Accadono cose divertenti e che mi danno da pensare nella lunga convalescenza.
Per esempio: il 2 novembre Roberto Calasso si reca da Fabio Fazio. E fin qui, niente di strano: il Signore di Cadmo e di Ka va a presentare il suo ultimo libro, La folie Baudelaire, dove si parla, anche, di pittori. E, anche, di Manet. E, anche, della sua storia d’amore con Berthe Morisot. Che la sottoscritta ben conosce, avendo letto il romanzo di Brunella Schisa, La donna in nero, pluripremiato peraltro.
Cosa afferma di bello Calasso in televisione? Che ha faticato molto a ricostruire la vicenda sentimentale dei due “perchè nessuno ne aveva scritto” fino a questo momento. Distrazione, certo.
Salvo poi scoprire che nella calassesca ricostruzione Berhe e Manet si incontrano al Louvre: lei sta copiando un quadro di Paolo Veronese, lui uno di Tiziano.
Pare proprio che, biografie di Berthe alla mano, lei stesse copiando tutt’altro (L’arrivo di Maria de’ Medici a Marsiglia di Rubens).
La convalescenza rende pignoli: cosa sarà mai scambiare un Veronese con un Rubens, per un autore che ha dedicato così tanto tempo alla ricostruzione di una vicenda mai narrata fino a questo momento?
Per la cronaca: sto leggendo . Ah, il già citato Francesco Piccolo. Poi vi dico.
Lippa,
evviva la pignoleria… 😉
amo questa donna!
Guarda cara che se un intellettuale di spicchio come Calasso dice che Rubens è Veronese, Rubens diventa immantinentemente Veronese, perché questo è il senso di essere un intellettuale di spicchio.
Uh ma quarched’uno ha appurato su come il Calasso ottiene le sue informazioni?
Io comunque ci ho n’allergia di fondo per i romanzi delle vite artistiche. Il perchè ci devo pensare perchè mi ci fai pensare ora te. So solo che se mi dici “Citati” mi vengono tutte bolle.
Loredana,
sono curiosa ci conoscere il tuo parere sul libro di Piccolo. A me è piaciuto, molto. E l’ho pure votato come libro del mese a fahre.
Strano, sì. Bisognerebbe appurare quali siano le fonti che sono alla base sia delle biografie su Berthe che della ricostruzione di Calasso. O chiedere a Calasso direttamente, perché no?
Il romanzo della Schisa per me è qualcosa di più di una semplice biografia artistica. La “pignoleria”, inoltre, sembra essere una qualità proverbiale degli editors Adelphi: forse il “capo” ne è esente.
“Io comunque ci ho n’allergia di fondo per i romanzi delle vite artistiche.” perché nei romanzi delle vite artistiche in stile Citati, la vita artistica è un fondale su cui proiettare le proprie idee che quasi mai sono buone, perché vengono coltivate sotto una campana di vetro, separate dal corpo a corpo della ricerca artistica e anche dal corpo a corpo della vita, così per un lettore esigente queste biografie risultano noiosi, inutili, supponenti.
braverrimo andrea barbieri! proprio proprio il mio pensiero.
Veramente a me è venuta voglia di leggerlo, per la prima volta in vita mia desidero leggere un libro di Calasso.
Al di là del lapsus storico che non è così grave detto a braccio in televisione, l’idea che in Baudelaire stia la modernità e la storia della copertina con il nudo “audace” di Ingres, sono cose che toccano due degli artisti che amo di più, inoltre mi sembra che non sia stata presentata come una biografia “alla Citati”, ma come un percorso che tocca anche con invenzione, perchè no, certe figure della storia recente.
Calasso non è simpatico, è però l’unico editore italiano che abbia pubblicato cose impublicabili da un editore italiano, almeno ai suoi tempi, nel catalogo adelphi si trova una valanga di furbizia, d’accordo, ma anche moltissime opere che una certa cultura ha sempre sottovalutato a torto quando non censurato.
Odio il Calasso mitologico, ma credo proprio che questo Calasso moderno lo leggerò.
La pignoleria, quando diverte come in questo caso, rallegra l’animo e punta l’indice su una inezia facendola passare per un errore imperdonabile. Ho letto il libro di Calasso, così come i cinque precedenti di quella che lui chiama modestamente la sua opera in corso. Le domande che mi pongo dunque sono diverse. La Folie Baudelaire mi è piaciuto molto. La parte centrale sul sogno nel bordello-museo mi dà i brividi. L’amore tra Manet e Berthe (che prende poche pagine) mi ha convinto meno. Quello che mi interessa è capire come Calasso è passato dai miti greci e vedici, a Kafka, alla pittura di Tiepolo e adesso a Parigi, questa Parigi così strana, che sembra avvolta in una calda e invischiante rete, erotica e mentale.
Eh sì, il mio peccato si chiama Adelphi. Non ci dormo la notte.
Ho aperto un blog sull’Adelphi come libro unico, come “unico serpente di pagine”. Pubblico qualsiasi intervento in merito, anche quello degli scettici.
http://nuovaricerca.blogspot.com
Bruno C.
No aspettate: a me colpisce molto più il fatto che si sia sostenuto che nessuno ha mai scritto su Manet e Berthe, quando da oltre un anno è in circolazione un libro che, ripeto, oltretutto ha ricevuto non pochi premi letterari.
Beh Loredana, ma fa parte della stessa strafalcioneria. Io non conosco il libro famoso di cui parli, e mantengo una diffidenza di fondo perchè il compromesso tra ricerca e romanzo implica sacrifici che mi preoccupano, come ha detto bene andrea barbieri. Ma ecco è proprio da questo genere che mi aspetto questi svarioni. Perchè lo permette perchè il fare letteratura è un alibi che annacqua la ricerca scientifica. Poi diciamo che sull’uomo hai ragione tu.
Ma so antica, e il pensiero di uno che scrive di tante cose nella convinzione di farlo con profondità mi fa pensare a una profondità standard – che alla fine codifico come superficialità. (Una superficialità tipica dell’intelligenzia italiana, che alle volte ni ci basta un certo talento pontificatorio, una discretina cultura di fondo – aver letto mezzo Hegel, un quarto di Poliziano eh certo certo l’ascesa e la caduta dell’impero romano, Pirenne e e altri belli classici ed ecco qui. lo specialista del tutto.
Mah.
Calasso mi è sempre sembrato un po’ trombone…e Fazio si rende troppo spesso zerbino…
Bentornata, comunque!
“[ Calasso] l’unico editore italiano che abbia pubblicato cose impublicabili da un editore italiano”
No. L’editore che ha fatto questo si chiamava Giulio Bollati.
Ci riprovo: forse si è trattato di un disguido e non di una censura (e perchè, poi?)…
Avevo espresso perplessità per la descrizione di zauberei, nella quale descrizione sembra venire fatto rientrare anche Calasso, ovvero quella sulla “discretina cultura di fondo”: mi sembra che nutrire dubbi sulla cultura discretina di Calasso sia sovrapporre alla realtà i gusti personali. Di nuovo poi sono tornata sull’opportunità di porre il quesito a Calasso medesimo, così si potrà sapere se davvero ha commesso un errore nel parlare di Veronese anziché di Rubens o se non abbia piuttosto operato una scelta basata su fonti diverse dalle più note (ipotizzo eh).
E terminavo con il dubbio che su Calasso, circa il quale mi sembra si stia dando rilievo a piccolezze (rispetto alla sua grandezza), possa gravare il peso di appartenere alla cosiddetta “cultura alta”… Insomma anche chi frequenta l’alta tradizione può fallare, siam pur sempre umani…
Mah, comunque il romanzo della Schisa, ancorchè filologicamente corretto è – almeno per me – piuttosto bruttino. Calasso forse è un po’imbalsamato… come la sua scrittura.
Ti dirò, Lippa: di gaffe ne faccio anch’io, e non di rado: però sono sempre disposto a scusarmi e a riconoscerlo. Mi sembra più grave far finta di niente una volta che qualcuno ha scoperto la disattenzione.
Giulio Bollati faceva l’editore ma non L’imprenditore, insomma non rischiava un cazzo, Calasso ha costruito una casa editrice di dimensioni considerevoli vendendo libri.
Mi dispiace essere così prosaico, quando si hanno le spalle coperte è più facile fare i puri, ma credo che adelphi abbia allargato, nel bene e nel male, gli orizzonti della cultura italiana ben più di Bollati, io che di libri ne ho, non credo di avere che uno o due Bollati Boringhieri, mentre gli Adelphi non li conto.
Mi secca in fondo difendere un personaggio che mi sta sulle scatole, Bollati era umanamente molto al di sopra di Calasso, ma diverso è il lavoro e il segno lasciato, questo va sempre riconosciuto.
‘Alta tradizione’ ‘alta cultura’ in senso geografico perché Calasso è impallinato con la mitteleuropa (mentre ‘bassa tradizione’ ‘bassa cultura’ sarebbero quelle prodotte sotto l’equatore)?
Beh, Andrea, io ho usato le virgolette per l’espressione “alta cultura”, virgolette che un senso l’hanno eh: si può anche ricorrere alla geografia per interpretarle o fare finta di non capirle, nessuno lo vieta. Tuttavia il tuo intervento, in qualche modo, mi conferma il dubbio che su Calasso gravi ‘sto peso di essere troppo esponente della “prima tradizione umanistica”, per dirla adesso con Giunta, lasciando da parte un’espressione consolidata e facilmente decodificabile come “alta cultura”.
Aggiungo che “espressione consolidata e facilmente decodificabile” non significa automaticamente “condivisibile”. Mi sembra un’aggiunta anche superflua, ma forse no.
Anita, non so cos’è ‘l’alta cultura’ non so nemmeno cos’è la ‘prima tradizione umanista’. Sono ignorante.
Però nella mia ignoranza e immediatezza se mi chiedono cos’è un editore, per me un editore è chi dà la parola ai contemporanei, e prima di tutto a chi scrive nella sua lingua.
Perché?
Perché la tradizione è un ponte, è ‘consegnare’ qui, oggi. Diceva Munari che gli autori devono ‘innovare la tradizione’ proprio per rendere questa idea del filo conduttore, e insieme del movimento e della trasformazione. Tutto questo in italia non l’ha fatto Calasso, altrimenti avrebbe in catalogo Lucarelli WuMing Moresco Mozzi Evangelisti Genna Celati Voltolini eccetera. Degli autori influenti del suo tempo e nel suo paese Calasso è riuscito a non pubblicarne nemmeno uno!
Allora non è il custode della ‘prima tradizione umanista’, è il custode della spalla di un ponte appena iniziato.
X Pandiani
Ho commentato la frase “[Calasso] l’unico editore italiano che abbia pubblicato cose impublicabili da un editore italiano” dicendo che questo l’ha fatto Bollati mentre non l’ha fatto Calasso.
Un ‘editore italiano’ pubblica libri italiani. Un libro impubblicabile è un libro rischioso (per la critica e per le vendite) che apre una via.
Faccio alcuni esempi: ‘Una intuizione metropolitana’ (Voltolini), ‘Codice’ (Giorgi), ‘Clandestinità’ (Moresco) li ha pubblicati Bollati non Adelphi. Calasso libri così, pur avedo le spalle coperte dal grande fatturato, non ne ha mai pubblicati.
La frase non verteva su chi è grande imprenditore e chi no. Se l’argomento era quello, avrei scritto che esistono collane di grandi editori da un lato generaliste e dall’altro con un piccolo margine di ‘innovazione’ che riescono a volte a pubblicare libri che non rientrano nei canoni del mercato, per esempio ‘Gomorra’ o ‘Sappiano le mie parole di sangue’. Alcuni poi si trasformano in successi editoriali.
Anch’io sto leggendo Calasso, e solo gli dèi sanno a quali dosi omeopatiche procedo. Quindi, ne ho lette solo una cinquantina di pagine, e non ho la cultura necessaria per capire quale sia il livello di correttezza scientifica. Premesso questo, io non ho mai pensato che il libro in questione fosse un libro su Baudelaire, ma un libro su Calasso che sicuramente ama Baudelaire e si perde dietro il filo (contorto ma interessante) delle sue passioni. Compresa la sua passione per la propria scrittura. Ecco, diciamo che mi sto godendo il suo piacevole punto di vista. Poi, magari, se avessi necessità di una lettura scientifica sui personaggi citati, cercherei altrove. Ma adesso non chiedetemi dove, perché non ho studiato.
Caro Andrea, io parlavo di quando le edizioni adelphi erano bollate come “cultura di destra”, di quando fare certe scelte editoriali significava andare contro una cultura dominante ideologizzata, certo che se parliamo degli anni recenti, lui è relativamente un editore avendo venduto la casa editrice, e il nuovo padrone considera che il campo d’azione di adelphi sia limitato alla mitteleuropa o poco più in la.
Poi non so se gli autori che hai citato centrino con quella linea editoriale.
Secondariamente credo che fosse necessario in italia un editore che pubblicasse una letteratura straniera che non si riducesse a pochi nomi importanti ma mostrasse come la letteratura abbia anche una dimensione diversa, e, in italia, fino ad allora, sconosciuta.
Si possono usare tante parole per ridimensionare la figura di Calasso, manierista, narcisista… vanno tutte bene, ma credo che gli scrittori italiani di cui parli, Andrea, se guardano i loro scaffali, troveranno parecchi adelphi cui debbono molto.
Un amico che lo incontrò mi raccontò questo aneddoto, Federico Zeri, facendogli i complimenti per il suo lavoro, gli disse con un po’ di sprezzo; c’è una sola cosa che non posso perdonarle Calasso, …tutte quelle donnnnette che leggono adelphi..
Calasso replicò; Caro Zeri, quelle lettrici sono il sale della vita.
Io credo che il grande merito di Calasso stia nel fatto di aver reso popolare la letteratura, o meglio, di aver mostrato che la grande letteratura è popolare e non elitaria, (a parte i suoi libri).
Sono molto d’accordo con Pandiani…ma sono il solo che trova che pubblicare i propri libri con la propria casa editrice sia leggermente cafonesco? Vostro, BD
Ma Calasso fa vera “lipperatura”? (nel senso: scrittura di pop-cultura, cosciente dei tempi – direi quasi delle ere – collegato a un mondo vivo e vegeto, non solo cripto-sofistico.)
Secondo me no.
Cadmo è stato l’ultimo che ho letto, e lo resterà per un bel po’. Le sue furbellime comparse dal Fazio me lo confermano: lancio una volta la riedizione che più completa non si può di Simenon (ben venga!), vengo a parlare dell’ultimo cripto-sofismo che mi è passato per la testa, e tutti in santa pace.
Francesco Dimitri ci dovrebbe andare. La Lippa ci dovrebbe, e molti altri. Includo anche la De Mari, forse la migliore narratrice del fantastico di sempre per il suolo italico. Ma è un format Endemol. Forse nel prossimo format, funzionale al 2015, i citati e i non citati compariranno.
Con questo, un saluto alla lippa nazionale del post-Lucca Games. Ammiro la tua convergenza su temi che non ti aggradano poi così tanto, rispetto alla ricostruzione (rivalutazione) di un’epica italiana per le folle in attesa, degnamente scritta e soprattutto penetrativa (che gergo masculo , oggi!) nell’immaginario. Insomma, quella cosa che sa fare l’anglosassone ogni giorno, che impariamo a fare anche noi finalmente, e che forse avrà tracciato (se non l’ha già fatto) un cardo e un decumano sui lettori.
Calasso, bontà sua, è spremitura di cervellotica.
Ma Pandiani, io non voglio diciamo così delegittimare Calasso. Ha un catalogo con libri importanti, è uno che ha costruito dal nulla.
Volevo solo far riflettere su una cosa che è successa a me. Ho iniziato leggendo i libri adelhi per il loro, chiamiamolo così, appeal culturale e anche estetico. E dalle altre case editrici cercavo un po’ le stesse cose. Poi nel 2000 ho cambiato dieta. Ho letto per la prima volta autori italiani contemporanei. Il primo libro, per me una folgorazione, era stato Totò, Peppino e la guerra psichica (Luther Blissett), poi Quella particolare forma d’anestesia chiamata morte (Galiazzo), poi Questo è il giardino (Mozzi) e Forme d’onda (Voltolini), Il vulcano (Moresco) eccetera. Il cambio di dieta mi ha cambiato completamente la prospettiva non solo sulla mia esperienza, sul mondo reale insomma, ma anche su come potevano essere letti quei libri diciamo ‘classici’ che editori come Adelphi o Einaudi pubblicavano. Ecco l’importanza di leggere (e pubblicare) i contemporanei italiani. Ed ecco il senso che la tradizione in sè non esiste se non è messa in relazione ad un punto di arrivo, a un luogo e momento in cui il lettore se ne serve.
Con l’eccezione di ANITA, ALLEMANDA e PANDIANI ho l’impressione che i vostri discorsi siano minati alla base dal demone del pregiudizio e dall’antipatia per la persona Calasso. Due comparsate da Fazio ne fanno per voi un presenzialista tv? E se a spingerlo in tv non siano state altro che ragioni legate ai bilanci adelphi? I libri bisogna pure venderli.
Il vostro pregiudizio era anche il mio. Non sopportavo l’idea che uno scrittore pubblicasse i suoi libri con la sua casa editrice. Ma impostiamo la domanda in altro modo.
Chi è quell’editore così sprovveduto che avrebbe rifiutato i suoi libri? Calasso avrebbe certamente potuto pubblicarli con altri editori, o a proprie spese come fanno tanti. Perché li ha pubblicati con Adelphi? Semplicemente perché, entrato a 21 anni in casa editrice, ha voluto a tutti i costi mettere insieme una serie di scrittori “fratelli”, di ogni latitudine e grado, e i suoi libri altrove sarebbero stati come ‘fuori posto’. Questo disegno che regge la scelta dei testi da oltre quarant’anni si trova in parte svelato proprio nei libri di Calasso. Non vi sembra che le altre case editrici, pur pubblicando libri bellissimi, procedano come per accumulazione e non per affinità? Adelphi invece può essere letta come un unico libro, dove ogni cosa sta lì naturalmente e senza sforzo. E’ quasi magia…
Un narcisista patologico non avrebbe fatto altro che ripetere in tv che “La folie Baudelaire” è la sesta parte di un’opera in corso, di cui sono già usciti cinque volumi. Lui non ne ha fatto neanche parola. Questo per me la dice lunga sul modo in cui Calasso riduce e semplifica il raggio del discorso dentro il mezzo televisivo. Lo raccomandava già Pitagora: adeguate il vostro pensiero al tipo di uditorio che vi ascolta.
Cumbo, Pitagora? Se fosse possibile adeguare il pensiero, se , sarebbe utile? A cosa?
La tua onorevole argomentazione circa l’operare di Calasso e Adelphi mi sembra convincente, e proprio per questo sarei interessato a conoscere meglio il riferimento alla raccomandazione (pitagorica ?) sull’adeguamento del pensiero. Letto così mi suona come una cosa sporca. Se non è un incrocio involontario tra l’adeguamento del linguaggio e quello del pensiero; se non è una battuta spiritosa (volontaria o no), Cumbo, cos’è?
lucio
Capisco bene il tuo punto di vista, è anche naturale che i percorsi letterari di cui parli passino da altre strade, Adelphi era già troppo consolidata per promuovere una letteratura in cui l’istanza critica è forte, non è mai stato un innovatore Calasso, come editore, piuttosto un ritrovatore, un archeologo, un feticista, un esteta, un amante della letteratura di qualità, ma non un innovatore.
Entrambi ci sono necessari, credo, anche se quando ci si incammina la scelta è quella della contemporaneità, su questo sono d’accordo, non me lo vedo Calasso o Ena Marchi a entusiasmarsi per Babsi Jones, a proposito, qualcuno di voi ne sa qualcosa?.
Per Lucio.
La chiusa del mio intervento era un po’ cattiva. Apprezzo la tua ironia. Ho pescato dalla mia mente questo riferimento a Pitagora e non saprei dirti ora dove l’ho letto, se in Porfirio o in altri.
La mia era una conclusione retoricamente ben impostata, con la citazione ad effetto di un’autorità del passato, tesa a screditare indirettamente (e velatamente) il mio uditorio, piuttosto che quello televisivo di Calasso.
Ma mi chiedi di spiegarmi meglio. Ecco! Che faccio ora, ti dico tutto o adeguo il mio pensiero alle tue capacità di comprendermi? Non ti conosco abbastanza, e dunque ti dico l’essenziale in breve.
“Adeguare il proprio pensiero all’uditorio che ci ascolta”. Questa frase ha un valore in sé. Pitagora potrebbe anche non averla mai detta. Ma è certo che vi si adeguasse. E come lui tanti altri.
Altri chi? Chiamiamoli sapienti, ma sarebbe meglio chiamarli dei poveri diavoli a cui è toccato in sorte di vivere in un mondo di sordi e di ciechi.
Ma a pensarci bene anche Cristo, che i diavoli li voleva scacciare, si è adeguato a questo principio, poiché al popolo raccontava parabole, e solo ai discepoli spiegava ogni cosa sul senso di quelle (Marco 4, 33-34).