CERTI LA CHIAMANO MAGIA: NOTE SULLA POLEMICA SULLA FANTASCIENZA (ANCORA)

Ginepraio del mercoledì, ma mi ci infilo volontariamente e consapevolmente. Ieri, in radio, si è parlato di Urania 451, il numero di Nuovi Argomenti dedicato alla fantascienza, con due saggi (uno di Tommaso Pincio e uno di Gino Roncaglia) e diversi contributi narrativi di autori “mainstream”. Uso le virgolette perché, come sentirete nel podcast che ho linkato sopra, esistono due modi di intendere la definizione: una da parte degli scrittori “non di genere”, che intendono per mainstream i testi, diciamo così, di facile consumo e svelta classifica e una (che mi sento di appoggiare) da parte di chi scrive genere e che così definisce gli autori “letterari”.
All’uscita del numero è seguita polemica, prevedibilmente: perché tra gli autori invitati a contribuire mancavano (ed effettivamente mancano) molti nomi di chi genere scrive, con alcune eccezioni costituite da chi  affronta la narrativa fantastica propriamente detta, in punta di canone (Vanni Santoni) o la costeggia (Laura Pugno). E perché fra i nomi italiani citati venivano elencati solo i padri nobili (Landolfi su tutti) e, Fruttero e Lucentini a parte, mancavano i contemporanei che in ambito fantascientifico lavorano da anni, e bene, e anche letterariamente, se mi si passa il termine (Evangelisti e Avoledo, per citare solo due nomi e facendo grave torto agli altri: ma Umberto Rossi qui ne cita diversi).
Segue polemica, fatalmente, un po’ ovunque. Provo ad assumere la scomodissima posizione terza. Da una parte trovo importante che una rivista squisitamente letteraria si occupi di genere, sottraendolo non tanto al fandom e agli autori e ai lettori, ma ai direttori commerciali che continuano a spacciare per letteratura fantastica testi di serie zeta, con pochissime eccezioni. Intendo per serie zeta testi per lo più commissionati (mi scriveresti una roba dove dentro c’è questo e quest’altro che adesso sta andando di gran moda? subito, grazie) e sciatti nella trama e nella lingua. Esistono, invece, non buoni, ma ottimi autori di fantastico in Italia, ma bisogna andarseli a cercare in rete e in ebook, perché, sempre con le dovute eccezioni, quelli che vengono distribuiti dai grandi marchi sono quello che sono.  Quindi, invocare potenza narrativa e voce letteraria nel genere è indispensabile da parte di chi si occupa di letteratura.
D’altro canto è vero che quando questo avviene l’intento, sia pur in ottima fede, è quello di “nobilitare il genere”, di chinarsi fino al puro artigianato per farlo salire nel cielo della vera scrittura. Si può fare, ma è anche legittimo chiedere che chi lo fa si sporchi, come già scritto, le mani, e che conosca e ami non solo i giganti del genere ma pure gli autori sgangherati (non quelli richiesti dai direttori commerciali, quelli può risparmiarseli, perché sono altra cosa). Dunque, un invito ad almeno alcuni dei non pochi e ottimi autori di genere andava rivolto, secondo me: se la narrativa fantastica esiste ancora, in Italia, si deve a chi la scrive e la legge e la conosce. Spesso difendendone i confini con il sangue (metaforico), come se quei confini fossero un territorio da varcare solo con la parola d’ordine, ed è un errore anche questo.
Detto questo, io resto convinta della necessità degli ibridi: storie che parlino al lettore ipercompetente e a quello che, purtroppo e per colpevolissimo errore critico (il realismo! Oddio Tolkien che noia! Ma non leggerete mica robe con le astronavi!) ha tagliato fuori il genere dalla letteratura. Dunque ancora, il muro contro muro, a mio modestissimo parere, aiuta poco, da una parte e dall’altra. Anche perché, come detto, dal conflitto guadagna solo la serie zeta di cui sopra, che continua a venir spacciata come l’unica e vera espressione italiana in ambito fantastico.
Mentre, sempre nella mia umile opinione, per me il fantastico è quello che descrive Harlan Ellison, ma magari sbaglio:
“Gli scrittori fanno viaggi nella vita degli altri.
Uno scrittore cannibalizza la propria vita, è vero: tutto ciò che abbiamo da raccontare sono le percezioni di noi stessi e le nostre esperienze, che corrono in parallelo alle percezioni e delle esperienze degli altri. Ma non siete soli; dove siete stati, ci sono andato anch’io; quel che avete sentito, l’ho sentito anch’io. Il dolore e la gioia e tutto ciò che sta in mezzo sono universali.
Ho preso ciò che mi avete dato (anche se non sapevate che stavo guardando) e l’ho passato attraverso il filtro della mia immaginazione, al solo scopo di restituirvelo, spero, con una certa chiarezza. Se volete usare al meglio questi bocconi e queste scintille delle vostre vite, vi esorto a tenere davanti allo specchio del fantastico le realtà qui ritratte. Le cose sembrano spesso più chiare nella luce argentea dello straordinario. Certi la chiamano magia”.

13 pensieri su “CERTI LA CHIAMANO MAGIA: NOTE SULLA POLEMICA SULLA FANTASCIENZA (ANCORA)

  1. Il problema, come scrivevo altrove, è che l’operazione – così impostata – sembra il risultato di un’opera di rimozione. Lo stesso fatto che il curatore abbia rivendicato durante la trasmissione la sua scelta come mirata, finalizzata a dare spazio a un approccio letterario al genere, dimostra in realtà quanto poco conosca il settore: tanto più che non trova parola migliore per definirlo di “underground”. A me risulta che ci sia un fandom, composto dall’insieme di tutti gli appassionati; che ci siano dei semiprofessionisti, che pubblicano romanzi e racconti regolarmente retribuiti dagli editori, pur non potendoci sopravvivere; e che l’assenza di professionisti veri e propri, autori che vivano del loro lavoro, tende certamente a schiacciare la seconda categoria sulla prima, facendo di ogni autore quasi sempre anche un appassionato e un membro del fandom, ma non per questo il valore – anche letterario – delle loro opere ne dovrebbe uscire sminuito. Poi esiste certamente uno spettro molto ampio di soluzioni, ma la varietà degli esiti dovrebbe dare anche una misura della complessità di cui vive il genere in Italia.
    Comunque è inutile dilungarsi sul tema, che potrebbe portar via delle ore. Alla fine anch’io mi sono convinto che l’opzione che proponi, e che già qualcuno aveva ipotizzato, fosse la più “credibile”: verificare la disponibilità a cimentarsi nell’operazione di qualche autore con una frequentazione più che occasionale con il genere, e quindi scegliere tra tutte le opere pervenute quelle davvero meritevoli, a prescindere dalla provenienza, fantascienza o mainstream (o literary fiction, se vogliamo).
    Nessuno mi toglie comunque dalla testa l’impressione che i contributi critici scelti per l’antologia siano inappropriati anche alle aspirazioni del volume. Anche quello di Pincio è la riedizione di un saggio scritto con finalità completamente diverse. E di studiosi esperti di fantascienza italiana, nonché di storie, anche aggiornate, del genere, non era difficile trovarne, considerata l’esistenza di una rivista di studi sulla fantascienza, per di più on-line, ai cui curatori bastava scrivere una e-mail: http://www.fantascienza.com/anarres/.

  2. Avevo letto il tuo post, X. E’ che in effetti il genere (tutto il fantastico, e forse in particolare proprio la fantascienza) sembra essere rimasto sommerso. Così come il valore della parola fandom, che non dovrebbe essere una diminutio (il contrario, semmai). Potrebbe essere l’occasione per riparlarne al di fuori del fandom medesimo? O per convincere, chissà, un editore a un’operazione simile e allargata? Magari.

  3. Io sono cresciuto leggendo fantascienza (per me la letteratura ERA la fantascienza; a parte qualche giallo il resto non mi interessava) e negli anni Settanta e Ottanta era facile. Le novità importante – esclusivamente americane e inglesi – venivano tradotte immediamente o quasi. Urania, sotto la guida illuminata di Fruttero e Lucentini, era in triste declino; in compenso c’era la Nord, Oro e Argento, e Galassia e Libra e Fanucci e Robot… Era il periodo, come ha raccontato Jonathan Lethem di recente – in cui il genere era sull’orlo del salto di qualità – che poi non ci fu.
    Nelle librerie italiane la sezione fantascienza, quando c’è, è quasi interamente occupata da Dick e Asimov (e meno male che Urania, pur vendendo molto meno di un tempo, s’è ripresa). Ma anche all’estero non si ride: ve lo ricordate il piano di sotto di Murder One in Charing Cross a Londra? Ve lo ricordate Forbidden Planet, sempre a Londra? C’è ancora ma vende soprattutto gadget. Foyles ha la sua ricca sezione SF ma non c’è dubbio che il genere letterario è molto diminuito negli ultimi trent’anni, mentre, in versione semplificata, regna al cinema e nei fumetti.
    E la colpa di chi è? Non sarà per caso… dei lettori? D’accordo sulle colpe degli editori ma se tale calo è visibile anche in Gran Bretagna forse il fenomeno è più radicale.
    Mettiamola così: io leggo ancora SF e spesso compro novità anglosassoni. Spesso mi piacciono ma mi rendo conto che un non appassionato, uno che diversamente da me non è familiare con certi oscuri tropi e convenzioni del genere, non proverebbe un gran piacere a leggere l’ultimo Alastair Reynolds o Bacigalupi. Anche nelle migliori condizioni, la letteratura SF è scritta per iniziati e non tenta nemmeno di raggiungere il resto del pubblico, secondo la dominante logica dei ‘generi’ e delle nicchie. La SF che si legge finisce per essere quella degli Avoledo e delle Atwood (per citare due casi noti), cioè quella degli scrittori di mainstream, o degli autori di genere che hanno capito come rivolgersi al pubblico ‘là fuori’, come Ballard o Priest.
    D’accordo sulle colpe degli editori ma consideriamo anche le colpe degli autori e il mutamento dei lettori – e qui si potrebbero fare delle considerazioni più generali sul nostro momento storico ma lasciamo perdere.

  4. @ Loredana: magari, appunto. C’era un progetto molto simile, un tempo, orchestrato da Kai Zen J, peccato che sia naufragato. Secondo me sono decisamente operazioni da tentare fuori dal fandom, ma con la lungimiranza di mettere in contatto le due categorie di autori, come pure i due pubblici: quelli che abitualmente scrivono SF e quelli che vi si cimentano per la prima volta per attitudine o per curiosità; quelli che abitualmente leggono SF (che potrebbero scoprire validi autori al di fuori dei nomi già noti) e quelli che abitualmente la evitano (che potrebbero scoprire validi autori anche nella SF).
    @ Sascha: tutto vero quello che scrivi, o quasi. Perché all’ultima Worldcon di Londra, lo scorso agosto, autori, critici ed editori erano abbastanza d’accordo su una cosa e non avevano paura di dirlo: nelle società in cambiamento (USA, UK, Sud-Est Asiatico, Sud-Africa) nuovi pubblici sono possibili e il ricambio generazionale non è solo un’utopia. Qualcuno si permetteva addirittura di pronosticare l’imminenza di una nuova Golden Age: troppo perfidi gli albionici da dispensare simili illusioni, o troppo prammatici gli yankee nel loro adattarsi alle nuove caratteristiche del mercato?

  5. Conosco quel progetto, X, perché all’insaputa di Kai Zen J (che spero non si sia sentito oggi tradito) vi avevo partecipato come Lara Manni, ed era un bel progetto. Anche io concordo in parte con Sascha, non tutta la narrativa di fantascienza è scritta per iniziati: il problema è non considerare fuoriusciti quelli che allargano il pubblico, come appunto Avoledo o Atwood, o, nel gotico, Chiara Palazzolo.

  6. Caso vuole che il numero di Nuovi Argomenti sia uscito in un periodo un po’ particolare per il sottoscritto. Per anni mi sono occupato (tra l’altro) di fantaascienza inglese e americana; ma giunto ai cinquanta sono stato colpito da atroci sensi di colpa nell’ignorare o nel trascurare (anzi, nell’ignorare che viene dal trascurare) le scritture fantascientifiche del suo paese, pur avendo sentore che ne esistevano. Di qui la scrittura di un articolo accademico su Evangelisti (uscito negli Stati Uniti), la lettura di tutto Avoledo (uno scrittore che è facile definire mainstream, ma che ha inserito elementi di fantascienza in quasi tutti i suoi romanzi, e che poi ha svoltato decisamente verso il genere), e altri filoni di ricerca e letture che l’hanno portato a scoprire non dico il Nuovo Mondo, ma parecchie cose interessanti; passate e presenti. Ma soprattutto gli ha fatto incontrare studiosi che nel bene e nel male hanno lavorato parecchio sull’argomento. Fahrenheit avrebbe dovuto fare un po’ di ricerca. Magari avrebbe scoperto l’attività incessante di un Salvatore Proietti; magari avrebbe potuto sfogliare la prima parte della monografia di Giulia Iannuzzi dedicata alle riviste di fantascienza italiane (ben altra cosa del breve scritto di Pincio…); magari avrebbe potuto valorizzare la testimonianza di una Nicoletta Vallorani. Riguardo a questi personaggi io mi ritengo l’ultimo arrivato, eppure se non altro mi sono fatto un’idea assai più chiara e ampia (per quanto ancora tutt’altro che completa) degli ospiti che hanno parlato ieri in trasmissione.
    Ma non è mai troppo tardi per fare una cosa che in Italia va poco di moda: dare la parola a chi ne sa veramente qualcosa. Come recitava quel memorabile striscione che appariva alla fine dell’Ultima spiaggia, “there is still time… brother!”

  7. Mi aggiungo al buon Umberto e dico, certamente, c’è ancora tempo. In Italia esiste un problema di visibilità della fantascienza e deriva dal profondo ancoramento della nostra cultura alle radici umanistiche e alla crisi perenne, diciamo al sottosviluppo, ormai, della cultura scientifica. Non a caso la sf prospera nei Paesi anglosassoni, all’avanguardia nelle scienze, mentre da noi, ma anche nella beneamata Francia, prospera la polemica che spesso nasconde l’incompetenza e la fuffa. Dico questo perché spesso il limite tipico dell’autore di sf o fantastico in genere in Italia è la presunzione e tale limite traspare anche troppo spesso all’esterno, si faccia un giro per blog e siti e si capirà cosa intendo. Ma detto doverosamente questo, che secondo il mio modestissimo avviso spiega perché siamo così poco visibili all’esterno: siamo capponi di Renzo che, anziché pensare a migliorare ispirandoci ai tanti buoni e ottimi modelli che ci sono stati e ci sono (Ballard, Reynolds, Lem, Egan, e potrei andare avanti a lungo) finiamo per essere autorefenziali sino all’antipatia o alla batracofilia. Quindi o nessuno ci legge perché troppo di nicchia, o perché talmente fuori come un poggiolo da suscitare ilarità. Autocritica, dunque, e giustamente il tentativo di capire che lì fuori si interessano se davvero hai qualcosa da dire in una lingua comprensibile e con contenuti validi; nello stesso tempo, però, il desiderio di gridare: attenzione, mondo dei lettori che magari si commuove con Zafon o altri autori borderline, l’Italia ha prodotto e produce i signori Evangelisti, Avoledo, Lino Aldani, Claudio Asciuti, Dario Tonani, Clelia Farris, Erica Zunic. E potrei andare avanti a lungo. Chi si è appassionato a quello stranissimo ciclo di Enrico Brizzi che ipotizzava un’Italia in cui la seconda guerra mondiale era andata in modo diverso da quello che sappiamo potrebbe magari approfondire e scoprire che un gruppetto di italiani ha scritto di storia alternativa. Che esiste (ancora) una rivista che si chiama Robot e una webzine come il Corriere della Fantascienza. Insomma, ci siamo, lottiamo, sanguiniamo e siamo vivi. Ci impegniamo per il futuro a gridare un po’ meno fra noi e più verso l’esterno e soprattutto non in sanscrito o in fuffese, ma magari cerchiamoci di più, tutti quanti, genere e mainstream. Non siamo così diversi, disse Biko al poliziotto afrikaner… 😉

  8. Umberto, Fahrenheit in quel caso aveva due ospiti su quella particolare uscita editoriale, non era una discussione a largo raggio come quelle che facciamo alle 15. Intendo dire che non era una discussione sulla fantascienza, bensì su quel numero di Nuovi Argomenti. Detto questo, personalmente intendo tornare sul punto. Accogliendo molti suggerimenti (giusto, Brizzi, Miles: è vero: a me quel ciclo è piaciuto molto, per esempio. E, ah, conosco bene Robot, per la cronaca, e anche il Corriere della Fantascienza. Diciamo che quelle parti le bazzico, non vado avanti solo a Roth 😀 )

  9. Guarda, se entriamo nel discorso Brizzi non ne esco più fuori. Conta che ho pubblicato una monografia (in inglese) su Philip K. Dick, e sai che lui è famoso per L’uomo nell’alto castello, che è un romanzo ucronico (altri lo chiamano La svastica sul sole); a causa di ciò mi sono letto buona parte delle ucronie “classiche”, da Pavana di Roberts ad Anniversario fatale di Moore, senza trascurare Contro-passato prossimo di Morselli e Il complotto contro l’America di Roth. Però qualcosa di ampio, intelligente, appassionato e avvicente come la trilogia di Brizzi… a mio modestissimo avviso, è un vanto della nostra letteratura degli ultimi dieci anni, e se ne è parlato vergognosamente poco.
    E poi, sempre per restare in patria, Avoledo. Anche nella versione Metro 2033, resta uno scrittore immensamente originale e a tratti geniale. Pare che ora abbia in cantiere qualcosa di grosso (non la terza parte della trilogia Metro 2033), e garantisco che non vedo l’ora di vedere cosa s’è inventato.
    Ma il discorso della fantascienza senza etichette, quella pubblicata come narrativa generale, è estremamente complesso, anche e soprattutto perché è difficile da individuare. C’è chi sta facendo un grosso lavoro di ricerca bibliografica per mappare questo territorio, questa specie di materia oscura, ed è Nico Gallo. Ha trovato cose veramente soprendenti, anche se ancora non ha pubblicato un saggio sull’argomento.
    Vabbè, se attacco non mi fermo più. Taccio!

  10. A costo di finire nello spam, non posso non approfittare di questo spazio.
    Più sopra si parla di visibilità. di come viene consiiderata dai media mainstream quel che pssa per fantascienza nel nostro paese.
    Dopo anni di lettture, di discussioni on line, di vita da blogger, l’anno scorso ho fatto il grande passo: son passato dall’altra parte della barricata e con un amico ho fondato Zona 42. Nel nostro primo anno di vita abbiamo pubblicato e portato in libreria tre grandi nomi della fantascienza internazionale, qualcuno ne ha parlato fuori dal fandom? A parte Wired tutti i media che dedicano qualche spazio alla letteratura hanno completamente ignorato il nostro progetto.
    Ma questo non è un post di pubblica lamentazione, volevo semplicemente condividere la nostra piccola esperienza con il mondo là fuori, non quello dei lettori (chi ha letto i nostri libri ne è stato molto felice) piuttosto quello degli operatori culturali (che più che guardare il loro piccolo orticello, o le Grandi Questioni Internazionali sembra non riescano andare). Noi proseguiamo per la nostra strada, che siamo convinti che la qualità delle nostre proposte sia tale da permetterci di sopravvivere e prosperare.
    La prossima settimana uscirà il nostro primo libro dedicato alla fantascienza italiana. Se Loredana Lipperini ne vuole copia per recensione non ha che da scriverci.

  11. Umberto, invece parliamone: perché il discorso della fantascienza “invisibile” o senza etichette è importantissimo, e mi auguro che Nico Gallo pubblichi il saggio, se lo sta scrivendo, o che lo scriva. La questione “è o non è fantascienza” o “è o non è fantastico” (continuo a pensare a La fortezza di Jennifer Egan a proposito del gotico) è quella che, secondo me, si pone con urgenza. Ed è anche il motivo per cui i testi di Brizzi e anche quelli “non mainstream” di Avoledo passano spesso sotto silenzio.
    Giorgio Raffaelli, grazie della segnalazione: nella maggior parte dei casi, le notizie non passano perché è difficile trovarle e non vengono date direttamente. E ti assicuro che preferisco di gran lunga ricevere questo tipo di informazioni che richieste di recensire l’ennesimo romanzo non di genere. La mia mail è pubblica e, sì, voglio riceverne una copia.

  12. Provvederò a far pervenire a Fahrenheit copia del numero speciale di Science-Fiction Studies dedicato alla fantascienza italiana, previsto per luglio del corrente anno.

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