DI HORROR E DI SVEDESI

L’incontro cagliaritano con John Ajvide Lindqvist è stato interessante (oltre che divertente). Intanto, anche l’horror svedese soffre delle stesse difficoltà di affermazione di quello italiano: benissimo i gialli, ma tutto quanto odora di sovrannaturale non è particolarmente gradito. Inoltre, l’invasione di vampiri romantici ha toccato anche la Scandinavia: al punto che Lindqvist, che aveva scritto Lasciami entrare diversi anni prima di Twilight, ha serenamente dichiarato che oggi non scriverebbe mai un romanzo con vampiri (infatti, si sta dedicando agli zombie).  Eppure, raccontava Lindqvist, non è la tomba che si scoperchia o il cancello cigolante che gli interessa: sono i personaggi, qualunque sia la loro natura. Facile, no?
(punti in comune con Stephen King, cui Lindqvist  stato sempre accostato: detesta gli avverbi e scrive ogni giorno dalle dieci alle tre).

19 pensieri su “DI HORROR E DI SVEDESI

  1. Ecco gli è che noi lettori recalcitranti ci diciamo – ma se te interessano i personaggi, perchè mi devi mettere le porte che cigolano et similia? Perchè per dire delle cose devi partire dalli vampiri, oder zombie? Che insomma dal mio punto di vista appartengono alla stessa famiglia di excamotage narrativi. Il mio problema non è il genere come approdo – specie quando ti ci fanno approdare gli altri, ma il genere come partenza.
    Poi certo io adoro gli avverbi e questo temo produca una distanza incolmabile 🙂 PPPPP

  2. Alla gente, però, piace di più seguire i delitti veri, con i dettagli centellinati giorno per giorno come nel caso della povera quindicenne di Avetrano. Puntuali anche le gite dell’orrore della domenica. Mamma mia, altro che vampiri e vampiretti. Lì c’è la mente umana al suo reale peggio:-( e gli amanti del raccapriccio sono serviti.

  3. Perché il genere amplia le possibili ipotesi di partenza sull’antica domanda “Che cos’è l’uomo?”.
    I dilemmi morali di Blade Runner senza i replicanti sarebbero un casus ficti per dissertazioni filosofiche.
    E a proposito, come avrebbero fatto i miti greci senza dei, semidei e mostri?

  4. Questo dei personaggi è il motivo per cui rimango ancora tiepido di fronte a King. E ha ragione zauberei a dire che il genere, per certi aspetti, sarebbe migliore come punto di arrivo e non come “pretesto” per parlare d’altro.
    Non leggo horror per sentire porte cigolanti, che al massimo mi fanno sussultare sul momento, né perché si parla di morte. Leggo horror per provare l’ancestrale sentimento di sentirsi predati, per avere paura del buio e di tutto quello che non si può spiegare, per lasciare che l’uomo nero abbatta le mie certezze e la mia razionalità a colpi di accetta.

  5. Lindqvist come tutti i romanzieri di gialli dovrebbe essere anche un tipo simpatico e mordace, così ad istinto. Mi chiedo però se non ha voglia di cimentarsi anche in altro, non di vampiri e non di zombies, come un novello Simenon di Svezia (personalmente non credo ai generi standardizzati, se uno scrive, scrive). Poi, non so se gli hai chiesto se lo preoccupa la situazione politica del suo paese. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa della avanzata della destra che è il primo partito, ma soprattutto dell’emergere del fenomeno di un partito di estrema destra, apertamente xenofobo, che ha ottenuto il 5,7% di voti e 20 seggi in parlamento (leader è Jimmie Akesson, trentun’anni, che non ha la testa rasata e non calza gli anfibi, preferendo occhialini da manager rampante).

  6. Grande Marziano, non so se volontariamente, però: “Mai abbastanza” sono due avverbi.
    La lingua italiana senza gli avverbi penso andrebbe poco lontano. Forse con l’Inglese è più semplice evitarli. Ma non saprei.

  7. L’horror è la morte vista dalla parte delle vittime. Che il carnefice sia un serial killer o una sua declinazione metaforica (vampiro, licantropo, zombie, spettro…) la sostanza non cambia. Conta di più il terrore di morire che la morte stessa, perché è in quel momento che le chiacchiere stanno a zero. Ci può essere un horror splendido, senza quasi nemmeno un omicidio (Shining, eccezion fatta per un morto accidentale e uno del tutto marginale, regge sino alla fine senza che a nessuno sia torto un capello, ma con la sola minaccia potenziale). Poi è anche vero che “ridurre” l’horror a zombie e vampiri è piuttosto semplicistico. Sono solo due temi molto popolari, ma non “sono” l’horror.
    Certo che se si lamenta Lindqvist, qui in Italia cosa dovremmo fare, spararci direttamente (per resuscitare in altre forme poco dopo)?

  8. @ Andrea G. Colombo: giusto. Infatti, a mio parere, si dovrebbe smettere di ragionare sulle figure mitologiche e puntare unicamente al concetto di “uomo nero”, di boogeyman. Non solo l’horror è la morte vista dalla parte delle vittime, ma è la morte avvenuta per predazione, la reminescenza ancestrale (mediata dal soprannaturale) di quando, appena diventati homo sapiens, eravamo più prede che cacciatori. L’uomo, con la civiltà, è salito in cima alla catena alimentare del mondo naturale, ma in quello soprannaturale è drasticamente sovrastato.
    I vampiri, i licantropi, gli zombie, hanno funzionato finché hanno mantenuto i caratteri del boogeyman, del predatore ignoto che ci aspetta nel buio. Erano ignoti, non si conoscevano con certezza i loro poteri, il loro aspetto, la loro storia personale, la loro psiche, ma solo che non rispondevano a regole naturali, che erano letali e che non si sarebbe mai riusciti a fermarli. Pensate a Dracula, alle streghe e agli orchi nelle fiabe popolari.
    Probabilmente oggi (o quasi) i veri eredi dei vampiri sono i killer soprannaturali come Freddy Krueger.

  9. I vampiri non sono semplici mostri, come la narrativa contemporanea vuole far credere: sono archetipi potenti e antichi. La saggezza delle culture passate metteva in guardia da queste parti che sono dell’essere umano, degli squilibri che dimostrato sfruttamento e desiderio d’essere superiori agli altri (ma di cui allo stesso tempo si ha ha bisogno, perché senza di essi non si esisterebbe).
    L’uso dei vampiri, come qualsiasi costrutto, è una finzione necessaria, perché attraverso la finzione gli artisti mostrano la verità. Una realtà che scava nel profondo della coscienza senza rendere coscienti. E si sa che ciò che tocca l’inconscio scatena forze potenti.
    Ci sono tanti tipi di horror. Quello delle porte e dei mostri tocca la superficie; ma l’orrore più profondo è quello presente nella vita quotidiana. IT di Stephen King è riuscito a mostrare questa verità.

  10. @ The Daxman: vedi, credo che potrebbero dire ancora qualcosa, ma solo in mani sapienti. E se ci fai caso, lasciando perdere il cinema che per sua natura è seriale e completamente focalizzato sui risultati economici, i grandi autori di horror si sono lasciati tentare solo episodicamente dalle figure archetipiche.
    In realtà, penso a come potesse essere dirompente ai tempi del buon Bram Stoker un romanzo come Dracula. Misterioso, oscuro… l’impatto doveva essere devastante sul lettore. Oggi è impossibile per chiunque “devastare” chicchessia: siamo troppo smaliziati, pronti a tutto già in tenera età. Abbiamo digerito ogni sorta di figura “mitologica” e siamo ridotti a sorbirci le variazioni sul tema. I vampiri sono ridotti a macchiette “emo” e non c’è più aura di mistero attorno a loro. Gli ultimi vampiri che mi sono piaciuti al cinema sono quelli di “30 giorni di buio”, che a prescindere sul giudizio del film, erano finalmente “mostri”.
    Ma la colpa non la do a Twilight: la vera colpevole – ce la si dimentica troppo spesso – è stata Anne Rice, con il successo di “Intervista col vampiro”. Non ci fossero stati i suoi maledetti libri, non ci saremmo dovuti sorbire la Meyer.

  11. @ Andrea: guarda, se dovessimo trovare un vero colpevole per la rovina dei vampiri, quello è Francis Ford Coppola con il suo Dracula (anche se è un grande film). 😀
    Aldilà delle colpe, però, quello che secondo me conta è che i personaggi rimangano “fluidi” e incerti. Non funzionano i vampiri in quanto tali, ma in quanto “variante” dell’uomo nero. Ad affascinare o a terrorizzare non è una categoria di mostro ma l’ignoto, la classica “paura del buio” (perché, ci lo sa chi ci si nasconde). Da questo punto di vista ha ragione chi ha detto che l’horror è il “terrore di morire”.

  12. Va bene la querelle sui generi e tutto ciò che ne consegue…ma non sarebbe ora che smettessero gli scrittori di mezzo mondo di scriver gialli per dir altre cose,storie di vampiri in tutte le salse,tipo Ercole contro Maciste,noir,horrors arancioni….?
    Se mi dite che scrivon solo per la moda e la grana al seguito ok,ma lasciam stare tutto il resto.
    Simenon sarà pure famoso per Maigret,ma in ben altri libri ha dimostrato d’esser scrittore.
    @vincent
    che c’entran con sto discorso i capeli e gli occhialini di quel tipo Akesson?

  13. lady yoko: giacché non mi appassionano né i vampiri, né gli zombie, ho chiesto a Loredana Lipperini se durante il loro incontro è uscito fuori qualcosa sulla situazione politica in Svezia. OT, certo, ma dopo che si è detto che amore e morte sono le uniche cose di cui vale la pena scrivere, il resto son postille. Essendo figli di Google chi è Akesson te lo cerchi, se ne hai voglia. Per troppo freddo non mi chiedo l’ubi consistam del tuo commento.

  14. Trovo che questo dibattito sia molto indicativo delle difficoltà che il lettore Italiano colto o che si considera tale ha nell’affrontare la letteratura di genere. Consiglio a tutti la lettura dei numerosi articoli di Valerio Evangelisti (uno che la letteratura di genere la pratica e ci si interroga sopra continuamente) sul tema. L ama i perdonaggi ma racconta anche i luoghi. Mi sono letto il porto degli spiriti mentre giravo per l’arcipelago di Stoccolma e trovo che horror o non horror offra una chiave di lettura interessante di quelle isole (così come i precedenti romanzi gettavano una nuova luce ovviamente oscura su Stoccolma), specie per chi come me si ricorda ancora le “Vacanze all’isola dei gabbiani” della Lindgren. In realtà il fantasma di cui questi scrittori svedesi non riescono a liberarsi è solo quello di Pippi Calzelunghe. Sulle elezioni: sarebbe davvero interessante. Magari L. ci spiega che è successo e/o ci rivela di essere fra gli elettori di Akesson…

  15. @vincent
    Va beh che sei avvolto dal freddo,ma chi ti ha chiesto di illuminarmi su quell’Akesson? Guarda che i giornali arrivano pure a Milano…
    Quanto all’ubi consistam,se vuoi ti faccio un disegnino…magari con le figure…

  16. Se ha occasione di incontrarlo di nuovo, gli dica per favore che il traduttore italiano del suo libro ha fatto un lavoro penoso. Io non parlo svedese. Ma di sicuro il traduttore non scrive molto bene in italiano, e usa in linguaggio improponibile in bocca ai personaggi (non mi ricordo quanti “maledettamente” dicevano i suoi ubriachi e i suoi bambini). Mah.

  17. A me piace Anne Rice. Forse Intervista col vampiro non è il suo romanzo migliore ma non l’ho trovato un brutto libro. Secondo me il punto interessante è dato dal bisogno dei personaggi di chiarire la loro presenza su questa terra dal momento che non contribuiscono, come il resto della razza umana, alla sua evoluzione ma al suo completo annientamento. I vampiri quindi sono la malattia, la morte, il virus.
    La Rice ha poi preso una sua strada per spiegare la loro creazione, li ha resi mitici, figli di dei, e su questa visione del male si potrebbe senz’altro discutere.

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