DARE PER PASSARE: HARLAN ELLISON E LA SCRITTURA FANTASTICA

Questa sera, alle 21, sarò alla Casa Internazionale delle Donne con Giuliana Misserville e le letture di Donatella Allegro. Parleremo di letteratura fantastica, qualsiasi cosa intendiate con questa definizione. Che non coincide esattamente con “non realistica”, perché, come più volte detto – ma occorre sempre ripetere, di questi tempi – scivolando fra i mondi altri è possibile raccontare “il reale” a volte con maggior forza del realismo.
A patto di non ingannare troppo chi legge. Aneddoto.
Alla fine degli anni Settanta Harlan Ellison viene intervistato dal solito giornalista curioso di sapere “come si fa a scrivere tutte quelle stranezze”. Con sorprendente pazienza, gli racconta un episodio avvenuto nel 1975 quando, chiuso in una stanza d’albergo a New York durante una tempesta di neve, Ellison si trova costretto a terminare un racconto in tempo per una convention serale. Scriveva, dunque, furiosamente, mentre il racconto “si creava da sè”. Da sè?, dice il giornalista. Ellison risponde: “Certo. Io ero solo la macchina che lo metteva nero su bianco. Quel racconto veniva fuori da luoghi segreti della mia mente e fluiva sulla carta senza riguardi per la mia schiena dolorante o per la scadenza”. Insomma, termina il racconto, ma mentre lo legge, arrivato al punto in cui il personaggio principale litiga col suo alter ego sulla madre, si rende conto che desiderava, lui stesso, la morte della propria madre.
Il giornalista si agita. Ellison gli spiega che sua madre era vecchia, malata e infelice, che stava contando i giorni che le restavano. E lui, nonostante l’amasse, voleva che se ne andasse. Leggendo ad alta voce il racconto, Ellison provò comunque orrore per se stesso, per quella parte segreta della sua anima che era venuta allo scoperto scrivendo.”Ma era lì, nel racconto, l’avevo scritto e adesso mi ci dovevo confrontare e imparare a viverci insieme”.
Accade che, nel crescente disagio dell’intervistatore radiofonico, comincino ad arrivare telefonate. Una delle telefonate è di una donna che, con le lacrime nella voce, ringrazia Ellison perchè anche lei ha pensato le stesse cose mentre la madre stava morendo di cancro. “Credevo di essere la sola persona al mondo ad aver pensato qualcosa di così spaventoso e non riuscivo a sopportarlo. Grazie.Oh, grazie”.
Cosa significa? Significa, conclude Ellison, che scrivere è parlare dei propri luoghi segreti, e condividerli con gli altri. “Uno scrittore cannibalizza la propria vita: tutto ciò che abbiamo da raccontare sono le percezioni di noi stessi e le nostre esperienze, che corrono in parallelo alle percezioni e alle esperienze degli altri. Ma non siete soli: dove siete stati, ci sono andato anch’io; quel che avete sentito, l’ho sentito anche io”.
Scrivere, insomma, è guardare nei propri pozzi neri. Dare per passare. Quando non lo si fa, si può scrivere ugualmente, ovvio: forse, però, quella risonanza non si verificherà. E questo avviene o non avviene sia che si racconti il proprio quartiere sia che si racconti una nuova galassia.
Ps. #lacasasiamotutte. Sempre.

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