Questa mattina Alberto Asor Rosa recensisce Daniele Del Giudice. E approfitta per dire la sua su cosa è e cosa non è una recensione:
Colgo l´occasione per fare una precisazione d´ordine generale: quando si scrive una recensione, genere in sé assai volubile e capriccioso, ci si sforza nonostante tutto di seguire un filo, e persino di costruire una storia, che in parte corrisponde a quella dell´oggetto dell´indagine, autore o libro che sia, in parte a quella di colui che la svolge e sviluppa. Scrivendo di altri, si scrive di sé: questo è noto. Se c´è in tale procedura un eccesso di soggettività arbitraria, si parla prevalentemente (in taluni casi, soltanto) di sé (esistono esemplari illustri di tale categoria nella nostra tradizione critica, anche quella più recente); se ci si limita a una fredda elencazioni di dati, si fa quel che si potrebbe definire “notariato critico”: si accumulano pile di atti, mala vita fugge. La recensione ha un senso, è viva, solo se ambedue le soggettività emergono: certo, l´una in questo caso è messa al servizio dell´altra; ma c´è e, ripeto, racconta la propria storia, mentre racconta quella dell´altro. La tanto giornalisticamente sbandierata quaestio de inclusionibus vel exclusionibus si potrebbe ridurre a un piccolo esame, appena appena più attento e paziente, delle ragioni, per lo più molto visibili, di questo incontro. A chi chieda motivazioni oggettive, incontestabili, aere perenniora, replico invocando la vicenda e le ragioni del critico accanto, non al posto, di quelle dello scrittore.
Tutto questo per dire, – e mi pare perfino ovvio, – che esiste una consonanza profonda, una sorta di attrazione reciproca, tra il modo di vedere e praticare la “letteratura” di Daniele Del Giudice e il mio. Che male c´è a confessarlo, se poi la simpatia serve (io m´immagino, spero che sia così) a capir meglio?
Suggerisco, a integrazione, la lettura di questo post di Gamberetta.
.. condivisibilissimo; infatti il problema esiste quando l’amicizia, il sodalizio, la simpatia, l’appartenenza a un clan, aiutano a non capire più, o a capire meno, invece che meglio.
Il libro di Del Giudice è formidabile. Io voglio sperare in un riconoscimento pubblico per un simile “romanzo” (davvero, come al Polo, si perdono latitudine e longitudine del romanzo com’è inteso). Spero che gli conferiscano il Premio Strega, per riabilitare l’istituzione del Premio stesso dopo anni di barbarie e per tributare onore a uno dei migliori scrittori dell’Italia pre e post-berlusconiana.
Del Giudice non è affatto un grande scrittore, ma ugualmente gli daranno lo Strega, e Asor Rosa lo incensa perché è un amico e pubblica Einaudi… A proposito di Asor, lo sapete che nel libro che ha appena pubblicato confonde Curzio Maltese con Curzio Malaparte? D’accordo, gli anni passano, ma i correttori dell’Einaudi che facevano, guardavano l’infinito?