PUGNI, CALCI, PAROLE

Sinceramente, faccio molta fatica a interpretare il pugno papale, cui oggi si aggiunge un calcio nelle terga, come un avvicinamento alla lingua e ai modi di pensare del cosiddetto popolo. Per un motivo molto semplice: il cosiddetto popolo, di cui tutti facciamo parte, vive da un paio di decenni nell’equivoco che scambia spontaneità ed emotività della parola pubblica (ripeto, pubblica, sia essa scritta su un social, su un quotidiano, profferita durante un’intervista, pronunciata a un convegno) con la violenza verbale.
“Credo poco alle virtù del parlare francamente: molto spesso ciò vuol dire affidarsi alle abitudini più facili, alla pigrizia mentale, alla fiacchezza delle espressioni banali”.
Questo era l’Italo Calvino de “Una pietra sopra”. Lo riporta la sociologa Graziella Priulla in un libro necessario uscito per Settenove, Parole tossiche. Un libro che va letto e studiato, e grazie al quale si può capire non solo il tweet infame di Maurizio Gasparri contro Greta e Vanessa, l’ignobile “culattone” di Ignazio La Russa durante il pio convegno pro famiglia di Milano, ma anche chi fa dell’insulto il proprio punto di forza ritenendo che sia cosa giusta, buona ed espressione di libertà.
Scrive Priulla:
“Il leaderismo finto-plebeo congiunto al voyeurismo televisivo ha forgiato una rozza mitologia della spontaneità, per cui l’abolizione dei freni inibitori si fa passare per rivincita degli umili o per rifiuto del perbenismo: sbandierata nei comizi, ostentata nei talk show, sgangherata fino all’impudicizia nei reality, questa vantata spontaneità ha riempito le nostre orecchie di parolacce e le nostre teste di luoghi comuni. Non tutti si accorgono che essa lascia inalterati i ghetti creati dalle vicende sociali e che la volgarità compiaciuta della propria arroganza condanna alla mediocrità e alla subalternità. Che a forza di sciatteria generalizzata e di sottovalutazione del rispetto, dell’attenzione, della precisione e della cura, questo paese ha finito per avere un pessimo paesaggio, dei pessimi professionisti, una pessima politica. La congruità dei contenuti, la sensatezza dei pensieri, la logica degli interventi non trovano più consenso e lasciano il campo all’esibizione di potenza, alla violenza della retorica, alla prosopopea, al protagonismo e a una buona dose di disprezzo dell’avversario, il tutto camuffato da ‘passionalità'”.
Quest’è, e peggiora giorno dopo giorno.  E se l’unica strada possibile è costruirne una propria, ignorare i violenti che si autodefiniscono portatori di libertà, disinnescare l’insulto mantenendo il proprio linguaggio, occorre consapevolezza piena da parte di chi ha pubblica figura di quel che sta avvenendo. No, non saluto il pugno e il calcio dove non batte il sole come un’innovazione. Le parole confermano sempre contesti dove sarebbe molto più necessario opporne di sagge e ferme. Come scriveva Doris Lessing, “regimi, paesi interi sono stati travolti dal linguaggio che si diffondeva come un virus”. Non può non saperlo un pontefice, non possiamo non saperlo noi.

13 pensieri su “PUGNI, CALCI, PAROLE

  1. se però sotto l’ombrello della parola “insulto” ci finisce di tutto – dal dissenso magari aspro ma argomentato, alla battuta, alla satira e via dicendo – allora abbiamo un problema.
    Come sempre il margine di manovra è ampio per schierarsi – a seconda della convenzienza e/o appartenenza di gruppo – pro o contro la libera espressione.

  2. La stessa cosa che ho pensato guardando le vignette di Charlie.
    Ci sarebbe da aalizzare il doppio (triplo e quadruplo) standard nel definire l’abuso di satira. (Vedi affaire Siné)

  3. @ Diana Corsini
    E questa vignetta sull’ebraismo dove la matti nel tuo quadruplo standard ?
    http://p9.storage.canalblog.com/97/33/177230/84461165_o.jpg
    L’affare Siné è complesso, e Val non c’è più, Siné ha comunque vinto il processo contro Charlie per licenziamento abusivo. Non è Val che è stato ucciso ma Charb l’autore della vignetta. Aggiungo che Siné è stato condannato negli anni ’80 per incitamento all’odio razziale per aver detto di voler che gli ebrei vivano nella paura tranne quelli che sono propalestinesi.

  4. Aggiungo che acrimed è un sito antisionista ossessionato da Israele e che ha larga responsabilità nella diffusione dell’odio antiebraico che ha portato alla strage antisemita nel supermercato Hyper Cacher.

  5. Tino
    l’affare siné non mi sembra complesso, ma semplice. Una vignetta innocente che scherza sul matrimonio di interesse del giovane Sarkozy con una “ricca ereditiera francese” – imperdonabile anche solo fare un collegamento tra ebreo e soldi) è stata giudicata “impubblicabile” secondo gli standard degli intellettuali francesi che oggi marciano in piazza pro-libertà di espressione. Il quadruplo standard è loro, non mio.
    Acrimed non sapevo neanche che fosse, ho trovato la pagina facendo ricerche sul caso Siné, nei giorni scorsi, stimolata da una vignetta di Joe Sacco sul caso Charlie. HO linkato quella pagina (e non le altre che ho consultato) perché in francese, che forse è più conosciuto dell’inglese da noi.
    Quanto all’odio anti-ebraico di Siné, credo che c’entrasse poco con la religione ebraico e più con la politica di Israele. (Lo dico da ebrea per metà)

  6. @ Diana Corsini
    Manca giusto il fatto che Siné era favorevole agli attentati contro gli ebrei in Francia negli anni ’80 … attentati a Parigi.

  7. Tino –
    Di Siné so quello che ho letto nei giorni passati. Non lo conoscevo proprio, non seguo molto i fumetti. Mi è sembrato un vignettista alla Vauro, che non è certo il mio genere.
    MI interessava il caso in questione, che fa emergere un problema non da poco. Il fatto che quella vignetta fosse di Siné, non la rendeva meno innocente/difendibile. Infatti in tribunale ha vinto, contro l’ingiusto licenziamento.

  8. temo che l’innesco della bomba neurolinguistica che ha provocato tutto ciò sia introvabile e non resti che risorgere dalle macerie culturali quando la polvere si sarà sedimentata. Nel frattempo provare a fare ragionare certa gente è come gettare benzina sul fuoco per spegnere un incendio, sempre parlando in un linguaggio figurato

  9. Scusate, ma a me le cose sembrano ben più semplici: avete presente la differenza tra TESTO e CONTESTO? E il ruolo di quest’ultimo nella costruzione del significato in chi riceve il messaggio? Credo siano i fondamentali della semiotica linguistica: se io mando aff… qualcuno in privato, al massimo posso passare per maleducato e gli effetti di quell’epiteto resteranno confinati tra me e il destinatario, eventualmente ad altri che siano direttamente coinvolti nel diverbio. Se lo stesso aff… parte da una vignetta satirica posso indignarmi o rifletterci sopra vedendo il lato altrimenti nascosto di una questione, di un pensiero, di una persona, ecc.; provenendo da chi “lo fa per mestiere” non dovrebbe innescarsi alcuno spirito di emulazione, semmai una reazione più o meno vibrata o piccata o accondiscendente. Ma se quell’aff… è pronunciato da chi detiene una carica socialmente riconosciuta, in chi lo ascolta esso assume una valenza universale, direi quasi assoluta e assolutoria, una sorta di autorizzazione a utilizzarlo come modalità lecita e addirittura dovuta contro intere categorie di persone. Il testo non cambia, il contesto sì. E che differenza nei risultati!! Se siamo a questo “livello zero” di incomprensione dei fenomeni linguistici, allora vuol dire che davvero dobbiamo ricominciare tutto da capo. Che questo accada in un blog frequentato mediamente da persone che si suppongono dotate di sufficienti mezzi culturali, mi spaventa sul serio.

  10. Un ultimo appunto, sui “livelli linguistici”: assumere un livello linguistico diverso all’interno di un discorso che ne ha un altro è una tecnica per renderlo più efficace. Ma se tale tecnica viene abusata l’effetto può distorcersi e sfociare in una banalizzazione o, peggio, in un passaggio all’atto: dall’odio semantico a quello praticato. La nostra storia europea è piena di esempi del secondo tipo, occhio.

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