Vittorio Sgarbi su Il Giornale:
Fra le forme di minorità del Pensiero debole che porta alle estreme conseguenze la visione penitenziale del catechismo controriformistico che vede la donna come simbolo del male, c’è il disprezzo della «carne». Il corpo, altrimenti detto «carne», è in realtà il tempio dell’anima e soltanto per questo dovrebbe essere esaltato, anche in una prospettiva cristiana. Invece, da secoli, viene fatto coincidere con la fonte di desideri peccaminosi, per chi non lo rispetti in modo astratto. Ma il desiderio è peccato? Due corpi che si stringono negano la spiritualità dell’uomo? A me è sempre sembrata una posizione assurda. Eppure continuano a sopravvivere contrapposizione fra corpo e anima, fra pensiero e piacere.
Di questa visione reazionaria e bigotta si è fatta interprete con le sue sgangherate dichiarazioni una scrittrice sarda che si pensa progressista e veste senza pudore Berlusconi, pubblicando i suoi libri con la casa editrice Einaudi, proprietà del premier, senza vivere i tormenti del teologo Vito Mancuso e di altri che avvertono l’impudicizia di fare i moralisti e di prendere i soldi da Berlusconi. Così, senza accorgersene, entra in un vicolo cieco Michela Murgia affermando, a proposito di assolutamente insignificanti complimenti di maniera di Bruno Vespa a Silvia Avallone vincitrice del premio Campiello opera prima: «Quando c’è di mezzo una donna, si va sempre a parare sul corpo. Non importa la sua intelligenza, non importa se viene festeggiata, premiata, perché ha scritto un libro importante. Tutto si svilisce, si riduce alla carne». È un problema della sola Murgia perché, con assoluta spontaneità, la Avallone, ragazza tranquilla, risponde: «Ero emozionata, non mi sono neppure resa conto». Così si offende per lei la brutta Murgia, che rincara: «Vespa non mi è piaciuto. Il suo comportamento verso la Avallone e gli apprezzamenti sono stati di cattivo gusto. Se li avesse fatti a me, avrebbe avuto la risposta che si meritava».
La risposta che si merita la Murgia è ancora più semplice: c’è una ragione perché non ha avuto gli apprezzamenti di Vespa; evidentemente non se li meritava. Siamo alle solite. Alla Bindi che replica alla battuta berlusconiana, rubata a me, «più bella che intelligente»: «Io non sono fra le donne a sua disposizione». Una risposta apparentemente orgogliosa ma molto fragile, giacché sarebbe stato semplice, per il premier, rispondere «meno male» o «per fortuna». Immaginate la felicità di un uomo che avesse a disposizione la Bindi, piena di desideri e di concupiscenza. Non saprebbe come cavarsela. Ed è la stessa condizione per cui Vespa non ha fatto apprezzamenti sulla Murgia, che pure era scollacciata non meno della Avallone. Tutta la polemica si basa sul fatto che il corpo bello sia una colpa e sia in contrasto con il riconoscimento dell’intelligenza e della capacità. Invece la bellezza è il fondamento stesso del pensiero filosofico e religioso.
La Murgia deve tornare a scuola. Ma perché non si chiede come mai i complimenti Vespa non li ha fatti a lei? La bellezza non è qualcosa di negativo, ma qualcosa che merita apprezzamento. Una brutta sarà apprezzata perché è intelligente, ma una bella sarà apprezzata perché bella e intelligente. Non è che bellezza e intelligenza siano una buona e l’altra cattiva. Oggi, uscendo dall’albergo Urbino Resort, ho chiesto, per prova, alla direttrice se preferiva essere bella o brava. Mi ha risposto candidamente: «Entrambe. Ma mi fa piacere essere considerata bella perché so che sono brava». E non si tratta soltanto di una questione che riguarda il corpo femminile. È invece, piuttosto, una questione che riguarda il corpo nudo e la sua bellezza formale. I bronzi di Riace sono apprezzati perché belli, come il Davide di Michelangelo, e la bellezza del loro corpo è un valore intellettuale oltre che sensuale e li rende attraenti più che un satiro grasso o un corpo deforme pur mirabilmente rappresentato.
I canoni della bellezza classica sono consolidati e valgono per i kuroi come per la Venere di Milo o per le Veneri di Tiziano. È assurdo dire: «Quando c’è di mezzo una donna si va sempre a parare sul corpo». È bella ma non devo dirglielo? Perché? Tra uomo e donna non c’è differenza. È solo una questione legata al costume nel doppio senso, anche se oggi i comportamenti stanno cambiando. Non in certe situazioni formali. Ma è evidente, quando si premia un uomo, Pennacchi, Lerner, è consuetudine vederlo con giacca, cravatta e persino cappello, sciarpa, bastone, o smoking, cravattino, camicia bianca, fascia, tutto coperto dalla testa ai piedi. Poi si premia la Avallone: arriva con un vestito leggero. Ne vediamo le gambe, le caviglie, i seni e i tatuaggi. Se lei si fa vedere, dobbiamo far finta di non vedere? E dobbiamo tacere su quello che vediamo? Le donne adottano un costume che sottolinea la femminilità e presuppone lo sguardo.
Le donne chiedono di essere viste. Ma se un uomo si presentasse a ricevere un premio in costume da bagno con le spalle e le gambe scoperte probabilmente riceverebbe osservazioni non solo sulla sua opera ma anche sul suo modo di vestire. Non risulta, per il costume, che Moravia, Pasolini, Gadda, Bassani, Montale o Cassola si siano mai presentati a ritirare premi con abiti scollati e le gambe nude. Ma sono certo che avrebbe fatto notizia. E certamente Vespa lo avrebbe sottolineato. C’è dunque un rito, che riguarda il «costume» del vestire maschile e del vestire femminile in circostanze di carattere celebrativo. Sono regole che riguardano il presentarsi in società. Ma forse la Murgia non sa che si possono anche assumere atteggiamenti eccentrici. E che, per esempio, Julien Schnabel si presenta in pubblico, anche a ricevere premi, in pigiama. Dobbiamo far finta di niente? Non possiamo dirlo? Dobbiamo occuparci soltanto del suo talento come pittore e come regista?
In compenso Rula Jebreal, sua compagna, è bella e intelligente. Dovrebbe indossare il burqa? Dovrebbe prescindere dalla sua bellezza? E possiamo escludere che la sua bellezza abbia aiutato la sua intelligenza? Sarebbe per lei un vantaggio essere come la Buttiglione? Non dobbiamo rilevare la differenza fra le due? Una è consapevole della sua bellezza, e ne trae vantaggio. E però, secondo la Murgia, se metti in gioco il tuo corpo, la bellezza del tuo corpo, rischi di diventare un «pezzo di carne». D’altra parte anche la Murgia indossava un vestito che lasciava tette e gambe scoperte, ma non è stata apprezzata. Naturalmente i canoni di bellezza possono mutare. Ci sono nell’arte corpi simili a quelli della Murgia come la Venere di Willendorf del 30.000 avanti Cristo circa, ma l’estetica femminile consolidata ha altre forme ed è abbastanza semplice definire cosa è bello e cosa è brutto rispetto all’armonia e alle proporzioni della bellezza. D’altra parte Sartre in Simone de Beauvoir e Moravia in Dacia Maraini non apprezzavano la sola intelligenza. Ma certamente anche l’avvenenza. Anche loro come Vespa? Quella della Murgia è una forma di debolezza concettuale. Di ignoranza. Se il corpo femminile deve essere mortificato, allora la scrittrice si vesta come George Sand, da uomo. E cosi ha fatto la grande Giovanna Bemporad. Ma se mostra una tetta, non pretenda che non se ne parli.
Erano dunque vestite allo stesso modo la Murgia e la Avallone. Io non avrei fatto nessun complimento alla Avallone. Ma se Vespa osserva che è bella, non significa che non vuole occuparsi del libro. Se qualcuno mi dice che ho un bel ciuffo e io ho fatto una bella conferenza, devo prendermela? La questione non riguarda soltanto la donna; con le sue affermazioni la Murgia inquina il buon senso, introduce una forzata discriminazione. Era insignificante rispetto all’essere buoni attori che Alain Delon o Marcello Mastroianni fossero belli? E George Clooney e Brad Pitt nell’immaginario femminile bisognerebbe considerarli soltanto bravi? Ed è questa la ragione dell’apprezzamento che ottengono? In tutte le discipline la bellezza è un valore aggiunto che merita attenzione. Sulla bellezza e sul corpo hanno certamente puntato Madonna, Mina, Patty Pravo, Milva, Ornella Vanoni, Anna Oxa. Quando Greta Garbo o Mina hanno iniziato ad avere dubbi sul loro corpo si sono ritirate. È dunque inaccettabile la svalutazione del corpo femminile da parte della Murgia. Una forma di mortificazione. Sono «carne» anche i corpi maschili. E se ne parla meno soltanto perché in società l’uomo si veste di più. Dà valore ai simboli e alle divise. Spogliare una donna è più facile ed è la stessa donna, per vanità e per compiacimento, a essere disponibile a farlo. Di fronte a ciò che vede, di fronte a ciò che la donna gli mostra, perché l’uomo deve tacere? I bronzi di Riace si apprezzano proprio perché sono nudi.
E allora perché dobbiamo riferire il concetto di mercificazione soltanto al corpo della donna? Come si può dire, con supponenza, e con prepotenza: «In altre tv d’Europa, a un conduttore non sarebbe permesso di comportarsi cosi?». La Murgia trascura di considerare che il desiderio e la sensualità sono valori che riguardano il rispetto del corpo dell’uomo come della donna. Una donna desiderabile non è affatto mortificata. Lo è una indesiderabile. E la donna che vuole essere desiderata non teme e non respinge un complimento. Pennacchi e Gad Lerner, mortificandosi negli abiti, non se lo aspettano. Ma forse Renato Zero o David Bowie non lo avrebbero disdegnato. E la stessa Murgia lo avrebbe sperato. E non, come afferma ipocritamente, per respingerlo.
@Wu Ming1: sarebbe vero quello che dici tu se mi precludessi la possibilità di indagare ciò che può influenzare un soggetto nelle sue scelte. E io non ho detto questo. Ciò che mi importa è non far conseguire dal fatto che le scelte avvengono, per dirla con Sartre, in situazione il fatto che non possiamo prendere per buone come libere quelle scelte quando il soggetto afferma che lo sono. Perché altrimenti non potremmo più dar credito alle scelte di nessun soggeto né potremmo mai aspettarci dagli altri credito verso di noi. Ci sarebbe sempre qualcuno più lucido di altri in grado di dire quali scelte sono davvero libere e quali no. Ergo: se uno mi dice che ha scelto di fare lo scrittore e una mi dice che ha scelto di fare la pornostar io devo dare allo scrittore e alla pornostar lo stesso credito quanto alla libertà della loro scelta.
@ Simone,
hanno parlato solo *alcuni* operai. Se ora concludi che quelle dichiarazioni valevano anche per chi non ha parlato, contraddici il tuo stesso assunto.
In parole povere: per me è ragionevole supporre che quanto dichiarato dagli operai intervistati fosse rappresentativo dell’umore che c’era in fabbrica, cioè valesse anche per molti operai non intervistati. E cioè, anche se questi ultimi *non* mi hanno detto che la loro scelta è stata condizionata dal ricatto di Marchionne, io trovo ragionevole pensare che sì, è stata condizionata. Invece, secondo la tua logica, io posso dire questo soltanto della scelta di chi lo ha detto esplicitamente, e per tutti gli altri dare per scontato che abbiano scelto liberamente. Scusami, ma sei in un cul-de-sac, e in questo cul-de-sac (lo dico da amico e da compagno di strada) non voglio seguirti.
Alcuni punti:
1. Trovo detestabile questa cosa di mettere sullo stesso piano la coercizione pratica, con i condizionamenti culturali. Mettere Pomigliano insieme ad Avallone è un’operazione per cui se io fossi un operaio ne sarei un tantino risentita. Come mi risento ogni volta che si fa la stessa analogia con i lager. E’ un’operazione che io trovo disonesta ecco è che ammetto in interlocutori che stimo – mi delude. Gli è che al condizionamento culturale la mia soggettività reagisce , alla revolverata sui coglioni temo di meno.
2. Credo che la critica si muova proprio in virtù del margine soggettivo. E’ in virtù di quel margine che la critica dei modelli funziona perchè offre una alternativa all’interlocutore. L’interlocutore poi che co tutta la critica dei modelli si ostina a essere in un certo modo è oggetto della mia critica politica. Nel dettaglio non è che io dica che le femmine di destra, le velinocentriste siano delle poverine. No io sono proprio incazzata nera con loro tra pari.
un buon libro potrebbe essere “L’evoluzione della libertà” di Daniel Dennet
@ Simone,
ci siamo incrociati.
Il credito che dai a quelle persone (i tuoi due esempi ipotetici) è *transitorio*, perché viene ri-negoziato man mano che procede lo scambio, la relazione. Se poi si tratta di personaggi pubblici, come appunto nei casi che citi, lo scrutinio del loro agire sarà ancora maggiore, e anche il “beneficio d’inventario” con cui dovremmo prendere quel che dicono di se stessi.
Insomma, si può o non si può manifestare il *dubbio* (se fondato o infondato verrà stabilito nell’indagine critica e nel confronto delle idee) che in date circostanze una persona non dica la verità su se stessa, oppure che non abbia chiare alcune cose a proposito di se stessa e del suo stare al mondo?
Solo momentaneamente. Zauberei, io sottolineo però che c’è un equivoco: in un certo senso, la tua soggettività reagisce sempre e regolarmente quando senti insidiata la tua identità, come hai scritto sul tuo blog. L’equivoco è che nessuno al mondo intende insidiare nè te, nè chicchessia. Il tentativo che si fa è di osservare e narrare quel che ci sta intorno. Non di condannare o di voler cambiare i singoli (tanto meno, consentimi, per sentirsi fichi).
@ zauberei:
Nessuno sta mettendo gli operai di Pomigliano sullo stesso piano della Avallone, suvvia. Si sta parlando della possibilità di individuare dei condizionamenti nelle scelte che vengono fatte. Condizionamenti che possono essere di varia specie, ordine e grado, ovviamente. Si sta parlando della possibilità di criticare una scelta inscritta in un determinato frame, in un contesto.
Come scrivevo a un interlocutore in privato questa mattina a proposito dello stesso argomento: nessuno vuole mettere in discussione il diritto di una ragazza di fare la velina e di sentirsi realizzata nel farlo, ma io difendo il mio diritto a dire che il modello relazionale tra i generi rappresentato dal velinismo non mi appartiene e lo ritengo retrogado, perché reitera – nell’immaginario collettivo, non necessariamente nella soggettività della singola persona – una rapporto di subalternità tra i generi. E io sono contrario alla subalternità tra i generi.
@ Wu Ming 1 @ Wu Ming 4 (e lo dico anche io da amico che vi stima intellettualmente): credo che potremmo andare avanti a discutere a lungo, senza però davvero aggiungere nulla alla discussione. Non penso che qualcuno qui sia in un cul de sac: mi pare semplicemente che vi siano opzioni teoriche diverse abbastana chiare. Rischiamo solo di andare avanti a ribadire le nostre posizioni con questo o quell’esempio che ci sembra più efficace. Trovo però non proprio azzeccato lo slittamento dal femmiile agli operai.
zauberei, con le veline possiamo incazzarci, ma con le donne che si rifanno per continuare a poter lavorare in tv? sono più vicine agli operai di Pomigliano forse…è difficilissimo stabilire il limite tra condizionamento culturale e coercizione pratica. Quante donne “libere” di rifarsi avrebbero preferito essere libere di non farsi spaccare le ossa e aprire le tette? non si è mai sentito un uomo vantarsi di questa “libertà”, qualcosa vorrà dire. Poi su altre scelte sono più d’accordo con te, ad esempio ci sarà sempre qualche donna che sceglierà liberamente la prostituzione ad altri lavori. Ma anche lì, ci saranno dei distinguo.
Forse qui pretendiamo di stabilire delle regole a priori, che però è impossibile che valgano per tutto.
(scusa Loredana per l’ormai dilagato OT!)
@Zauberei,
scusami, ma sei tu a mettere insieme cose che non c’entrano, l’Avallone è del tutto assente da ogni mio commento, e rimarrà assente da ogni mio commento futuro. Semmai ho fatto il paragone tra la “libera scelta” degli operai di Pomigliano e la “libera scelta” di duecento precarie che per 80 euro si sono dovute sucare il delirio in arabo di un dittatore da operetta. Si tratta, in entrambi i casi, di proletari(e).
Ovviamente, non c’entra nulla nemmeno il lager.
Come non c’entra nulla il discorso delle “poverine” o della superiorità, dato che la premessa di tutto il mio discorso è che *tutti noi*, io, te, tutti quanti, siamo agiti da dispositivi e pensiamo in un certo modo o in un altro a seconda dei frame che il discorso pubblica attiva intorno a noi. Ho detto che esercitare il libero arbitrio significa sforzarsi di capire quali siano questi dispositivi e questi frame, cioè capire in che misura e fino a che punto le nostre scelte siano condizionate. Capire cosa ci condiziona è già una conquista di libertà.
Quindi, per favore, evita di inventarti mie posizioni comode da contestare in nome di valori che avrei presuntamente calpestato.
@Wu Ming1: scusa però Roberto sei tu che hai spostato il discorso non zauberei. Passino i paragoni proletari, però qui si parlava della scelta di un abito da sera in un certo contesto.
“qui si parlava della scelta di un abito da sera in un certo contesto.” Non mi sembrava.
@ Simone Regazzoni
Tu hai visto ( in parte anch’io ) un rimprovero verso il comportamento e le parole della Avallone, quelle sul tirar dritto di fronte alle sciocchezze ( a cui ormai siamo abituate ), mentre Loredana auspicava una reazione da ella stessa. Il “nuovo femminismo” se posso chiamarlo così, non vuole imporre i suoi modelli, ma farne emergere altri, che considera certo migliori, o più propri a sé almeno. Con le veline non bisogna affatto incazzarsi, né tantomeno con chi si “trasforma” per andare in tv, con gli operai che accettano i “Sì”
@Simone, no, se rileggi il post e il thread, vedrai che io non ho introdotto alcun tema di cui non si stesse già parlando (compreso l’esempio delle “veline di Gheddafi”) e che non fosse già presente nell’articolo di Sgarbi. Dire che qui si parlava della “scelta di un abito da sera” è alquanto (uso un eufemismo) riduttivo. Tant’è che a me importano molto i temi *reali* sollevati e affrontati (magari in filigrana) in questa discussione, mentre della digressione sull’abito da sera di Silvia Avallone, lo ammetto, non me ne frega un cazzo, indossi quel che vuole dove e quando vuole. Oppure, per poter dire la mia su quello che mi interessa, devo per forza accettare questo infimo piano di confronto?
scusate se mi intrometto, per abbassare i toni, penso che l’equivoco nasca dal fatto che zauberei non usa i numeri per riferirsi a wm1 o wm4.
@Wu Ming 1: a me di Sgarbi importa davvero poco. A me invece importa molto che in filigrana o platealmente si sia insinuata l’idea che vestirsi in certi modi in certi contesti possa essere fuori luogo. Non a caso è proprio sul vestire che mi sono concentrato evitando i massimi sistemi da “De libero arbitrio” benché potrai concedermi che non siano per me porprio un terreno impervio. In queste discussioni davvero trovo inefficace discutere di massimi sistemi, meglio focalizzare bene i dettagli.
@Simone, un’ultima cosa:
““tu sei coerente con te stesso perchè sei un fico padrone del tuo destino e l’altro no?” Sì, concordo con zauberei.”
Quindi concordi con una distorsione di quello che ho scritto, derivante non so bene se da un eccesso di vis polemica aprioristica o da una lettura frettolosa e superficiale del mio commento. Che è o che non è, si tratta di una distorsione, e anche parecchio crassa. E tu concordi.
Volevo solo fartelo notare.
quasi tutto il mondo pensa che in certi contesti ci si debba vestire in modi appropriati. é un problema culturale, quando diventa un problema; è anche una spia però, un’occasione da cogliere, se ancora si finisce a parlare del look.
@ Simone,
non capisco bene quali sarebbero i “massimi sistemi”: se dico che secondo me oggi il potere non nasconde/reprime/imbriglia corporeità e sessualità ma anzi le esibisce/sollecita/esaspera sto parlando di massimi sistemi o della vita di tutti i giorni?
E poi, scusa, cosa dovrei dedurre dal tuo ultimo commento? Pensa se io e te fossimo estranei, se non esistesse una collaborazione, se non ci fossimo mai incontrati, se non avessimo mai condiviso esperienze… Sarei portato a tradurre così: sai, con la mia formazione e preparazione, avrei potuto farti a pezzi a colpi di citazioni ma mi sono astenuto.
Fermiamoci qui, perché la distorsione del segnale sta aumentando.
Si non metto i numeri e mi riferivo al commento di Wuming4. Credo di ieri, il primo suo.
Guardate che io sono molto molto d’accordo sull’analisi dei contesti dei modelli delli condizionamenti. Ma in certi momenti mi pare che nel modo di parlare traspiri un senso unico, e uno sguardo che si chiama fuori. E magari lo è anche fuori, magari si è fatto un mazzo per stare fuori. Però credo che se si vuole lavorare politicamente per la modifica di quei contesti bisogna prendere sul serio la chimica soggettiva – parente della responsabilità – che a quell’esterno reagisce producendo segni. E’ anche un modo tra pari di stare nelle cose, e di usare le discipline di vivere il mondo. Mi sembra difficile che Simone Regazzoni voglia ignorare questa metà del lavoro, io non la ignoro di sicuro. Dico solo che mi piace si metta in campo anche l’altra metà.
Ho poi una domanda insomma. Una che gli piacciono i vestiti scollati è invitata da Vespa. Che cosa deve fare per agire politicamente?
Se la risposta è come spero annasse scollata e je facesse un culo a taralla – nel sicuro caso che lui dica qualcosa di grazioso come anvedi che puppe – ditelo. Ditelo sempre e ricordatelo. Se non lo dite, e dite che eh noi si ragiona criticamente o vi si intende male, o vi si fraintende. Fatto sta che io credo che per risorgere davvero il femminismo ha bisogno di questa banale specificazione.
No, Zaub. Il problema non è nel “ditelo”. Esistono già miliardi di luoghi (dalla manualistica becera alla saggistica) che conducono all’how to. Il problema è nel “sappiatelo”. Mi sembra che si stia lavorando in questa direzione: sappiamolo, sappiatelo e, una volta consapevoli, decidiamo, decidete.
@Zaub,
per prima cosa, non – si – accettano – inviti – da – Vespa. Non ci si va, punto. E’ un contesto comunque perdente, quello che lui predispone.
Se poi è lui a venire “da te”, come nel caso della finale del Campiello, se proprio devo scegliere, allora molto meglio come lo trattò Scurati qualche anno fa di come lo hanno trattato gli scrittori quest’anno. Uno così lo devi trattare male, devi metterlo in difficoltà, togliergli il ghigno dalla faccia, foss’anche per un solo istante. Meglio essere antipatici come Scurati che piacioni e condiscendenti.
Detto ciò, mi sembra assurdo doverlo ripetere ma tant’è: vestitevi come vi pare.
@ Wu Ming 1: con pacatezza, parlando di massimi sistemi mi riferivo ironicamente al tuo intervento sul libero arbitrio con Foucault ecc. Un po’ lungo e dotto, tutto qui. E sei tu ad aver parlato giubilante di cul de sac riferendoti a un assunto che io sottoscrivo, ma che non è certo mio ed è ben presente nel dibattito filosofico internazionale da, diciamo così, qualche anno. Che dovevo fare una pizza di 200 righe? No, ho detto elegantemente, lasciamo stare. Anche perché credo sinceramente che siano due posizioni diverse. Ma su quel piano nessuno mette nel cul nessuno. E’ oltremodo problematico. Dal mio ultimo commento ergo dovresti dedurre che l’abc in merito a questioni come decisione, libertà, condizionamenti, dispositivi, ecc. più o meno lo conosco e che dico semplicemente passiamo oltre perché siamo in stallo.
eppure, se davvero ti importano i temi *reali*, wu ming 1, non dovresti non *importartene un cazzo* del vestito che sceglie la Avallone. E’ partito tutto da lì, e per molti versi sta proprio lì il punto e non in Pomigliano. Perché sarebbe un *infimo* piano di confronto?
La scelta dell’abito è stata libera? Avallone era libera di rispondere a Vespa (con parolaccia, battuta o filippica o altro)? Avallone si è sentita mortificata?
Eccetera. E’ un piano tutt’altro che infimo del discorso, se ti sta a cuore la realtà – cioè i fatti.
per il resto, voto per Regazzoni (l’iperetica di House era sua?)
e per Binaghi.
d
Ognuno si tiene la sua convinzione. Nello specifico dell’ultimo esempio, quello di cui parlavo (non giubilante bensì amareggiato) di “cul de sac” (retorico, mica cognitivo): io penso che la scelta di *tutti* gli operai di Pomigliano che hanno votato SI’ non sia stata libera, bensì condizionata dal diktat della FIAT. Anche la scelta di chi non lo ha detto in prima persona davanti alle telecamere. Anche la scelta di chi, se interpellato dai giornalisti, magari avrebbe definito la propria decisione “libera” e autodeterminata (per autoinganno, per pudore o per paura di rivalse padronali).
Questo significa che considero gli operai che hanno votato SI’ meno degni di rispetto di quelli che hanno votato NO?
Al contrario: li rispetterei di meno se la loro scelta fosse stata libera.
Dal momento che era condizionata, e pure pesantemente, non li considero filo-padronali né crumiri. Chi paga un riscatto per la liberazione della figlia sequestrata non va certo considerato a favore dei sequestri di persona. Anzi.
@Diana, o io sono cieco, o non ho capito. Il thread non è partito dalla scollatura e a me proprio non pare che stia tutto lì.
Quanto al voto, qualcuno ci ha chiamato a votare? Che cazzata è questa?
@Diana: sì, l’iper-etica è mia. Ed è in piena consonanza circa quello che penso delle scelte di ciascuna donna e ciascun uomo.
@ diana
è un infimo piano di confronto perché sul fatto che Silvia Avallone o chicchessìa indossi quel che le piace e dica o non dica quel che si sente di dire, mi sembra non ci sia nemmeno da discutere. Qualcuno ha detto di voler impedire a Silvia Avallone di indossare quel che vuole? Qualcuno ha detto di voler costringere Silvia Avallone a dire la tal cosa o la tal’altra? Non mi sembra. Posso dunque essere, a mia volta, libero di fottermene di una pubblica tenzone sul guardaroba di una scrittrice? Posso fottermene di Silvia Avallone, oppure per ragionare di come viene rappresentato e strumentalizzato in Italia il corpo femminile è improvvisamente diventato obbligatorio passare per quel viatico e sviscerare solo e soltanto quell’esempio?
Su Pomigliano: lo so, gli operai non sono chic, e gli esempi che li riguardano sono sempre così sconvenienti…
Diciamo che il problema passava per Avallone perchè ogni volta che tu sei in una certa cornice – il Campiello per esempio – tu ti chiedi se mettendo una certa cosa a cui dai un valore x insieme ad altre cose tue, se ne accorgerà qualche d’uno o tutti diranno ah ecco la zoccola! Perchè ha dato valore y alla cosa così come è il sistema, che sta sempre li a conferire il tasto y.
Per voi uomini questa cosa è salottiera e letteraria. Per me donna è problema pratico che riguarda la mia quotidianità. Vado a un colloquio di lavoro, la metto la gonna ficherrima, o pensano che io voglio prendere quel posto colla cosciona? Allora che devo fare ci vado in tuta?
Nel momento in cui ci si limita a criticare come condizionate certe scelte, e si trascura di dire esplicitamente che le scelte sono sempre libere, e magari con itinerari molto diversificati, il giudizio negativo spesso o è esplicito o rischia di essere interpretato come implicito. Ancora una volta capisco che questo per qualcuno possa essere un problema di chi fraintende. Per chi però si sente direttamente coinvolto no. Per questo io credo che fare certe asserzioni – in un paese in cui il maschilismo ha la sua valle d’origine nel cattolicesimo e nelle sue prescrizioni di genere – sia tutt’altro che superfluo e pleonastico.
Ringrazio Wuming1 per la risposta. Vespa anche io lo eviterei – ma i contesti infrequentabili sono moltissimi e una alla fine deve trovare un modo per starci e respirare. Magari per sputare.
Io mi son perso, trovo WM1 che ancora scrive della Avallone suo malgrado. Evidentemente non si è trovato il busillis perché non c’è. Ci si è avvitati su un gesto televisivo ricondotto ai massimi sistemi. Credo che WM abbia ragione sul fatto che gli operai di Pomigliano non siano chic (ma anche perché son arrivati? Mi deve essere sfuggito un passaggio), ma evidentemente gli stessi veterani son caduti nella muffa da salottino. Chissà se la Big Map di Anna Maria Testa svela gli arcani?
marco.S
non mi riferivo al thread, ma a che cosa fosse reale in questa discussione. L’abito lo è, con i fatti che si porta appresso. Il voto è un mio modo di dire, per dire sono d’accordo. Scusa, poteva essere frainteso.
regazzoni
molto bello il libro su house, e volevo solo dire che condivido la tua posizione sulel scelte di uomini e donne
wu ming 1
sì, ho capito che puoi fottertene, e senza asterischi.
Però non credo che ci siamo capiti.
Come ad altri, tirare in ballo il nano e pomigliano in questa discussione mi è sembrato poco convincente. Volevo dire questo, grosso modo. Non che Pomigliano non meriti altri 260 commenti.
a proposito di contesti infrequentabili (cito zauberei), se parliamo di trattamento riservato alle donne, peggio di Vespa c’è solo Fazio. Quando arriva l’attrice bella e lui fa quegli occhioni e si imbambola (tutto finto). oddio che simpatia.
Temo che si arrivi a un punto in cui ci si avvita. Non sono affatto d’accordo con quanto sostiene Diana sull’abito come realtà: semmai è stata proposta più volte da alcuni interlocutori come unica realtà concreta di discussione, ma a mio parere le realtà concrete sono e restano altre. L’esempio di Pomigliano, al di là delle indignazioni politicamente corrette, era e resta un esempio tangibile di come un contesto possa influenzare un comportamento.
x valter
(scusate, poi basta, per non contribuire all’avvitaggio)
ho ritrovato il nostro scambio virtuale, sul tuo blog (ago, 2008). Non eravamo proprio d’accordo, ma insomma, poi ci siamo intesi.
d
Capita, quando ci si parla sul serio.
Se invece a parlare sono idiomi strutturalmente impenetrabili, non capita.
Che le nostre scelte sono condizionate da una serie di fattori culturali, soiali, economici, dall’educazione, dai libri che abbiamo o non abbiamo letto ecc… l’avevo scritto anch’io, mi pare, ma avevo anche aggiunto che questi condizionamenti (che è giusto analizzare, comprendere senza moralismi ma con fredda e “illuministica” ragione) sono presenti con diverse modalità in tutto il mondo e sono ciò che di fatto ci distingue dagli altri animali che agiscono solo per istinto, se ne dovrebbe concludere che solo coccodrilli, leoni o gazzelle sono davvero liberi almeno finchè fanno vita selvaggia nel loro habitat? Non so, forse sì.
Forse non c’entra, ma Mm torna in mente una discusione che ebbi sul blog di Giuliana Sgrena sull’islam. C’erano delle donne musulmane (alcune delle quali italiane convertite) che difendevano il velo integrale (e anche il suo significato simbolico) in quanto era una loro libera scelta di donne che aderivano di loro spontanea volontà a un islam particolarmente rigoroso, io non ho messo in dubbio questo (ma qualche dubbio su questa “libertà” ce l’ho) mi sono limitato a chiedere: così come voi liberamente avete scelto l’islam e il velo integrale darete alle vostre figlie la libertà di fare scelte diverse sul velo e non solo su quello? non ebbi risposta.
Non c’entra un cavolo perchè qui si parla di società occidentale (ma anche l’islam è occidente e non da oggi) quindi scusate se sono andato OT
Comunque il paragone sulla condizione femminile e quella operaia con riferimento proprio a Marchionne era già stato fatto brillantemente da Alessandra Daniele su Carmilla:
“Mesi fa, Gad Lerner ha accusato Antonio Ricci d’essere il Goebbels della figa in TV. Ricci ha scritto un discorso, e l’ha messo in bocca alle sue veline (il discorso) facendo loro spiegare quanto la figa in TV fosse adoperata anche prima di Drive In, e come pure Macario avesse la figa (non personalmente) e la sfruttasse nei suoi spettacoli come fa Striscia la Notizia. Ciò che questa ricostruzione, peraltro veritiera, astutamente elude è che l’attuale puttanizzazione dell’immagine femminile non è che un tassello della puttanizzazione – nel senso di mercificazione – dell’intera società. Ciò su cui Lerner volutamente sorvola è che i veri papponi – nel senso di sfruttatori – non sono gli Antonio Ricci, sono i Marchionne.
La necrosi avanza. Se non saremo capaci di trovare in fretta qualcosa che la fermi, di noi umani non resterà che un’eco persa fra le repliche di una notte d’estate.”
Comunque l’immagine femminile in televisione non è solo quella delle veline. Ci sono anche fiction italiane e straniere che raccontano di donne (e di uomini) la cui immagine è molto meno avvilente.
lo so che siamo fuori tempo massimo in numero di post, ma io mi trovo nella strana posizione (rileggendo meglio il thread) di essere d’accordo sia con Regazzoni (su uomini e donne, e le scelte, e la libertà, eccetera) che con Binaghi. Che però non sono d’accordo tra loro! Anzi, hanno avuto un momento di forte contrasto. A cosa ha reagito esattamente, Regazzoni, quando ha definito violento e sessista Binaghi? (Io nel post incriminato non ci leggevo niente di violento e sessista, oddio forse sono maschio violento e sessista anch’io, mi sono detta…)
Dopodiché Binaghi ha replicato:
“Maschio violento e sessista” perchè dico che non tutte le donne sono ugualmente vittime, riconoscendo a ognuna di loro un pensiero, un’ intenzione, una strategia e rifiutandomi di collocarle tutte insieme in una categoria che a questo punto ha un senso più che altro grammaticale?”
(per me, non faceva una piega)
E Regazzoni ha interrotto la comunicazione. Spiegando i motivi, bene. Ok. Ma sono rimasta con la curiosità di sapere come avrebbe risposto esattamente, nel merito, a Binaghi.
In realtà le posizioni di Binaghi e Regazzoni mi sembravano abbastanza vicine. Più vicine, per esempio, di quelle tra Regazzoni e Wu Ming. Ma forse dovrei rileggere meglio tutto. Tendo a procedere in modo confuso e un po’ troppo alla carlona, per orientarmi. E qui siamo già al 127° commento… E io sono appena arrivata.
Scusate ancora.
Io, come è chiaro, gentile Valter, scrivo malamente con i piedi. Però, davvero, quando leggo, sotto le sue mani, “se la va a cercare presentandosi con le pere di fuori alla finale di un premio letterario (ultimo atto di una strategia che inizia dal suo romanzo – letterariamente scarso ma tiracazzi de sinistra”, non aggiungo altro (perché tutto è così chiaro!) se non che mi tengo ben stretti i miei piedi.
Postato martedì, 7 settembre 2010 alle 4:37 pm da Simone Regazzoni
Io te l’avrei detto anche subito che era strano che fossi d’accordo con entrambi,
ah, grazie, paperinoramone.
Hai ragione…
Domattina, con calma rileggo tutto a partire dal commento 1.
Sono entrata a gamba tesa senza neanche leggere in modo accurato tutto quanto. E’ un argomento che incendia…
Su alcune affermazioni di Binaghi però resto d’accordo.
Per il resto, sì, faccio un passo indietro e cerco di capire come mai certe cose le ho registrate e altre (belle grosse) no.
Confermo in toto il giudizio sul romanzo della Avallone e (consequenziale, a mio modo di vedere) libera scelta di presentarsi a un premio letterario in stile velina.
Del pari, spaccherò il muso a chi mi definisce “maschio violento e sessista” per avere espresso questo giudizio, che non contiene alcun pregiudizio anti-femminile ma stigmatizza UNA strategia editoriale e UN comportamento personale.
Poi basta perchè ne ho pieni i cosiddetti.
Rileggendo il thread anche uno scemo capirebbe che su queste materie c’è incartamento perchè si incrociano modelli di pensiero incompatibili. Uno che si misura con la realtà fattuale, con tanto di effetti pragmatici della comunicazione. L’altro che si risolve in esercizi semantici, perchè non può permettersi di distinguere tra opportuno e inopportuno, autentico e inautentico ecc., essendo prigioniero di un’etica presunta, farcita di diritti e impermeabile ai doveri.
Adoro quando Valter dice “spaccherò il muso a chi mi da del violento!” Sembra un aforisma zen. 😉
Io invece continuerò a pensare che chi sostiene “si veste da velina e pretende di fare la scrittrice ed essere presa sul serio” (questo al fondo è ciò che pensa Binaghi, almeno per quanto ho capito) dice una cosa sbagliata.
Fermo restando che Avallone era vestita con un abito da sera femminile scollato come sono molti abiti da sera femminili, e conosono alla serata.
a ‘sto punto per non essere “imprmeabili ai doveri” propongo a Binaghi di stilare un bel codice di vestiario riservato alle scrittrici del tipo “se vuoi evitare commenti inopportuni e se non vuoi passare da velina indossa questo questo e quest’altro”
E ora se vuole mi rompa il muso.
Paolo, te lo meriteresti solo perchè pretendi di essere telepatico e indovinare ciò che penso ma non dico. Come avrai capito, non è che ho questa paura di usare parole grosse.
Ripeto fino alla nausea: quello che penso di uno o una come scrittore-trice lo traggo da quello che scrive. Quello che penso di uno o una sull’impressione che vuol fare lo traggo da come si propone in pubblico.
Secondo me in questo caso le due cose sono collegate.
E l’effetto provocato era esattamente quello atteso.
Per questo, anzichè buttarla sempre e solo sul femminile vilipeso, sarebbe ora che le donne cominciassero anche a confrontarsi tra loro: se il genere non può essere motivo di discriminazione non può essere nemmeno motivo di autoassoluzione perpetua con coda vittimistica ad oltranza.
Non ho mai voluto assolvere le donne come genere (ora chi è che vuole indovinare ciò che pena l’altro?).
Non ho letto acciaio, non so dire se faccia schifo o meno, so che la qualità di un libro non dipende dai vestiti che il suo autore, uomo o donna, indossa nelle occasioni importanti o dall’impressione che da’ o vuole dare, indossando quei vestiti, nè dalla strategia editoriale. lei, Binaghi crede che almeno per Avallone, l’abito faccia lo scrittore (scrittrice nella fattispecie).
Libero di crederlo, libero io di dire che sbaglia.
Getto la spugna. Sei proprio de coccio.
Sono entrata solo adesso nel blog di Loredana e ho visto che questa discussione è continuata in modo animato e per me a volte incomprensibile, come se non riuscissi di nuovo a capire alcuni passaggi.
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Sono d’accordo con tutte le varie puntualizzazioni che è andata facendo di volta in volta Loredana e mi sento spiazzata perché mi sembra di essere d’accordo contemporaneamente con posizioni contrapposte: Regazzoni-Zaub vs Wu ming 1e4.
Mi piacerebbe, anzi mi sarebbe piaciuto, che Zaub avesse esplicitato meglio il suo intervento dell’1.14 perché mi pare che lì ci sia un nodo irrisolto tra il primo e il secondo punto, per me non così dicotomici e opposti.
Tralascio i massimi sistemi, manteniamoci pure sui dettagli come dice Regazzoni, ma per me la discussione su un dettaglio trattato singolarmente, in una specie di vuoto spinto, diventa surreale.
Quello che voglio dire è che i dettagli, nella vita reale, sono correlati tra loro e con il contesto. Di questo anche la teoria deve tener conto, credo.
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Mi sta benissimo la descrizione fenomenologica della realtà e, quindi, di una persona che dice di essere libera io non posso che prendere atto del fatto che ‘dica’ di essere libera e, nello stesso tempo, non posso non prendere atto del contesto in cui avviene quella dichiarazione.
Non mi spingo nemmeno a interpretare i fatti o a stabilire una correlazione tra la dichiarazione e il contesto, ma terrò a mente tutti i dettagli, relativi alla soggettività (quello che sento che il soggetto dice di sé e quello che vedo di lui) e al contesto.
Non mi indigno, non impongo, non catechizzo. Osservo.
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Ora, quello che non è stato preso in considerazione in questo thread (o mi è sfuggito nella lettura) è l’effetto che le scelte soggettive (libere o meno non mi interessa) hanno sul contesto. Perché è stato considerato sempre l’aspetto contrario, quello che va da contesto a soggetto, mai quello che va da soggetto a contesto.
Eppure esiste anche questo, o sbaglio?
E dunque o sto osservando come sperimentatore un campo di osservazione dato, in cui le interazioni tra soggetti e tra soggetti e contesti non mi coinvolge per niente (non ha effetti anche su di me) oppure sono, a pieno titolo, uno dei soggetti inserito in un contesto e su cui le azioni degli altri hanno effetto.
A questo punto in me (ma la reazione può essere sbagliata, non sto a volermi dare ragione per forza) scatta qualcosa di diverso, che non si limita più all’osservazione neutrale e puramente fenomenologica, ma va oltre, nel giudizio per esempio, nell’approvazione, nell’indignazione, o altro.
E io non giudico, non approvo, non mi indigno per sopraffare la soggettività che mi sta davanti, ma perché le azioni di quella soggettività inerferiscono con la mia, direttamente o intervenendo sul contesto in cui io come soggetto sono inserita.
E’ qui, a questo punto, che il piano da puramente soggettivo si fa politico, nel senso più ampio possibile della parola.
Scusami, Zaub, perché ti incazzeresti con le veline altrimenti?
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Riprendo l’esempio di Pomigliano, perché non lo trovo così peregrino come fanno Zaub e Regazzoni.
Cerco di descrivere la questione nel modo più neutro possibile.
Un certo giorno a Pomigliano agli operai è stato chiesto da parte di Marchionne (amministratore delegato del gruppo Fiat, datore di lavoro degli operai) di esprimere il loro parere: volevano che l’azienda rimanesse a Pomigliano a certe condizioni decise da Marchionne e non trattabili oppure che si trasferisse in Polonia, con conseguente licenziamento degli stessi rispondenti?
Il 64% mi pare dei lavoratori hanno ‘scelto’ che l’azienda rimanesse a Pomigliano, dichiarando successivamente di avere scelto tenendo conto delle condizioni in cui erano stati chiamati a scegliere.
Oggi, ho sentito Gasparri che, basando il suo ragionamento sulla ‘libertà’ di quella scelta, ha legittimato la politica economica del governo come ieri la confindustria ha legittimato la sua.
Dunque, su questa libera ‘scelta’ viene giustificato il giro di vite che sta torchiando il mondo del lavoro.
Riepilogando: una ‘libera’ scelta che avviene in un dato contesto costrittivo (fondato sull’aut aut) influisce a sua volta sul contesto rendendelo ancora più costrittivo. E, cosa ancora più paradossale, lo legittima.
Ovviamente nessuno giudica gli operai di Pomigliano, ci mancherebbe, ma di fronte alle dichiarazioni di Gasparri e della Confindustria non può che tornare al contesto di origine e elencarne, dettaglio per dettaglio, tutti gli elementi che hanno portato a quella ‘libera’ scelta, senza ledere – credo- facendo questo, la soggettività di nessuno, ma mettendo in rilevo come quella scelta tanto libera non può essere considerata e se una scelta non è libera, a rigore non è nemmeno una scelta.
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Io non credo che la questione di Pomigliano, considerata nel suo schema astratto, sia così lontana dalle altre questioni che trattiamo qui. Nello schema dico, e non nel livello di coercizione esercitata da contesti diversi, ovviamente.
Per questo do ragione a Loredana quando invita a conoscere e ad essere consapevoli del frame in cui si sta mettendo in scena la propria vita. E poi ognuno faccia quello che vuole. Anzi lo faccia comunque, però non mi si venga a dire che tra una scelta agita in un contesto di cui conosco, per come mi è possibile almeno, i meccanismi e quella agita in un contesto di cui conosco poco o niente non c’è nessuna differenza.
La differenza c’è, e per me, scusate la parola, è politica.
@ Valter Binaghi: sono in totale disaccordo con lei, come chiaramente emerge. Il fatto che mi voglia spaccare la faccia non è carino, ma capita anche a me di desiderarlo qui o là. Lei ha detto parole che non mi piacciono su Silvia Avallone, ma ammetto di aver esagerato a definirla maschio violento e sessista. Ritiro quelle parole.
E io ritiro i cazzotti.
x valeria:
scrivi: “le azioni di quella soggettività inerferiscono con la mia, direttamente o intervenendo sul contesto in cui io come soggetto sono inserita.”
in che modo, esattamente?
e la “soggettività” è quella di Vespa (la sua squallida uscita), la Rai (che la manda in onda), la Avallone (che non reagisce a quella uscita, o che indossa quell’abito x), ecc.
Vorrei capire meglio come si sviluppa l’interferenza al contrario, perché è qualcosa di cui effettivamente qui si è parlato meno.