DISGUSTO VERSUS UMANITA'

Il brano che segue è un riepilogo, estremamente conciso, di alcuni punti affrontati in “Classificazioni sospette”, saggio introduttivo di Vittorio Lingiardi e Nicla Vassallo per l’ultimo volume, da poco in libreria, di Martha C. NussbaumDisgusto e umanità. L’orientamento sessuale di fronte alla legge”, il Saggiatore. Verrà presentato all’Europride da Francesco Bilotta, Paola Concia e Stefano Rodotà, all’Europark, in Piazza Vittorio Emanuele a Roma, venerdì 10 giugno, dalle 17 alle 18.30.

La filosofa Martha Nussbaum è tra le studiose di etica e diritto più influenti e autorevoli sul piano internazionale. Come stupirsi se, con una tesi originale e una proposta politica, si schiera dalla parte dei diritti delle persone omosessuali?
Lei che, a una giornalista del “New York Times” che le chiede se ha intenzione di risposarsi, risponde: «Se pensassi di risposarmi, mi porrei il problema di trarre vantaggio da un privilegio a cui una coppia dello stesso sesso non potrebbe avere accesso». Partiamo da un semplice ragionamento: la democrazia deve garantire ai propri cittadini sia eguaglianza (assenza di discriminazioni economiche, etiche, legali, politiche, sessuali, sociali), sia equità (giusta distribuzione di benefici e responsabilità).
Martha Nussbaum invoca questi concetti per assicurare agli omosessuali l’accesso a ogni diritto civile, diritto alla base della giustizia: difficile altrimenti parlare di Stato democratico.
Ne segue che l’Italia non lo è.
Non solo. Privati dei diritti che provengono dalla possibilità di sancire legami matrimoniali, i cittadini italiani omosessuali sono cittadini di serie B. Anzi, di serie C dal momento che, come è stato recentemente ribadito dalla maggioranza degli esponenti della commissione Giustizia della nostra Camera dei Deputati, quando aggrediti in quanto gay e lesbiche non vengono protetti da una legge che qualifichi l’omofobia come reato tutte le volte in cui da essa derivino atti discriminatori o violenze.
E allora perché stupirsi se l’Italia occupa una posizione arretrata nell’elenco degli Stati attenti ai diritti civili delle cosiddette, brutta espressione, “minoranze sessuali” (una logica triste e incontrovertibile vuole che tale arretratezza riguardi anche i diritti delle donne, dei bambini, dei migranti)?
Il fatto di precedere, in questo elenco, il blocco dei circa novanta paesi che considerano le omosessualità “illegali”, e di quelli che, come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran, Nigeria, Mauritania, Sudan, Yemen, le puniscono con la pena di morte, dovrebbe forse consolarci?
Leggendo il saggio di Martha Nussbaum apprendiamo che la giurisprudenza americana assicura una particolare forma di tutela ai cittadini che rientrano in una suspect classification, ovvero una classificazione basata su una discriminazione illegale in quanto sospetta di incostituzionalità (si veda Nussbaum, p. 105). Per capirsi, l’esempio più citato di “classificazione sospetta” è la “razza”: la storia attesta come la maggior parte delle leggi che impiegano la “razza” quale categoria sistematica degli individui si basa su una discriminazione. Di fronte a una classificazione sospetta (nel contesto di un’azione di governo, di una legge, di un regolamento ecc.), la Corte statunitense adotta uno standard più severo (strict scrutiny) di valutazione della conformità al “principio costituzionale di eguaglianza” (Equal Protection Clause).
Nei confronti delle omosessualità, dice Nussbaum, la nostra società ha sempre manifestato un’avversione viscerale, in connessione al fastidio provato di fronte alle secrezioni corporee, ai rifiuti organici, alla materia in decomposizione. E proprio sul disgusto si sono fondate, nel tempo, discriminazioni giuridiche e sociali nei confronti degli individui e delle pratiche omosessuali: carcerazione, deportazione, esilio, leggi antisodomia, interdizione al matrimonio. Oggi la politica del disgusto incontra due avversari sempre più influenti: il rispetto e l’empatia. Nella vita sociale e giuridica, commenta Nussbaum, si fa strada la politica dell’umanità, costruita attorno al riconoscimento dell’altro, della sua soggettività, delle sue ragioni, percezioni, emozioni. Disgusto e umanità lancia una sfida determinante su vari terreni, dal diritto di famiglia, alle leggi antidiscriminazione, alla legislazione sul lavoro. Sono in gioco i diritti fondamentali, i principi costituzionali. Come quelli dell’eguaglianza di fronte alla legge e delle libertà individuali. Sostenuti da una tesi inoppugnabile: se l’eguale rispetto per tutti i cittadini associato all’alta considerazione della libertà personale sono un concetto chiave nella storia della democrazia, allora, anche quando non abbiamo una buona opinione delle intime scelte personali di altri, dobbiamo lasciare loro lo spazio di compierle, nella misura in cui non violano i diritti di qualcuno. Tra cui, chiaramente, lo spazio per la domanda: “Mi vuoi sposare?”. Domanda necessariamente successiva a quella “Mi puoi sposare?”.

17 pensieri su “DISGUSTO VERSUS UMANITA'

  1. Mi sembra utile mettere a fuoco il fatto che da noi i razzisti non si sentono tali, gli omofobici, a parte violente frange preistoriche, non si sentono tali…
    Il borghese medio si sente aperto e tollerante perché la sua idea di normalità non viene mai messa in discussione.
    L’italiano di una certa erà si sente evoluto perché conosce un gay dichiarato, lo saluti, prendi il caffettino, l’apertivo, buongiorno e buonasera, basta che “la vecchia checca dichiarata” che, tuttavia, in qualche modo viva la sua omosessualità in modo nascosto e appartato, l’apertivio e il caffettino non sarebbero gli stessi se il compaesano gay al bar si baciasse col suo compagno.
    Il mantra candido e innocente dell’italiano adulto moderno è: “Non ho niente contro i gay basta che “non esagerino” “non facciano le loro cose davanti a tutti…” oppure, “se le case popolari le prendono pure i gay, la famiglia coi figli come fa…?”
    Generalizzare fa male, ma bisogna prendere la temperatura di un paese in cui è l’idea di normalità che va smontata, perché da noi la dilagante classe media comprende quasi tutta la popolazione generando una falsa idea che solo la classe media italiana cattolica e chi le somiglia sia “normale” e tutti coloro che sono evidentemente e platealmente diversi, siano da meno, siano strambi scarti della società da tenere a bada. Questo genera un vastissimo terribile dolce apartheid che relega alla discriminazione e “avversione viscerale” tutti coloro che non si confondono nel gregge piccoloborhese, gregge che si indigna e soffre quando ci sono casi di violenza su minoranze ma che senza saperlo persiste nel credersi più normale degli altri.
    Bisogna urgentemente e indefessamente coltivare un’idea nuova di normalità, in cui tutte le pecore del gregge dimostrino di essere diverse, uniche e rompere l’incantesimo dell’italianità superficiale del ‘calcio, pizza sesso, femmine, maschi, chiesa e famiglia cappuccino’ che ancora popola l’immaginario e condiziona i giudizi e i pregiudizi.
    D.

  2. Concordo con l’analisi di Daniele Marotta, nella quale purtroppo mi rispecchio. Con solo un inciso: per quel che mi riguarda la sfera sessuale è comunque qualcosa pertinente alla vita privata, e che se esposto pubblicamente rischia di diventare un messaggio troppo aggressivo. Quindi per quel che mi riguarda bisogna “non esagerare” indipendentemente dall’orientamento sessuale: il gay pride mi colpisce esattamente quanto la fiera del porno o altre cose del genere.
    E invece, come ho detto anche in un altro blog, non riesco a cogliere il nesso tra case popolari ed orientamento sessuale. Se uno è povero o ha parenti a carico li ha punto e basta. Il ragionamento del “dopo le famiglie coi figli come fanno” non sta nè in cielo nè in terra.

  3. Al netto niente impedirebbe allo stato di “riprendersi” il diritto matrimoniale e stabilire la “sposabilità” tra due persone dello stesso sesso. Con questa classe dirigente che ci troviamo la vedo dura. Non è in agenda. Preferisco – i più illuminati – pensare ai dico cui – a titolo strettamente personale – sono ferocemente avversa. Non si costruisce un matrimonio di serie b. Una volta sancita la possibilità di sposarsi anche per le coppie omosessuali, chi decide di convivere si assume le sue responsabilità. La sfera sessuale è inerente alla vita privata finché non incide sui tuoi diritti di cittadinanza. Se non puoi sposarti perché sei omosessuale non è più questione di esporsi pubblicamente “fornicando” pubblicamente. Per quanto riguarda le case popolari gli è che in questo paese le graduatorie son fatte con criteri da anni Cinquanta.

  4. Suggerimento di lettura molto interessante, grazie!
    E’ incoraggiante quando le persone eterosessuali abbracciano la politica dell’umanità e si impegnano insieme alla gente gay per provare a cambiare le cose, anche perché sono proprio i genitori che possono educare i figli al rispetto rendendoli più empatici, civili, etici …
    @ Paolo E : Sei mai stato di persona ad un gay pride? 🙂

  5. è davvero un ottimo testo e il Saggiatore si distingue da sempre per intelligenza e sensibilità nei confronti delle persone GLBT e delle tematiche sociali.
    Marino

  6. Barbara perché non si costruiscono matrimoni di serie B? Perché imporre sempre dei limiti alle altre persone? Io non sono favorevole al matrimonio, da sempre è un’istituzione che rappresenta l’oppressione nei confronti delle donne. Eppure vorrei che le persone GLBT potessero sposarsi. Io, in quanto omosessuale, anche se fosse possibile, non mi sposerei. Vorrei invece poter fare una scelta diversa ed essere, comunque, tutelato.

  7. Paolo ti sfugge che il Gay Pride ha una valenza storico politica. è, per noi, una sorta di festa della liberazione. Mi spiace ma credo che se non si sia vissuta sulla propria pelle la discriminazione non si riesca a capire a pieno la necessità, in questo caso, di essere e di dirsi omosessuali. Poi, ragazz*, davvero, andate almeno una volta nella vostra vita a un gay pride e lasciatevi andare. Vedrete che scoprirete molte cose.

  8. Il matrimonio civile è lo strumento che la società ha scelto e strutturato per tutelare e sistemare una serie di assetti. Se l’orientamento sessuale vieta il matrimonio bisogna battersi per quel diritto: poi ciascuno farà le sue scelte liberamente. A me non piace il matrimonio – ma sono etero, quindi posso scegliere se sposarmi o no. Dal momento che scelgo il no, mi assumo la responsabilità di non volere delle tutele.

  9. Premesso che non vorrei mai più vedere manifestazioni omofobiche o peggio ancora violenze contro gli omosessuali in questo paese, e che spero sia approvata la legge attualmente in discussione in parlamento che sancisce pene aggravanti per le violenze contro i gay, posso dire che ogni tanto la sindrome progressista partorisce autentiche scemenze?
    «Se pensassi di risposarmi, mi porrei il problema di trarre vantaggio da un privilegio a cui una coppia dello stesso sesso non potrebbe avere accesso».
    E un figlio lo farebbe, visto che non tutti possono averne?
    E in bicicletta ci va, visto che chi è senza una gamba non può pedalare?
    E’ quello che definisco il paradigma del minimo comun denominatore.
    Cioè eliminiamo tutte le opportunità di differenza e di cultura se non possono essere naturalmente o legalmente condivise.
    La democrazia dell’ameba, contro quel cattivone di Darwin.

  10. Secondo me, invece, la frase di Nussbaum calza perfettamente. Perché se possono esserci ragioni fisiche o patologie insormontabili che impediscono di avere un figlio o fare sport, non ci sono ragioni fisiche o patologie insormontabili che impediscano di sposare chi ci ama, riamati. Ed è proprio quel netto sentimento di empatia che ci porta a pensare di eliminare gli impedimenti sociali e legislativi che impediscono la felicità di chi ci vive accanto pur essendo diverso – è il tipo di pensiero che ha portato a opporsi alla schiavitù anche quando si è persone libere o a teorizzare il diritto di voto per le donne pur essendo maschi (vedi JS Mills).
    Spero che questa empatia, che le religioni chiamano carità e rivendicano spesso come loro prerogativa esclusiva, possa un giorno convincere una fetta sufficiente di eterosessuali italiani a concedere il diritto ad una famiglia anche a chi eterosessuale non è

  11. Personalmente il gay pride *non* mi colpisce esattamente come *non* mi colpisce la scena del porno. Trattasi in entrambi i casi di caricatura, pericolosa solo quando viene impropriamente trattata come modello per la vita reale e non come spazio di finzione e anche di fantasia. Appunto, il problema nasce quando si inizia a pensare che, almeno prima della recente rubymania,mentre nessun etero pensa che un sexy-shop rappresenti (o almeno rappresenti l’unico punto di vista inevitabile de) la sua vita sessuale e affettiva, oggi i gay pride vengono ancora considerati rappresentazione realistica (e non grottesca, come invece mi sembra che siano) di valori, preferenze, atteggiamenti, della cultura gay o addirittura dei gay in toto. Il problema è che, sostenendo che queste siano feste rivendicative di identità, i gay si imprigionano volontariamente in stereotipi, si ghettizzano da soli, accettano la macchietta che di loro, molto tempo addietro, hanno fatto gli etero e cercano persino di sforzarsi verso di essa. Adottare un’identità decisa da altri a proprio scapito nell’illusione di emanciparsi. Esattamente quello che le femministe sostengono facciano le donne quando si mettono al centro dell’attenzione, ma principalmente con una ricercata ipersessualizzazione. Io direi che bisogna evitare di stare dentro un personaggio che non hai nemmeno inventato tu, figuriamoci esporlo come una bandiera.

  12. Il mio rapporto precedente, decennale, con una donna è finito in parte per gli screzi accumulati nei primi sei anni in cui non riuscivo ad avere il permesso di soggiorno. Uno stress gestito male, ma comunque ingiusto: non avevo il semplice diritto di vivere e lavorare nello stesso paese della persona che amavo. Ora da due anni sto con un uomo. Possiamo mostrarci affetto in pubblico senza guardare chi c’è nei paraggi per essere sicuri di non attirare attenzioni indesiderate, insulti, o addirittura violenze. Posso accennare alla sua esistenza in una conversazione con sconosciuti senza la minima esitazione, nessuno sarà infastidito da questa dichiarazione sulla mia vita privata e sessuale. E visto che stiamo pensando di comprare casa insieme, possiamo prendere in considerazione l’idea di sposarci, che faciliterebbe molto la faccenda sul piano legale, economico e fiscale. Tutto ciò è molto bello. E mi fa rabbia. Mi dà fastidio avere questi privilegi. Non posso, non potrei approfittarne senza l’amaro in bocca: perché ora sì e prima no? E’ assurdo! Sono la stessa persona, amo allo stesso modo, anche se con un po’ più di maturità, spero. Il mio rapporto non è più “utile” alla società di quello precedente, non abbiamo nessuna intenzione di fare figli (per scelta: come con la mia ex). Cerchiamo di aiutarci a vicenda, di diventare persone migliori, di essere felici. Forse basta, come utilità? Ma perché ora sì e prima no?

  13. Poi se invece i gay vogliono fare i gay pride per divertirsi, per evidenziare volutamente e in modo carnevalesco la loro differenza, nessuno, a parte forse il datato concetto di pubblico decoro, glielo vieta (un pubblico decoro, comunque, che non impedisce la fiera del porno, almeno finchè i partecipanti sono maggiorenni). Ma rimmarrebbe una carnevalata, una goliardata, qualcosa di eclatante di cui non si sentirebbe affatto la necessità di esistenza in un paese gay-friendly. Questo perchè, anche se solo in parte, il gay pride deve la sua esistenza esattamente alla repressione, nei confronti della quale attua un liberatorio, momentaneo, eccezionale rovesciamento che agisce secondo il principio della compensazione delle spinte opposte. In una parola il gay pride è l’altra faccia, lo sfogo, dell’omofobia esattamente come il carnevale medievale era lo sfogo dell’autoritarismo e della persecuzione del povero e del diverso. Tolta l’una, via anche l’altro.Tornerò brevemente sulla comparazione, impropria, col porno etero, di cui tuttavia mi sono finora servito. In esso l'”eccesso compensatorio” è l’essenza, ed è la prova che non abbiamo avuto una liberazione sessuale, ma soprattutto relazionale, completa, anzi magari siamo o più soli e necessitiamo di una proposta sessuale esasperata o per bilanciare pudori o per colmare un’assenza di qualcosa di più autentico (e colmandolo, è opportuna una sollecitazione fortissima per farci dimenticare la mancanza di autenticità stessa dell’esperienza sostitutiva, un po’, intendo, come quando ci si ingozza di cibo di scarsa qualità anzichè mangiare poco e bene). Per il Gay Pride è diverso: la pacchianeria, da quel poco che ne so, è solo un aspetto (per il quale valgono comunque le riflessioni fatte: perde di senso quando nessuno ti discrimina più). L’altro è opposto: da un lato (e l’abbiamo visto) la manifestazione rivendica la differenza, in modo assai goffo devo dire, ma dall’altro cerca di mostrare la liceità, l’ordinarietà, in generale, gli aspetti in comune con gli eterosessuali, in nome della comune umanità. E’ il vecchio dilemma che prima ancora era sorto fra uomini e donne: rivendicare la specificità o chiedere l’uguaglianza?
    Fatto sta che, con questo secondo aspetto (che io preferisco) e con la realizzazione del primo in modo così estremo e vistoso i gay pride per me sono qualcosa di contraddittorio, dove, accanto ad una semplice coppia che si bacia e non vuol certo essere mostrata a dito, puoi trovare il fantoccio di Ratzinger colle tette e la scritta “habemus papessam trans”, magari in mezzo a stangoni brasiliani seminudi con trucco e parrucco che neanche la più esibizionista delle ragazze

  14. Contraddittorio come lo è l’essere umano tutto.
    Ci manca solo che diano delle regole di dress-code per partecipare a un Pride! 🙂
    Ovviamente le motivazioni di quelli che partecipano sono le più varie: puoi trovarci la ragazzina timida che- non sai che sforzo riuscire a stare là in mezzo senza provare troppa vergogna- ; oppure quello che spera diventi una sorta di occasione per fare coming-out con amici e famiglia – così se mi riprendono mamma e papà finalmente avranno tutto più chiaro grazie al tg dato che ancora non ho trovato il coraggio per dirglielo- ; c’è chi ci va per sfoggiare il bel fisico che si è costruito; chi un personaggio per burlarsi di chi magari nella vita di tutti i giorni non gli rende di certo le cose più facili; chi un ruolo; chi si unisce con leggerezza al gruppo e va per rimorchiare…
    Gli uomini vestiti in pelle, con catene ed uniformi ( che di solito il tg adora riprendere), i fetish, gli ‘orsi’, appartengono a sub-culture che vanno a formare la cultura gay ( se esiste) e che animano i party delle serate a tema nei club così come sono una sorta di codice di appartenenza alle varie preferenze di pratica erotico-sessuale ( così come per gli etero)
    C’è anche chi va per i diritti civili perché magari dopo essersi divertito una vita, aver fatto coming-out, pensa che sia ora di metter su famiglia, potendolo fare…
    Anche se forse è una decisione da non prendere troppo alla leggera, ad esempio in UK, dove ci si può sposare tra persone delle stesso sesso, numerosi gay ma soprattutto lesbiche stanno ora divorziando, probabilmente perché la possibilità di farlo aveva scatenato una sorta di moda e di gioia che evidentemente poi la – a volte noiosa- routine matrimoniale ha dissipato in poco tempo ( come del resto succede agli etero)
    Have a lovely Pride!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Torna in alto