CARO ANTONIO, CARO NICOLA

Nicola Lagioia e Antonio Moresco si sono scritti. La prima lettera è di Lagioia, che declina l’invito a partecipare al reading di Lettere a nessuno alla Sapienza di Roma, il 12 dicembre. La seconda è la risposta di Moresco. Entrambe sono state pubblicate da Il Riformista il 7 e 8 dicembre. Eccole.

 Caro Antonio,

ti scrivo per ringraziarti dell’invito al reading romano di Lettere a nessuno. Ma anche per dirti che non parteciperò alla lettura.

Fino a pochi giorni fa ti ho frequentato letterariamente attraverso Gli esordi e i Canti del caos, opere che mi hanno lasciato ammirato per il coraggio e con dei dubbi non ancora sciolti circa la loro possibilità di resistere, anzi di crescere con il passare dei decenni. Immagino che questi dubbi siano un buon segnale: significa che i libri in questione, a qualche anno dalla loro prima apparizione, continuano ad interrogarmi.

Questo per dirti che, leggendoti, mi sono fatto l’idea di uno scrittore che mi interessa molto, che  sta facendo un percorso veramente non epigonale (futuri classici o meno che siano i suoi libri) con cui mi sarebbe piaciuto prima o poi confrontarmi.

 

Non avevo invece mai affrontato Lettere a nessuno. L’ho fatto nella nuova edizione, e devo dirti che mi ha lasciato molte riserve. Se preferisco scriverti pubblicamente (anziché celebrarti in una pubblica lettura) è per dirti che parti non trascurabili del tuo viaggio nel nostro mondo letterario soffrono a mio parere di un grave vizio sotto il profilo etico. Provo a spiegarmi. Se una tesi di fondo (la cultura italiana si fonda in buona parte su meccanismi di viltà, di servilismo, di pressapochezza…) la si può ridurre a una formula sintetica, la stessa operazione non la si può condurre con altrettanta semplicità sugli esseri umani le cui azioni ti hanno spinto a formularla – o meglio, una parte infinitesima delle loro azioni: quelle che sono entrate nella tua sfera d’esperienza. Mi riferisco ai critici, agli scrittori, agli editori di cui parli nel libro. Non si tratta di personaggi letterari, ma di persone in carne e ossa. E le persone in carne e ossa (come i personaggi letterari meglio riusciti) sono vaste, complesse, spesso contraddittorie. In Lettere a nessuno, invece, questa complessità viene sacrificata a beneficio (o a episodica smentita) della tesi di fondo. Questi nomi e cognomi diventano cioè delle semplici troppo semplici funzioni algebriche – a seconda che ti abbiano trattato o meno con l’attenzione e il rispetto che meritavi – capaci di dare un giro di vite al seguente problema: è il mondo culturale italiano una merda?

Tuttavia, misurare il contributo che un uomo ha dato alla alla vita pubblica del proprio paese usando come metro la propria vicenda privata è un atto di scorrettezza. Faccio un esempio paradossale: se in un altra vita mi fosse capitato di incrociare il Mahatma Gandhi durante gli unici cinque minuti di nervosismo della sua esistenza, questo basterebbe a farmelo giudicare pubblicamente come una persona violenta? D’accordo, il mondo edioriale italiano non è affollato di Grandi Anime. E tuttavia… facciamo qualche esempio.

Goffredo Fofi. A leggere le Lettere ne viene fuori il ritratto di un uomo di potere che si disinteressa dei nuovi autori. D’accordo, questo può essere stato il risultato del vostro incontro. Ma a seguire però – fuori dalle 700 pagine del tuo libro, nel mare ben più vasto della vita – la lunga avventura intellettuale dello stesso Fofi, si scopre che si è spesso attivato senza risparmio per far emergere le nuove voci della scrittura (il tuo amato Roberto Saviano prima della pubblicazione di Gomorra), del teatro (la da te stimata Sociètas Raffaello Sanzio), del fumetto (pensa a Gipi…), del cinema (pensa a un Garrone dei tempi non sospetti…) Perché non rendere giustizia anche di questo? Perché non operare, a maggior ragione per le persone esistenti, una tra le più affascinanti delle scommesse letterarie: quella della complessità?

E ancora, per fare un altro esempio… Giuseppe Genna. Prima lo consideri un personaggio interessante anche in ragione del suo spirito multiforme: un “amico”. Poi gli rimproveri di aver usato toni iperbolici per incensare sia te che altri scrittori in modo indiscriminato, rintracciandovi un segnale di piaggeria. Eppure, che Genna usasse l’iperbole quasi come strumento retorico era noto anche quando lo annoveravi tra quelli “non ancora diventati delle merde”. Che cosa c’è stato nel mezzo? Per tua ammissione: il fatto che Genna abbia stroncato i tuoi interventi sulla restaurazione. Ancora una volta, il metro di misura del “come si è comportato con me” viene usato per giudicare l’intera esperienza di un altro essere umano che magari, oltre a essersi occupato di te, ha fatto nella vita di meglio e di peggio: comunque anche altro. Ad esempio, per ciò che riguarda sempre Genna – tra posizioni condivisibili e non, tra attacchi all’arma bianca e ripensamenti (figurati, tempo fa tra i suoi stroncati ci fu proprio il sottoscritto…) – anche il fatto di lanciare e sostenere nuovi autori. Tanto per dire, se non fosse stato per un suo vecchio “iperbolico” giudizio sul quasi esordiente Tommaso Pincio, io non avrei mai letto, o lo avrei fatto in ritardo, quel gran bel libro che è Lo spazio sfinito. Perché non dare conto di questa generosità? E perché non chiedersi: con quanta generosità mi sto spendendo io, adesso, nei confronti dei sommersi delle lettere che siano meritevoli di aiuto?

 

E allora… va bene scandagliare le miserie del nostro paesaggio letterario. Lo trovo giusto e coraggioso: ma se la via percorsa passa per la semplificazione, la riduzione a “merda” di esseri umani che sono anche altro (nessuno sulla terra è davvero nessuno, neanche il più spregevole degli uomini: pensarlo o scriverlo significa compiere un crimine, antropologico e letterario insieme) allora l’esplorazione di questo paesaggio inciampa nel vizio etico di cui ti dicevo. Non sarebbe stato più interessante domandarsi: cosa spinge persone degne a prestare il fianco ai meccaismi del potere pur rimanendo persone e non “merde”? Non sarebbe stato più coraggioso chiedersi: non sarà che, almeno una volta, l’editore che mi ha rifiutato il romanzo è stato così evasivo perché, legittimamente, il libro non gli è piaciuto proprio sul piano letterario, e dunque la sua è più una viltà e una difficoltà di relazione umana che non semplice cinismo letterario di bottega? E, infine, non sarebbe stato più vertiginoso (una vera e radicale esperienza conoscitiva!) domandarsi: non sto rischiando, col mio giudizio, di abbassare un altro essere umano al livello di un ente puntiforme e dunque, non mi sono spostato occasionalmente io, Antonio Moresco, sul versante di ciò che nella vita ho sempre combattuto?

Caro Antonio, ho finito. Ma spero di avere inaugurato con te un dialogo, non l’ennesimo muro contro muro. Se vuoi, leggi pure questo mio messaggio nel giorno del reading. Sarebbe comunque un frutto nato dal tuo libro: le Lettere a nessuno che propriziano una lettera a qualcuno. La mia a te, in questo caso,

ti abbraccio,

Nicola Lagioia

 

 

   Caro Nicola Lagioia,

 

   ho letto la tua lettera apparsa sul “Riformista”, dove annunci pubblicamente il ritiro della tua adesione alla lettura di “Lettere a nessuno”, che si terrà a Roma. Vedo che mi inviti a rispondere alla tua lettera, perché sia a qualcuno invece che a nessuno. Lo faccio volentieri, mandandola a te personalmente e allo stesso giornale.

   Tu mi accusi di grave scorrettezza etica e di riduzione di alcune figure che operano nel mondo della cultura italiana a una sola delle loro componenti, ignorandone la complessità. Di avere fatto una descrizione puramente autoriferita alla mia persona e alla mia vicenda. Mi accusi addirittura di “compiere un crimine, antropologico e letterario insieme”.

   La prima osservazione che ti voglio fare è questa: anche tu, come altri, riduci tutto questo vasto e complesso libro a una sola cosa, la descrizione -a tuo parere malevola e unilaterale- di alcune persone che operano nel campo della cultura. Ma per fare ciò devi scorporare anche queste singole e a mio parere emblematiche vicende da tutto il resto, da ciò che occupa la parte maggiore e più proiettiva del libro. Questo invece sarebbe eticamente corretto? Tu non sei un giornalista culturale, che magari deve fare in quattro e quattr’otto il pezzo satirico e di colore e che se ne frega della portata delle cose e delle parole, deve sparare solo quattro battute. Tu sei uno scrittore. Non ti sembrano maledettamente importanti certe cose?

   In questo libro, pieno anche -perché no?- di esperienza personale e dolore (ma non erano pieni delle stesse cose anche tanti altri libri analoghi del passato?) il discorso si riapre continuamente, passa dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, la riflessione si allarga sempre più man mano che si arriva alla fine: sull’importanza e l’urgenza prefigurativa della cruna del sogno della letteratura, sulla responsabilità degli scrittori, tanto più in questi anni di restaurazione e intossicazione, sulla realtà e sul realismo, sulle mistificazione e sulle semplificazioni dominanti, sulla sproporzione politica, sociale, antropologica, artistica e di pensiero dentro la quale stiamo vivendo, sulla nostra condizione di limite e passaggio di specie ecc.

   Di tutto questo, leggendo il tuo articolo, non c’è traccia. C’è solo uno scrittore astioso che se la prende ingiustamente con alcune persone (vedo che sono due quelle che ti preme soprattutto difendere: Fofi e Genna). Del primo ci tieni a dire che si è dato da fare per far conoscere molti buoni scrittori e registi. E chi lo nega? Sono altre le cose di cui parlo e le logiche contro le quali provo donchisciottescamente a combattere. Quanto al secondo, riduci la mia lunga lettera aperta a lui (molto più sfaccettata, implicata e complessa di come dici) a una sorta di piccola vendetta personale. Ma hai letto veramente il libro? L’hai letto per intero? Come può essertene sfuggito a tal punto il senso?

   Mi accusi di avere ridotto a “merda” degli esseri umani. Non è vero. Anzi, è proprio perché non ho mai fatto questo che c’è anche tanta disperazione in questo e in altri miei libri. Mi ricordi che nessuno, neanche il più spregevole degli uomini, è tale. Hai ragione, lo penso anch’io. Persino nel boia di Treblinka ci sarà stato qualcosa di buono, di non conosciuto, di non raggiunto. E’ proprio questo che rende così intollerabile, irrimediabile, inaccettabile e tragico il suo comportamento.

   Ma, a proposito della tua accusa di uniteralità (che tu puoi sostenere unilateralizzando il mio libro) voglio sollevare un altro problema. Tu sai che gli scrittori, i poeti, anche nel passato, si sono trovati a condurre delle battaglie che hanno coinvolto, anche dolorosamente, altre vite. Si sono macchiati di grave scorrettezza etica Dostoevskij (non lo nomino per paragonarmi a lui, ma solo per farmi capire) quando fa quel certo ritratto di Turgenev nei Demoni? Turgenev, dopo averlo letto, si è incazzato moltissimo, ha parlato anche lui di grave scorrettezza etica e letteraria, ha ritenuto di essere stato unilateralizzato e frainteso. Perché Dostoevskij fa questo? Perché è malevolo e vendicativo o perché a lui sembra una tragedia foriera di ogni male il comportamento di gran parte dell’intelligencija del suo tempo, la sua irresponsabilità e la sua resa di fronte a certe ideologie di moda (allora era un certo tipo di nichilismo, oggi possono essere altre, o meglio le stesse sotto altre e più aggiornate vesti). Molte altre volte è successo questo, a partire da Dante (idem come sopra). Siamo proprio sicuri che Brunetto Latini e tanti altri meritassero l’inferno? Ha compiuto una grave scorrettezza etica Dante a dare certi giudizi? Non aveva il diritto di farlo? Perché ieri gli scrittori potevano fare certe battaglie, politiche, etiche, artistiche e spirituali all’interno dell’esistente e oggi non potrebbero più farlo? Perché questo si potrebbe fare sempre e solo in altri campi: politico, sociale… E Kafka, nella sua lunga lettera al padre? Non avrà forse visto solo un aspetto di lui, però quello che gli sembrava evidentemente più inaccettabile e con il quale non bisognava a suo parere scendere a patti? Non ci sarà stato anche dentro il padre di Kafka qualcos’altro che il figlio non ha visto? E allora dobbiamo condannare quella lettera come unilaterale ed eticamente scorretta? E Monaldo Leopardi? Non ci sarà stato anche dentro di lui qualcosa d’altro che il figlio non ha visto? E i contemporanei che si sono ritrovati nei libri di Rousseau, Tolstoj, Hugo, Flaubert, Proust, Musil, Gombrowicz, Camus, Pasolini…? Non ci sarà stato in loro anche qualcosa d’altro?

   La letteratura incide, può incidere nella polpa dei viventi e del mondo. Può essere anche senza mediazioni, frontale. Può portare dolore, e questo dolore può tornare indietro anche in chi ne scrive. Ma non è questo il suo solo orizzonte e il suo limite. Alcune delle cose scritte nero su bianco in Lettere a nessuno sono pesanti e gravi, lo so, ma le penso sinceramente e profondamente e allora le ho dette con chiarezza e senza nascondermi, sapendo ciò cui andavo incontro. Lo so, bisognerebbe essere meno appassionati e implicati, più prudenti, più equilibrati. Ma guarda che a forza di equilibrio si finisce per diventare equilibristi, a forza di essere prudenti si finisce per diventare consenzienti. Io almeno riesco a vivere solo così, come uomo e come scrittore, anche se so che non è la strada più facile, anche se so che probabilmente non c’è speranza, che le battaglie vere sono quasi sempre perdute, che a comportarmi così non andrò in paradiso, non mi faranno andare in paradiso. Lo sapevo, scrivendo questo libro prima di gettarmi nella conclusione di Canti del caos, che non si deve fare, che non conviene, che il mondo in cui viviamo non funziona così, che il mondo della cultura non funziona così, che persino gli scrittori -e persino adesso- pensano di avere qualcosa da perdere.

   Ti saluto caramente. Spero che la vera risposta alla tua lettera saranno i brani che verranno letti in tua assenza, che daranno un’idea diversa e più ampia di un libro che tu riduci a questa piccola e meschina cosa. Rileggilo, se vorrai, rileggilo per intero, con la mente libera, dall’inizio alla fine, con animo meno difensivo e chiuso. Non essere proprio tu a fare muro contro muro. Certe volte la vita sanguina. Anche la letteratura non è senza sangue.

   Antonio Moresco

  

 

 

50 pensieri su “CARO ANTONIO, CARO NICOLA

  1. Sono in grandissimo imbarazzo ci ho paura di fare brutta figura!
    Parlo come me sento eh?
    Dunque ho trovato interessante lo scambio – anche se non ho capito esattamente cosa volessi dire Loredana pubblicandolo. Non conosco Moresco, e non amo particolarmente Lagioia. Parlano di un libro che non ho letto, ma mi pare di capire si discuta della legittimità a dire peste e corna di un contesto culturale, rinviando a un’esperienza privata con dei nomi et cognomi. Faccio sto riassuntino pedissequo perchè continuo a temere di non aver capito bene la questione.
    Ecco io il libro non l’ho letto – ma con queste premesse poco mi interessa. Ecco a me sulla base di sto carteggio mi viene da pensare che ha ragione Lagioia.
    Ma te Loredana che ne pensi?

  2. Io condivido pienamente il giudizio di Nicola Lagioia. Lessi a suo tempo le “Lettere a nessuno” e ho appena finito di leggere l’extended version, che non mi ha fatto cambiare idea, anzi. A questo proposito, cioè in relazione all’edizione aggiornata del libro di Moresco, segnalo un passo molto significativo a pag.500, quello che riferisce dell’esito della vicenda giudiziaria tra Carla Benedetti e Pedullà, in cui l’autore scrive una falsità in difesa dell’amica, e lo fa con le stesse logiche mistificatorie che rimprovera agli altri.

  3. Ho il sospetto, pur non avendo letto “Lettere a nessuno”, che qui Moresco abbia scritto una lettera migliore del suo libro. Mi spiego: mentre ascoltavo Lagioia, ero d’accordo con lui, e lo sono tuttora. Credo che i due esempi scelti da Nicola siano molto azzeccati: conosco bene Goffredo Fofi, ci ho lavorato a fianco diversi anni al Festival di Santarcangelo dei Teatri, e posso assicurare che l’uomo che ho avuto la fortuna di frequentare è tutt’altro che un “uomo di potere che si disinteressa dei nuovi autori”. Lo sarà stato forse con Moresco, non intendo negarlo, ma non ha fondamento una raffigurazione simile per lui. L’intero corpus dello “Straniero”, che è una delle migliori riviste culturali non solo di questi poveri anni, lo dimostra, a mio parere.
    Con Genna spesso non sono d’accordo, anzi forse quasi mai, e i suoi modi non di rado mi irritano, ma nondimeno lo trovo veramente un intellettuale generoso, uno che dialoga anche con chi lo stronca, e non ha paura di mostrare i suoi entusiasmi verso le opere dei colleghi.
    Poi leggo Moresco, e trovo che ha dato una bella risposta, condivisibile, equilibrata.
    Allora il mio dilemma si sposta là dove ora non posso arrivare, cioè (come dev’essere) dentro al libro. Moresco nomina Dostoevskij, precisando prudentemente che non lo fa per paragonarsi a lui. Poi nomina Dante. Poi Kafka, poi Leopardi… Ecco, il mio dilemma è: se Dostoevskij nei “Demoni” fa un torto a Turgenev, forse però quell’opera ha un valore letterario tale da risarcire sia Turgenev che ogni lettore futuro di quell’arbitrio. Kafka di certo non avrà avuto per padre il padre peggiore del mondo, ma la “Lettera”, scritta così, significa eccome, per tutti, credo. Dei “mal protesi nervi” di Brunetto Latini, senza il XV dell’Inferno, non lo avrebbe mai saputo nessuno. Ma quel ritratto è straordinario per umanità e, anche, per il rispetto che Dante comunque gli tributa. Il punto non è, insomma, l’essere o meno unilaterali e magari ingiusti. Il punto è essere dei grandi scrittori. Le “Lettere a nessuno” sono un grande libro? Se lo sono, ha ragione Moresco. Se non lo sono, ha ragione Lagioia.

  4. Molto più interessante, secondo me, la lettera che Roberto Innocenti ha inviato all’editora Orietta Fatucci e che sta facendo il giro dei blog.

  5. L’uno, incline ad un riconoscimento equilibrato dei meriti e dei demeriti, l’altro che della gratitudine pare che non ne faccia il proprio Verbo. Ognuno con i propri, ottimi motivi. L’uno che transita tra le parole e le persone fumando borbottante il calumet della pace, l’altro sciabolando urlante a destra e a manca con la katana, sulle persone e sulle parole.
    Confronti simili hanno il pregio di influenzare, di implementare la formazione del parere che un lettore ha di un determinato scrittore, e delle sue opere. Possono rafforzare un giudizio, o contribuire alla nascita di interrogativi prima inesistenti. Concorrono a tenera alta l’attenzione di una certa, selezionata parte di pubblico, e ne possono far germogliare di nuova. Si matura anche grazie alle polemiche, soprattutto grazie ai contraddittori. Chissà che qualcuno addirittura non ci prosperi.
    Dei due, lessi solo, poco dopo la pubblicazione, il secondo Canto del Caos, che mi ha condotto fino al limite vertiginoso, anticonformista e precipiziale della letteratura, cercando di strapparmi ai ritmi sonnolenti, standardizzati e commerciali delle personali letture precedenti. Ne uscii quasi esaurito, spolpato, corroso, inacidito.
    Ma ci è riuscito, e lo ringrazio.

  6. A me fa tutto una gran tristezza.
    Il fatto, poi, che questo scambio avvenga sulle pagine, ancora più tristi e “villariane”, del Riformista mi pare davvero la ciliegina sulla torta.
    Una torta alla merda, naturalmente.

  7. un bello scambio tra due scrittori sensati. che finalmente hanno il coraggio di scendere sul terreno del confronto anziche’ salire sul (moooolto più facile e improduttivo) pulpito di quelli che strillano le loro frustrazioni scollegando il cervello.

  8. @plessus
    “Confronti simili hanno il pregio di influenzare, di implementare la formazione del parere che un lettore ha di un determinato scrittore, e delle sue opere.”
    anche lo spazio dei commenti di un blog può avere una funzione simile. per esempio io noto che gli estimatori di moresco usano spesso, parlando dei suoi libri, una prosa, come dire?, neobarocca, che un po’ ricalca certi stilemi caratteristici del mantovano. come quando parli dei “canti del caos” e dici che la lettura di questo libro ti “ha condotto fino al limite vertiginoso, anticonformista e precipiziale della letteratura, cercando di strapparmi ai ritmi sonnolenti, standardizzati e commerciali delle personali letture precedenti.” la tripla aggettivazione, il registro esasperato, leggendoli mi ricordano moresco e anche le ragioni per cui non mi piace.

  9. E’ deciso, leggerò prima Tommaso Pincio poi Kafka. Ma lei Lipperini pensa che fra i due epistolari ci sia anche del “tenero”?

  10. A me sembra grottesco che Moresco porti ad esempio del suo atteggiamento La lettera al padre di Kafka. In quella lettera Kafka è ben conscio, e lo esprime più volte, della possibile unilateralità di alcuni suoi giudizi, tanto che la lettera non venne mai spedita al padre. Pensiamo poi se Kafka l’avrebbe fatta pubblicare, piuttosto si sarebbe bruciato vivo nel fienile della sorella a Zurau. Per quanto riguarda l’atteggiamento con gli editori per rendersi conto della distanza abissale tra i due scrittori, si legga la testimonuiana di Kurt Wolff su Kafka, testo rintracciabile su adelphiana.
    Mi è sembrato grande Genna, di cui non ho visto replica alle accuse infamanti e unilaterali, non ci vedo molta complessità, che Moresco gli dedica nelle Lettere a Nessuno, sotto il titolo “L’Emblema”. Ma da cosa si è oscurati quando si vede in Giuseppe Genna l’emblema del doppiogiochismo, del voler fare carriera, dell’affermarsi a tutti i costi?
    Un Genna che in Italia de Profundis rende ancora omaggio a Moresco, dopo simili accuse?

  11. Che strano, che il Lagioia citi solo due nomi: quello di Fofi – potente letterato romano – e Roma è la città in cui Lagioia opera, e Genna – ultima pubblicazione della casa editrice di cui è editor.

  12. Italia de profundis è un libro mediocrissimo, a proposito di Genna: finte indignazioni, finte apocalissi, finte invettive. Genna fustigatore nazionale come Pasolini?: ah, ah, ah…

  13. Uh… riassumerei così:
    NL – non è vero che siamo tutti UNA cricca, quelli con cui sto io non sono mica QUELLA cricca. Perché devi offenderli così, poverini?
    AM – Come fai a dire che riduco a merda chi consegno all’eternità con pagine di Vera Letteratura? E perché ignori il mio dolore!?
    Sono anch’io unilateralista???

  14. Quello che c’è di interessante nella lettera di Lagioia (e su cui, non a caso, Moresco glissa nella sua risposta) è la domanda “ma non puoi ammettere che a qualcuno il tuo lavoro possa non essere piaciuto” e l’abbai rifiutato per quello? E la risposta, implicita, è no. Perché Moresco, da sempre, e con lui altri, non ha mai considerato l’Editore come un interlocutore, un termine dialettico. Per lui un editore dovrebbe essere un semplice mezzo, senza diritto di critica, perché solo l’autore, scusate, l’Autore, è legittimato, dalla sua stessa opera, a giudicare la sua opera (anzi Opera). E questo perché l’editore è, di per sé, contaminato dalle basse ragioni dell’industria e del profitto. In effetti, Moresco non ha mai cercato un editore ma un Mecenate (ed è curioso, ed è solo la più lampante delle contraddizioni della sua posizione intellettuale, che un difensore della libertà dell’arte voglia, in maniera surrettizia, tornare al legame artista-mecenate): qualcuno cioè che gli permetta di vivere scrivendo senza doversi piegare alle logiche del mercato (visto come fonte di tutti i mali).
    Se qualcuno non trova geniali, seminali, dirompenti le sue opere o se, pur vedendovi queste qualità, ritiene di non poterci investire (o di non volerlo fare) allora è reso miope dall’omologazione culturale. Non c’è molta dialettica, in quesa posizione, no?
    Quanto a Franco B.: se non hai capito che è stato proprio l’imbarazzo di avallare con la sua presenza un’opera che offende delle persone con cui lavora, o che stima, o che considera amici a spingere Lagioia alla riflessione, allora non hai capito nulla e non vale la pena di discutere. Vedere “cricche” dappertutto, è solo sintomo di paranoia e di sindrome da esclusione.

  15. Moresco rimane l’ultimo appiglio per tutti quelli che, ritenendo di scrivere cose geniali e dirompenti, e trovando gli editori impreparati a comprenderne la grandezza, cercano di dimostrare (Lettere a nessuno alla mano) che sono vittima di miopia editoriale, di cricche e mafiette più o meno occulte. Io, ad esempio, ho comprato il libro solo per non arrendermi all’evidenza della mia mediocrità. E’ un libro che mi ha fatto bene.

  16. @sergio garufi
    Quanto a Moresco, non è che ho manifestato apertamente di esserne grande estimatore. Né, nei fatti, lo sono, visto che della sua produzione ho letto solo un libro.
    E’ che la sua lettura ha in qualche modo cambiato rotta nella scelta delle testi per le mie scarne e tarde ore libere. Il fatto è poi coinciso con la frequentazione dei blog, questo ed altri vicini. Più ultimamente anobii, che ha ulteriormente contribuito a corroborare la voglia di cambiamento, ed indirizzare più oculatamente le letture per la mia non più tenerissima età.
    Stavo diventando, riprendendo per l’ultima volta Moresco nella risposta a Lagioia, sempre meno appassionato, mai implicato, prudente, equilibrato. E a forza di equilibrio stavo diventando equilibrista, a forza di prudenza e di recensioni su repubblica e venerdì, su corriere e magazine stavo per diventare consenziente e nazional-conforme.
    Manifesto quindi gratitudine al libro citato e guarda un po’, sono invece estimatore della tua scrittura liquida, dissociata da enfasi, dalle tonalità pastello – si può dire? – e dai ritmi misurati, apparentemente monocorde, ma ammirevolmente ricca di frutti e riferimenti. Ma ti ho letto in brevi brani su siti non distanti da questo. Sulle “tratte” lunghe, non saprei.
    Aggiungo inoltre che dubito che da confronti simili, da botte e risposte pubbliche come questa – ma di natura essenzialmente privata, o no? – tra scrittori ed intellettuali i “circoli” letterari intorno ad essi ne tràino giovamento culturale. E’ tutto un argomentare del dichiararsi pro o contro, con non credibili possibilità di sviluppo del dibattito. Con il solito svilupparsi di inamovibili posizioni.
    Ma magari mi sbaglio, eh.

  17. mi sembra che lagioia faccia una lettura un po’ faziosa del libro. in particolare non trovo appigli per considerarlo un lavoro “a tesi”. al contrario, mi sembra che moresco muova dalle persone alla tesi e non viceversa. in altri termini: non parte da un’immagine preconcetta dell’editoria italiana per poi applicarla a vari personaggi per cercarvi conferme o trovandole a forza. parte invece dai singoli, dalle loro idiosincrasie, dai loro comportamenti, dalle conventicole, dagli errori e dalla maleducazione.
    questo non comporta che i suddetti singoli siano “merde”, ipostasi di una mega-merda che è il sistema editoriale italiano. non mi pare che moresco giudichi in maniera così netta. si limita a registrare: al massimo (nella prima parte) si lamenta.
    saluti.
    gf

  18. Beh, quel che ha espresso Nicola Lagioia ha un suo senso preciso, perché il libro di Morsco, cosa che a me sembra innegabile, è un continuo lamento-scorno contro e verso chi non ha creduto in lui e nei suoi vecchi romanzi, al di là del fatto che possa spostarsi verso “l’infinitamente grande”, come lui dice, che è poi solamente, ripeto: solamente, la SUA idea di “infinitamente grande.” E non, ad esempio, la mia. La cosa che più infastidisce è come Moresco pretendesse allora e pretenda tuttora attenzione e pubblicazione, e questo dando per scontato di essere uno scrittore indispensabile alla nostra civiltà letteraria. Non si è mai chiesto che forse i suoi libri non sono stati presi in considerazione perché, attenzione attenzione, poco letterari: niente a che vedere con la loro commerciabilità, e coi luoghi comuni legati alla grossa editoria che non pubblica qualità; tutt’altro. Non si è mai chiesto se la gentilezza verso una persona che scrive non significhi per forza interesse verso le cose da questa persona scritta. Non si è mai chiesto se forse questi libri erano mal scritti, confusi, poco riveduti, un esercizio d’antirettorica di una retorica assai vecchia, come il mondo? Ebbene proprio in questi anni vediamo crollare la tesi da cui parte il discorso di Moresco, dal momento che la grossa editoria pubblica e investe su romanzi ben più complessi e raffinati dei suoi. Da Alcìde Pierantozzi agli ultimi esperimenti di Roberto Calasso, fino a Valter Siti e, perché no, il Tommaso Pincio di “Cinacittà”. Non vi pare che, insomma, sia questo un discorso legato ad un caso specifico, ossia quello della persona di Antonio Moresco?

  19. tristezza.
    per quanto riguarda l’illeggibilità di cui parla Elvira, che è una tendenza. mi convince poco come il suo opposto, la carineria.
    Spero che non rovinino il talento luminoso di Alcide Pierantozzi.

  20. Vorrei far notare a Elvira che tra quelli che leggeranno Moresco c’è Valter Siti.
    Non credo che Siti – citato da Elvira, mi par di capire, tra quelli che valgono – andrebbe a leggere brani di un libro di cui non riconosce la qualità.
    Mi pare che qui si stiano facendo principalmente questioni di opportunità, rispetto umano, delicatezza. (La Gioia parla di etica e non sono d’accordo). Questioni ottime nei rapporti interpersonali, irrilevanti quando si tratta di libri. Anche se tendo a dare la mia umana solidarietà a chi viene esposto in pubblico e non mi sarebbe piaciuto essere uno di loro, resta il libro, nella sua complessità e ricchezza.
    L’assenza di “montaggio” che potrebbe essere letta come un ingorgo di materiali, è una caratteristica di Moresco, piaccia o non piaccia non può essere sezionato dicendo questa pagina sì, questa pagina no. Anche se io personalmente amassi i testi asciugati e chiusi (e in effetti è così) non posso non riconoscere che questo magma è la poetica di Moresco, e il fatto di prediligere testi di natura diversa non mi impedisce di riconoscere la sua qualità, c’è, e non è certo minuscola.

  21. Mah Alcor sinceramente che le questioni dell’opportunità, del rispetto umano e della delicatezza siano irrilevanti quando si parla di libri mi pare discutibile. E perchè almeno per me sono cose anteriori alla letteratura medesima, e per un motivo paradossalmente opposto: la buona letteratura è tale quando un limite di questo tipo non è in grado di arginarla: se no vuol dire che è vincolata, vincolata alla bestialità alla ragazzineria.
    “se non scrivo questa cosa cattivella non faccio buona letteratura”. E si vede che ci hai la creatività che si limita alle mezze altezze.
    Parere personale, naturalmente.

  22. Quante dissertazioni vacue, anzi mi sembrano piuttosto digressioni furbescamente volte a riaffermare i propri giudizi preconfezionati. Si, perché tanti commenti in primis trascurano il motivo del contendere, cioè il rifiuto da parte di Lagioia di partecipare alla lettura pubblica di “Lettere a nessuno”. Le motivazioni di Lagioia, semplicemente non reggono ad una lettura un pochino attenta e critica. Mi scappa la convinzione che Lagioia non sopporti la critica al suo “mondo”, a quella consorteria che decide, in accordo con gran parte degli editori, ciò che sta dentro “la cultura” e ciò che rappresenta lo scrivere tanto per scrivere. La prova di questo è nel vedere staesaltate e pubblicate opere indegne di stare accanto all’ immondizia di Napoli. Scrittori mediocri, assai mediocri, lanciati come grandi scrittori e accostati (bestialità enormi) una volta a Kafka ed un’altra a Proust. Moresco è uno scrittore vero e solo come quasi tutti i grandi scrittori. Non è corretto come scrive Lagioia che il suo libro è un attacco interessato a coloro che hanno stroncato ho rifiutato le sue opere. Non è un libro poggiato sul risentimento. Tali accuse mosse da Lagioia dimostrano che il libro non lo ha letto, oppure, per essere più possibilisti, lo ha letto pensando ad altro.

  23. @zaub
    Senza tirare in ballo il padre di Kafka, anche i conoscenti di Capote se la sono presa e la letteratura è piena di gente che si è offesa per qualche ragione, a volte buona, mentre l’autore era in vita. Ma, morti tutti, si sono giudicati i libri. E il problema dell’opportunità, della delicatezza, del rispetto umano sono tornati al loro posto, in nota. Per questo distinguo. Anche se umanamente capisco, come ho detto.
    E sono d’accordo con la Lipperini, questa storia delle consorterie, dei gruppi, delle mafie è ridicola uggiosa e mortificante. Dall’una e dall’altra parte.

  24. Eppure io, come altri lettori delle ‘Lettere a nessuno’, non sono affatto uscito dal libro pensando che le persone chiamate per nome e cognome non valgono niente umanamente e intellettualmente (delle ‘merde’ scrive Lagioia’). Non esiste questo ‘annullamento’ nel libro.
    Se Maria Corti, Fofi e altri non ascoltano non è perché umanamente e intellettualmente hanno fallito (se pensasse questo Moresco non si rivolgerebbe a loro), è perché si trovano in quel momento dentro alcune ‘illusioni’ culturali che Moresco racconta. E per dissolverle – a vantaggio di tutti, come ogni vero scrittore deve fare – non può che utilizzare come ‘controspinta’ la descrizione senza veli del dramma della vita umana. Per questo tutto il libro è intriso di dolore, un dolore dell’uomo, non soltanto dell’autore. E’ un grido d’allarme che dovrebbe affratellarci tutti e farci vedere le cose per quello che sono, il contrario di una vendetta personale e di una lettura non complessa, autoreferenziale della vita di alcuni uomini e donne. Per questo penso che la forza del libro sia proprio nella sua umanità.

  25. 1. Se la consorteria è romanocentrica (persino il meneghinissimo Genna va a pubblicare in riva al Tevere), che dire di Antonio Moresco, che pubblica con Stile Libero, cioè a Roma (e magari per consegnare il manoscritto ha preso la Linea B)?
    2. Se Maria Corti non ascolta Moresco, sarà perché ha fallito intellettualmente, o più umanamente e comunemente perché nel 2002 è morta?
    …ecco, solo per dire. Continuate pure, che il livello mi sembra all’altezza del Tevere

  26. Io mi domandavo come mai se uno riceve un invito ad una lettura, decide poi di pubblicare la risposta su un giornale.
    Suonava troppo “personale” o diretto, rispondere solo al mittente?
    p.s. Ma Alcor è il cavaliere ombra di Mizar?

  27. Di Maria Corti in Lettere a Nessuno si parla nella prima parte pubblicata nel gennaio 1997, in relazione a episodi avvenuti negli anni ottanta.
    Le risposte si pubblicano sui giornali perché le argomentazioni che non si reggono in piedi da sole possano ricevere sostegno dalla carta stampata. Del resto, nel nostro mondo in cui le consorterie non esistono, nessun giornale avrebbe mai pubblicato nudo e crudo il senso che quelle argomentazioni zoppicanti saggiamente obnubilano più che esplicitare, ovvero “non vengo a leggere quella roba perché per quella roba l’amici mia se sò offesi”.

  28. …ma il fatto che qualcuno scriva qualcosa – giusta, sbagliata, condivisibile, una cazzata- perché sente di scriverla non vi viene mai in mente? la dietrologia è l’altra faccia della servitù. la servitù è il baratro della mancanza di personalità. la mancanza di personalità si nutre di invidia e frustrazione. Rilassatevi, non spandete veleni se non avete la prova provata di qualcosa: altrimenti, di bocca vostra, non riuscirete mai a dire niente, e il vostro destino sarà sempre la chiacchiera da novella duemila. candidature all’anonimato: brontosauro, fatti un favore, lo so che stai male, è chiaro: spezza le catene e vieni fuori!

  29. …e tra l’altro, per vedere un’idea di come le persone che hanno qualcosa da dire la dicono e non si limitano a sputare veleno, basta leggere la bella risposta di Moresco. Basta vedere come la discussione è proseguita su Ilprimoamore con Elena Janeczeck. Persone intelligenti, e in disaccordo, che parlano e si confrontano. Non spargono veleni. Brontosauro, troll di tutto il mondo, davvero, fatevi questo favore. ll mondo è già tanto pieno di rabbia e di dolore. E il vostro dolore – la maledetta sindrome da esclusione, la frustrazione, questa cazzata in base alla quale se uno non è famoso e non ha un nome non è nessuno… tutte queste sono bugie, sono la vittoria del sistema capitalistico, di Berlusconi e Murdoch, di Maria De Filippi, che purtroppo si è infiltrato anche nelle discussioni letterarie – il vostro non è un dolore irreversibile. Potete (caro Bronto, e gli altri troll) venirne fuori, perché altrimenti si danno punti alla sindrome da tronista di Maria De Filippi. Iniziamo a fare della rete un luogo veramente libertario! Dove la grammatica non sia la stessa di Vallettopoli, di Moggiopoli, di Maria DeFilippi, solo scritta bene, ma un luogo di intelligenza, di scambio, di LIBERAZIONE – proprio il contrario dell’accumulazione di risentimento da mancanza di successo (ma quale successo? sputiamo su quel successo!) e successivo sputo di veleni. Bronto, Stego, Ptero, e tutti gli altri sauri… gli altri troll… gli altri nick… gli altri nomi veri… usciamo dal vortice totalitario del risentimento e iniziamo finalmente: a vivere! Solo così, solo così si potrà vivere per sempre. Persino sul mutevole pelo di stagno di un litblog…

  30. In uno dei commenti precedenti Sergio Garufi scrive che Moresco, a pag.500 di “Lettere a nessuno” , riferendosi all’”esito della vicenda giudiziaria tra Carla Benedetti e Pedullà” dice “una falsità in difesa dell’amica, e lo fa con le stesse logiche mistificatorie che rimprovera agli altri”.
    Ciò che scrive Moresco a pag. 500 di Lettere a nessuno è esattamente la verità. Egli dice che la vicenda giudiziaria si è conclusa “in primo grado con una sentenza favorevole alla Benedetti e infine con un accordo”. E’ andata esattamente così. Tra l’altro, l’avvocato Alberto Mittone, che fu mio difensore nel processo contro Pedullà, prima della pubblicazione del libro di Moresco, ha controllato la correttezza di questa frase.

  31. Diciamo che è parte della verità. Poi ci sarebbe un’altra parte, che però sapientemente viene taciuta. L’occultamento di mezza verità a volte è menzognero non meno della bugia completa. Menzionare un “accordo” senza dire quale accordo e come e perché ci si è arrivati, menzionare la sentenza di primo grado omettendo quel che accadde nel grado successivo, glissare su un certo atto di contrizione etc. etc., tutto questo costituisce un riassunto quantomeno… disinvolto di una vicenda complessa che ha infine visto la signora Benedetti chiedere ufficialmente scusa a Pedullà per quanto ella aveva scritto nel suo libro…

  32. “era una mezza verità e quindi, nella sostanza, un falso”
    (Carla Benedetti, il caso Martone, ne “Il tradimento dei critici”, Bollati Boringhieri, pag.190)

  33. Quanti (in Italia, all’estero) potrebbero lamentarsi di come sono trattati e rifiutati i loro libri? Mah, innumerevoli. Ma quanti hanno un ego così ipertrofico da fare di sé un monumento che oltretutto si pretende opera letteraria? E quanti si paragonano a Dante e Dostoievskij e Kafka (con l’ipocrisia di precisare che non li si cita per paragonarsi a loro)? Quasi nessuno. Si deve quindi premiare la faccia tosta? La faccia tosta, la presunzione smisurata, è un’opera? Il delirio forse sì, ma anche il delirio non dovrebbe avere una potenza mettaforica che lo rende universale? Non è certo il caso di Moresco. Il quale ha valore forse solo in un mondo dove i valori più alti sono quelli, per esempio, di cui è portatore un Berlusconi. Un mondo impazzito, capovolto, spudorato. L’autoincensamento, l’autoassoluzione, l’autogiudizio, “Il mio governo è il paradiso”, il mio libro merita questo e quello. E soprattutto: gli altri non mi capiscono. Sono frasi tremende. Inutili.
    Secondo me Lagioia ha preso troppo sul serio, nella sua lettera, il libro di Moresco. Tutti lo stanno prendendo troppo sul serio. E’ imbarazzante.

  34. Credo che non occorra una particolare competenza giuridica per riuscire a leggere correttamente la frase:
    “in primo grado con una sentenza favorevole alla Benedetti e infine con un accordo”
    basta conoscere il significato di “accordo” nella lingua italiana: è evidente che se c’è accordo, le parti hanno fanno dei passi una verso l’altra.
    A voi giudicare sul contenuto dell’accordo dato che – per quel che ne so – non ci sono creditori di un milione di euro e il libro è liberamente acquistabile.
    Che poi sia colpa di Moresco l’incapacità di alcuni di leggere una frase chiara e anche sostanzialmente corretta mi pare surreale. Ma ormai chi si stupisce più di nulla in questo magico mondo della letteratura italiana.
    ps se andate su Nazione Indiana c’è una bella lettera di Helena in risposta a Nicola Lagioia. Sopra hanno messo il link, basta cliccare sul nick “una lettera a Lagioia (non a nessuno) – Nazione Indiana”

  35. Caro Andrea,
    io sono uno di quei “incapaci” di “leggere una frase chiara e semplice”, poiché ho interpretato la frase incriminata così: Pedullà trascina Benedetti in tribunale, ma la causa si conclude con un accordo “dopo” una sentenza in primo grado che era “sfavorevole” a Pedulla.
    Io che non ne sapevo nulla, e nulla mi interessa, ho interpretato quella frase nel senso per Pedullà non c’era trippa per gatti, quindi hanno deciso di non andare avanti.
    Ed è significativo che il paragrafo scritto da Moresco si concluda con “sfavorevole a Pedullà”. Punto. Nella mente del lettore resta impresso quel “sfavorevole”, e Pedullà diventa il notabile arrogante e famelico (“un milione di euro, due miliardi di vecchie lire”, sottolinea Moresco). Da manuale di retorica antica.
    Insomma, dire la verità nuda e cruda è altra cosa. Concordo con Sergio Garufi.
    C’è da chiedersi se Moresco sia discepolo dell’idea ciceroniana di utilizzare la retorica per rendere bello lo stile, fermo restando l’osservanza della verità e dell’onestà da parte dell’oratore.
    Però ho scoperto di essere un’incapace a leggere… La parte prima di Lettere a nessuno è devastante, nel senso positivo del termine, la seconda un po’ meno, direi deludente.
    f.s.

  36. certo, se si scrive in diretta e si cancella e poi si inserisce il commento senza rilegge perché si deve far altro, capita, direi. Ma sono un asino!
    Ma se deve fare le pulci, le consiglio di guardare meglio il mio commnto. Vedrà che manca anche un “che” ecc.
    f.s.

  37. Caro Sasso, scrivi:
    “quindi hanno deciso di non andare avanti”
    è esatto: *hanno* deciso. E’ appunto un accordo tra le parti. Che cosa significa la parola “accordo” nella lingua italiana?
    “consonanza di voleri; incontro di due o più volontà per dar vita a un successivo rapporto giuridico; patto”
    Perché ci sia consonanza di voleri occorre che le parti concedano ognuna qualcosa, questo è chiaro, altrimenti avremmo il contrario dell’accordo, cioè una decisione unilaterale che per qualche ragione ha la forza di imporsi sull’altra parte.
    Quando io ho letto la frase che ha scritto Moresco, ho avuto immediatamente l’informazione corretta, cioè che anche la Benedetti aveva fatto un passo verso Pedullà, in modo da terminare la causa in modo extragiudiziale.
    Lo ripeto, tutto questo si capisce semplicemente in base a una conoscenza comune della lingua italiana.

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