro situazione.
Come motto, e come bussola, portiamo sempre in noi, senza alcuna autorità, una frase del Talmud: Colui che non ha terra sotto i piedi non è un uomo.
Defunctus!

4 pensieri su “NARRAZIONI

  1. l’unica filosofia da sposare nell’arte è quella descritta apparentemente solo per i giocatori da H. J. Nielsen(“L’angelo del calcio”):
    “Ci sono tre generi di calciatori.Quelli che vedono gli spazi liberi, gli stessi spazi che qualunque fesso può vedere dalla tribuna e li vedi e sei contento e ti senti soddisfatto quando la palla cade dove deve cadere.
    Poi ci sono quelli che all’improvviso ti fanno vedere uno spazio libero, uno spazio che tu stesso e forse gli altri avrebbero potuto vedere se avessero osservato attentamente. Quelli ti prendono di sorpresa.
    E poi ci sono quelli che creano un nuovo spazio dove non avrebbe dovuto esserci nessuno spazio. Questi sono i profeti. I poeti del gioco”

  2. A parte bellissimo il commento di Diamnds.
    Condivido tantissime cose di questo articolo, che mi ricordano cose di cui ho scritto oggi, in specie sul mercato della denuncia. Più un’assonanza mi sa. Non condivido quella roba per cui si debba dire che nella vita o nella scrittura uno ci debba avere un qualche scopo, ma questo è un’inezia.

  3. I Cacciatori di Utopie sono essenziali allo sviluppo dell’umanità. “Le rivoluzioni non si fanno con le poesie, ma non esistono rivoluzioni senza poesie.” L’ho letta da qualche parte. Se non ci fossero i narratori, che hanno il compito di scavare a fondo nell’umano sapere, di riportare a galla luci e ombre confrontandole e trasformandole, di offrire punti di vista diversi, di nutrire la fantasia, di narrare le utopie e svegliare gli animi, dove finirebbe il mondo degli uomini? Un caloroso cenno di coraggio a chi lavora per questo senza perdere mai la motivazione.
    Lascio qui un’utopica traccia, la Poetica del Risveglio.
    http://aliceinbrandland.wordpress.com/2009/07/06/la-poetica-del-risveglio/

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