DIARY

Dal taccuino della vostra eccetera.
Sabato ho rivisto, con grandissima gioia, questa signora (eravamo insieme a Foiano).
Domenica ho letto tutto d’un fiato un librone che devo recensire e di cui vi dirò.
Altro in lettura: Gli interessi in comune di Vanni Santoni (premiato al famigerato concorso Scrittomisto, con un altro testo); La guerra dei cafoni di Carlo D’Amicis (faccio il tifo perchè entri almeno in cinquina, lo si sappia).
Sul comodino: sempre Duma Key.
Sullo schermo: Afferrare Proteo, di Girolamo De Michele.
Umore: medio, tendente al ribasso.
State bene.

49 pensieri su “DIARY

  1. “Cercare di cogliere il molteplice con un colpo d’occhio è un gesto che si oppone al postmodernism volgare e alle sue derive… Uno di questi è Wu Ming 1, che in tre conferenze tenute nel Nord America in aprile ha cercato di “afferrare Proteo” articolando alcune caratteristiche che danno forma a quello che ha denominato New Italian Epic”. Altro DIRETTO INTERRESSATO che batte la gran cassa. Sta diventando la barzelletta dell’anno…

  2. “Barzelletta dell’anno”…
    Certo, certo, rosicate, che vi fa bene all’anima…
    Io non so sta gente che cazzo voglia dalla vita, ma si sa, ubi Maggiore, minor cessat…

  3. Da ormai dieci giorni la stessa persona continua a cambiare nick per postare gli stessi, riconoscibilissimi commenti. La stessa persona continua a sostenere, vergognosamente, che la sottoscritta mette in moderazione ogni voce dissenziente sul NIE.
    Ovviamente no. la sottoscritta mette in moderazione le battutine idiote, non le argomentazioni serie.
    Ora, MorganteMaggiore-Zdanov-Viridolci eccetera, vista l’ostinazione, mi trovo costretta a proseguire. Possibile che questa persona abbia tanto tempo da perdere? Una sana passeggiata in montagna?

  4. Ciao Loredana.
    Spero anch’io che il libro di Carlo D’Amicis rientri nella cinquina. D’Amicis è uno scrittore davvero bravo.
    Auguro al tuo umore di tornare alto. E che la tendenza possa essere invertita.
    Un abbraccio a te.

  5. Lipperini, ma di chi parli? Sicura di quel che dici? Sicura che non faccia comodo a tanti agganciarsi allo stesso carro (trainante e vincente) di Roberto Saviano per poter brillare della sua luce riflessa? (Nobile lui, nobili anche noi se ci proponiamo come schierati sullo stesso fronte). Direi che il NIE ha un solo membro: Roberto Saviano, appunto. L’unico ad avere inciso profondamente nella realtà attraverso la letteratura. Lo scrivo per vedere se è vero che censuri i pareri sfavorevoli ai sedicenti Innovatori.

  6. Morgante, cerco di non ridere leggendo le tue barzellette e provo a risponderti: i link che ho inserito nel mio post servono a documentare che da molto tempo (da almeno due anni) il sottoscritto ha una coerenza teorica e critica in quel che scrive. Il che non vuol dire che sia anche condivisibile, naturalmente: ma che certe considerazioni girino da lungo tempo è un fatto documentato e documentabile che ridicolizza chi lancia accuse di nuovismo, opportunismo, eccetera. Ma che te lo dico a fare, dopo tutto?

  7. Milarepa, le considerazioni su Saviano che riporto nel mio saggio sul New Italian Epic risalgono – come è chiaramente indicato, bastava leggere – a due anni fa. Sono state scritte diversi mesi prima del “fattaccio” di Casal di Principe, dell’assegnazione della scorta, dell’esplosione del “caso Saviano”.
    http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/nandropausa10.htm#gomorra
    Quando ho letto e recensito “Gomorra”, aveva venduto forse diecimila copie, massimo quindicimila. Poco più di un centesimo di quel che avrebbe venduto in seguito.
    Vedi, a me piacerebbe leggere “pareri sfavorevoli” documentati, basati sull’effettiva conoscenza di quel che diciamo da tempo. Ma non ne ho ancora trovati. Al loro posto, solo goffi tentativi di processo alle intenzioni. E non uno di questi piccoli pubblici ministeri in pectore ha dimostrato di aver letto il testo che condannavano a gran voce. Sgamarli è facilissimo.

  8. A voler essere pignoli, WM 1, il successo di Saviano precede con sicurezza l’uscita del tuo saggio, dove è stato indubbiamente qualificante inserirlo. Che da che mondo è mondo ogni autore si sia piccato di definirsi “anomalo” – poi – è un altro fatto certo. Ma la pace sia comunque con voi e con il vostro spirito (di gruppo). Saluti.

  9. Ribadisco, perché mi sa che non hai capito: le parti su Saviano inserite in “New Italian Epic” sono citazioni dalla recensione di due anni fa. In quella recensione (giugno 2006) annunciavo già l’uso che poi ho fatto dell’espressione “oggetto narrativo non identificato”. Espressione che, con riferimento a *nostri* libri, usavamo già da anni. Sono dati di fatto. Nel 2006 non c’era nulla di particolarmente “qualificante” nello scrivere quelle cose. Più che pignolo, mi sembri abbastanza sciatto.

  10. E io ribadisco che non c’è autore che non consideri la propria opera “oggetto narrativo non identificato”. Ah, com’è bello sentirsi anomali! *-°

  11. -lipperini “Umore: medio, tendente al ribasso.”
    da questi periodi escono le cose migliori…
    …sul mio comodino “sputerò sulle vostre tombe” boris vian, appena appena iniziato. qualcuno di voi l’ha già letto? che ne pensa?
    – wu ming 1 “Al loro posto, solo goffi tentativi di processo alle intenzioni. E non uno di questi piccoli pubblici ministeri in pectore ha dimostrato di aver letto il testo che condannavano a gran voce. Sgamarli è facilissimo.”
    come si sgamano? oltre al Suo saggio c’è anche chi parla di Saviano e non l’ha letto. Io per es. non l’ho ancora letto al di là del racconto apparso su RS del mese scorso, IO SO.
    “UNO”=”FACTION”

  12. Milarepa: sono poco interessato a quel genere di dibattiti in cui si inventano assiomi lì per lì, verità parziali generalizzate a seconda di come ci si è alzati la mattina. A quel che mi consta, la maggior parte dei romanzieri afferma o ammette di scrivere… romanzi, e accetta di buon grado che l’editore lo segnali in copertina, scrivendoci (appunto) “Romanzo”.
    Dollace: no, UNO non è faction. UNO *contiene* faction. E anche altre cose.

  13. Scrive Augias di “La guerra dei cafoni”: “«D’Amicis è uno scrittore capace di gettare UNO SGUARDO OBLIQUO su ciò che accade e sui personaggi, illuminando così di comici bagliori la realtà». Sta cosa dello SGUARDO OBLIQUO non mi è del tutto New… (Italian Epic)

  14. “Nuova postmodernità” è non soltanto un ossimoro, ma un’impossibilità concettuale e pratica. Il postmoderno è la forma assunta dalla cultura in una fase dello sviluppo capitalistico, quella della crescita e ascesa dei “Baby Boomers”, dagli anni Sessanta all’euforia degli anni Novanta, con alcune crisi in mezzo a fare da “riassestanti” (1973, 1987, 2000). L’era della “crescita”, dell’acronimo “PIL” che diventava parola di uso comune, anche tra i profani di economia.
    Quella fase è finita. Il petrolio è a 130 dollari al barile, e tra poco finirà. Il mondo sta conoscendo un’emergenza-cereali. Lo sviluppo ha toccato i suoi famosi “limiti esterni”, quelli sui quali ammoniva nel 1973 – inascoltato – il “Club di Roma”.
    Per questo modello di sviluppo sono iniziati i rintocchi della campana. Forse non ce ne rendiamo conto, ma siamo *davvero* all’inizio di qualcosa di inedito, inaudito. Forme e tonalità come quelle del postmoderno sono obsolete, inadeguate a esprimere nell’arte le esigenze di rinnovamento e cambio di rotta che la crisi globale ci sta segnalando. Il postmoderno è finito, perché è finita la postmodernità, perché è finita *davvero* – e non per finta – la modernità, inclusa la sua fase “post-“.
    Il postmoderno, si capiva già dal nome, era soltanto la fase dei postumi della sbronza moderna. Finita la sbornia, finiti i postumi, vogliamo porci il problema di cosa fare d’ora in avanti?

  15. “La replica di uno dei più grandi scrittori postmoderni, Thomas Pynchon, nel suo romanzo Mason & Dixon, è stata che non c’è niente di più temibile di una versione unica di come stanno le cose nel mondo o come sono andate le cose nella storia (e con ciò Pynchon allude evidentemente al pensiero unico). La letteratura che lui pratica, quella postmoderna, cerca invece di dare voce a più versioni della storia, in modo che ci sia possibilità di dialogo, di dibattito, di confronto; questo lascia spazio anche alla verità dei deboli, degli sfruttati, degli sconfitti (quelli che Pynchon ha definito i “preteriti”).” (Wikipedia)

  16. In sede critica circolano ormai parecchi dubbi sull’effettiva appartenenza di Pynchon (o almeno di alcuni suoi romanzi, tra cui “Mason & Dixon”) al postmodernismo. Cfr. il dibattito aperto dal libro di Amy J. Elias, “Sublime Desire: History and Post-1960’s Fiction” (2001).
    Sul fatto che “postmodernismo” significhi polifonia, apertura e opposizione al pensiero unico, mi permetto di avere serie perplessità. La nota dominante della cultura postmoderna è il distacco blasé nei confronti dei materiali della narrazione, che si esprime in un citazionismo estremo e auto-referenziale. Questa nota dominante poteva avere un valore critico quarant’anni fa, ma oggi è la tonalità imperante nei media, in quello che resta del mainstream, nei reality etc. Le cose che hai trovato su Wikipedia si riferiscono a un tempo trascorso da un bel pezzo.
    Quanto al dare la voce ai deboli, agli sfruttati e agli sconfitti, onestamente non mi sembra che sia una caratteristica, e men che meno una particolarità, del postmoderno. A meno di non volere considerare postmoderno il romanzo popolare ottocentesco, il “naturalismo” di Zola, la trilogia italiana di Pratolini, il neorealismo del dopoguerra etc. E a meno di non voler trovare a tutti i costi la voce degli umili e dei diseredati nei libri di autori postmoderni come John Barth o Donald Barthelme. Bisognerebbe dotarsi di un notevole cornetto acustico…

  17. Nuova modernità (ora ma non quella dei ’50-‘60-‘70, esiste una modernità del Maggio 2008 o meglio del Post-Aprile, esistono tante Modernità quante Realtà), “nuova postmodernità” (un’indefinibile domani post-nuova modernità: “Verum et factum reciprocantur seu convertuntur” MA soprattutto “La Storia è fatta di corsi e ricorsi” Il Vico sosteneva). Se il vocabolo è uguale, non sono uguali accezione e connotazione temporale. Cosa fare d’ora in poi? Rimirare scorie e i relitti, aspettare CONTRO IL GIORNO (T. Pynch.). Mettere insieme i cocci. Se non parliamo di “Comico” parliamo almeno di scorie di “Parodie”.
    “Ma l’innovazione del romanzo postmoderno non si ferma in questo allontanamento dal canone. Il testo non è più qualcosa che vive dentro la percezione del suo autore, uno spettacolo che si replica poi nell’animo del lettore. Il testo subisce una metamorfosi, si contorce, si deforma, muta: si fa essere mutante, agente sul mondo esterno del lettore, qualcosa in grado di mettere in luce attraverso una fitta rete di richiami le connessioni occulte della realtà 2. Il citazionismo, lungi dal ridursi a mero epigonismo, esalta quindi le doti cognitive dell’autore e sottopone a un test continuo l’abilità del lettore, costretto a reimpostare senza sosta i parametri del proprio sapere, sintonizzando in continuazione la soglia tra fantasia e realtà per non perdere l’orientamento nel dedalo del testo. La scrittura di Pynchon è un organismo vivente in espansione, che si nutre di ogni aspetto della cultura popolare (il jazz, il romanzo giallo, il pulp, i tascabili di fantascienza, il fumetto, la musica, le guide turistiche, il cinema di serie B) e delle pubblicazioni scientifiche (fisica, statistica, cibernetica, elettronica, teoria dell’informazione).” Da Fantascienza.com (Giovanni De Matteo)
    “Questa nota dominante poteva avere un valore critico quarant’anni fa, ma oggi è la tonalità imperante nei media, in quello che resta del mainstream, nei reality etc. Le cose che hai trovato su Wikipedia si riferiscono a un tempo trascorso da un bel pezzo.” Wu Ming 1
    Può non avere valore critico e perché deve avere valore critico? Non può essere “semplice constatazione di fatti (e di reality e di bombardamento mediatico diversificato, in televendita della cultura Moderna”? IPERBRICOLAGE?
    “Quanto al dare la voce ai deboli, agli sfruttati e agli sconfitti, onestamente non mi sembra che sia una caratteristica, e men che meno una particolarità, del postmoderno” Wu Ming 1
    Invece lo è. Basta leggere Wallace. Basta leggere dei suoi Uomini schifosi. Basta leggere l’Oblio della “persona depressa”. Basta Leggere e ti assicuro che non serve il cornetto. Poi ognuno la vede come vuole, anche la polisinfonia di sguardo (non) critico è utile a rassettare strappi e accomodare cocci.

  18. William, a costo di ripetermi: un conto è il dibattito sulla scrittura di Pynchon, altro conto il dibattito sul postmoderno. Ci sono intersezioni, ma sono due discussioni non pienamente combacianti. Non tutto il postmoderno è come Pynchon (anzi: soltanto Pynchon è come Pynchon), e autorevoli e compiute analisi collocano *quel* Pynchon fuori dal postmoderno. E che diamine di riflessione sul postmoderno è mai quella che poggia sul lavoro di un solo, peculiarissimo romanziere, quando il postmoderno è stato una fase dell’intera cultura, dall’architettura alle arti plastiche, dal cinema alla filosofia, dalla fotografia alla linguistica etc.?

    La descrizone di De Matteo che riporti è molto generica: gli aspetti che lui trova in Pynchon e giudica distintivi dell’opera di quest’ultimo non sono affatto distintivi del postmoderno. La richiesta costante di uno sforzo cognitivo da parte del lettore gettato nel dedalo del testo non è certo un’invenzione del postmoderno, dato che la troviamo già pienamente teorizzata e praticata nel modernismo, da Joyce a Eliot a Pound. E il romanzo come organo vivente in espansione che ingloba tutte le manifestazioni della cultura popolare non solo non è una novità, ma risale alle origini del genere-romanzo, è un’attitudine che troviamo già in Rabelais e, più tardi, in Sterne. “Gargantua e Pantagruel” e “Tristram Shandy” precedono il postmoderno di un bel po’.
    E quindi, se non sono questi i tratti distintivi del postmodernismo, quali sono? Secondo me, con qualche aggiustamento, sono quelli elencati da Jameson nel suo libro dell’89. Cioè appiattimento del senso del passato, ironia fredda, pastiche fine a se stesso, autoreferenzialità.

    Sul fatto che la letteratura possa essere “semplice constatazione di fatti”, beh, allora perché scrivere un romanzo sulla vita in una città, quando basta andare al catasto?

    Su Wallace: guarda che sei proprio fuori strada. Wallace sul postmoderno dice *esattamente le stesse cose che dico io*, nei minimi dettagli, e lo dice da tempo. In una lunga e bellissima intervista del ’93, a proposito degli scrittori postmoderni, disse:
    —-inizio citazione—
    Because, even though their self-consciousness and irony and anarchism served valuable purposes, were indispensable for their times, their aesthetic’s absorption by the U.S. commercial culture has had appalling consequences for writers and everyone else. The TV essay’s really about how poisonous postmodern irony’s become. You see it in David Letterman and Gary Shandling and rap. But you also see it in fucking Rush Limbaugh, who may well be the Antichrist. You see it in T. C. Boyle and Bill Vollmann and Lorrie Moore. It’s pretty much all there is to see in your pal Mark Leyner. Leyner and Limbaugh are the nineties’ twin towers of postmodern irony, hip cynicism, a hatred that winks and nudges you and pretends it’s just kidding.
    Irony and cynicism were just what the U.S. hypocrisy of the fifties and sixties called for. That’s what made the early postmodernists great artists. The great thing about irony is that it splits things apart, gets up above them so we can see the flaws and hypocrisies and duplicates. The virtuous always triumph? […] Sarcasm, parody, absurdism and irony are great ways to strip off stuff’s mask and show the unpleasant reality behind it. The problem is that once the rules of art are debunked, and once the unpleasant realities the irony diagnoses are revealed and diagnosed, “then” what do we do? Irony’s useful for debunking illusions, but most of the illusion-debunking in the U.S. has now been done and redone […] Postmodern irony and cynicism’s become an end in itself, a measure of hip sophistication and literary savvy. Few artists dare to try to talk about ways of working toward redeeming what’s wrong, because they’ll look sentimental and naive to all the weary ironists. Irony’s gone from liberating to enslaving. There’s some great essay somewhere that has a line about irony being the song of the prisoner who’s come to love his cage.

  19. Fornisco anche la traduzione delle dichiarazioni di Wallace:
    “Perché, anche se la loro autoconsapevolezza e ironia e anarchia hanno servito validi scopi e a quell’epoca erano indispensabili, l’assorbimento della loro estetica da parte della cultura commerciale USA ha avuto conseguenze agghiaccianti sugli scrittori e su tutti gli altri. Il mio saggio sulla Tv in realtà parla di questo, di quanto velenosa sia divenuta l’ironia postmoderna. Lo vedi in David Letterman, in Gary Shandling e nel rap, ma lo vedi anche nel merdoso Rush Limbaugh, che forse è l’Anticristo. Lo vedi in T. Coraghessan Boyle, in William Vollmann, in Lorrie Moore. Ed è più o meno tutto quello che c’è da vedere nel tuo compare Mark Leyner.
    Leyner e Limbaugh sono le torri gemelle dell’ironia postmoderna degli anni Novanta, un cinismo “hip”, un odio che strizza l’occhiolino e ti dà di gomito e finge di stare solo scherzando.
    Ironia e cinismo furono una risposta all’ipocrisia USA degli anni Cinquanta e Sessanta. Era questo a fare dei primi postmodernisti dei grandi artisti. La cosa bella dell’ironia è che scinde le cose, le guarda dall’alto così possiamo vederne i difetti e le ipocrisie e le reiterazioni […] Sarcasmo, parodia, assurdità e ironia sono ottimi modi di smascherare le cose e mostrare la sgradevole realtà dietro di esse. Il problema è che, una volta mandate in pezzi le regole dell’arte, e una volta che eele realtà sgradevoli sono state rivelate e diagnosticate, cosa facciamo *dopo*? L’ironia è utile per sfatare le illusioni, ma oggi in America le illusioni le abbiamo sfatate e ri-sfatate […] L’ironia e il cinismo postmoderni sono divenuti fini a se stessi, un parametro di raffinatezza hip ed erudizione letteraria. Pochi artisti osano azzardare un discorso su come operare per redimere ciò che è sbagliato, per paura di apparire sentimentali ed ingenui agli occhi di tutti i distaccati ironisti. L’ironia, da liberatrice che era, è divenuta schiavizzante. C’è un gran bel saggio di cui non ricordo il titolo, che contiene una frase sull’ironia come canto del prigioniero che ha imparato ad amare la propria gabbia.” (D. F. Wallace)

  20. La discussione viene inibita solo a quella stessa persona che usa venti nick diversi, che si trattiene solo per due commenti e al terzo ricomincia a vaneggiare, con contorno di faccine e insulti personali alla sottoscritta (ne ho una bella collezione in coda di moderazione), da “fascistona” a “fanculo”, solo per fermarsi alla Effe. 🙂

  21. “Non tutto il postmoderno è come Pynchon (anzi: soltanto Pynchon è come Pynchon)” WM1
    Concordo. Per fortuna.
    “E che diamine di riflessione sul postmoderno è mai quella che poggia sul lavoro di un solo, peculiarissimo romanziere, quando il postmoderno è stato una fase dell’intera cultura, dall’architettura alle arti plastiche, dal cinema alla filosofia, dalla fotografia alla linguistica etc.?” WM1
    Concordo e aggiungo il cinema (in corso tutt’ora = da donnie darko a death proof di Tarantino – all’Assassinio di Jesse James di A. Dominik – digressioni – pastiche – violente velocizzazioni e rappresentazioni della cultura dell’estetica come esteticapunto.). Ma non ho capito se stiamo commentando o scrivendo una riflessione sgangherata sul postmoderno o meglio sul non-postmoderno.
    “La descrizone di De Matteo che riporti è molto generica: gli aspetti che lui trova in Pynchon e giudica distintivi dell’opera di quest’ultimo non sono affatto distintivi del postmoderno. La richiesta costante di uno sforzo cognitivo da parte del lettore gettato nel dedalo del testo non è certo un’invenzione del postmoderno, dato che la troviamo già pienamente teorizzata e praticata nel modernismo, da Joyce a Eliot a Pound. E il romanzo come organo vivente in espansione che ingloba tutte le manifestazioni della cultura popolare non solo non è una novità, ma risale alle origini del genere-romanzo, è un’attitudine che troviamo già in Rabelais e, più tardi, in Sterne. “Gargantua e Pantagruel” e “Tristram Shandy” precedono il postmoderno di un bel po’.
    E quindi, se non sono questi i tratti distintivi del postmodernismo, quali sono? Secondo me, con qualche aggiustamento, sono quelli elencati da Jameson nel suo libro dell’89. Cioè appiattimento del senso del passato, ironia fredda, pastiche fine a se stesso, autoreferenzialità.” WM1
    Secondo me quelle quattro caratteristiche sono limitanti. Limitano molto il campo d’azione. Il campo d’azione, il contenitore, il barattolo di latta altisonante ma vuoto è molto più vasto. Vedi Realismo Isterico. Vedi Realismo Magico. Vedi esagerazione. Isterismo. Faction. Miscuglio di generi. Digressione Farneticante Iperabolica. Satira camuffata. Deformazione sintattica. A me piace citare questa descrizione di wikipedia “Il realismo isterico, anche chiamato recherché postmodernism o massimalismo, è un genere letterario caratterizzato da lunghezza cronica, personaggi maniacali e frequenti digressioni su argomenti secondari rispetto alla storia.” (http://it.wikipedia.org/wiki/Realismo_isterico) Sì, è limitante anche questa. Ma mi piace. E se non possiamo mettere DFW in questo filone (con tutte le dovute eccezioni e diramazioni che confermano la collocazione) non saprei proprio dove metterlo. “Oppure non sappiamo dove metterlo? pOstmoderno!” (scherzo)

    Sul fatto che la letteratura possa essere “semplice constatazione di fatti”, beh, allora perché scrivere un romanzo sulla vita in una città, quando basta andare al catasto? WM1

    Non intendevo manifestare la prosaicità cui hai ridotto la mia frase. Forse mi sono espresso male. Non intendevo parlare di non linguaggio nella letteratura. Intendevo dire che basta uscire di casa e osservare per scrivere. Non c’è bisogno di Immaginare. Tutto il resto sono segni sulla carta e cuore-cervello.
    Per quanto riguarda DFW sinceramente non gli credo perché il Concetto Stesso si è evoluto quanto si è evoluta la società. Ciò significava Allora il Postmoderno non è quello che significava Oggi perché tutto è cambiato. Allora mettiamola così. Non chiamiamolo più postmoderno. Perché forse non lo è più ed hai ragione se il POST.. è quello esclusivamente collocato nella descrizione che fai molti commenti addietro. Va bene. Chiamiamolo con un altro nome. Ma questo Nome contiene l’Ironia e quanto citato sopra fra le altre cose e DFW non può far finta di dissociarsene quando poi sottilmente la sbatte in faccia sciolta fra le sue maniacali righe.

  22. William, va bene che non c’è il quote, però se virgoletti per interi i miei paragrafi prima di rispondermi, io riesco ancora a seguirti, ma gli altri mi sa di no, si rompono le palle ben prima… Basta introdurre ogni punto con un buon vecchio complemento di argomento, tipo: “Sulla questione x” etc.

    Eh, già lo sapevo. Il problema di qualunque – qualunque – discussione sul postmodernismo è che “postmodernismo” è talmente un non-concetto (o comunque un concetto tanto sovracodificato da risultare perfettamente inutile) che si finisce sempre sul: “Vabbe’, famo a capirse, se intendiamo questa cosa OK, se intendiamo quest’altra invece no, col cazzo” 🙂 Credimi, è un approdo immancabile.

    Sul “realismo isterico”, da definizione data:
    “genere letterario caratterizzato da lunghezza cronica, personaggi maniacali e frequenti digressioni su argomenti secondari rispetto alla storia.”
    Uhm… Quindi anche “Moby Dick”. E Iliade e Odissea. E… la Bibbia. E il Mahabarata. Mah :-)))

    Sul link alla recensione di “Infinite Jest”, persino McInerney (ed è tutto dire) si è reso conto che Wallace ha superato il suo “apprendistato postmodernista” e il suo flirt con la metafiction e l’autoreferenzialità, e che nelle sue opere successive c’è un tono diverso (perché è lì la questione, il postmoderno è una *tonalità*, non uno stile o insieme di forme).
    McInerney scrive: “a dispetto di scene in cui risulta iridescente il magistero del Pynchon di Gravity’s Rainbow, Wallace sembra volere convicere il lettore della veridicità della sua visione, operando un accumulo di dettagli di matrice realistica.”
    1) “A DISPETTO”. Vuol dire che sta per dire una cosa che poi verrà contraddetta o comunque avrà un contrappeso.
    2) “VERIDICITA’ della SUA visione”.
    3) “REALISTICA”.
    Traduco: nonostante l’ascendenza postmoderna, Wallace oggi è crede in quel che scrive, crede nella propria visione, fa sul serio e si sforza di farlo capire al lettore.
    Cioè questa non è più soltanto metafiction. Ed è precisamente ciò che oggi viene contestato da più parti a Linda Hutcheon: di avere collocato arbitrariamente e frettolosamente troppi autori e troppe opere sotto l’ombrello della “metafiction”, dello “scrivere dello scrivere”, dell’auto-referente.

  23. Sì, forse è proprio il caso di intendersi sulle definizioni. Identificare il postmoderno solo con l’ironia distaccata, il pastiche e l’autoreferenzialità non mi trova d’accordo. Così come non sono d’accordo sul mettere Pinchon fuori dal postmoderno. E di fatto è ben difficile dire cosa vi stia dentro e cosa fuori, dato che gli autori definiti dai più come postmoderni sono e sono stati spesso molto distanti gli uni dagli altri, così come molte sono state le sottocategorie del postmoderno che i vari critici hanno cercato di individuare per classificare gli autori. Pure i Wu Ming sono stati inseriti nel filone del postmodernismo critico, tanto per dire. Però ci devo riflettere un altro po’ e adesso non posso. Magari ripasso 🙂

  24. piccola glossa su Wallace e Leyner.
    Al di là delle questioni critico-letterarie, credo che si odino. A volte mi viene da pensare che a Wallace Leyner stia sulle balle perché capita che quest’ultimo dica in tre righe più o meno quello che il primo dice in 400 pagine. E viceversa. A me comunque piacciono entrambi, e entrambi in momenti diversi e per motivi diversi mi hanno annoiato.

  25. Credo che, intanto, un punto fermo sia l’inadeguatezza delle pagine di Wikipedia (quella italiana) su postmoderno e dintorni 🙂

    Guglielmo, io sono d’accordo con Wallace: il postmoderno all’inizio (40 anni fa o giù di lì) aveva una valenza critica e un ruolo da svolgere. Oggi ne sono rimaste le macerie, cioè le caratteristiche di cui sopra (ne ho elencate quattro, tagliando con l’accetta, ma il discorso è più vasto).
    Certo che è limitante, hai pienamente ragione: è l’approccio postmoderno a risultare limitante, oggi che la fase del capitalismo a cui corrispondeva sta implodendo. Il postmoderno è finito, a un certo punto tutto quanto è diventato postmoderno, il palloncino non poteva gonfiarsi un po’ di così ed è bastata una punturina (robetta: l’11 Settembre) per far capire (ancora non a tutti) che la storia era cambiata (ricominciata?). Etichette dubbie come “postmodernismo critico” erano soltanto cose che si dicevano in mancanza di meglio, durante una fase di transizione concettuale che non è ancora terminata.
    Quella grandiosa intervista a Wallace aveva un altro passaggio, ancora più esplicito di quello riportato sopra:
    —-inizio citazione—-
    No question that some of the early postmodernists and ironists and anarchists and absurdists did magnificent work, but you can’t pass the click from one generation to another like a baton. The click’s idiosyncratic, personal. The only stuff a writer can get from an artistic ancestor is a certain set of aesthetic values and beliefs, and maybe a set of formal techniques that might–just might–help the writer to chase his own click. The problem is that, however misprised it’s been, what’s been passed down from the postmodern heyday is sarcasm, cynicism, a manic ennui, suspicion of all authority, suspicion of all constraints on conduct, and a terrible penchant for ironic diagnosis of unpleasantness instead of an ambition not just to diagnose and ridicule but to redeem. You’ve got to understand that this stuff has permeated the culture. It’s become our language; we’re so in it we don’t even see that it’s one perspective, one among many possible ways of seeing. Postmodern irony’s become our environment.

  26. Io ho riciclato sul postmoderno un giudizio di Deleuze sullo strutturalismo (quella buona moneta ai tempi di Lyotard che rapidamente s’è inflazionata) per indicare un’ambivalenza del concetto di “postmoderno” che mi sembra fosse già individuata da Jameson. Credo che da questa ambivalenza se ne venga fuori partendo non dalle intenzioni, ma dagli effetti: c’è un’attitudine postmoderna che finisce per giustificare lo stato di cose esistente, ed una che fornisce strumenti utili al suo superamento. Se tutto è già stato detto e quel che si dice non è che ripetizione del già detto, la polifonia del postmoderno è in realtà fittizia, convenzionale, e in realtà il “pensiero unico” viene giustificato sotto mentite spoglie. Per inciso: trovo significativo che ci si divida su Pynchon, che è molto abile a nascondere le proprie carte e a non far capire mai a quali dei due aspetti del postmoderno afferisca. O, più banalmente, ha una qualità letteraria tale da rendere possibile ambedue le letture.

  27. Wu Ming 1.
    Sul concetto problema etimologico-concettuale sono d’accordo. Tutto (tanto) fa brodo, altrettanto fa Post-Moderno.

    Sulla questione del Realismo Isterico stiamo parlando di caratteristiche fondamentali e soprattutto ricorrenti, tale da giustificare l’apposizione di paletti, è inutile che tutte le volte “ma c’è anche qui e c’è anche là”. Allora Anch’io sono capace o chi per me di trovare caratteristiche della New Italian Epic anche in opere del passato esulandole impunemente dal contesto.

    Sulla questione Wallace, secondo te sinceramente, nonostante l’ascendenza, si è spostato dal filone? A me non sembra.
    __
    Sulla questione wikipedia: fin troppo, non è un pastiche di interventi critici, è un’enciclopedia.
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    Guglielmo Pispisa
    Tu dici e a Ben ragione: “Identificare il postmoderno solo con l’ironia distaccata, il pastiche e l’autoreferenzialità non mi trova d’accordo.”
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    Consiglio questo video interessante:
    http://www.youtube.com/watch?v=fWJrKrB4poU&eurl=http://hystericalfiction.wordpress.com/

  28. William, guarda che io sto facendo proprio l’operazione contraria: sto riportando tutto al suo contesto. Il postmoderno era la logica culturale di un determinato contesto, ovvero fase dello sviluppo capitalistico. Quel contesto non c’è più, e noi siamo come quei personaggi dei cartoni animati (Wile E. Coyote, per dirne uno) che corrono corrono corrono e senza accorgersene oltrepassano il ciglio di un burrone ma continuano a correre finchè non si accorgono di non avere più la terra sotto i piedi, e solo allora precipitano. Continuare a far valere le regole del postmoderno oggi (regole che peraltro nessuno è mai riuscito a isolare e definire) è come correre nell’aria. A ogni fase storica la sua espressione culturale. La fine dell’età del petrolio è appena iniziata, e mi rendo conto che esiste la forza d’inerzia, l’intera società andrà avanti per un bel pezzo con la sola forza d’inerzia (causando danni devastanti), ma gli artisti – come dico nel memorandum – sono quelli che devono attivarsi prima degli altri, e forzare l’immaginazione verso il cambiamento. La contemplazione allucinata e passiva della società dei consumi ha già espresso tutto quello che poteva esprimere. Una volta individuate cose divertenti che non farai mai più, non le fai più, e punto.

  29. son passato di là e ho letto tutto, ho linkato pure la bagarre, mucho interessante, L’é bèla la discussion. Oltre la terminologia. Oltre i limiti temporali. Oltre lo scatafascio. OPERE NON AUTORI! OPERE. Attendo postille su NIE, anche se è un accessorio ATTO di generosità supplementare. Un saggio l’é un saggio. Uno sguardo obliquo è obliquo cazzo, non è una zoomata ottica orgasmatica carrellata frontale Barry Lindon

  30. ……..una delle più ridicole e altisonanti cazzate mai partorite dai cervelli dei Wu Minghia. Una cazzata che, naturalmente, trova subito eco nei soliti ambienti, mentre altrove se ne fregano alla grandissima. Premessa: io a volte ci vado su CarminchiaOnLain perché, in mezzo a palle noiose, ci compaiono pure articoletti interessanti di varia natura. Non sempre, anzi, c’é da scavare un po’, ma ci sono. Bene, ultimamente cosa va ad inventarsi uno dei Wu Minghia? Ma è ovvio, il New Italian Epic!! L’incredibile interessantissima determinante superlativa metaletteraria corrente narrativa rivoluzionaria teorico massmediatica ginecologica! Quella robusta ponderazione teoretica che scardina il postmoderno nel metastorico! Voglio dire, se siete arrivati a metà dell’ultima frase, avete già guadagnato tre punti di QI. E la trovate tutta, la ponderazione teoretica, in un comodissimo file pdf da stampare e studiare e ristudiare, per essere finalmente metastorici come si deve…
    http://idiotaignorante.splinder.com/post/17299313

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