Dunque, ieri su La Stampa è uscito un mio articolo sulla neoministra per la famiglia, natalità e pari opportunità Eugenia Roccella. L’articolo è questo:
“Il libro si intitola “Aborto, facciamolo da noi”, edizioni Roberto Napoleone, l’anno di uscita è il 1975, il prezzo, 1500 lire. In copertina, su sfondo rosso, due mani di donna unite e aperte nel gesto femminista. Non ci sono autori, se non le due sigle di Cisa (Centro Informazione Sterilizzazione e Aborto) e Mld (Movimento di Liberazione della Donna). C’è una prefatrice, Adele Faccio, e, infine, c’è una curatrice, Eugenia Roccella, attuale ministra per la Famiglia, Natalità e Pari opportunità.
Sono andata a ricercare il libro nei piani alti della libreria: sapevo di averlo perché le ragazze della mia generazione lo avevano quasi tutte, e perché parlava di anticoncezionali, di visite ginecologiche, della conoscenza di quei nostri corpi su cui, con grande sorpresa, potevamo esercitare una libertà impensata fino a quel momento. Quel libro era anche un gesto di militanza: nella seconda parte, le militanti del Cisa illustrano come si esegue un’interruzione di gravidanza con il metodo Karman, ovvero non con raschiamento ma con aspirazione, pratica che limitava enormemente le complicazioni nei tempi in cui l’aborto era illegale, e si finiva in assai loschi studi medici a rischiare la perforazione dell’utero e a inzuppare la camicetta di sudore e dolore, visto che non si praticava anestesia. Quel libro era dunque un libro politico: non un invito al lato oscuro del materno, come dice oggi la ministra, ma semmai il tentativo di salvare le vite delle donne che ogni martedì e giovedì alle 17 affollavano le scale di via di Torre Argentina 18, la sede del Partito radicale dove il Cisa teneva le riunioni riservando ai casi più complessi il volo charter per Londra e distribuendo fra le case delle militanti gli interventi con il Karman.
Quelle donne in lacrime che imploravano aiuto al telefono chiedevano di non morire. Ed Eugenia Roccella questo scriveva nella prefazione: di sentirsi, come femminista, sorella di «Petruzza Lo Prete, immigrata di Genova, morta perché si è infilata un ferro nell’utero nel tentativo di evitare una gravidanza non voluta». La sua lunga dedica, peraltro, include, oltre a Petruzza, Rosalba Morandi, Antonina Vitale, Elena Lauria e «tutte le donne morte per aborto clandestino». Subito sotto, Roccella estende la dedica «a Paolo VI, Fanfani, la Dc, tutti coloro che sono contro l’aborto libero, gratuito, assistito per l’aborto clandestino, di massa e di classe, magari in nome del “principio della vita” perché ci pensino su».
Oggi che entrambe abbiamo scavallato i sessant’anni, mi chiedo quanto lei ci abbia pensato su. L’ho conosciuta nel 1976, appena arrivata al Partito radicale. La chiamavamo tutti Jenny. Era la figlia di Franco, cofondatore del partito, ma era soprattutto una ragazza compunta, precisa, abilissima nello scegliere le parole giuste, non un eccesso o una trasandatezza nel vestire, una determinazione lucida in ogni intervento come segretaria del Movimento di Liberazione della Donna. Prima dell’occupazione dello stabile di via del Governo Vecchio, la sede Mld era appunto in via di Torre Argentina: per l’esattezza era nel piccolo corridoio che si apriva davanti all’ascensore interno, accanto alla stanza della Lega Obiettori di Coscienza e, a futura ironia, a quella del Fuori (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano). Molti anni dopo, Roccella avrebbe parlato in più occasioni dei suoi ex vicini di corridoio come di “lobby gay”.
Ora, non è che non si possa cambiare, figurarsi: la vita riserva a tutti la possibilità di capriolare, e di diventare la stessa persona che a vent’anni si è combattuta con tutte le proprie forze. Succede, e del resto una piccola parte dei vecchi femminismi, quella che troppo spesso ha confuso sorellanza con posizioni di potere, non ha aiutato a rendere limpide le acque. Però, quel che si auspicherebbe è l’onestà. Non molto tempo fa Roccella ha detto: «Le femministe non hanno mai considerato l’aborto un diritto». Sì, invece. E anche lei. Pagina 18 della sua introduzione: «A difendere il diritto all’aborto dobbiamo essere proprio noi femministe». Per Petruzza Lo Prete, e per tutte le altre di ogni tempo e luogo”.
Oggi la ministra Roccella mi risponde. L’articolo è sul quotidiano e per correttezza non lo riporto integralmente. Però ho alcune cose da dire. Vado per punti. Scrive Roccella:
” Oggi ben poche donne, anche tra quelle che si professano femministe o transfemministe, sanno chi era Adele Faccio, sanno delle migliaia di autodenunce raccolte dal Mld, dei digiuni di Pannella ma anche nostri”.
Primo. E’ ingeneroso sostenere che ben poche donne sappiano chi era Adele Faccio e cosa erano le autodenunce. Questa, ahimé, è una generalizzazione che appartiene troppo spesso alla generazione delle mie coetanee, che non hanno fiducia nelle giovani e nei femminismi contemporanei. Semmai, mi rendo conto di quanto sia difficile dar conto della complessità e anche dei diversi punti di vista di quegli anni: quello che è innegabile è che le giovani femministe, oggi, hanno le idee molto chiare sui propri diritti. In Italia e non solo in Italia. E il diritto primario è poter decidere sul e del proprio corpo.
“La verità è complessa, non si può ridurre a slogan, e nemmeno a semplificazioni del tipo «ha cambiato idea», o peggio, «ha rinnegato il suo passato». Non ho rinnegato proprio nulla. Anche allora l’aborto non era la nostra massima aspirazione, ma un male necessario, per non essere schiacciate in un ruolo che chiudeva le donne in una gabbia di oppressione e subalternità. Al di là del clima gioioso che c’è sempre nelle manifestazioni, l’aborto non era vissuto come una rivendicazione orgogliosa, piuttosto come una disperata via di fuga, non un diritto, ma un potere iscritto nel corpo”.
Secondo. Non ho mai contestato la possibilità che si possa cambiare, anche radicalmente. Contesto un’affermazione: “le femministe non hanno mai considerato l’aborto un diritto”, che è in contraddizione con quanto viene affermato nel libro. Si cambia idea anche su questo, è legittimo. Ma se cambiare è legittimo, si usa la prima persona singolare. Io, non le femministe. Anche perché è difficilissimo, a meno di non scrivere un saggio (e grazie al cielo c’è chi lo fa) dar conto delle diversità delle posizioni dei movimenti di allora e delle diramazioni che ne sono seguite.
“Non è al Mld che ho imparato che l’aborto non è un diritto, ma attraverso il femminismo della differenza. Leggendo per esempio una leader carismatica come Carla Lonzi, che scriveva «L’uomo ha lasciato la donna sola di fronte a una legge che le impedisce di abortire: sola, denigrata, indegna della collettività. Domani finirà per lasciarla sola di fronte a una legge che non le impedirà di abortire»”.
Qui ho solo una cosa da dire: forse sarebbe il caso di fare una moratoria su Carla Lonzi, perché viene tirata da una parte e dall’altra. E questo è profondamente ingiusto.
“Di citazioni potrei farne tante, ma non è questo il punto. Il punto è: si può aprire una riflessione sulla rivoluzione antropologica, su quali siano le forme del nuovo patriarcato, su quali siano oggi gli obiettivi delle donne, senza trincerarsi dietro logiche di schieramento e accuse strumentali, false e a volte offensive? “
Naturalmente sì. Purché quella riflessione non vada a scardinare quello che mi ostino a chiamare diritto. Al di là delle varie teorizzazione sulla natura dell’aborto, è falso sostenere che le donne e i femminismi approvassero la situazione ante-194, e, vorrei sbagliarmi, serve solo a scardinare quella legge, o ad aprire la strada per scardinarla.
“Ma non mi sembra ci sia in circolazione molta reale curiosità per chi la pensa diversamente, e dietro tutta la retorica della diversità temo si nasconda solo la voglia di rimanere ben chiusi nelle proprie certezze”.
Discutere e confrontarsi è sempre importante. Non sarò così ingenerosa da mettere in fila, come molti quotidiani hanno fatto, le dichiarazioni rese nel passato dalla ministra, che sembra avere molte più certezze di me. Io ne ho una sola: non si mettono a rischio la libertà, la possibilità di scegliere, i modi di declinare le parole maternità e, sì, amore. Non oggi, non domani.
Mi sembra che si sia imboccata una strada sbagliata . Il diritto che la 194 tutela è il diritto alla salute fisica e psichica delle donne e non solo.