CONTENUTI EXTRA: DENNIS COOPER

Tornano i contenuti extra. Sul quotidiano di oggi c’è un’intervista
della sottoscritta a Dennis Cooper (qui il sito, qui il blog, che merita una
visita, qui il booktrailer di God jr). Come spesso avviene, il materiale a
disposizione era molto di più (anche l’intervista a Chiara Palazzolo, su Il
Venerdì di oggi, era più lunga: lo vedrete nei prossimi giorni). Dunque:
sotto trovate il testo uscito su Repubblica.Le parti in grassetto sono quelle inedite.

Così, a cinquantatre anni,
Dennis Cooper diventa buono. Quasi. Cooper, che passa per il più maledetto
degli scrittori americani, è quello di Frisk, Idoli, Tutti gli amici di
George
. Quello che sgomentò la comunità omosessuale e parecchia critica con
romanzi a base di stupri, sadismo, droghe, necrofilia, brutalità minorili di
svariata caratura. E quello che ha
benedetto il talento di JT Leroy , fra le altre cose.
 Ora, avviene che il nuovo romanzo, God jr (in uscita
presso Fazi, pagg. 128, euro 12,50, traduzione di Adelaide Cioni), non presenti
altra violenza se non quella, lievissima peraltro, dell’orso di un videogioco.
Ad impugnare il joystick per manovrarlo c’è Jim, che finge di essere rimasto
paralizzato dopo aver causato la morte del figlio Tommy in un incidente
stradale, e la cui esistenza ruota attorno all’uso ininterrotto di spinelli e
alla costruzione di un singolare monumento in giardino, tratto da un disegno
del ragazzo. Solo che il disegno, si scopre, raffigura il particolare di un
videogame: e Jim decide di diventare Tommy, e al tempo stesso Dio, all’interno
del gioco medesimo, lasciando che il
resto (il lavoro, la moglie Bette) semplicemente si dissolva.

God jr sembra essere molto diverso dai suoi libri precedenti. 

Apparentemente sì, ma i temi di
fondo sono gli stessi. Molte delle idee che si muovevano dietro le quinte dei
miei primi romanzi – la perdita, il ricordo, l’interazione tra il piano
metafisico e quello reale, i rapporti familiari – in questo diventano
protagoniste. Dal punto di vista formale, penso sia complesso quanto gli altri,
anche se ho cercato di limitare gli aspetti sperimentali: questa volta ci
tenevo a fare un romanzo più accessibile. Negli Stati Uniti, infatti, God Jr ha avvicinato alla mia scrittura
persone che prima erano restie a farlo, e molti critici si sono sentiti
moralmente più giustificati a parlarne bene. Ma per certi versi, è un’evoluzione naturale della mia opera: sono ancora attratto dal sesso e dalla violenza,
ma ho anche tanti altri interessi. In più c’è una motivazione strettamente
personale: sono molto affezionato a mio nipote, che ha appena compiuto tredici
anni e che ovviamente non poteva leggere i miei libri precedenti. Così ne ho
scritto uno che potesse leggere anche lui.

Una volta
lei ha detto: “ho cercato di creare un mondo senza Dio”. In God Jr sembra
possibile trovare Dio all’interno di un videogioco?

No.
Penso che il mondo virtuale offra solamente una via nuova e più spettacolare
per elaborare un discorso metafisico che combina una serie di sistemi
preesistenti –relazioni sentimentali, l’esplorazione di fantasie sessuali, la
fruizione di varie forme d’arte – in
una specie di super-sistema in cui la mancanza di specificità e di libero
arbitrio offre l’illusione di una conoscenza illimitata. Ma alla fine è solo
arte. Una fresca, nuova forma di intrattenimento che cerca di simulare al
meglio l’effetto delle droghe senza costringere chi ne fa uso a rinunciare al
controllo sulla propria immaginazione. Dio è solamente un’idea superlativa. Le
emozioni dipendono ancora totalmente dall’interazione tra esseri umani.

Più volte lei ha parlato
dei suoi romanzi come “di un’unica ossessione”. Ora, insieme a God Jr, ha
pubblicato The Sluts. Qual è il rapporto fra i due romanzi e, eventualmente, ha
in mente un nuovo ciclo narrativo?

I libri non hanno nessuna
relazione diretta se non quella di nascere entrambi dalla mia immaginazione. God Jr è il più recente dei due. Ho
cominciato The Sluts a metà degli
anni novanta e ho continuato a tornarci su per dieci anni, di conseguenza ha un
legame più forte con le mie opere precedenti di God Jr. Inizialmente delle versioni iniziali di The Sluts dovevano entrare nel ciclo di
George Miles ma alla fine le ho scartate per vari motivi. Certamente hanno degli elementi
in comune perché i miei interessi sono sempre quelli e perché mi piace usare la
mia arte per esplorare delle aree che non state elaborate a fondo dagli altri
scrittori e che penso meritino maggiore attenzione. Ma non fanno parte di un
nuovo ciclo. Ho concepito il ciclo di George Miles quando avevo quindici anni e
l’intero processo di svilupparlo nella mia testa e poi scriverlo è stato lungo,
difficile e complicato e non mi ci vedo a ripeterlo. Ho cominciato a scrivere
proprio per quei libri e ora che quel periodo è concluso mi sto guardando
dentro per scoprire cos’altro c’è che mi affascini e che abbia un potenziale
degno di meritarsi un libro.

Ho una vecchia questione su cui chiederle chiarezza: il
suo rapporto con Burroughs. E’ stato o no importante per la sua scrittura?

Se intende il mio rapporto diretto
con Burroughs, non c’è mai stato. L’ho incontrato una
volta,
molto brevemente, e ci siamo fatti i complimenti a vicenda. Non ho mai
considerato la mia opera particolarmente vicina alla sua. Ho amato e amo ancora la sua produzione che va dal Pasto
nudo
a Ragazzi selvaggi.
Ovviamente ho letto i suoi libri con grande passione quando ero giovane, ma
non ho mai aspirato a scrivere come
lui. Spesso la gente paragona la mia opera alla sua ma per quanto questo mi
lusinghi, non penso che i miei libri abbiano molto in comune con i suoi, una
volta superate le tematiche che ci accomunano: sesso, droga, violenza ecc. La
sua è un’opera prettamente americana, nelle sue influenze noir e pulp e nel suo
fascino per le armi e il Vecchio West. D’altro canto, penso che i miei libri
siano americani solo perché lo impone la mia biografia. Burroughs mi
affascinava più come personaggio: era uno scrittore americano che esplorava
tematiche non dissimili da quelle di cui volevo scrivere io e che era riuscito
a guadagnarsi il successo del pubblico e il rispetto della critica. Questo mi
ha dato speranza e coraggio. Ma quando ho cominciato a leggere Burroughs da
adolescente, ero già follemente innamorato della letteratura francese e questo
era già il modello a cui mi ispiravo. Gli autori che mi hanno più influenzato
da giovane sono stati il Marchese de Sade e Rimbaud, che ho scoperto entrambi a
quindici anni. Per anni ho letto tutto quello che veniva dalla Francia, e
adoravo quasi tutto quello che leggevo, ma loro due erano i miei idoli quando
ho deciso di dedicarmi alla scrittura, e penso che il loro impatto su quello
che scrivo sia abbastanza ovvio. In seguito gli autori che mi hanno più
influenzato sono stati gli scrittori del nouveau
roman
, in particolare Robbe-Grillet e Robert Pinget e poi Bataille e
Maurice Blanchot. Ma l’artista che forse mi ha influenzato di più in assoluto è
il cineasta francese Robert Bresson.

Proprio i
videogames vengono spesso citati da lei come fonte d’ispirazione: insieme
a porno, musica, fumetti. E’ ancora
così?

Senz’altro. Tutte queste cose
mi hanno aiutato molto a trascendere le categorie tradizionali del romanzo: ora
cerco idee, strategie, stili e strutture nuovi negli altri media più che nei
libri. Il porno ha avuto una forte influenza su di me sin da piccolo: mi
affascinavano gli espedienti con cui i registi glorificavano il rapporto
sessuale e creavano l’illusione che ogni atto fosse distinto e originale,
perché gli ingredienti dei film porno sono quasi sempre gli stessi, così come
la loro capacità di catturare l’attenzione dello spettatore senza l’ausilio
della trama, di una narrazione tradizionale o di personaggi elaborati. I
videogame, il porno e il rock hanno in comune l’obiettivo di emozionare e di
procurare piacere a chi ne fruisce: se non ce la fanno, sono un fallimento. Gli
artisti che lavorano in quei campi fanno di tutto per raggiungere questo
obiettivo e questo è alla base di molte sperimentazioni. Dovrebbe essere così
anche in letteratura, ma oggi la
maggior parte degli scrittori risponde soltanto alle aspettative del lettore
nella maniera più colta possibile.

Domanda prevedibile, temo: il caso JT Leroy. Da lei
scoperto, e oggi dichiarato inesistente: o meglio, mero pseudonimo della
signora Laura Albert.

Prima
di tutto vorrei fare una considerazione non personale. Penso che il motivo per
cui la demolizione del mito di JT Leroy ha avuto un tale seguito negli Stati
Uniti abbia molto a che fare col contesto in cui è venuto fuori. Gli Stati
Uniti, oggi, sono un paese in cui il presidente mente di continuo e
impunemente, senza nessun rispetto per i cittadini: anche se molti americani
sanno di essere ingannati, non c’è nulla che possiamo fare. Dobbiamo convivere
con lui fino alle prossime elezioni. È una situazione incredibilmente
frustrante e deprimente. Il fattore catalizzante dello smascheramento di Laura
Albert sta nel fatto che in questo caso è stato possibile scoprire la verità e
sbugiardare chi ci ha mentito. Negli Stati Uniti, al momento, questa è una cosa
che dà una grande soddisfazione, anche a chi non ha mai sentito parlare di JT
prima che scoppiasse il caso. Da un punto di vista personale, l’ho detto sul
mio blog, mi sono sentito come Geppetto in un orrendo universo parallelo. Otto
mesi fa ho realizzato per la prima volta che uno scrittore che avevo scoperto,
incoraggiato, aiutato e promosso e che consideravo un mio amico, tanto che
parlavo con lui quasi tutti i giorni al telefono, non esisteva. È stato un vero
shock. Quando poi, è uscito fuori che Laura si è basata sui personaggi dei miei
libri per il costruire JT, mi sono sentito responsabile. E lusingato allo
stesso tempo. Ma sono molto arrabbiato con la Albert. Posso capire che qualcuno
possa trovare divertente il modo in cui ha ingannato un mucchio di celebrità.
Ma per ogni star beffata, ci sono centinaia di persone impotenti, spesso
giovani e piene di problemi, che vedevano in JT un eroe. Non è una situazione
alla Robin Hood. È solamente un esempio di quella sete di fama e di denaro che
ha creato personaggi come Paris Hilton. Laura Albert ha applicato le pratiche
dei dirigenti d’azienda corrotti al mondo della controcultura. E per quanto
riguarda i libri, è difficile giudicarli separatamente dalla biografia di JT.
Penso mi ci vorrà un po’ per leggerli con distacco.

Può raccontare cos’è il CD “Dennis”?

Circa due anni fa mi fu chiesto
di partecipare a un progetto dove io avrei fornito un mio pezzo originale e una
serie di musicisti avrebbero creato delle canzoni ispirate a quel pezzo o alla
mia opera in generale. Così in poche parole è nato "Dennis". E’
composto da un libro che contiene una mia novella inedita dal titolo The Ash Gray Proclamation – una sorta di
commedia nera post-11 settembre i cui protagonisti sono un ragazzo di tredici
anni che farebbe di tutto per morire di un’overdose di eroina, un agente di Al
Qaeda che finge di essere un medium ed in realtà è un cannibale e ogni pedofilo
gay d’America – e da un CD che contiene le canzoni di vari artisti: Robert
Pollard, Xiu Xiu, Richard Hell, Pig Destroyer, Stephen Prina, New Wet Kojak,
Pita e altri. Ovviamente il progetto mi lusinga molto ed è venuto fuori un
ottimo CD. E poi vi partecipa il mio eroe musicale, Robert Pollard (dei Guided by Voices), e questo non ha
prezzo.

Infine: cosa significa per lei
avere un blog?

Considero
il blog il mio attuale progetto artistico. Ci metto dentro tutto quello che ho, esattamente come nei miei romanzi,
e mi dedico ad esso nel modo più serio e avventuroso possibile. Solo che quando
scrivo un libro, mi isolo del tutto finché non è concluso. In questo caso,
invece, interagisco con i lettori più a fondo che alle letture o agli incontri
pubblici. Il blog spesso mi porta via ore intere della mia giornata: ma poiché
è praticamente “il mio nuovo romanzo”, non ci faccio caso.

4 pensieri su “CONTENUTI EXTRA: DENNIS COOPER

  1. Grande.
    È sempre stato un grande, sia come giornalista, sia come scrittore.
    Indimenticabile la sua intervista a Keanu Reeves, dove ha creato il mito del bello, dannato e gay. Perfetta la sua passeggiata all’interno degli studi dei giovani artisti all’UCLA e le riflessioni sullo stato dell’arte contemporanea in America.
    Loredana, dimmi solo che non lo hai incontrato personalmente…

  2. a me questo piace.
    Dico, lei ha in mano una deadly weapon (non conosco l’inglese), e così dovrebbe usarla sempre, io credo, rivelando scritture invisibili (e ce ne sono di altro tipo, immagino e so)

  3. Herr Effe, questa è la via che preferisco anch’io: ci si prova, a percorrerla 🙂
    Ale: grande, sì. Putroppo ci siamo scambiati solo e-mail. Ma il medesimo è a Roma il 22 e 23 marzo.

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