CONCENTRAZIONI

La questione distribuzione. Marco Cassini di minimum fax la affronta con una lettera pubblicata oggi su Repubblica.
Caro direttore, l´idea di “decrescita editoriale” (di cui peraltro non rivendico la paternità: proposta anni fa da Marcos y Marcos, è stata rilanciata di recente da Simone Barillari) rischia di diventare uno slogan: al motto facilmente banalizzabile preferisco il proposito di “pubblicare meglio” come primo di una lista di propositi indirizzati innanzi tutto alla mia stessa casa editrice, e poi a quelli fra i miei colleghi che volessero perseguirli.
A noi editori rimprovero di aver accettato, certificandole così d´un qualche valore, alcune regole imposte dal mercato come iperproduzione, banalizzazione, omologazione, e propongo di impegnarci a resistere a questa semplificazione.
L´altro impegno che auspico è a riconoscere di aver accettato di operare in un mercato condizionato in maniera decisiva da una stortura tutta italiana: non tanto la concentrazione nelle mani di pochi di gran parte della produzione editoriale; non tanto il fatto che specularmente la vendita (catene, franchising, grossisti, negozi online, retailer di e-book) sia fortemente concentrata, o che la distribuzione sia anch´essa appannaggio di poche aziende. Le concentrazioni infatti esistono in quasi tutti i mercati editoriali. Ma solo in Italia queste costituiscono una “concentrazione di secondo grado” perché gli stessi soggetti ricoprono l´intera filiera editoriale.
Come può infatti un editore affidare i propri libri a dei partner che sono al tempo stesso concorrenti? Se un distributore è anche il buyer delle catene a cui deve vendere i libri; se un agente di vendita che si fa in quattro per vendere i libri di un editore riceve lo stipendio da un´azienda al cui vertice c´è un altro editore; se la catena di librerie fino a ieri considerata dal piccolo libraio in difficoltà economica come il suo competitor, oggi, con un paradosso indicibile, si veste da franchising e gli propone di “salvarlo” tramite l´affiliazione; se tutte queste anomalie sono diventate l´acqua in cui ci siamo abituati a muoverci, il pericolo è di non poterle più notare. Non possiamo più ignorare che quest´acqua sia inquinata o perlomeno torbida, e ci fa perdere di vista quella che dovrebbe essere la stella polare di ogni editore ovvero il rapporto con i lettori, affidato a quell´indispensabile mediatore culturale che è il libraio. Per farne un esame batteriologico dovremmo rivolgerci all´Antitrust, presentandogli un campione, una fotografia del mercato del libro in Italia oggi, per avere un suo parere. Questo parere potrà essere la pietra angolare su cui costruire finalmente quella Legge per il Libro strutturata, seria, necessaria, auspicata ormai da anni da molti.

18 pensieri su “CONCENTRAZIONI

  1. Io vorrei aggiungere una cosa, che è la domanda che ponevo sotto l’altro post: iperproduzione va di passo con scelta indifferenziata. Danae ha raccontato nel suo commento dell’invadenza del settore commerciale nelle scelte redazionali, e questo mi sembra un punto non toccato. Capisco l’importanza di una distribuzione accentrata nelle mani di pochissimi, ma a me sembra che quei pochissimi dettino anche l’agenda di cosa funziona e cosa no, e che anche gli editori medi e piccoli rispondano a quell’agenda.
    Come lettrice, la decrescita porta a potermi muovere in libreria senza sbattere il naso contro pile di libri tutti uguali: indagini sulla camorra dopo il successo di Saviano, libri di cucina dopo Benedetta Parodi e così via. Meno libri, libri migliori: non per forza libri di alta letteratura, ma libri che mi permettano di scegliere.
    Un’altra cosa marginale che riguarda i TQ, su cui avevo una diffidenza che viene confermata dalla vicenda “Barillari trademark” che sta diventando ridicola. Leggendo sui quotidiani dei TQ mi aveva colpito la rivendicazione di visibilità che facevano. Allora, se l’alternativa ai commerciali di cui parlava danae sono gli scrittori che vogliono il nome in evidenza, mi sa che caschiamo dalla padella nella brace, imho.

  2. Giusto evidenziare la prassi editoriale dell’omologazione. Più volte nel mio blog mi sono scagliato contro il nuovo flagello dell’editoria: l’editor-iperinvasivo (soprattutto nei confronti degli autori non ancora dotati di sufficiente forza contrattuale). Quanto alla distribuzione, è verissimo che le rese – come Annibale – sono sempre alle porte. Probabilmente la soluzione starà nel print on demand e in una rete di rapida consegna a domicilio dei volumi ordinati via internet (per gli amanti del cartaceo), insieme al download elettronico (per i fan del digitale) di testi in marchingegni dotati di visori il meno affaticanti possibile.

  3. L’analisi di Cassini mi sembra molto puntuale e, almeno, riesce a valicare i confini della mera pubblicazione. Avrei un dubbio (come sempre dettato dalla scarsa conoscenza delle cose) e cioè, se un distributore guadagna (mi dicono) circa il sessanta per cento del prezzo di copertina, non dovrebbe essere motivato a spingere libri anche se non appartengono a editori “di riferimento”? Insomma, il discorso di Cassini sembrava fortemente ispirato (anche) al connubio Mondadori-Messaggerie. O no?

  4. Quando si scrivono questi necrologi vuol dire che la campana è già suonata a morto e ci si prepara al requiem. Pensare all’antitrust come una linea Maginot dell’attuale mercato editoriale significa invece credere alle allucinazioni della resurrezione.
    Basterebbe dare un’occhiata al mercato discografico per comprendere l’analogia ferale con la piccola libreria. Dispiace spiegare l’inevitabile: non ci sono criteri per far sopravvivere buona parte di loro. Lungi dall’essere dissimile da libraio virgiliano, era un mediatore culturale anche l’esperto di dischi che orientava l’acquirente conoscendo a menadito i nomi dei tanti produttori, tanto per dire, dell’Atlantic rispetto a quelli della Columbia, ti indicava quel batterista sconosciuto della Motown e istituiva parentele con i lavori di quell’altro grande musicista poco pubblicato. Ti consigliava quella sublime registrazione del primo concerto per violino di Prokof’ev e magari ti invitava assieme a lui all’ascolto di un bassista camerunense che era fuori dal giro delle major. Questi librai del disco sono pressoche morti, e chi è sopravvissuto lo ha fatto ricattando il lettore-ascoltatore con la riproposizione anacronistica e reazionaria del vinile, tra l’altro venduto a caro prezzo. Nicchie.
    Ritenete davvero che il destino del libraio si differenzierà di molto e che il confronto sia così peregrino?
    Invocare l’antitrust per difendere una distribuzione meno concentrata, o emanciparla con un differente criterio delle rese, è già proporre i confini di una riserva indiana.

  5. Per me la questione che pone Cassini (ossia l’editore per cui nel bene e nel male lavoro da dodici anni) è prioritaria rispetto a qualunque altra nell’editoria. È una questione di struttura, e quindi viene prima di ogni analisi sulla sovrastruttura.
    Ecco, penso alle decine di riunioni di redazione, penso alle centinaia di chiacchierate formali e informali che ci siamo fatti capendo che libri fare, come farli, come promuoverli, etc… e tutte le difficoltà che si ponevano, dico tutte, avevano implicitamente questa stortura irrisolta alla base.
    Mi piacerebbe che tale questione diventasse una sorta di “le dieci domande di D’Avanzo” che Repubblica inserisce ogni giorno sul giornale. Prima risolviamo questa, e poi discutiamo di tutto il resto (importantissimo, benisteso): premi, bibliodiversità, decrescita, e-book, etc…
    ps. semi-OT: a Giuliana vorrei dire che invece per me ha senso che venga richiamata la paternità di un’idea, in questo caso a Marcos y Marcos e a Simone Barillari, per un semplice motivo: che le idee sono complesse, e il modo in cui per esempio Barillari ha parlato di decrescita va colto nell’interezza di quel discorso (che si può trovare in rete) altrimenti si rende slogan un tentativo opposto di diagnosi e prognosi.
    Al tempo stesso, ascrivere la genesi di questo dibattito a TQ non vuol dire rivendicare un marchio di fabbrica, ma poi all’opposto proprio invece dare responsabilità collettiva alla formulazione di certe idee, che non sono opinioni, doxa utile a una polemica di bassa estate.
    In questo senso mi viene da ringraziare Loredana Lipperini che tiene sempre questi dibattiti entro una cornice di senso che tesaurizza quello che viene prodotto nel merito invece di lasciare che si continuino a buttare sassi nello stagno giusto per il piacere di vedere le piccole onde concentriche.

  6. Credo che l’intervento di Cassini sia stato, sino ad ora, fra i più veritieri e coraggiosi. Il problema è serio ed esiste, ho l’impressione che l’editoria e il mondo delle librerie, posino le proprie basi su castelli di carta. Vedendo la situazione editoriale mi viene da pensare alle “bolle” speculative dell’economia, quando esploderà, questa bolla, anche i grandi gruppi editoriali e le grandi librerie di catena dovranno confrontarsi con la realtà dei fatti.
    Io rilancio sulla figura del libraio (non il libraio indipendente ma quello che lavora nelle grandi catene), il nostro ruolo, ormai, è assimilabile a quello di qualsiasi commesso. Può sembrare una cosa marginale ma credo invece che la rivalutazione del nostro ruolo sia il principale sintomo del malessere che vive il nostro settore. Si preferisce fare il restyling delle librerie (ormai tutte uguali), si promuove una politica di “uniformità” delle diverse librerie bocciando ogni singola iniziativa, eliminando il valore delle “diversità” e dei territori. E, scusate, ma non raccontiamoci barzellette. Nelle librerie di catena i piccoli editori vengono penalizzati a favore dei grandi gruppi editoriali che detengono il potere, che fanno vincere premi letterari, che creano il best sellers del momento. Cassini ha ragione, sino a quando ci saranno “conflitti di interesse” (non li ha solo Berlusconi ovviamente), sino a quando il “mercato” rimarrà nelle mani di quattro o cinque grandi gruppi non avremò “libertà” di cultura. E, da libraio mi spiace molto dirlo, un crollo di questo sistema malato sarebbe anche auspicabile.

  7. Per esempio, qualcuno dei presenti (che ha più titoli e informazioni di me per farlo), potrebbe raccontare, tanto per far nomi una buona volta, cosa è accaduto recentemente di uno dei pochi distributori ex indipendenti, ovvero PDE?

  8. Valter, un po’ mi secca parlare di PDE in quanto devo parlarne per esperienza diretta. Però spero di essere utile. Io ho pubblicato a dicembre scorso un libro con un editore (che non nomino) distribuito da PDE. L’editore, a quei tempi, me ne parlava abbastanza male lamentandone la pigrizia e la scarsa vena propositiva. Inoltre mi veniva detto che questo distributore non fosse in grado di rifornire librerie e siti in tempi accettabili. caso ha voluto, però, che circa dieci giorni fa mi occorrevano 4 copie del mio libro. sono andato su amazon, ho fatto la richiesta, e dopo 3 giorni avevo i libri. suppongo che sarebbe accaduta la stessa cosa in una qualunque libreria. credo che in queste tempestività e disponibilità PDE c’entri molto… a meno che non mi sbagli.

  9. @valter, se invece la domanda non era sulla qualità del servizio pde ma sulla posizione che occupa pde nella mappa del mercato, ecco qui:
    nel 2008 a pde (distribuitore tradizionalmente dedicato e impegnato in un lavoro egregio su piccoli editori da “accompagnare” al mercato) è accaduto di essere stato acquisita da feltrinelli.
    in questo modo il modello di gruppo editoriale con annessa catena libraria di riferimento (vedi mondadori e gems, gruppo editoriale mauri spagnol, cui fanno capo le catene mel, ubik, ora parazialmente anche giunti, il grossista fastbook e il sito ibs) e con annesso distributore di riferimento (mondadori è anche distributore e gems è legato a messaggerie) ha fatto scuola e feltrinelli, già editore e catena di librerie, è diventato anche distributore. tutti e tre questi soggetti hanno anche una franchising. manca all’appello rcs, che ha case edtrici e distribuzione, ma anni fa vendette le sue librerie a feltrinelli (immagino che in questo momento stiano pensando di colmare la lacuna e rifarsi anhe loro una catena di librerie per pareggiare i conti).

  10. ok: quindi la soluzione e’ aumentare i prezzi (impedendo sconti al di sotto del 15%?). Scusatemi, ma mi sembra una presa per i fondelli. E di quelle grosse.
    Quando un editore italiano (Mondadori) pubblica in tre volumi a 15 euri ciascuno un libro che nell’edizione originale inglese e’ in volume unico a 12 euri (guida intergalattica per autostoppisti), che facciamo? Accettiamo? E quando anche editori come Minimum Fax pubblica libri che di fatto sono tascabili a prezzi che ovunque altrove sono da copertina rigida, che faccciamo? Accettiamo?
    Quando Feltrinelli pubblica il Libro della Lipperini a 17 Euri (mi pare) ed e’ un tascabilone che si SFALDA alla seconda lettura (e io sono uno che i libri li tratta parecchio bene) che facciamo? Accettiamo?
    Io dico di no.
    Vi siete scavati la fossa da soli. E ora cercate solo di scaricare i costi sui consumatori, cercando di bloccare il nuovo “cattivo”, Amazon.
    Non sapete fare il vostro lavoro. Lo avete dimostrato ampiamente. E ora basta.

  11. @Enrico e Marco
    Grazie.
    E’ importante che questo si sappia, perchè una volta tanto si capisca che i mali dell’editoria italiana non derivano tutti dal brontosauro editoriale che fa capo al cattivone di Arcore. E che quelli che ancora qualche decennio fa chiamavamo gli editori “progressisti” sono la menzogna estrema dell’ideologia.
    Quanto al crollo di un sistema perverso come questo, io non sono mai stato un sostenitore del Web come panacea di tutti i mali, ma spero molto nell’effetto “azzeramento” che potrebbe produrre l’affermazione dell’ e-book.

  12. @marco cassini, mi sembra che l’elenco delle anomalie dell’editoria italiana possa continuare all’infinito, affrontare qui l’argomento in modo chiaro e ed educato mi ha in parte chiarito, in parte confuso maggiormente le idee.
    ora ho ben presente la valanga di problemi che ci ha portati a questa situazione ma ciò che non riesco a vedere è la fine del tunnel, in che modo depurare le acque?
    voi addetti del settore che idee avete in proposito? le pongo questa domanda senza accenni polemici, ma con la curiosità di una semplice lettrice. grazie

  13. @ enrico.gregori,
    sulla questione “ma il distributore, visto che ci guadagna il 60%, non dovrebbe spingere tutti i libri?”
    La vedo così: posto che quello che si vuole fare è vendere libri, e che invece di inventare nuove strade si seguono quelle già tracciate, tu avrai una serie di case editrici (grandi, medie, piccole) che più o meno nello stesso momento avranno tra le loro novità, chessò, un libro sulle barche a vela (dico a caso, non voglio fare esempi “reali” perché il discorso è generale) perché qualche mese prima è uscito un best seller sulle barche a vela e quindi “il mercato vuole le barche a vela”. A questo punto, il distributore (o l’agente) che fa? Quale libro spingerà? Quello che “secondo il mercato” ha più probabilità di essere venduto, e cioè solitamente quello di un marchio forte, cioè riconoscibile al lettore medio (scrivendo, mi stava uscendo “utente”).
    Quindi, varie novità sulle barche a vela, ma in libreria arrivano solo le 2 o 3 dei marchi più forti.
    Cosa fa, allora, l’editore medio-piccolo? Pensa: ma allora mi faccio distribuire anch’io da uno “grosso”. Magari all’inizio spunta un contratto vantaggioso, apparentemente. Poi, dopo un anno, o due, si vedrà presentare i conti. Ma vedi… Ma insomma… Sì, hai fatto anche tu una novità sulle barche a vela, però ce l’aveva anche quell’altro editore, che è molto più grande di te. Sai, quell’editore fa parte del gruppo editoriale in cui siamo anche noi. Perché non uniamo le forze? E così, senza accorgersene, si è fagocitati. Ho tagliato con l’accetta e anche accorciato di molto i tempi, mi rendo conto, ma la china è quella…
    Non è solo una questione commerciale o aziendale, ma prima di tutto culturale. Perché nel caso di grandi concentrazioni di marchi editoriali che hanno avuto come obiettivo principale quello di “vendere libri”/”guadagnare”, anche i cataloghi delle case editrici man mano coinvolte è mutato. Basta pensare a Piemme. E avete notato che Bollati Boringhieri ora ha a collana di narrativa?
    Non sto dando giudizi di sorta: sto solo cercando di mettere in fila i vari elementi.
    A mio parere, ma forse ho anche annoiato dicendolo troppo volte :-), se l’editoria non torna alle sue radici, alla sua fondante ragion d’essere; se l’editoria non torna in mano a chi i libri li conosce, li legge, li maneggia, e magari anche li stropiccia, non se ne esce…

  14. come al solito a rimetterci saranno i lettori. Non bastava la “manovra” finanziaria, non bastavano i tagli alla cultura, no, ci voleva pure questo mazzata. In tempi di crisi come questi la vera audacia (da parte di editori intelligenti e che s’impegnano – vedi Cassini) sarebbe stata abbassare i prezzi di tutti i libri di almeno almeno 1 euro sul prezzo di copertina e lasciare invariato tutto il resto. Poi si parla tanto di culltura di massa, no? Di questo passo, invece ormai si parlerà solo di cultura per pochi fortunati, cioè coloro che possono permettersela…

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