CURA, NON TI CURAR

Sì, il mondo dei libri, riunito a Francoforte, non deve essere messo molto bene, se un semplice post come quello di ieri ha raccolto una dose di acrimonia da parte degli addetti ai lavori da lasciarmi stupita (e ce ne vuole, ultimamente). Quindi, caro commentarium, vi propongo di volare più alto e di lasciare che la muta si contenda l’osso altrove.
Per esempio, vi propongo di leggere questo documento sulla cura. E’ stato elaborato dal gruppo del mercoledì (Fulvia Bandoli, Maria Luisa Boccia, Elettra Deiana, Laura Gallucci, Letizia Paolozzi, Bianca Pomeranzi, Bia Sarasini, Rosetta Stella, Stefania Vulterini) e verrà discusso a Roma, alla Casa Internazionale delle Donne, il prossimo 30 ottobre alle 10.  Dice il gruppo, che il documento ” propone un rovesciamento radicale dell’idea di cura. Non un destino femminile da cui fuggire, non una miseria da abolire. Invece un «prezioso tesoro» da mettere al centro della propria azione, una pratica deliberata, consapevole su cui scommettere. Per cambiare. Perché produzione e riproduzione oggi non sono più separabili. In questo tempo di crisi tutto ha bisogno di cura. Le relazioni, la terra, il mondo. In special modo la politica”.
Ci sto pensando su: proprio perché “cura” è una parola verso cui nutro enormi diffidenze. Ma, appunto, la certezza di essere nel giusto appartiene ai cretini. E ogni riferimento, stavolta, è voluto.

20 pensieri su “CURA, NON TI CURAR

  1. allora scrivo a caldo dopo una scorsa superficiale – torno a leggere con più clama dopo e vediamo se mi sono sbagliata.
    La sensazione è: da una parte sai che novità stiamo ancora al veterofemminismo franceso Irigaray e soce, per cui alla fine si qualifica un valore importante come femminile, si mette lo stereotipo nella posizione simmetrica e contraria, e si perpetua una visione della differenza di genere che sembra moltiplicare il grado di sofisticaizone e invece pista verso l’eccessiva semplificazione.
    Anzi sai che ti dico?
    Ora ti mando per mail una cosa che ho scritto. Tanto ci hai poco da leggere ci hai.PPPPP

  2. Io. Loredana, nel femminismo ci sono cresciuta, nel senso che per mia fortuna era nell’aria che si respirava, o meglio nell’acqua, per usare la metafora di David Foster Wallace (nel discorso che una volta qui si è discusso). Poi ho passato anni respirando quello americano, e tornata in Italia mi sono trovata a dover riflettere e conoscere meglio un pensiero che non avevo mai davvero studiato e che purtroppo non mi sembrava più tanto l’acqua del nostro acquario. Inizialmente mi sono trovata in disaccordo con le premesse del femminismo della differenza, ma poi ho avuto il piacere di trovare punti di incontro con certo femminismo americano che parte da altre premesse (più socio-costruzioniste, mi verrebbe da dire) ma arriva a conclusioni molto vicine a quelle del documento che ci inviti a leggere.
    Io un discorso molto vicino l’ho trovato in un’economista, Nancy Folbre, che fa una critica del capitalismo e auspica un socialismo femminista che offra risposte, proprio in merito al lavoro di cura, alle carenze sia del capitalismo sia del socialismo. Folbre non parla di “appartenenza alla vecchia guardia femminista oppure avere un corpo di donna”, parte da un concetto di femminilità come costrutto culturale, ma si pone domande davvero molto simili. A me sembrano domande tutt’altro che scontate.
    Qui il link a un sunto del pensiero di Folbre: http://www.republicart.net/disc/aeas/folbre01_en.htm

  3. Condivido che è roba “già saputa”, che sulla cura sono state imperniate parecchie riflessioni femministe, da Carol Gilligan (dio ce ne guardi) a, oggi, la stessa Boccia e S. Benhabib. Tutte a rivalutare, giustamente, la “relazione” come paradigma finanche cognitivo da riproporre in un’ottica nuova – emancipata dal pregiudizio negativo, socio-escludente.
    Eppure, benché trovi opportuno il discorso e auspicabile, mi sembra che non si riesca andare oltre il “la cura è importante, senza la cura il mondo si ferma, stimiamo la cura”…certo, l’invito a ripensarla, ben venga, ma c’è qualcosa che manca: il riconoscimento sociale del suo valore, sì, e il fatto che, comunque, la società per come è strutturata obblighi le donne all’aut aut. Il fatto cioè che la società “rimuova” la cura come elemento condiviso, come patrimonio di tutti, e ne faccia una questione solo femminile.
    Perciò la domanda del documento sulla cura di sé, estremamente difficile per le donne in questo contesto, è importante. C’è una contraddizione da cui non si esce, e il documento pone domande e rivaluta, ma forse non va oltre, e batte una via che, rivalutando la cura, affermando che è importante per tutti e merita attenzione, alla fine non chiarisce il rapporto di esclusività che di fatto essa ha con le donne. Dato che, mi sembra, si dà per acquisito e su cui non c’è nulla da aggiungere.
    La cura è femminilizzata. Negare l’esclusività, negare che sia appannaggio di un solo genere,non coincide necessariamente col disdegnare il ruolo della cura, come sembra si suggerisca nel documento. Si disdegna, piuttosto, la sua rigida attribuzione alle sole donne.
    E’ lo stesso ragionamento della difesa dell’aborto: sostenerne il diritto, non significa schifare la maternità.
    Forse lo sforzo andrebbe fatto in un’altra direzione: proprio perché la cura è importante, vitale, ricca di implicazioni morali e politiche, la cura dovrebbe svincolarsi dall’esclusiva pertinenza femminile. E dovrebbe penetrare nel patrimonio culturale, economico, sociale di ogni nazione, trasversale alle persone. Entrare nelle aziende, nelle università, in tutti i settori del vivere: considerare che c’è la cura, e che ogni servizio/prodotto deve farci i conti.
    Così la cura femminilizzata e la rivalutazione del suo ruolo può diventare la base per – finalmente – un’appropriazione generale del suo valore, trasversale ai generi, penetrata nella mentalità, insomma universale.
    DI questo parlerei nel documento, così riproporrei la questione: la cura deve essere universale, ma di fatto non lo è. Questo è un problema.

  4. non ho letto il documento ma ora lo farò…la domanda che mi sorge subito spontanea, e dunque il presupposto da cui parto per leggere è: ma la cura vioene proposta come qualcosa di non esclusivamente femminile?
    c’è un progetto di coinvolgimento di quella metà del mondo che ancora svicola da questo ruolo, non sene sente investito?
    perchè a mio parere, continuare a porre la cura come elemento femminile, è la grande prigione da cui non usciamo
    per uscirne, concordo con Denise, deve essere posta come elemento universale e proposta (ma vorrei dire imposta) più all’uomo che alla donna…

  5. Come una del gruppo del mercoledì, grazie a Loredana della link, e grazie dei vostri interventi. Solo una cosa vorrei dire. Che il documento è aperto, nel senso vero del termine, cioè non ha soluzioni pronte. CHe è aperto a tutti. Per questo l’invito a discutere. E che parte da una constatazione. CHe la cura è femminile, cioè praticata perlopiù da donne. CHe per le donne è stata una prigione. CHe la cura è preziosa per tutti. Che invece di fuggirla, la cura va proposta a tutti, cioè deve essere universale

  6. cito dal documento:
    Se era considerata costrizione o negazione dell’autodeterminazione femminile – sono io che scelgo, io che decido, io che non mi sacrifico – adesso si trasforma in “paradigma di interesse generale, garante della qualità dei rapporti e dei legami”
    la mia domanda a tutte/tutti voi è: davvero siamo già un passo avanti? davvero non c’è ancora bisogno di rivendicare con forza il “sono io che non mi sacrifico”, prima di avere la certezza che “il paradigma di interesse generale” verrà accettato e portato avanti?
    io ho dei forti dubbi, perchè ho l’impressione che la lotta nel quotidiano sia proprio ancora questa, il poter dire serenamente “io non mi sacrifico”

  7. “Che invece di fuggirla, la cura va proposta a tutti”
    Faccio una riflessione mia di profana, basata esclusivamente sulla mia percezione, dunque mi scuso se parziale. Secondo me in la cura E’ già ritenuta importante, solo che è dato per scontato che sia inclusa (per natura?) nel pacchetto donna: e inclusa a titolo neanche gratuito, ma proprio sacrificale. Perlomeno si incontra tuttora un ricco filone di persone, o comunque di discorsi, di retoriche, che lodano la madre che rinuncia alla carriera per stare a casa coi figli, che non si fanno i figli per poi mandarli al nido, che valorizzano la casalinga scrupolosa e operosa che “vizia” il marito, che ritengono normalissimo che tocchi alla nuora andare a imboccare il suocero malato in ospedale, che si stupiscono se il padre partecipa in modo sostanziale alla cura della prole pur senza una pistola puntata alla tempia.
    Penso poi che sia ormai chiaro ai più, almeno in italia, che senza il lavoro di cura la società collasserebbe: il punto che a me sembra più critico è proprio scorporare questa attività fondamentale dalla figura femminile, perchè è solo di lì che può passare il “proporre la cura a tutti”. Ascoltavo a Fahreneit una studiosa (forse Loredana può ricordarci di chi si tratta) dire che gli unici paesi dove il congedo parentale maschile è pari a quello femminile sono quelli in cui esso ha una quota esclusiva riservata ai padri (cioè o il padre lo prende o è perso) e retribuito. Certo fa più comodo invece pensare che i bimbi devono stare con la mamma, perchè chi meglio di lei può capire e soddisfare le loro necessità…

  8. un piccolo esempio: stamattina al corso preparto del consultorio pubblico, c’è stata una grossissima enfasi da parte dell’ostetrica che gestisce il corso sull’importanza per il bambino nei primi mesi di avere una sola figura di riferimento, che guarda caso è la mamma…alle mie ripetute richieste di discutere sul perchè il padre non possa ambire ad un ruolo più esclusivo “di cura” mi è stato risposto “ma dipende da come è il padre, tanti padri non se la sentono, dipende un pò come la vivono, magari son più proiettati nel dopo, nel farlo giocare” e alla fine si è voluto chiudere il discorso con “ne riparleremo quando il bambino sarà nato”
    morale della favola: “tu madre sei al mondo per curare, il padre può scegliere”
    ed anche…ancora peggio secondo me…”tu ora pensi che vorrai un rapporto diverso e più paritario nella cura di vostro figlio, ma vedrai che alla fine le cose vanno sempre alla vecchia maniera”
    e quante donne si sentono riproporre ancora e ancora questi modelli?

  9. La discussione mi spinge a precisare che Folbre, nell’intervento che ho linkato e più ancora in altri, parla esplicitamente della necessità che sia la società tutta ad accollarsi l’onere di trovare una soluzione che non comporti una sottrazione di libertà alle donne. E nel suo libro “Greed, Lust and Gender” è altrettanto esplicita nell’indicare la necessità che gli uomini imparino dalle donne, e presumibilmente condividano la cura. In lei trovo la richiesta di una riorganizzazione che senza dubbio passa attraverso congedi genitoriali per i padri.
    Dunque comuni sono le domande, e mi fa piacere vedere tanta apertura da parte delle curatrici del documento circa le risposte possibili.

  10. E per rispondere a francesca violi sui nidi, Folbre, in una conferenza recente, dice chiaramente che quella del nido è una cura di qualità per la quale dobbiamo lottare. I genitori che mandano i bambini al nido, dice, trovano poi di solito modo di passare tempo e occuparsi benissimo dei loro figli – e lo confermo. A me sembra che su questo nodo diritti e cura possano e debbano trovare punti di contatto e soluzioni. insomma, io non credo che parlare della questione della cura in questi termini significhi necessariamente fare marcia indietro sulla questione dei diritti. Lo vedo più come un discorso che sposta il piano verso la qualità della vita. Mi pare che si parli di “doppio sì”per le donne. Ecco, forse bisognerebbe chiamarlo un doppio sì per i genitori, un doppio doppio sì.

  11. francescadq tieni duro, al prossimo incontro con l’ostetrica maschilista manda il papà del nascituro, e tu vatti a bere un virgin mary al bar 😀

  12. “io non credo che parlare della questione della cura in questi termini significhi necessariamente fare marcia indietro sulla questione dei diritti. Lo vedo più come un discorso che sposta il piano verso la qualità della vita.”
    in questo senso lo trovo molto condivisibile.

  13. @ilaria, mi viene il dubbio di non essermi spiegata bene…le argomentazioni tipo “non si fanno i figli per mandarli al nido” non le paragono assolutamente alle istanze del Gruppo del Mercoledì: facevo solo degli esempi “negativi” per dire che a mio parere valorizzare la cura, in sé, non serve, finché essa rimane attributo preferenziale della donna.

  14. @francescavioli
    🙂 di sicuro!
    ma spero che le prossime volte anche altre donne pongano questioni come quella che ho riferito, vorrei davvero capire in generale quanto c’è ancora accettazione passiva di un modello o, spero, voglia di metterlo in discussione
    @ ilaria
    ho stampato l’intervista e a casa me la leggo

  15. @francesca violi No, avevo capito, e obiettavo a quelle argomentazioni, non a te. Sono io che non mi sono spiegata bene. cercavo appunto di sottolineare la necessità che la valorizzazione della cura non passi, e il fatto che in alcuni casi decisamente già non passa, attraverso un attribuirla di preferenza alla donna. L’accento oggi, almeno a me pare. è più sulla necessità di proporre modelli alternativi a partire da quell’esperienza, e intendo proporli a tutti.

  16. “Il lavoro di cura come destino obbligato delle donne non è più l’esperienza corrente”
    La lettura dei dati istat sulla ripartizione dei carichi domestici, sull’abbandono della professione da parte delle donne in seguito alla maternità ecc., ma anche le pubblicità dei detersivi, oltre all’ esperienza personale e quella di tante persone a me vicine, fanno sì che non condivida affatto questa affermazione. Forse la cura non è in molti casi l’unico destino, nel senso che ad esso si aggiunge magari anche un lavoro fuori casa, ma è comunque un carico destinato alle donne. Con argomentazioni e leve diverse, la pressione a rientrare al nostro “destino” di cura si fa sentire, e lo fa con particolare potenza in certi momenti dell’esistenza, come la maternità (vedi la testimonianza di francescdq al corso preparto, per intenderci).

  17. D’accordo con te, Francesca, mi pare più un’affermazione che riguarda altri paesi, non l’Italia. E con alterne sorti, nel senso che sono davvero pochi i paesi nei quali la cura non è un destino più obbligato per la donna che per l’uomo. Forse non è così veramente da nessuna parte.
    Non voglio assolutamente cambiare discorso, ma mi sono ricordata di un video, è una donna islandese, Halla Tomasdottir, che parla di come i valori storicamente portati dalle donne possano intervenire a cambiare la società. E’ un discorso più ampio, e non a caso viene da un paese che è passato attraverso una politica dei diritti diversa dalla nostra. Solo che forse i tempi sono maturi per cercare di compiere un salto nelle richieste. Fermo restando, e questo è come io rispondo al documento, che del progetto deve fare parte un continuo lavoro proprio sulla necessità che la cura non sia un destino obbligato ma una scelta condivisa.
    Spero che il video si spieghi meglio di me.
    http://www.ted.com/talks/lang/ita/halla_tomasdottir.html#.TniunJUrwho.facebook

  18. Alle volte mi viene da pensare che se la cura è una cosa buona per tutti ma appannaggio maggioritariamente del femminile molto per dato storico ma in una piccola parte anche per necessità biologica, che cavolo la famo a fa na tavola rotonda sulla riattualizzazione della cura? E’ pleonastica, è inutile è qualcosa che le donne sanno già troppo bene – sembra sto grande sforzo intellettuale ma lo sapevamo da mo. Bisogna coltivare il lato inespresso del femminile, il lato minoritario. Tavole rotonde sull’ingegnieria! Sulla metafisica! Sulla progettazione di impianti da parte di femmine! Su femmine e occupazione femmine e fisica quantistica.
    Al femminile italiano oggi serve una coltivazione della trascendenza,non dell’immanenza.

  19. già zaub,
    lo si diceva 60 e passa anni fa ma pare fosse passato di moda…ed invece è più attuale che mai…sposo questa linea completamente!

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