DALLA NOSTROMO ALLA SPADA

Domenica, su Repubblica, è uscito un mio articolo sui trent’anni di Alien e sulle eroine femminili. Riposto, nel frattempo.
Il gatto rosso si chiamava Jones, entrò in scena per caso e cambiò tutte le carte in tavola. Prima della corsa disperata per salvarlo dall’esplosione della Nostromo, la sua proprietaria era semplicemente un membro dell’equipaggio, una figura che si confondeva con le ombre che si allungavano nei corridoi dell’astronave nascondendo le zanne e gli umori del mostro in agguato. Prima del salvataggio di Jones, il tenente Ripley era un personaggio fra gli altri: quello che era destinato a sopravvivere solo per un’interpretazione cinica delle quote rosa: secondo la sceneggiatura, la femmina sfuggiva alla morte solo per smentire le aspettative dello spettatore.

Anche grazie a Jones, Ellen Ripley è diventata la capostipite di un nuovo tipo di eroina cinematografica e narrativa. Arrivò come una sorpresa felice, a dieci anni dall’esplosione dei movimenti delle donne: il tempo giusto perché non fosse rigidamente e politicamente corretta, ma perché costituisse un’alternativa alle altre donne del cinema di avventura. Pochi anni dopo, la compagna di Indiana Jones nelle sue peripezie con i thugs del tempio maledetto è ancora bionda, stupida e odia gli insetti. Ripley, invece, imbraccia armi e sfida alieni. Oltre che guerriera, è nomade, solitaria, lucida, indifferente alle tentazioni sentimentali. E’ bella, certo, ma senza concessioni alla seduzione: boccoli castani, sguardo fermo, un lungo corpo magro mostrato di sfuggita nelle ultime scene coperto da biancheria sportiva (simile a quella che, molti anni dopo, esibisce la Sposa di Kill Bill, mentre aspetta i risultati del test di gravidanza). Ma Ripley non è soltanto un’amazzone: come la Sposa, è una madre, capace di tenerezza nei confronti di un gatto o di una bambina, e persino – nel terzo e quarto film della serie – di disperato amore nei confronti del mostro che combatte.

Il mostro è, naturalmente, Alien, che festeggia trent’anni di successo: era infatti il 1979 quando Ridley Scott girò il primo film della serie. Nella finzione, il tenente Ripley aveva all’epoca ventotto anni. Era nata, dicono le biografie del personaggio, il 7 gennaio 2092 sulla base lunare Olympia, aveva studiato con ottimo profitto, come molte sue coetanee reali, era diventata ufficiale e madre. Sua figlia aveva due anni quando si era imbarcata sulla Nostromo. Non la vedremo mai: perché nel secondo film (Aliens-scontro finale, diretto da James Cameron), Ripley si risveglia dall’ibernazione dopo 57 anni. Sua figlia è una donna matura, e per lei perduta. Perduta è anche la piccola Newt, figlia di coloni sterminati sul pianeta LV-426, nido delle creature aliene: per la salvezza della bambina, Ripley lotta con un’altra, terribile femmina, la Regina xenomorfa, in una delle scene più belle della saga.
Perché il destino di Ripley, sequel dopo sequel, sembra privilegiare l’icona della Grande Madre più che quello della guerriera. Nel terzo Alien (per la regia di David Fincher), Newt muore nell’atterraggio della scialuppa su un pianeta prigione. Ripley porta nel suo ventre un alieno: per questo motivo non viene uccisa da uno dei mostri con cui si scontra. Sarà lei a gettarsi nel metallo fuso per cercare pace e chiudere la storia. Non sarà possibile: nel quarto film, il clone di Ripley si risveglia, affronta di nuovo la Regina e anzi le contende l’ibrido che da lei è infine nato, e che riconosce l’umana come vera madre. Anche se Ripley dovrà, infine e con dolore, ucciderlo.

Leggere Alien con gli occhi di Ripley significa ritrovare i temi capitali del femminismo in una storia di avventura e scoprire che anche i personaggi femminili possono essere protagonisti di un’epica. Possono uscire, evitare di singhiozzare su storie d’amore andate a male, calpestare spazi e cieli aperti, fare a meno di una casa e di una patria. Prerogative che, dopo Alien, sarebbero spettate ad altre. Nel 1991, Ridley Scott gira Thelma & Louise, trasformando due donne qualunque in avventuriere on the road. Nello stesso anno, un altro regista della saga di Alien, James Cameron, dirige Terminator II, dove Sarah Connor, madre del Messia che salverà gli esseri umani, si scopre in debito con Ellen Ripley: non più ragazza smarrita salvata dall’eroe, ma donna che combatte per suo figlio e per il mondo tutto. Altra Grande Madre con bicipiti e pistole, dunque.

Senza Ripley, forse, non sarebbe nata Lara Croft, venuta al mondo dei videogames nel 1995 come alternativa al supermacho e interpretata al cinema, nel 2001, da Angelina Jolie. E forse non sarebbe stata possibile una delle eroine più amate del cinema fantastico, la Trinity di Matrix: che, pure, abbandona la durezza della combattente per l’amore, fino al sacrificio rituale che la vede morire nel terzo e ultimo film.

Ma l’influenza di Ripley si estende anche a storie insospettabili. Nel primo Shrek, è su di lei e, esplicitamente, su Trinity, che si modella la principessa Fiona, tutt’altro che disposta a lasciarsi salvare dal principe o dall’avventuriero di turno. E c’è il sospetto che l’ombra della guerriera abbia reso possibile anche la trasformazione di Arwen Undòmiel ne Il signore degli anelli, dove l’amata di Aragorn entra in scena armata di spada e sostituisce l’elfo Glorfindel nel salvataggio di Frodo, a differenza di quanto avviene nel libro di Tolkien. Né, naturalmente, sarebbe stata concepibile la Maggie Fitzgerald di Million Dollary Baby, interpretata da Hillary Swank, e come lei coraggiosa, indomabile, protagonista in un territorio fino a quel momento indiscutibilmente maschile: ma anche custode, nella propria determinazione, dei segreti della vita e della morte, e caparbia nel voler decidere il proprio destino.

L’ultima donna della serie è la Beatrix Kiddo raccontata da Quentin Tarantino in Kill Bill. E’ l’erede diretta di Ripley, colei che raccoglie il testimone e colei a cui, nonostante tutto, si riserva il destino migliore. Come Ripley, Beatrix posa i piedi su sabbie mai calpestate da donne, attraversa deserti, sfida l’impossibile. Come Ripley cerca vendetta e stana i suoi nemici uno dopo l’altro. Come Ripley è madre ed è per la propria figlia che ritiene perduta che si mette in viaggio. L’unica differenza fra le due donne è che la Sposa ha amato un uomo, e che quell’uomo è stato anzi il suo pigmalione, colui che, spingendola all’allenamento presso il maestro Pai Mei, la doterà di un’arma letale (la tecnica dell’esplosione del cuore con cinque colpi delle dita) con cui Beatrix lo ucciderà. Dopo aver appreso quel che c’era da sapere dal mondo maschile, dunque, la Sposa riprenderà il cammino insieme a sua figlia, come nella versione rovesciata e luminosa de La strada di Cormac McCarthy.
Il secondo volume di Kill Bill esce nel 2004. Un anno dopo, una tranquilla signora americana pubblica un romanzo che si chiama Twilight: la protagonista femminile si chiama Bella Swan. E’ insicura, goffa e non desidera altro che un grande amore che la protegga. Lo troverà, si sposerà e avranno una bambina.
I tempi, anche per le eroine della finzione, si fanno oscuri.

 

 

10 pensieri su “DALLA NOSTROMO ALLA SPADA

  1. Sono d’accordo per 3/4 dell’articolo. Non ho mai visto la Sposa come un personaggio femminile positivo. Se ha qualcosa da dimostrare, è che anche una donna può essere un fascista che esalta la violenza personale e la vita guerriera. E, di questi tempi poi, non c’è di certo bisogno di un altro simbolo del fascismo con stivali da cowboy, qualunque sia il suo sesso. Quindi, tra Beatrix e Ripley ce ne corre.
    Poi, per quanto riguarda Twilight, ok, è famosissimo ed è una sciagura per la battaglia contro gli stereotipi. Ma a ogni Twilight corrisponde, sempre in tema di immaginario per ragazzi/e, un cartone delizioso e con un bel personaggio femminile come Fantomette (in onda su Rai Gulp), tanto per fare un esempio.

  2. A questa ottima carrellata cinematografica fantastica aggiungo almeno una piccola appendice televisiva: quella di Joss Whedon, che ci ha dato Buffy l’ammazzavampiri e Caroline Farrel/Echo di Dollhouse. Josh ci ha fatto conoscere una nuova generazione di attrici che riscono a combattere e ad esprimersi in un mondo che vorrebbe cancellarle. Eroine ben più tridimesionali di Xena, per dire. Sarah Michelle Gellar, Eliza Dushku, Summer Glau sono tutte figliocce di Joss!!!
    Daxman: Per me la scena capitale di Kill Bill resta comunque quella finale, quella che mostra ciò che rimane infine di una donna, che ha intrapreso la strada della violenza, e probabilmente vi ha spinto un’altra donna, inanellandosi in una catena di morte che non potrà spezzare. E non è poco.

  3. Quello di cui parli mi pare poco più di un cliffangher per il seguito annunciato. Tarantino non critica la violenza di Bill, della Sposa e dei vari accoliti divisi tra villain e maestri, né si distacca dal modello del guerriero vendicatore. Nella scena di cui parli non c’è critica, non c’è riflessione sulla spirale di morte provocata da quei non-valori. E anche quando tutto sembra essere messo in discussione (la scena del test di gravidanza nella stanza d’albergo), la filosofia di partenza viene riaffermata con il monologo su Superman (tra parentesi, io, da fan del personaggio, l’ho odiato con tutte le mie forze!) e il siero della verità.
    Poi Tarantino si affaccenda in continuazione a spiegare, da autore post-moderno qual è, che la sua è tutta ironia ed è colpa nostra se ci vediamo solo violenza.

  4. Senza la Ripley sicuramente non sarebbe esistita Molly di Neuromante e la successiva Angie di “Giù nel cyberspazio” e “Monnalisa overdrive”.
    Senza Molly e Angie non sarebbe venuta al mondo la strepitosa Juanita di “Snow Crash”.
    E fortunatamente l’aberrante Twilight ha dato la possibilita ad HBO di produrre True Blood che ha una serie di personaggi femminili clamorosi, come sono splendidi quelli di Dexter.
    Forse in questo momento il cinema sta lasciando il passo alle serie tv, dove sceneggiatori hanno più libertà di uscire dagli stereotipi.

  5. Bello bello bello!
    Su Tarantino ci ho dei pensierini, ma in questo discorso ci sta a pieno.
    anzi ci sta meglio proprio per i miei pensierini (cioè Tarantino secondo me è fichissimo perchè non si accorge tanto di quello che fa ecco, manipola categorie in maniera postmoderna, e noi lo guardiamo modernamente e diciamo uh che genio! uh che fico! uh che progressista! Ma quello mica je frega, è un qualunquista sempliciotto – quasi non si accorge di quello che fa. Parere mio, naturalmente)
    Aggiungo sull’effetto Alien la nota di colore della discotevca Alien! dove mi trascinavano le mie amiche da ragazzina edove imperversavano castigatissime cameriere tutte pelate.
    🙂

  6. Mi aggrego al coro dei complimenti.
    Anche se mi sentirei di fare dei distinguo. E aggiungere qualche altro personaggio alla lista.
    *
    Io penso che il tuo elenco sia troppo ottimista.
    Gli esempi degli anni recenti al confronto di Ripley impallidiscono.
    Liv Tayler-Arwen, elfa guerriera che appare e lascia il pubblico interdetto perché ci doveva essere Glorfindel e poi le inquadrano sempre le tette. E’ stata aggiunta solo per motivi di produzione, perché lei era “la star”.
    Lara Croft pure.
    E anche Trinity, non è comunque la solita aiutante dell’eroe che si innamora di lui dopo un nanosecondo e poi muore per ello?
    Salvo invece la pugilatrice, quello sì che è un personaggio stupendo. E, con un pizzico di riserve, Beatrix Kiddo (dovute al film e non al personaggio).
    *
    Detto questo adoro Ripley alla follia, e da sempre (da quando ero ancora maschilista super partes). Già se ne discusse a Rapallo, credo che il cinema abbia comunque perduto altri sfolgoranti esempi. C’è la protagonista di “Lezioni di Piano”, tanto per fare un esempio.
    Ma vogliamo parlare degli indimenticabili personaggi interpretati dalla Hepburn negli anni trenta? “Sylvia Scarlett” e “Bringing up baby”, tanto per fare degli esempi praticamente perfetti.
    E dove sono i personaggi-persona di Bergman?
    E quelli del suo pupillo a distanza, Woody Allen?
    Non è solo difficile trovare eroine nell’epica e nell’avventura. A sconvolgermi è vedere l’assenza di bei “characters” nelle commedie americane. Lì si è fatto un balzo indietro di cento anni…

  7. E poi, dimenticavo. “Mononoke Hime”. Anche Miyazaki ha fatto tanto per la “causa”.
    Poi, molti personaggi di Truffaut. O anche il coraggio di Sergio Leone che dedica un western di 3 ore ad una donna protagonista. E per ora mi fermo qui!

  8. Nei film di azione, fantasy o avventura è difficile trovare belle protagoniste che non siano crocerossine o aiutanti dell’eroe di turno. Mancano ruoli di azione e i pochi mettono in scena improbabili donzelle tutte curve e make up appena fatto, creature che un semplice confronto con la realtà spedirebbe davvero in cucina con le pentole, per non voler essere volgari. Se date un’occhiata alle rare donne che fanno sport pesanti o che si appassionano alla rievocazione storica in veste di guerriere, troveremmo ossute androgine oppure imponenti virago. Personaggi che il mondo dello spettacolo rimuove, sostituendoli con improbabili pin up per adolescenti in tempi di subbglio ormonale. Nel momento in cui si vuole un’immagine del genere, è ovvio che si sceglie la facile commerciabilità, il gusto del virtuale, l’estetica da videogame. Già a partire dal corpo si sceglie di sacrificare la verosimiglianza; i sentimenti seguono a ruota, divengono artefatti, poco credibili.
    Nessuno pare volere combattenti un po’ meno belle, ma più vere.
    Ridatemi Ripley.

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