Torno su Acciaio, a mio rischio e pericolo. Sembra, infatti, che dire la propria (negativa, nel caso) sul romanzo di Silvia Avallone sia faccenda disdicevole. Già qualche tempo fa, quando mi sono permessa di sottolineare – brevemente – quali fossero a mio parere le manchevolezze del testo e quanto fosse sgradevole l’astuzia con cui è stato confezionato, sono incappata in critiche aperte o sussurrate o raccolte telefonicamente e diffuse via stampa scopo polemica culturale.
Ci torno perchè non mi piace affatto che si punti all’identificazione “Silvia Avallone sta a Piombino come Roberto Saviano sta a Casal di Principe”. Sta avvenendo, è strumentale, è mortificante, è falso. Io non conosco Piombino: ma ho letto il romanzo, e mi respinge profondamente l’idea che si possa frullare ad arte una serie di tematiche “calde” (adolescenza, cubiste, morti bianche, droga, maltrattamenti sulle donne, tramonto delle ideologie, omosessualità) per fare il colpaccio editoriale dell’esordiente che sbanca lo Strega. Ammantato, per di più, dell’aura della letteratura militante.
Ci torno perchè mi piace ancora meno il clima che si sta montando attorno a questa vicenda: si veda quel che è accaduto a una lettrice attenta, la blogger di Contaminazioni, per aver osato esprimere il suo parere. Leggete i commenti, prego, e sappiatemi dire.
Ci torno perchè, come già detto in altro post, spero vivamente che lo Strega sia vinto da Beatrice Masini con Bambini nel bosco. E non per pura provocazione. Ma perchè è un ottimo romanzo che è sicuramente fuori dai giochi della letteratura “adulta”. E’, in una parola, onesto oltre che ben scritto.
Dunque, cari votanti, mettetevi la mano sulla coscienza e pensateci sopra. Grazie.
Ecco, non capisco perché una persona non è libera di esprimere ciò che pensa senza che qualcuno si erga a giudice. Io il libro non l’ho letto e, forse, non lo leggerò perché più un libro è promosso su tutti i canali: giornali, televisioni, e più io non lo leggerò. Sicuramente leggerò Bambini nel bosco.
la stroncatura al libro da parte dell’autrice del blog contaminazione purtroppo non potrà mai essere credibile perchè come dice lei stessa “Beh, mia figlia è nata nel 1988, mio marito era caporeparto in Lucchini (e i miei suoceri vivono nella strada che, secondo alcuni – ma lei nega – ha fornito all’autrice l’ispirazione per la sua “via Stalingrado”, autentica coprotagonista del libro), e io sono prof. Potrei concludere che il libro parla di noi, e doverosamente indignarmi, visto che non mi riconosco né tanto né poco nel ritrattino che esce dalla narrazione.” Mettendoci tutta la buona fede possibile e il più assoluto distacco professionale (perchè stiamo comunque parlando di critica letteraria) la recensione non può essere credibile (e tanto meno oggettiva), diciamocelo francamente.
Già qui, anonimo? Che rapidità.
Punto primo: non tollero in questo blog riferimenti alla persona che gestisce Contaminazioni. Parliamo di contenuti e solo di contenuti, o i commenti verranno cancellati.
Punto secondo. Le mie osservazioni, ugualmente, non riguardano una persona ma un testo. Esattamente come, fra i pochissimi che hanno osato andare controcorrente, ha scritto Marco Belpoliti sull’Espresso.
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/acciaio-troppo-fragile/2123497/9
I contenuti del libro in questione, se vogliamo parlarne, fanni riferimento per forza di cose alla persona che li ha messi per iscritto, stroncandoli. Se poi i contenuti sono soggetti a stati d’animo, riferimenti biografici, somiglianze di non poco conto con la vita dell’autrice del blog diventa molto difficile separare le due cose, anche solo per il semplice fatto che proprio i contenuti del testo stroncato sono stati volutamente (con ironica certo) messi sullo stesso piano col vissuto della persona che gestisce ha scritto quel lungo e appassionato articolo su Acciaio.
E’ come se parlando di rondini bisognasse assolutamente evitare qualsivoglia accostamento alla primavera. La trovo una forzatura. In questo caso sopratutto (proprio per quanto ho scritto nel precedente commento).
Anonimo, è stato un piacere conoscerti.
Ok, è un romanzo adolescenziale. A parte il riferimento all’ attualità, in effetti piuttosto semplificante, stile approfondimento da rubrica televisiva, non vedo cosa ci sia di male in un romanzo -dichiaratamente- costruito come adolescenziale. Mi sembra la vecchia idea di una letteratura alta e pura contro una cultura popolare -i telefilm, i manga- che non deve azzardarsi a mischiarsi colla pagina scritta. Esperimento mentale: se fosse un serial tv anzichè un romanzo, come verrebbe accolto dal pubblico? Alla fine è quello che conta. I personaggi piacciono? Rappresentano qualcuno? Qualcuno, anche fosse un/una quindicenne in tempesta ormonale (i manga sono, nove su dieci, esplicitamente orientati a questo pubblico che infatti li apprezza) vi si riconosce e ci si affeziona? Se sì, per quanto questo possa venire da una forma di furbizia (ma è un male?) allora è un buon romanzo che lavora sugli stereotipi dell’immaginario, se no l’uso di tali stereotipi -ineliminabili- è falso e scadente e il romanzo “suona male”
PS Le fabbriche di Piombino non sono come le descrive l’autrice? E allora? Questa non è Gomorra, non facciamo l’errore di considerarlo un libro-reportage
Marco, siamo d’accordo. E’ un romanzo adolescenziale e va non bene, ma benissimo. E’ un romanzo popolare? Ne siamo felici, visto che da queste parti si amano i romanzi popolari (una ricerchina negli archivi?). E’ un buon romanzo?
Qui ci dividiamo. Perchè, a mio modestissimo avviso, la furbizia fa molto male alla narrazione. La porta, come tu stesso dici, a “suonare male”.
Io ADORO i commentatori che di fronte ad una critica negativa (non mi sentirei di definirla stroncatura, quella di Contaminazioni, è così equilibrata) partono in quarta con il solito mantra da minus habens:
– Chi sei tu per parlarne così male?
– Non è che c’è dell’astio personale?
E poi il mio passaggio preferito. SEMPRE, o quasi sempre, «non ho letto il libro, però…»
Sono fantastici, si qualificano da soli! Ormai il web ne ha fatto una macro-categoria psicanalitica.
La stroncatura non porta con sè contenuti significativi. Le comparazioni con grandissimi testi sono assai sbrigative e superficiali. Sicuramente non è un capolavoro letterario. E’ un libro interessante da leggere, niente di più. Vorrei tanto che il premio Strega andasse ad Antonio Pennacchi per il suo “Canale Mussolini”. Un bellissimo romanzo, dove c’è storia e memoria. Storia di poveri e della loro profonda dignità.
Il premio Strega è un evento mediatico, e chi vi partecipa ne tiene conto.
È giusto? È sbagliato? E in che grado è giusto o sbagliato? Non saprei dire.
Il libro di Silvia Avallone non mi pare quella bomba che il suo editore dichiara: l’editore prova a partecipare alla fiera delle mele con il suo frutto che richiamerà più sguardi. Gli si può rimproverare di essere furbo?
Si può d’altro canto rimproverare all’editore di Pennacchi di credere a metà in un libro (che di sicuro è l’opera più alta di un autore già maturo), perché vigente la regola dell’alternanza, le possibilità di vincre sono pochissime?
Potremmo ragionare così anche per altri titoli.
Anche l’editore di Beatrice Masini, dopotutto, fa una mossa furba, perché un libro così unico riceverà comunque più attenzione (specialmente conoscendo l’attenzione di Tullio De Mauro per la letteratura dell’infanzia) di altri romanzi più convenzionali. Ma è una furbizia più onesta, secondo il mio metro di lettore, perché la qualità del libro per me è palese.
Però – l’idea che il libro di Silvia Avallone sia immaturo, più che brutto o banale o stereotipato, non mi esce dalla testa. E l’editore non fa del bene né all’autore né ai lettori, presentando un libro acerbo come pronto, solo perché tutti si aspettano un caso così. Insomma, una cosa è la furbizia, altra la scorrettezza.
Per fortuna, altra cosa sono i premi, altra cosa è il valore letterario. The show must go on…
però è anche vero che se si tengono i COMMENTI APERTI, una caratteristica primaria dei blog, dei social etc. bisogna anche accettare le critiche a ciò che si scrive e che i commentatori siano astiosi, negativi. non si possono pretendere solo emoticons con lo smile.
Scusate, mi sono perso: ma non doveva vincerlo Sorrentino lo Strega?
Mi trovo in estremo imbarazzo: se dovessi intervenire in questo dibattito dovrei necessariamente leggere il libro della silvia a., ma, come caterina, in genere mi rifiuto di comprare e leggere un libro troppo pubblicizzato, strombazzato e presentato a destra e a sinistra. Non crede, signora Lipperini, che parlarne ancora:
1) La avvilisca e demoralizzi senza costrutto; 2) senza volerlo, Lei pubblicizza gratuitamente “l’idea che si possa frullare ad arte una serie di tematiche “calde” (adolescenza, cubiste, morti bianche, droga, maltrattamenti sulle donne, tramonto delle ideologie, omosessualità) per fare il colpaccio editoriale dell’esordiente“.
Secondo me, ma è un giudizio dovuto solo al fastidio di questi personaggini che spuntano all’improvviso per poi sparire nel nulla, dicevo, secondo me, il comportamento da adottare in questi casi è quello di dire la propria – come ha fatto Lei qualche tempo fa – e poi tapparsi la bocca, legarsi le mani e chiudere gli occhi. Il tempo dedicato a questi personaggini e ai loro sostenitori, mi sembra un tempo sprecato. E poi, signora Lipperini, glielo dico in un orecchio: rischia di sembrare ‘prevenuta’ agli occhi di chi sostiene l’insostenibile.
Io mi sento molto in sintonia con Paolo S. Devo dire, che non sono invogliatissima a leggere il libro. Devo dire anche che tout court ci ho un’allergia di fondo alle etichette. Buoni libri per tutti, cattivi libri per tutti. Il genere fedele a se stesso è una dichiarazione di impotenza.
In ogni caso, quello che mi colpisce è il bisogno di miti che circola: Dio è morto Marx è morto, meno male che il mercato ce inventa n’Avallone all’anno:)
E vorrei anche vedere che non lo vincesse Sorrentino… dopo la sua apparizione in Boris!
Anche a me, come marco v, colpiscono quelli che “non l’ho ancora letto ma dico che”, l’effetto è quello del tifo da stadio, o con Avallone o contro di lei, a priori. Intanto però un primo risultato è già raggiunto: per essere un romanzo senza pretese, fa parlare di sé mezzo mondo e fa accapigliare, scala le classifiche e arriva allo Strega rischiando di vincere (la rincorsa mediatica al vincente “sicuro” Sorrentino è comunque aperta).
Il libro non è un capolavoro ma ha la giusta furbizia per piacere ad un pubblico vasto (ricordiamoci Giordano) e la costruzione dell’autore che si sta facendo attorno ad esso è perfettamente funzionale al risultato che si sta puntando. Le aziende editoriali fanno questo di mestiere…
Credo anche che, ci piaccia o meno, il libro ha una sua onestà: racconta alcuni tipi di povertà (emotiva, politica, sociale, culturale, ecc) che nella nostra società, ben oltre una singola città, sono fortemente radicate e oggi purtroppo maggioritarie.
Noi che vorremmo di più dalla realtà che ci circonda dovremmo finalmente rassegnarci a capirlo perché solo così potremmo dar vita ad un qualche tentativo di cambiamento, ad una ricostruzione del tessuto sociale stesso di cui parliamo.
Nulla di nuovo sotto il sole, nei commentari della blogosfera.
Ciao Loredana, ti scrivo qui perché non so dove altro farlo ^^ La conosci Anna Simone?
Se no, ti prego di leggere questo pezzo che ho scritto su di lei http://periferica.noblogs.org/post/2010/04/28/studio-in-un-ottica-di-genere-ecco-quanto-pu-giovare-a-tutt
Non vuole essere una recensione, ma un invito ad approfondire, rivolto a tutti e tutte nuovi concetti economici attraverso i quali interpretare la realtà.
Grazie, a presto.
Serena.
Io sto leggendo in questi giorni accaio, così come leggerò I cani vanno avanti, così come leggo tutti gli esordienti italiani prima o poi perché da editor me ne sono occupato e me ne occupo e da editore continuo a farne – seppur meno di prima – di esordienti e devo cercare di venderli anche io e quindi ci tengo a capire quali sono le tendenze. E la mia impressione è che questa caccia all’esordiente forsennata si renda necessaria laddove mancano argomenti e storie e il mercato oggi ci vende storie più che scrittori, contenuti più che talento, argomenti più che idee.
Era unscito un libro di un esordiente svedese qualche anno fa, per Iborborea, che aveva fatto discutere solo perché il nome evocava Buzz Aldrin. Titolo era se non erro Che fine hai fatto Buzz Aldrin. Non so quanto abbia venduto ma se ne parlò per via di un paio di buone recensioni e si osannò il talento del giovane scrittore che aveva riesumato il numero 2 più trascurato della storia. Gli ingranaggi, il sistema, l’impossibilità di realizzarsi. Tutto perfetto. Best seller. Peccato che dopo dieci pagine ti addormenti.
Ecco il punto: sempre meno si sa scrivere.
Tutto ciò è propiziato anche dalla talentshowizzazione che pervade questi anni di brutalizzazione. Tu arrivi dal nulla e boom, diventi qualcuno. Basta che sei presentabile, pseudoincazzato e arrembante. Se hai un minimo di migonna meglio. Come ad Amici, accade in letteratura: oggi tutto si può pretendere, non si accettano più le critiche e si deve sbancare il piatto per forza sennò nel giro di qualche mese sei finito. L’investitura ufficiale di qualche major ti trasforma in un semidio. Gli investimenti scongiurano il rischio del flop, questo lo sappiamo. E se la storia è un minimo incazzata e contiene qualche spunto sociale…
Tu leggi Paolo Giordano e leggi Silvia Avallone e sono entrambi bravissimi, ma sono storie, niente più stilemi ma scritture tutte quante identiche. L’unica cosa che conta è avere un tema esplosivo. E’ quella che nel manualetto che ho scritto con Stefano Costa abbiamo chiamato editroia creativa. Non c’è alcuna novità. E questo a tutti i livelli perché il venditore che va dal libraio a proporre le novità deve proporre materiale immediato e incendiario, immediatamente fruibile, forte a livello di contenuti perché dello stile chissenefrega.
Questo rende la letteratura sempre più business da intrattenimento, tanto che sempre più spesso il cinema impartisce più lezioni di quanto non lo faccia la letteratura, che ha perso il suo ritmo a scapito, appunto, di una eccessiva furbastreria.
Poi vedere tutta questa cronaca ossessiva, tutti ‘sti premi corrotti dal marketing e dalla tombola degli amici della domenica… boh… mi fa un po’ ribrezzo.
Io ho smesso di supplicare e mendicare recensioni a destra e a manca proprio perché tanto non frega niente a nessuno di quello che fa un piccolo editore: è un gioco di poteri più grandi e più forti di noi, di me quando di mezzo ci sono i quattrini di potenze editoriali e lobby…
Quindi non mi cruccio più delle ingiustizie da tombolotto della sera.
Mi dispiace purtroppo constatare che l’Italia degli esordienti belli e dannati e di successo propone a tanti giovani scrittori che potrebbero davvero emergere dei modelli alquanto sbagliati del tipo che basta avere una bella storia e tutte le porte ti sono aperte. E invece scrivere è e deve essere un calvario maturato nella lentezza e nella solitudine, senza il frastuono di telecamere, televisioni e ribalte mediatiche se si vuole veramente che serva a qualcosa. La scrittura di pura denuncia è fine a se stessa che non lascia intravedere uno spiraglio, una visione, una proposta, un lume.
Stesso dicasi degli editori. I poveri scemi che come me fanno (o facevano) questo mestiere si riducono sul lastrico si rovinano la vita e rischiano di naufragare assieme ai loro sogni da frustrati impotenti. Salvatevi finché potete. Non aprite case editrici. Chiudete quelle che avete.
Se tornassi indietro farei il pizzaiolo, che mi piace e mi da più soddisfazioni.
Detto questo – nel merito – finirò il libro ma per ora concordo con Loredana Lipperini. La sensazione è quella che l’immaturità, la furbastreria, premiano e premiano bene. Ammantarsi nella scrittura combattente è sicuramente premiante e all’oggi a la page.
Ma in un paese dove la politica non esiste più e le rivoluzioni si fanno ormai a colpi di telecomando e dove l’editore di progetto è Vasco Rossi votiamoci tutti quanti all’ippica.
Ho ventitrè anni. Da anni leggo romanzi adolescelenziali e devo dire che questo è meglio di altri. Non posso però che dar ragione a Loredana Lipperini, quando afferma che in questo romanzo c’è un’accozzaglia di luoghi comuni. Leggendolo ho pensato questo: che i personaggi fossero un po’ forzati (soprattutto i genitori) così come la storia d’amore lesbica; ad esempio Enrico, il padre di Francesca, è a mio avviso un personaggio ‘incompiuto’, e anche sua moglie Rosa lo è.
E se la banalità o un certo tipo di squallore non fossero il difetto ma il vero protagonista del libro? Se così fosse, l’autrice avrebbe ottenuto un risultato non da poco
Comunque Pedrazzi ha ragione: la scrittura ha perso la centralità della funzione poetica privilegiando il “cosa” si scrive rispetto al “come” lo si scrive. Un grande scrittore dovrebbe saper essere tale anche al di la del riferimento all’attualità. Ma bisogna considerare l’ipotesi che qui ci sia comunque una poetica, per quanto intossicata, che nel caso specifico dell’ Avallone è quella dello sguardo dal buco della serratura, paradossalmente molto funzionale al tema della miseria umana e sentimentale prima che socioeconomica. In ogni caso queste sono solo prime impressioni, devo continuare a leggere il libro. Un’altra cosa: in effetti non ha torto chi dice che le acciaierie sono solo uno sfondo
@Pedrazzi: “Editroia” è un refuso o un nuovo conio? ^__^
Nuovo conio: rivendico. Ovviamente riferito al mercato. A questo tipo di mercato.
Sulla questione “venditore che va dal libraio a proporre materiale immediato e incendiario” c’è poco da dire che non si sappia. Vorrei rassicurare Pedrazzi che un po’ di passione e sensibilità personale sui libri ancora ce la giochiamo, noi venditori. Non tutti (molti anzi sono coperti ed allineati – e convinti), ma qualcuno ancora porta sul lavoro alcune idee, del tutto personali e, va da sé, minoritarie. Però è un piccolo successo quando in una libreria riusciamo a far passare un libro bello ma sconosciuto e il libraio ne vende “qualche” copia perché se n’è innamorato!
Perché poi la lettura coinvolge tutti e, personalmente, da lettore vorace, sarei devastato se sul mercato da domani trovassi solo tanti Giordani, Avalloni, Brown ecc.
Continuiamo però a lavorare, e ad urlare le nostre ragioni, perché questo non accada.
il libro è molto banale e condivido al 100% la recensione di belpoliti. è abbastanza orrendo per farne un film orrendo (allo scopo, diritti già acquistati da tempo). per biondillo: ma si! lo strega lo doveva vincere sorrentino, ma anche la avallone….e pennacchi no? :))
@desian ma guarda ce ne fossero di venditori come te. Io confido molto nel vostro ruolo, sono stato anche io venditore, scuola Seat e ultimamente, costretto da varie vicissitudini, ho ripreso in mano la valigetta e mi occupo tuttora più di direzione commerciale per l’azienda che ha salvato – bontà sua – il mio marchio vicino al tracrollo riportandolo in quota, che di altro. Quindi ti capisco appieno. Sono anch’io un commerciale e lo resto e credo esista un’etica anche in un mestiere così competitivo e difficile.
Il vostro ruolo è il più delicato della filiera, ma allo stesso tempo il più difficile e il successo di un libro passa, prima di tutto da voi e dalle vostre capacità. Il mio rammarico di questi mesi, la molla che ha sciuramente contriuito all’elaborazione di queste mie riflessioni, deriva anche dalla constatazione che senza una rete vendita adeguata alle spalle, che sposi un progetto e trasmetta entusiasmo al libraio e faccia capire a chi si raffrionta con cliente finale il valore di un libro, perché il libro è un bene molto particolare vero? Molti successi editoriali meritati non si sarebbero avuti senza venditori all’altezza. E tutto ciò è sicuramente una storia di passioni e di sacrifici.
Però sono anche incazzato nero con chi vi sta dietro, perché l’Italia è piena di editori di grandissimo valore, da Transeuropa a Pedquod a Fernandel e via dicendo che in questi anni il mercato e società promozionali gestite da squali, ha penalizzato moltissimo.
Una copia, forse due sugli scaffali in un sistema fatto da librerie editoriali e quindi in primis tuoi concorrenti, è il massimo che puoi raggiungere pur avendo autori validi e capolavori tra le mani. Aggregazioni, gruppi, alleanze finalizzate a vendere i librettini di barzellette e i manualetti per la serie intrattenimento tipo Wii fit, piuttosto che qualcosa che somigli alla letteratura.
Boh, non so, mi sembra un sistema vano e iniquo se premia certi editoracci da instant book rispetto a chi con dedizione, pazienza, abnormi privazioni fa un catalogo di ricerca.
”Acciaio” è un libro commerciale, e come quasi tutti i libri commerciali, è banale. È astutamente provocante, volgare nello stile e nel tono. La scrittrice sembra più interessata a narrare i tumulti sessuali di adolescenti smarriti, piuttosto che a confezionare il ”romanzo neorealista della classe operia perduta”. La fabbrica e la fauna umana che attorno vi gravita, non restano altro che spunti per scrivere un best seller scandaloso, mascherato però da romanzo di denuncia sociale. ”Acciaio”, purtroppo, è la prova vivente della decadenza delle case editrici che ormai si comportano come aziende commerciali alla mercè dei gusti contraddittori e superficiali della massa. Ma quello che sconforta di più è che si cerchi di contrabbandare questa narrativa millantatrice per letteratura italiana o coraggiosa denuncia sociale.
@Amleto: guarda proprio oggi – anzi, dieci minuti fa – ho avuto uno scambio via mail con uno dei “capi” della commercializzazione di libri in Italia. Scambio cortesissimo tra l’altro e molto cordiale, ma dove le ragioni del mercato sono assolutamente imprescindibili e non procrastinabili se girano i milioni. Leggendo molti commenti per il web, allora però mi chiedo, se il mercato lo fanno i lettori e se la maggioranza di questi lettori o quantomeno i “lettori forti” quelli che davvero comprano più di un libro l’anno, sono tutti concordi nel dire che questo mercato è uno schifo e che premia libri del cavolo anziché chi se lo merita, perché le case editrici continuano a perseguire le solite bieche politiche commerciali?
Un editore non è un imprenditore qualunque, perché i libri non sono un bene qualunque e qui più che in altri settori non si deve mai banalizzare il loro ruolo che è un ruolo che si deve raffrontare non solo coi fatturati ma anche con una parvenza di “etica”.
Come mia madre che è diabetica e continua a mangiare dolci perché è troppo golosa. Ormai siamo ad un punto di non ritorno forse?
O bisognerebbe propiziare una mano sulla coscienza da parte di tutti quanti?
Dimenticavo una chiosa. Nel suddetto dialogo la persona in questione dice: “complimenti per il coraggio che avete nel fare narrativa italiana”. E io mi sono chiesto cosa ci sia di mano. In altri paesi del mondo ed è forse la differenza tra paesi civili e il nostro, c’è un forte senso di “appartenenza” che fa sì che i talenti indigeni siano favoriti piuttosto che ostacolati, premiati dal mercato piuttosto che derisi…
E io continuo a pensare che impastare sapientemente lievito e farina sia molto meglio.
Pennacchi = 19 Avallone