UNO SGUARDO NELLA NICCHIA

Scrive Gl D’Andrea che il fantastico italiano versa in un orrendo status quo. Di certo, vive una stagione complessa. Perchè da una parte viene considerato il salva-bilanci delle case editrici, dall’altra viene – almeno molto spesso – frainteso. Chiacchierando con un illustre psicologo che sa molto di letteratura, qualche giorno fa, gli ponevo proprio un quesito simile: perchè il fantastico viene considerato affare per bambini, nel nostro paese? Il caso della trilogia di Wunderkind, dello stesso D’Andrea, è illuminante:  è fantastico inequivocabilmente adulto, ma viene distribuito come libro per dodicenni. Al punto che alcuni lettori, come la ragazza di  questo blog, si chiedono sbigottiti: “Che qualcuno mi spiegasse che DIAVOLO CI FACEVA QUEST’ARMA nel reparto LETTERATURA PER L’INFANZIA?”
Poi ci sono le case editrici colte che cominciano a intuire che il fantastico è altra cosa: e che, diamine, ci sono stati illustrissimi scrittori italiani del passato che si sono dedicati al medesimo, per non parlare di chi continua a farlo sfuggendo alle etichette (Tullio Avoledo, per fare un nome italiano, Saramago e Murakami per farne due non nostrani). Ma la sensazione è che, fin qui, pensino ad un fantastico che non si dichiara come tale, pena la svalutazione letteraria.
Poi, ancora, ci sono i singolari comportamenti di chi fa informazione in rete sul fantastico, la fa in modo approssimativo e assume comportamenti che lasciano sbigottiti. Per esempio , il presidente della Delos Book, chiamato in causa da D’Andrea per l’informazione errata data su Fantasy Magazine sul suo romanzo (una scheda riferita al primo volume della trilogia invece che al secondo, e un brano del libro modificato), reagisce sul blog del medesimo con queste parole: “
da oggi nessun sito Delos Books parlerà mai più dei tuoi libri”, suscitando la sacrosanta reazione di un cultore attento del genere come Elvezio Sciallis (leggete qui i commenti).
Ricapitolando: da una parte il fantastico non trova ancora la giusta credibilità fuori dalle proprie nicchie, mentre all’interno delle nicchie medesime si ragiona molto spesso in termini superficiali. Dunque? Non condivido l’aggettivo orrendo usato da D’Andrea: di certo, mi sembra che se si vuole lavorare su questo terreno così come, anni fa, è stato fatto con il giallo o il noir, bisogna imparare (tutti: critici, giornalisti web e quant’altro) a conoscere, amare e studiare davvero il genere e i suoi testi. Accadrà? Forse, dal momento che alcuni editori-scrittori-operatori si stanno muovendo in questa direzione. Accadrà presto? No. Non credo proprio.

76 pensieri su “UNO SGUARDO NELLA NICCHIA

  1. @skeight: ok, ma non parlavi di impatto mediatico, parlavi di autori 🙂
    L’obiezione che si può fare, invece, è che a fronte di una produzione massiccia il fumetto fantastico italiano difficilmente ha prodotto un immaginario autonomo, una sua qualche cifra, senza appoggiarsi al cinema, alla letteratura o ad altri fumetti. Una delle poche cose che mi vengono in mente che abbia uno spiccato tratto di personalità è “La rivolta dei Racchi” di Buzzelli.

  2. Da scrittrice del fantastico, posso dire solo quello che ho constatato nei miei molti anni di militanza.
    Serpeggia sempre una certa tensione, un nervosismo nell’ambiente, che si tramanda in qualche caso da generazioni di scrittori, lettori, critici, club e fan con relative fanzine (oggi blog). E che ha alimentato nel tempo polemiche divenute leggenda.
    Che paradossalmente, con l’improvvisa visibilita’ del fantasy giudicato troppo commerciale, e con l’avvento della rete e la velocita’ di comunicazione, e’ ulteriormente peggiorato, rimestando obiezioni anche legittime, ma rinfocolate a volte da personaggi tutt’altro che spassionati.
    Potete riassumerlo nei concetti di Vikkor “siamo quattro gatti e ci scanniamo” o in quello di Licia “gli autori non si parlano a sufficienza, mancano lo spirito di corpo e la circolazione delle idee”.
    Per me quello e’ il nocciolo della questione.
    Comunque che vi siano cosi’ tanti commenti, anche interessanti, e’ buon segnale.
    E’ chiaro che l’argomento interessa e appassiona. Bisognerebbe trovare una ricetta per guarire da certe “febbri” che minano la salute di un genere a volte gia’ debole di suo.

  3. “Ma come si permette?” – ah, la gioia di sentirsi dire una frase del genere… Non vedo l’ora che arrivi un bel ‘lei non sa chi sono io!’…
    Prendiamo di nuovo Tullio Avoledo, un nome abbastanza rispettato (è anche uno dei miei scrittori preferiti). Avoledo scrive fantascienza, sic et simpliciter. E’ pubblicato da Einaudi. Fosse nato un po’ prima avrebbe pubblicato su Galassia (insieme a Malaguti, Rambelli, Curtoni e Prosperi – un parterre de rois, indubbiamente) o per la Nord o per la vecchia Fanucci – saremmo stati tutti più contenti, immagino? Sia nei libri che nelle interviste lui parla diffusamente della fantascienza che ha segnato la sua gioventù, non la nasconde mica sotto il tappeto. Ma che dovrebbe fare, proclamarla di più? Trascinarsi dietro un codazzo di mediocri autori di ‘genere’ che da soli non ce la fanno per colpa, dicono, dei critici retrivi e degli editori ignoranti? E lui come ce l’ha fatta? Oh, magari sarà un raccomandato…
    Il fatto è che Avoledo è uno scrittore di fantascienza che non si sente in dovere di imitare i trucchi invecchiati della Golden Age of Science Fiction o mettere su un universo mitico che ci ricordi Tolkien o Gainman ma con sufficienti dettagli diversi per evitare accuse di plagio. Insomma, Avoledo si occupa del nostro tempo e del nostro mondo come scrittore e basta e non come scrittore di genere che deve occupare una nicchia di mercato. E vende pure.
    Nello scrittore fantastico medio (non solo italiano) il mondo non è illuminato da una luce aliena o magica o ultraterrena ma nascosto dal riverbero dei fari oppure reso liscio e brillante dal photoshop. Il volenteroso tentativo di narrare il reale attraverso le convenzioni del genere ha di solito l’effetto di nascondere il reale sotto le convenzioni e con esso l’eventuale personalità di chi scrive.
    p.s. Insieme ad Avoledo si dovrebbe citare il più bel romanzo fantastico italiano degli ultimi anni, Verderame, di Michele Mari, un’altro che non si fa problemi di ‘genere’.

  4. “Nello scrittore fantastico medio (non solo italiano) il mondo non è illuminato da una luce aliena o magica o ultraterrena ma nascosto dal riverbero dei fari oppure reso liscio e brillante dal photoshop. Il volenteroso tentativo di narrare il reale attraverso le convenzioni del genere ha di solito l’effetto di nascondere il reale sotto le convenzioni e con esso l’eventuale personalità di chi scrive.”
    Quanti e quali autori di fantastico medio italiano e non, ha letto, signor Sascha?

  5. Oh, uno dei miei giochini retorici preferiti:
    ‘Ho letto A e penso che…’
    ‘Ma non hai letto B. Come puoi pensare di parlare di A se non hai letto B?’
    Passa del tempo.
    ‘Ok, ho letto anche B’
    ‘Ora devi leggere anche C, D, E, F, G, H e tutti gli altri fino alla Z e la letteratura critica e le interviste agli autori e i cazzeggi online e allora, se avrai dato le risposte giuste potremmo prenderci il disturbo di dirti che hai torto, come sapevamo fin dall’inizio. Sottinteso che noi possiamo disprezzare all’ingrosso la letteratura ‘realista’ semplicemente giudicando l’accento e i vestiti degli scrittori che vanno a Che Tempo Che Fa’.

  6. Bah, Signor Sascha, mi spiace deluderla ma non mi divertono molto questi giochini.
    Dato che troppo spesso nel blog di Loredana e altrove vedo ridurre ai minimi termini il fantastico italiano e non, nasce spontanea la domanda se l’interlocutore conosca tale genere o l’affermazione sia frutto di pressappochismo. Non è cattiva fede, ripeto, solo una domanda lecita.
    Anche perché i buoni e cattivi libri sono presenti in modo trasversale in letteratura. Che sia fantastico, mainstream, giallo, thriller, italiano o straniero.
    Invece il luogo comune continua a imporre uno stereotipo al fantastico, specie quello italiano, che forse era vero cinque anni fa ma che non lo è più adesso. Il “parco” e i generi degli autori del fantastico italiano non sono più quelli del 2005.
    Quindi, come sempre, informiamoci meglio prima di rifugiarsi nei soliti cliché.

  7. Una domanda: ma perché vi fa così schifo la letteratura realistica?
    Un’altra domanda: Perché, all’interno del genere “fantastico”, vi scannate per decidere cosa/chi è più “fantastico” di qualcos’altro?
    E infine: sarà mica voglia di (auto)ghettizzazione?
    …sorry…

  8. Signor Sasha, la prego, non ho scritto “come si permette” bensì “mi permette di sentirmi offesa?”. E i suoi toni sarcastici non si addicono ad una discussione seria come questa. Siamo tutti mediocri? Possibile. Esistono mediocri scrittori e commentatori ancor più mediocri, perchè terribilmente infarciti di pregiudizi: photoshop, reality, che tempo che fa sono tutte cose che non hanno nulla a che vedere nè con il mio mondo nè con il mondo degli autori che conosco e leggo.
    Ps. Desian, e chi ha mai sostenuto questo, prego?

  9. x Paolo S.: è vero abbiam dimenticato Fulci e Bava, ma io non credo se li filassero granché i “maestri” che ho avuto. Anzi, te lo do per quasi certo.
    Calvino sì, ma Calvino è un po’ la tana libera tutti (molto più di Buzzati).
    x il Commentarium: aldilà del numero di pubblicazioni e di riviste e di case editrici (in Italia – basti solo pensare al web – si produce una mole enorme di materiale “fantastico”), il punto secondo me resta quello originario. Ossia si avverte tra gli addetti ai lavori (autori, editori, critici, e saggisti) come un continuo “fischio al naso” da parte di molti quando si tira fuori una storia “fantastica”.
    L’essere relegato alla “nicchia”. Come se il “fantastico” per quanti numeri a tanti zeri possa raggiungere solo un pubblico specializzato. E questo in tutto. Dai rolegames ai videogames.
    Se ti proponi come autore di fantastico hai sempre la sensazione di partire svantaggiato.
    E questo proprio perché – come è stato evidenziato – il macrogenere del fantastico è collegato automaticamente al prodotto per l’infanzia.
    Come se l'”Orlando Furioso” fosse un poema da leggere ai bebè.
    Il discorso per me non è tanto se pubblichi per Urania o Einaudi.
    Ma: scrivo un racconto fantastico. Perché non lo posso spedire ad un concorso letterario, sapendo che sarà snobbato, e devo per forza di cose spedirlo al concorso letterario sul fantasy?
    E questo anche per il Cinema, è identico.
    *
    Diciamo che senz’altro possiamo migliorare. E credo che le intenzioni del topic fossero soprattutto queste. Capire come.

  10. Ekerot, ti voglio bene.
    Poi. Perfettamente d’accordo, in tutto, con le questioni sollevate da Wu Ming 4: credo che su queste occorra confrontarci per evitare, perdonate, l’effetto-Sascha. Che, temo, è la spia di quanto sia ancora lungo il lavoro da fare.

  11. Mi rendo conto che la discussione è andata avanti, e ormai non ha più molto senso rispondere, comunque
    @Paolo S.: non sono d’accordo. Questo è proprio quello che viene rimproverato al genere: l’essere autoreferenziale. E infatti lo stereotipo del fruitore di narrativa fantastica è quello di un sociopatico che non legge altro e se gli metti in mano Proust sbadiglia. Non è così, non sempre, e anche far capire una cosa del genere fa parte processo di sdoganamento del fantastico. Non scrivo fantasy perché nella mia personali classifica Ovidio ha 10 e Manzoni 1 (che poi a me Manzoni piace un sacco, confesso), ma perché la mia sensibilità di autore mi permette di esprimermi meglio tramite questo genere. Per altro questa è una cosa vera qui e ora, non escludo che un domani, in altre condizioni esistenziali, mi senta più a mio agio nell’horror, o nella fantascienza, o nel mainstream.

  12. Dire che il fantastico ha importanza, in Italia, perché in edicola si vedono parecchie pubblicazioni di genere è una provocazione o una stupidaggine. il problema non si risolve a quanti fumetti o romanzi posso comprarmi: il problema è che da noi non c’è una riflessione sul genere. Non c’è mai stata perché il fantastico è sempre stato considerato solo letteratura di intrattenimento. Non si spiegherebbe la presenza di un romanzo politico e maturo come “Strega” di Maguire tra la letteratura per ragazzi (o addirittura per l’infanzia). O il già citato GL. Il problema è che questo genere viene ghettizzato – come giustamente osservato negli interventi prima – in fasce d’età sempre più circoscritte.
    Sascha ha ragione riguardo a una mancanza di fantasia in molti autori fantastici, ma questo non c’entra nulla col discorso. E non c’entrano nemmeno casi isolati come Avoledo. In altri paesi si trovano alternative a un linguaggio fantastico consolidato, qui dobbiamo ancora conquistarci le basi.
    E questa colpa è da attribuirsi sia a immaginari stantii sia a editori che li supportano.
    Cominciamo a riscoprire Buzzati senza vergognarci di dire che è stato un caposaldo del fantastico. Cominciamo a riscoprire Calvino dicendo la stessa cosa. Finché glisseremo e faremo colpettini di tosse, riguardo a questo argomento, su due dei bastioni della letteratura italiana, vorrà dire che il fantastico da noi resta una questione irrisolta.

  13. (Intervento lungo, mi scuso, spezzerò per facilità di lettura)
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    Sulla faccenda particolare che ha innescato questa discussione non dirò molto altro perché ritengo di aver rubato anche troppo spazio a GL sul suo blog nel corso di questi tre giorni.
    Mi pare di aver tentato di ragionare con calma, suggerendo il modo che a me (per passate esperienze) pareva il migliore per rimediare, mi è stato fatto notare da Sosio che tale metodo non è il loro, ritengo lecitissimo che ognuno continui a usare i metodi che fino a questo punto sono sembrati migliori.
    I lettori, oltre a dare ascolto alle parti coinvolte, possono andare a ripercorrere i vari interventi da lunedì a giovedì, sul blog di GL, con tanto di orario, per meglio comprendere da soli la realtà, senza filtri e interpretazioni di altri.
    Per canto mio, se anche un autore mi intimasse a viva voce di non dare notizia di sue future pubblicazioni in campo fantastico, maledicendo mia madre e provando a querelarmi, ne scriverei comunque, in quanto il mio dovere non è verso il singolo scrittore bensì verso la scena tutta, verso i lettori citati da Lipperini a inizio commenti.
    Ma, ripeto, questo è il mio metodo e non può certo avere qualche valore universale: va bene per me che ritengo i lettori capaci di vagliare e ragionare sulle notizie che fornisco loro.
    E ovviamente quando mi trasformo in “lettore” tendo a privilegiare le testate che seguono questa pratica.
    Per quanto riguarda il resto, ho sempre trovato spiazzante e anomala questa continua rincorsa al venir riconosciuti da certo tipo di Critica (pur amando buona parte degli scritti che provengono da una certa fetta dell’Accademia, sia chiaro, pur leggendo parecchio “horror” non riesco a prescindere da un James Wood, tanto per intenderci) o di pubblico e considerazione mainstream ma, ancor di più, non trovo che sia poi così dannoso come si pensa il tanto vituperato fattore “guerra fra poveri”.
    Ovvero, comprendo (e ritengo vere) le affermazioni di Vikkor “siamo quattro gatti e ci scanniamo” o quelle di Licia “gli autori non si parlano a sufficienza, mancano lo spirito di corpo e la circolazione delle idee” ma le ritengo anche sfruttabili come punto di partenza per qualche tipo di evoluzione, per qualche sviluppo finalmente diverso.

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    Lo “scannarsi” fra quattro gatti rimane per me (ovviamente se condotto in termini di critica anche feroce ma costruttiva e soprattutto motivata, e non come chissà quale vendetta o faida personale, cosa che purtroppo raramente avviene) pratica sanissima, indice di vitalità e fermento e opzione sempre e comunque preferibile all’altra linea di condotta operante, ovvero quella che vede molti siti appiattiti a livello di mera camera d’eco per comunicati stampa e veline delle CE e che prevede, dopo la (giusta) notizia data in tono neutro, recensioni che di solito constano per metà lunghezza di una sinossi e per l’altra metà di appunti generici e ben poco stimolanti dal punto di vista critico.
    Problema che, sia chiaro, è ancora più presente nei siti che si occupano di cinema.
    Ben venga allora lo scannarsi fra quattro gatti: magari in mezzo alla zuffa (che dovrebbe però avere regole di cortesia e cavalleria, a mio modo di vedere) nascono anche critiche meno appiattite e avvilenti.
    Ritengo che proprio da questo “scannarsi” (e chiedo scusa a Viktor per l’abuso della sua immagine) possa innescarsi anche la “circolazione d’idee” auspicata da Licia, circolazione che, a mio modo di vedere, è mancata fino a questo punto anche per un certo pacifismo e buonismo di fondo che.
    Il “va tutto bene,m siamo tutti bravi” disinnesca e neutralizza qualsiasi altra potenziale discussione.
    La visione di un mondo (di critica accademica, di pubblico, di addetti ai lavori) mainstream che non considera il bimbo fantasy degno di sedere con gli adulti e lo manda a mangiare alla tavola dei fanciulli, per quanto frustrante, è anche rassicurante e genera sensazioni di nicchia e carboneria che riverberano la realtà, generando loop infiniti e frastuono quando il chitarrista è già sceso dal palco da parecchio tempo e noi ancora lì a urlare bravo, bis.
    Autorizza, questa visione, a dar la colpa agli altri quando sappiamo benissimo che tale colpa è da cercarsi ovunque e non solo all’esterno.
    Né mi pace granché il sentir chiamare sempre in causa i vari Calvino, Buzzati, Avoledo e su su fino a Dante, mi puzza di chiamare il fratello maggiore per picchiare quel cattivo compagno di banco, bisognerebbe trovare sufficiente difesa del genere negli autori totalmente dentro al genere ora e che rivendicano con fierezza l’appartenenza al genere ora (se proprio un discorso di genere si vuol fare, cosa che già a me piace poco, la vera battaglia sarebbe nel non usare più tabelle merceologiche imposte da altri, ma temo sia battaglia persa da decenni).

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    Spetta (e, ahimè, anche io temo tempi lunghi se non infiniti) in sostanza a noi spezzare questo loop, perché non credo che a nessun altro interessi farlo.
    E a mio modo di vedere lo si deve fare anche (soprattutto) puntando il dito (ognuno come può e con il suo stile, è ovvio che poi ci sia chi gioca di fioretto e chi di clava) prima di tutto contro le varie magagne che vediamo allo specchio, altrimenti a darsi le pacche fra scrittori, operatori di settore, critici, editor, fan e lettori, tutti dicendo quanto siamo bravi e sfigati che il mondo reale non ci capisce e non ci vuole,beh, temo che si faccia davvero poca strada.
    E non è facile farlo in questo clima, dove appena critichi, motivando, scattano le solite accuse di invidia o la solita inquisizione sul tuo curriculum, senza mai restare sul pezzo, sempre pronti a deviare. Clima che per ora mi ha spinto, da ormai parecchi mesi, a rinunciare a recensire romanzi italiani, ma spero di poter tornare su questa mia decisione perché mi piacerebbe operare in clima più sereno.
    E no, non è in disaccordo con il mio privilegiare la “zuffa” di cui sopra, che vedo come ben altra cosa rispetto all’aggressione alla persona.
    Non abbiamo in Italia, per ora, dei Bloom, dei Wood, dei (x critico alto/accademico di vostra preferenza, fate voi) del fantastico che, con mezzi in parte diversi e in parte uguali a quelli dei citati, sappiano operare sul genere in modo serio e profondo, producendo analisi e pensiero degno di nota.
    O meglio, quando questi spuntano sono fenomeni episodici, fugaci, funzionali a loro circostanze e fini (legittimi, ovvio) che di solito non corrispondono a una più generale e continua riflessione sul fantastico.
    In USA invece figure di questo tipo ci sono e hanno voce autorevole: nessuno si sognerebbe di criticare l’autorità, la cultura, la consapevolezza di un S. T. Joshi, tanto per fare un nome.
    E non abbiamo nemmeno quello strano ibrido, utile e peculiare, dello scrittore che opera anche a livello di critico/saggista mentre in USA questa figura, di nuovo, abbonda (Ligotti, King, Leiber solo per citarne tre).
    Così come ovviamente mancano gli spazi (cartacei ed elettronici) adatti a ospitare questi livelli più maturi e quando qualcosa accade spesso arriva la politica a inquinare il quadro in maniera vergognosa.
    Uno degli esempi eclatanti può essere Tolkien, un altro ancora più determinante in quanto è presente un terzo polo è quello di Lovecraft che ce lo strattoniamo a destra e manca da non so quanti anni e intanto non ci accorgiamo di avere un grandissimo studioso di questo autore in Guarriello e i suoi Studi Lovecraftiani che, come spesso accade, qui da noi è poco considerato ma all’estero è ovviamente menzionato dallo stesso Joshi.
    A me pare che, più che mancanza di circolazione di idee, manchi la produzione stessa di queste idee, e in questo come in tante altre cose non è possibile evoluzione senza autocritica: siamo, a mio avviso, più colpevoli noi (critici, addetti, recensori, saggisti, giornalisti) che gli scrittori stessi che, bene o male, fanno quel che devono, ovvero sfornare materiale sul quale poi discutere e riflettere con adeguato livello di preparazione.
    Da quelle discussioni, assorbite dagli autori che ne abbiano voglia (abbiamo presente qui in commenti i Wu Ming che, piacciano o meno, non si sono mai sottratti a un estenuante lavoro di confronto, lavoro che penso abbia comunque giovato e abbia innescato in loro idee e riflessioni e produzioni che altrimenti non avrebbero potuto esserci), il livello di produzione narrativa potrebbe innalzarsi dal unto di vista della qualità.
    Siamo noi (critici, addetti, redattori, opinionisti, whatever) che ormai concepiamo sempre più la recensione così come ho descritto sopra, siamo noi che non vogliamo “farci nemici” perché non si sa mai nel futuro, siamo noi che preferiamo un generico rimasticare e copia incollare idee di dominio pubblico perché è più facile e veloce, siamo noi che preferiamo ragionare sempre e solo su 4 o 5 nomi di autori sui quali c’è ormai sovrabbondanza di esegesi, comoda rete di sicurezza, invece che tentare di esplorare del territorio vergine e far conoscere autori, siamo noi che pensiamo che criticare duramente equivalga a “voler distruggere la scena” o “avere manie da primadonna”, siamo noi che in tre secondi ci troviamo a alzare i toni e perdere la bussola del discorso.
    E siamo noi, sia chiaro, vuol dire anche “sono io”.
    Come al solito si inizia allo specchio e io per primo ne ho di macchioline da cancellare, hai voglia, ma se non si inizia quelle non fanno altro che ingrandirsi, da mesi mi sono trovato a prestare maggiore attenzione a orni termine, a ogni tono, a ogni risposta, proprio per non facilitare il compito ai provocatori che comunque ci saranno sempre ma da me non otterranno più appigli facili.
    Trovo già gran cosa questa discussione, così come altri episodi sparsi per il web in questi giorni, ma come al solito si corre il rischio, fra una settimana, di aver già dimenticato il tutto.
    Sarebbe (sarà, perché così accadrà) un peccato.

  16. senza scordarsi delle metamorfosi di Apuleio ricordiamo pure che lo “scrivere oscuro” di Buzzati e manganelli spesso trasmodava in luminosi squarci di puro fantasy(draghi compresi)

  17. LOL Sascha versare acqua in mare? perlomeno stavolta ti sei sforzato un pò ed hai sostituito Kubin con Calvino
    Cosa pensa, che chi legge o scrive di demoni e alabarde non legga altro?
    Sì, ed è capace di intervenire a gamba tesa in discussioni in cui si parla di tutt’altro e ripeterlo in almeno tre lingue, più o meno sempre con le stesse frasi.

  18. Elvezio, sono d’accordo in linea di massima con te… sulla questione Buzzati/Calvino/Avoledo/Miocuggino specifico però che non li si chiama per avere il fratello grosso. Li si chiama un po’ per sfatare il mito che la nostra letteratura è estranea al fantastico (so che è una gran minchionata ma, al tempo stesso, è una minchionata diffusa) e per dire che esistono tanti modelli di fantastico, tante cose che possono offrire spunti e che magari non sono stati ancora riscoperti.

  19. Era interessante questa discussione, più per come si è sviluppata che per le sue premesse.
    Ma poi è arrivato Elvezio e tutti zitti.
    Che è?
    Possibile che non abbiate nulla da ribadire a quanto scrive Sciallis?
    Tutti d’accordo o tutti improvvisamente timidi et timorosi?
    Dai, fatemi sognare…

  20. Mah, guarda Iguana Jo — io sarei ancora più drastico di Elvezio e direi che manca quasi del tutto la categoria degli accademici-critici letterari (non solo quelli che ‘ci’ servirebbero per sdoganare il fantastico)… ma non ho le spalle per imbarcarmi in una spettrografia storico-letteraria della critica o in una panoramica di ecologia accademica, nemmeno incompleta.
    Per il resto lui chiama in causa gli scrittori, e non appartenendo io alla categoria sono inadatto a ribattere in merito… Altro è dire ‘ma io faccio come Calvino!’, altro è dire ‘Calvino è uno bravo, che faceva proprio così!’
    Idem — a me come lettore, che gli autori si scannino tra loro o che facciano comunella mi importa poco. Mi importa che scrivano cose valide da leggere…

  21. No, Iguana, non penso proprio sia a causa mia, è per motivi, come dire, puramente fisiologici, cronologici: discussioni come questa fioriscono e avvizziscono nel giro di pochi giorni, suscitando al massimo qualche clamore al momento ma nessun effetto a medio e lungo termine.
    Vorrei però precisare ben prima e ben più degli scrittori io ho chiamato in causa proprio critici e addetti vari che, sono d’accordo con Paolo, latitano…

  22. Beh… Paolo S, non è che fosse obbligatorio dare un seguito alle parole di Elvezio. Mi pareva però che il suo intervento offrisse parecchi spunti interessanti per la discussione. E mi sarebbe piaciuto leggere l’opinione di qualche addetto ai lavori e/o critico al riguardo.
    Ok, Elvezio, lo capisco. Solo mi dispiaceva vedere il tuo massiccio contributo alla discussione andare perso senza alcuna riflessione al seguito.

  23. No, Iguana, non penso proprio sia a causa mia,
    Ma anche si. Cosa si può aggiungere, se già hai detto tutto? 😉
    Faccio un paio di appunti:
    su bisogno di riconoscimento da parte di pubblico/critica/mainstream:
    ogni lettore ha il diritto alla propria opinione, per quanto balzana essa possa sembrare; se c’è qualcuno che, poniamo, dice che Asimov scrive meglio di Proust (che è cosa diversa dal dire Asimov a me piace perché, invece Proust non piace perché bla bla) lo può dire, poi ognuno giudicherà in base al proprio gusto ed esperienza personale quanto fidarsi di certe opinioni. Ma non è di questo, nonostante le caricature di Sascha, che si parla.
    Ho letto recentemente un intervista in cui un autrice menzionava il fatto che il suo primo libro è stato pubblicato come “literary novel” negli Stati Uniti, supernatural fantasy in Gran Bretagna e crime/noir da qualche altra parte. Conosco scrittori che pubblicano con discreta facilità sia in prestigiose riviste letterarie che in riviste di genere.
    E’ possibile che la critica si accorga di loro se e solo se percorrono i canali giusti?
    Mi va bene una critica specifica interna “al genere”, ma compito della critica tout court non dovrebbe essere quello di osservare senza pregiudizi il panorama editoriale a 360 gradi e avvicinare lettori a opere che potrebbero interessarli? Io mi oriento leggendo blog e riviste online di vario genere (in tutti i sensi) in inglese e mi è capitato di trovare recensori letterari/mainstream cui , poniamo, piace Angela Carter, impazzire per Kelly Link e chiedersi “perché nessuno me ne aveva mai parlato prima?”.
    Oppure amanti di Cheever e Barthelme scoprire le storie di Thomas Disch, o recensioni entusiastiche di chi pensava che il fantastico e l’horror fossero solo roba per bambini e poi si è imbattuto per caso in MJ Harrison, Ligotti o Evenson.
    Genere significa varie cose in momenti diversi: categoria di marketing (spesso non scelta), modalità espressiva, indicazione di massima su diverse combinazioni di argomenti, storie e stili, insieme di possibili influenze a volte anche in conflitto fra loro o che si escludono mutualmente, e così via.
    Se un critico come Cortellessa, peraltro simpatico,disponibile al confronto, etc. dice fantastico=commerciale=puro intrattenimento=inutile a parte Calvino, Landolfi, Buzzati ma loro si perché bla bla bla… permettimi, non mi sembra ci sia da applaudire l’acuta analisi.
    Sui padri nobili:
    gran parte degli autori -di qualsiasi genere- leggono di tutto.
    Un certo modo di rivolgersi agli autori italiani dando per scontato che siano semianalfabeti che per natura non possono aver letto Dante o Calvino mi sembra parecchio offensivo.
    Certo, non è che letture, citazioni o grandi discorsi siano garanzia di qualità superiore: ricordo Giovanni Dall’Orto, secondo cui gli autori italiani si riconoscono da passaggi come “Su quel ramo della Galassia Centrale che volge a Ponente, fra due catene non interrotte di quasars” e da lunghe digressioni sul Senso Ultimo della Vita che citano Kant, Heidegger, Nietzsche per arrivare a morali da Bacio Perugina.
    bisognerebbe trovare sufficiente difesa del genere negli autori totalmente dentro al genere ora e che rivendicano con fierezza l’appartenenza al genere ora
    Come dice Cristiano Brignola: esistono tanti modelli di fantastico, tante cose che possono offrire spunti e che magari non sono stati ancora riscoperti.
    Quando Sascha riparte col ritornello di quella volta che fece leggere L’Altra Parte a un lettore fantasy e l’infelice, schifato preferì l’ignoranza, non si rende conto che Kubin è stato citato come influenza da China Mieville e Jeff Vandermeer, e altri, pur non avendolo forse letto, hanno espresso visioni simili: Jeffrey Ford/The Well-Built City, MJH – Viriconium.
    A chi piacciono Buzzati, Landolfi, Calvino potrebbe (dovrebbe) piacere questo (in English, sorry):
    http://htmlgiant.com/sunday-service/brendan-connell-poem/
    o questo:
    http://ambientehotel.wordpress.com/2010/03/02/some-fiction/
    mentre a chi piacciono solo Gemmell o Goodkind (diononvoglia) li troverà noiosi e/o incomprensibili e/o pretenziosi.
    “Rivendicare con fierezza l’appartenenza al genere” non significa nulla.
    Goodkind (!) crede di scrivere Letteratura (!) non fantasy, che è roba da bambini (!). Alcuni autori cambiano volta in volta temi e stile ma sono sempre percepiti in base alle loro opere più famose (Bradbury ha scritto esattamente 1 romanzo di fantascienza) o a dove e con chi pubblicano.
    Altri “rivendicano l’appartenenza al genere” anche quando, a tutti gli effetti, ormai scrivono cose che non ne fanno parte.

  24. Sulla situazione italiana sinceramente non saprei cosa dire.
    Ho iniziato a leggere in lingua originale abbastanza presto, e avendo avuto esperienze poco soddisfacenti colla produzione autoctona è chiaro che il “siamo tutti bravi” non mi invoglia molto a ritentare la fortuna. Non è che i femomeni di reazioni spropositate o attacchi personali di fronte a critiche negative siano del tutto assenti nella scena inglese o americana, ma lì la scena è più stratificata e puoi sintonizzarti su blog/fanzine/recensori che più o meno riflettono i tuoi gusti, o magari analizzano un opera in maniera seria ed oggettiva, in modo da farti capire se ti può piacere o meno indipendentemente dal giudizio positivo o negativo.
    Ai fan di Robert Jordan non importa molto se il tal recensore pensa che leggere la WoT sia un supplizio atroce, perché ha un mucchio di blog e zines heroic fantasy in cui scrivono persone che hanno gli stessi gusti. Di tanto in tanto qualcuno arriva googlando su una recensione negativa e lancia insulti, ma è raro.
    Un post recente – con lunga serie di commenti – che dimostra che anche altrove non è tutto rose e fiori:
    http://everythingisnice.wordpress.com/2010/04/22/caps-lock-rage/
    Estraggo un passaggio dal commento di Paul Kincaid per chi non avesse voglia di leggersi tutto:
    “When I read any reviewer’s work over a period of time I expect to encounter joy and hatred, books that occasion reflection and books that are superficial. If I don’t encounter such a variety of response, I earn not to trust the reviewer.
    But of course the trick of the matter is not whether the reviewer loves or hates a book, but why. The whole point of a review is not to say: X is great or Y is terrible. Such a review is pointless, because there is actually no way of reading it that would extract value. The review has to say, X is great because …, Y is terrible because … And that is what allows us to read the review, because that gives us some groundwork for understanding the reviewer’s approach to the novel. I should, as a matter of course, be able to read a review that says this book sucks, and know that I will love the novel; similarly I should be able to read a review that says everyone must read this book, and know that I shouldn’t go anywhere near it.”

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