DISSENTIRE DA MR.BLOOM

Dunque, parla Harold Bloom. Lo fa in un’intervista ad Antonio Monda, uscita oggi su Repubblica.Ve la posto, dà da pensare e, come si può supporre, su non pochi punti – umilmente – dissento.
Nel 2003, Harold Bloom, identificò in Philip Roth, Thomas Pynchon, Don DeLillo e Cormac McCarthy, i più grandi scrittori americani contemporanei. Successivamente aggiunse alla lista John Crowley, e quindi in ogni conferenza relativa agli elementi più interessanti della narrativa odierna specificò che il suo giudizio si poteva estendere all´intera letteratura mondiale. Negli ultimi tempi non sono mancati giudizi feroci su autori popolari e anche scrittori celebrati, e quando Doris Lessing venne insignita del Nobel disse che si trattava di «una scrittrice di fantascienza di quart´ordine», e che la decisione del premio era una scelta di «pura correttezza politica».
Tra poche settimane, a quindici anni dal Canone occidentale, uscirà in America Living Labyrinth: Literature and influence, un nuovo testo critico su trenta scrittori che a suo modo di vedere hanno rivestito un´importanza fondamentale nella cultura mondiale: si va da Walt Whitman a Giacomo Leopardi, da Wallace Stevens a James Joyce. Bloom sostiene che la critica letteraria debba essere un atto in primo luogo di apprezzamento, e che oggi il canone sia apprezzabile solo da un´elite ancora più ristretta di quanto avvenisse in passato. Tesi che susciteranno nuove, inevitabili, polemiche, riguardo alle quali Bloom risponde ricordando la riflessione di Samuel Johnson che è stato il suo memento durante l´elaborazione del testo: «Non essere solo, non essere pigro e vano». Poi, nella prefazione, aggiunge che «tutti temiamo la solitudine, la follia e la morte. Shakespeare, Walt Whitman, Leopardi e Hart Crane non cureranno queste paure. Ma tuttavia questi poeti ci portano il fuoco e la luce».
Sono autori che continua a studiare con la passione di un giovane, ma quando gli chiedo di parlare degli scrittori che predilige in questo momento, sembra sollevato di poter volgere lo sguardo al presente. «Ammiro molto due autori teatrali, Edward Albee e Tony Kushner», spiega di fronte alla pila di tesi accatastate alla fine del semestre universitario, «e poi John Ashbury, il più grande poeta vivente».
Ritiene che i più grandi romanzieri siano ancora oggi DeLillo, Roth, McCarthy e Pynchon?
«Si, anche se la loro produzione migliore è di qualche anno fa. Mi riferisco a Mason e Dixon di Pynchon, Meridiano di sangue di McCarthy, Il Teatro di Sabbath e Pastorale Americana di Roth e Underworld di DeLillo. Se dovessi dire qual è il libro più importante dell´ultimo decennio direi proprio quest´ultimo, mentre gli ultimi romanzi di Roth sono troppo brevi e a volte deludenti».
Ritiene che oggi ci siano delle tendenze identificabili nella letteratura contemporanea?
«Mi sembra che ci troviamo di fronte ad un mondo letterario diversificato, debole e storpiato in maniere diverse. Riflettevo anche sulle incredibili scelte fatte recentemente dall´Accademia svedese nell´assegnare il Nobel. Con pochissime eccezioni, come ad esempio Harold Pinter, il premio è andato ad autori stupefacenti. Penso a Herta Müller, che ho voluto leggere e mi sembra a dir poco minore. O l´anno precedente, Le Clézio… insomma mala tempora currunt».
Il linguaggio delle immagini sta uccidendo quello della parola scritta?
«Certamente, ed è un danno culturale terribile. Non è più soltanto il cinema, ma la televisione, internet: una violenta e volgare invasione mediatica».
Lei ha stroncato senza appello autori di enorme successo popolare come la Rawling e Adrienne Rich: non ritiene che abbiano delle qualità?
«A me sembra semplicemente letteratura spazzatura».
Quali sono gli autori popolari che apprezza?
«Non me ne viene in mente neanche uno».
Lei sostiene che oggi sarebbe impossibile la nascita di un poeta del livello di Saba, Ungaretti e Montale, per citare gli italiani. Perché?
«Il declino culturale, e in particolare della poesia, è dovuto in gran parte alla questione linguistica che discutevamo prima. Non vedo troppi geni in giro e mi chiedo se ci troviamo in un momento di transizione che porterà a una rinascita, o stiamo invece affrontando qualcosa di più tragico, che segna, dopo tremila anni, la crisi della letteratura occidentale, per come l´abbiamo conosciuta».
Lei ha detto di aver apprezzato il Sessantotto, tuttavia individua proprio in quel momento l´inizio del declino della cultura classica e la nascita del politicamente corretto.
«È il momento in cui vengono messe in discussione l´autorità e l´autorevolezza. In cui nasce la falsificazione e l´edulcorazione del sapere, che comincia ad invadere ogni aspetto della società e della cultura. Nasce allora, parallelamente alla divulgazione popolare, un complesso di colpa relativo all´idea di élite culturale. Nello stesso tempo trionfa un´ipocrisia diffusa che genera il politicamente corretto, deleterio per ogni arte».
Lei ha sempre sostenuto che la politica e l´ideologia non debbano avere nulla a che fare né con la letteratura né con la critica: le viene attribuita la battuta secondo cui “un´interpretazione marxista o femminista dell´Amleto ci dirà qualcosa sul marxismo o femminismo ma nulla sull´Amleto”.
«Ho sentito troppe interpretazioni che non avevano nulla a che fare con Shakespeare, e ciò lo trovo estremamente dannoso da un punto di vista culturale. E, peggio ancora, ho letto interpretazioni dalle quali si capiva non solo che Shakespeare era utilizzato per dimostrare altro, ma che non lo si era affatto studiato in profondità».
È vero che ha letto ogni anno, per più di vent´anni, Il Circolo Pickwick di Dickens?
«Certo, è uno dei miei libri preferiti. E consiglio a tutti di leggerlo e rileggerlo».
Ci sono altri libri nei confronti dei quali ha una simile devozione?
«La Favola della botte di Jonathan Swift. Per me ha una funzione terapeutica: è un attacco a tutto il mio entusiasmo e quanto c´è in me di visionario».
Esistono scrittori che ammira, ma dei quali trova repellente l´ideologia?
«Certamente, e più di ogni altro un gigante come Dante Alighieri».

32 pensieri su “DISSENTIRE DA MR.BLOOM

  1. Beh io pure ho cominciato a dissentire con il Canone Occidentale, dal quale mi pare non si sia mosso di una paglia, e non ho mai smesso.
    In qualcosa mi tocca una corda affine – non ci crederò mai che si fa arte per etica, l’etica quando c’è è una coincidenza di ritorno – parere mio naturalmente. Tuttavia, trovo semplicemente ingenuo (ahò io nu zo umile) credere che la matrice dei cultural studies – con le sue preconizizzazioni marxiste, con il suo attuale approccio complesso femminista di postocolonialismo etc – sia separabile dall’analisi di qualsiasi prodotto.
    Ma credo che c’è una questione che riguarda le persone prima ancora dei critici. C’è chi ha a cuore certe cose e chi no. Quando Blum dice, certe analisi dicono molto del femminismo e poco di Amleto, molto del marxismo e poco di Shakespeare, dice qualcosa di opinabile riguardo quei “poco” (ma posso arrivare a comprendere perchè lo dice) dice qualcosa di vero riguardo quel “molto” – solo che a lui, come essere umano, come soggetto politico non gliene importa.
    Insomma non dimentichiamoci – Blum è prima di tutto un vecchio reazionario, tanto colto e preparato, ma fuori da certi contesti definibile come “uno stronzo”.

  2. abbastanza d’accordo con Zauberei, tuttavia Bloom non è che la scentri più di tanto (dai, confessiamolo) sulla relazione fra il ’68 e il politicamente corretto, e fra quest’ultimo e il “complesso dell’elite”. Che in Italia ha spalancato le porte al populismo senza una rinuncia di fatto ai privilegi dell’intellettuale disorganico alla società. Io del ’68 e ancor di più dei maoisti e dei movimenti degli anni ’70 parlo male sempre molto volentieri: sono finiti tutti in Comunione e Liberazione oppure quando va bene sono berlusconiani per matrice socialistia-craxiana. E se ci guardiamo attorno, li vediamo gli effetti. Soprattutto quel nuovo dogma (e tutti i dogmi sono sbagliati) per cui è una bestemmia parlare di narrativa e di letteratura, di alto e di basso. Hei.. secondo me 😉

  3. Blum però è più bello, lo adotto.
    Che dire quando è un monumento a parlare, uno che fa? Consente, dissente, ammutolisce, si stranisce…
    Io con Blum dissento da un po’ di tempo, condividendo anche alcune cose, soprattutto l’amore per alcuni autori, ma per motivi diversi.
    La cosa che mi stranisce invece è quella idea della letteratura cge sarebbe sotto attacco da parte delle immagini, dei media, del cinema.
    Del teatro, no? E no, del teatro no, visto che lui ha scritto un libro su Shakespere, e la cosa buffa è che il più grande homme-théatre, insieme a Moliere ed a Artaud secondo me, lui sembra considerarlo un puro letterato, un autore da leggere in rigorosa e ascetica solitudine, perché bolla come scellerate molte delle messe in scena, anche le più colte, le più rigorose, le più accurate e filologicamente attente.
    Sono assolutamente d’accordo sul fatto che un autore non debba essere pretesto per gli estri improvvisati di sedicenti registi, ma un testo teatrale è sempre un pre-testo che ogni messa in scena, anche la più rigorosa, attualizza, contamina, interpreta.
    Carmelo Bene, per me immenso regista di alcuni drammi shakespeariani, diceva: “Mettere in scena Shakespeare è come baciare il culo alla donna che si ama”, tutto il resto è accademia. Concordo.
    Ora mi chiedo se quello che accade per un testo teatrale non accada anche quelli letterari, senza voler andare a parare nell’ermeneutica.
    Epperò anche far coincidere il misuratore con il metro, come in fondo sembra fare Blum, non mi pare che sia una grande espressione di correttezza filologica.
    E’ una forma di bizzarra ermeneutica soggettiva elevata a misura universale.
    Chi lo dice? Blum! Ah, allora…

  4. Una cattedrale: Bloom e il suo “Canone” sono oggi cattedrali tanto che se ne parla con la dovuta (?) reverenza a cadenze regolari.
    Odio le cattedrali quando sono costruzioni fatte per annientare il povero pellegrino che vi si trova di fronte con la loro svettante grandezza: “tu, povero viandante, non ce la farai mai a sollevarti fin quassù. Genuflettiti”.
    Amo le cattedrali quando sono aperte e visitabili e sono lo spazio del ricovero e della condivisione: “tutto questo, povero viandante, è tuo. Entra e godiamone insieme”.
    Ecco, Bloom (e le sue 588 pagine, indici compresi) mi dà proprio questa impressione: un vecchio barbogio, assolutamente fermo davanti al suo monumento, e lo lustra ogni mattina!, che non si accorge di cosa cambia attorno (quanto gli fa schifo MTV a Bloom non sarebbe stato nemmeno immaginabile!!! – che poi magari fa schifo anche a me ma per altri motivi, marxisti-femministi-postcolonialisti, direbbe zau): un barone che più barone non si può. Solo che ce lo dice chiaramente, mentre in Italia nessun suo omologo lo direbbe altrettanto.
    Sul 1968 e politicamente corretto, anch’io ogni tanto mi sento ambivalente. Poi però ricordo che quella stagione ha dato cittadinanza a idee e pensieri e teorie che fin ad allora non avevano cittadinanza e non è nemmeno colpa del ’68 se il cosiddetto “politicamente corretto” narra un mondo e un’esistenza delle persone più condivisibili di quelli che abbiamo di fronte, nella realtà reale.
    @zau: blum… secondo me se lo viene a sapere, non rientra nemmeno per pranzo, lo sposo!

  5. un po’ dà i brividi (un po’ parecchio), un po’ dà da pensare…
    Ma, a conti fatti, son più brividi che pensieri, e c’è chi dà più pensieri che brividi…
    Il tempo è poco. Si vive ‘tempestivamente’. La decisone deve essere ‘economica’. Non leggerò Living ecc… Preferisco tornare all società narcisitica di Lasch… che vuole il suo tempo per essere riletta
    ;-)))
    lv

  6. Tempo fa scrissi un post che era una pura invettiva contro Bloom. Dopo aver letto questo articolo sono andato a recuperarlo, e lo condivido ancora parola per parola (mi arrivano ancora insulti ogni tanto, per quel post – ma è giusto così, invettiva chiama invettiva). Forse oggi mi esprimerei diversamente, ma neanche tanto.
    E quindi dico la mia: io considero Bloom un imbecille. Certo che è un monumento vivente: è un monumento vivente a quale struttura inutile sia l’Accademia, e a quanto ridicola sia un certo tipo di critica.
    Il punto delle posizioni di Bloom, per come la vedo io, è che non sono ‘giuste’ o ‘sbagliate’. E’ che non valgono niente – non meritano neppure contro-argomentazioni. Pretendere di giudicare il piacere, di stilarne categorie di merito, è un’operazione ridicola dal punto di vista intellettuale. E il solo provarci svaluta chi la fa, ai miei occhi. Un po’ alla Dawkins, per capisce: intellettualmente imbarazzante, abbia o no letto mille millanta cose.
    Va bene, Bloom è un’autorità eccetera eccetera. Ma su cosa si deve fare delle autorità, ho sempre avuto idee piuttosto precise. Chi ha deciso che è un’autorità? Una struttura culturale che ha deciso a sua volta che leggere un certo tipo di cose conferisca quell’autorità? Ma andassero tutti a mangiar ghiaccioli, via, che la vita è troppo breve per sprecarla così.
    L’idea che ha Bloom della letteratura, dell’arte, è mortale. E’ un’idea contro cui, attivamente, combattere. E che non merita neanche il rispetto delle armi.

  7. Bloom è il più grande critico letterario vivente. Tale affermazione è importante, soprattutto rispetto ad alcune considerazioni qui riportate. Questo non impedisce di dissentire sulle sue valutazioni. Anch’io dissento su alcuni giudizi, ma complessivamente condivido quanto scrive nel “canone”.
    Francesco, con rispetto ti dico: “ma mi faccia il piacere!”.

  8. La prima cosa da ricordare, dopo aver letto gli interventi precedenti, è che Bloom viene da tutto il mondo della letteratura considerato tra i più grandi critici letterari. Si, perchè alcune reazioni mi sembrano semplicistiche e poco attinenti agli argomenti letterari, molto più funzionali a visioni di carattere politico.

  9. La domanda é: come si misura la “grandezza-di-critico-letterario-viventità”? Che c’è, una scala decimale, un barometro, che? Ci sono dei tizi che la decidono? E a questi tizi, l’autorità chi la dà? Aver letto libri che altri tizi hanno deciso dare autorità? Me lo facciano loro, il piacere. Anzi, no – ne faccio a meno.
    E poi: ma a qualcuno di quelli che scrivono gliene frega davvero qualcosa del ‘mondo della letteratura’? Nel mio piccolo, parlo per me: me ne frega un segone. Come scrittore non voglio passare alla Storia, voglio passare alla pancia. E come lettore me ne impipo poco delle chiacchiere sulla perciochessità, mi interessano le storie e i piaceri che mi danno. E al diavolo il resto. Non voglio morire legittimato e colto, voglio morire divertito e divertente, con una coscia di pollo in mano e parecchie pinte di birra davanti a me.
    Non c’è niente che attenga o non attenga ad argomenti letterari, anzi, non credo nell’esistenza degli “argomenti letterari”. Ci sono storie e il piacere selvaggio di raccontarle e sentirle. E di parlarne: ma è passione, è sesso, è magia. Chi non capisce questo, scrive canoni. E inventa questi mostri atroci, queste bestie arroganti, gli ‘argomenti letterari’: è la versione accademica di Uomini e Donne, ma molto, molto meno onesta.
    E posso rispettare uno di questi ‘canonici’ come persona (ci mancherebbe: magari è anche simpatico). Ma come intellettuale, no. Nè stima, nè rispetto, nè riconoscimento.

  10. Per fortuna ogni tanto ritorna una Grande Critico Letterario a ricordarci – a ricordare a noi, che ogni tanto sembriamo averlo dimenticato, o speriamo sia giunto il momento di dimenticarlo – che la Grande Critica letteraria, la Critica Laureata, è reazionaria in sé. Poi, al suo interno, si possono operare dei distinguo, e come spesso accade c’è molto da imparare dai grandi reazionari (io, critico reazionario per critico reazionario, preferisco Steiner a Bloom, ma sono fatti miei). Ma senza dimenticare che l’idea di Letteratura Pura, come anche quella di Critica Pura – letterature e critiche che non si sporcano le mani con null’altro, perché pure devono restare – è un’idea reazionaria. Come lo è la difesa delle élite, sia quelle degli scrittori che quelle dei lettori. Come quella di canone. Eccetera.
    Poi, magari hanno ragione loro, i reazionari: non è che il mondo dia grandi segni di procedere non dico verso il meglio, ma in un qualche progresso. E non è che il progresso sia sempre positivo. Mica sono “contronatura”, eh… Ma chiamiamo le cose col loro nome, e comportiamoci di conseguenza: Mr. Bloom è un Grande Reazionario, perché fa molto meglio di tanti piccoli reazionari (di quasi tutti) un mestiere reazionario. E tale resterebbe se scrivesse sul Manifesto, Alias o Unità.
    E, di nuovo: grazie mille, Mr. Bloom, per avercelo ricordato.

  11. Bisogna essere contro il vecchio e a favore del nuovo a prescindere? Io di Bloom ho solo sentito parlare appena, così come dei suoi “nemici giurati” dei cultural studies, ma la proposta, che molti associano al postmodernismo, di una cultura fatta di ammiccamenti superficiali, di suggestioni accennate, di sfruttamento grossolano dell’immaginario con poche proposte, quella insomma che vedo soprattutto in TV, non mi piace. Si continua a proporre e ad esaltare questa corsa al ribasso, alla semplificazione, alla ratatouille che saccheggia generi e atmosfere in nome di una “democraticità” di fruizione ha molto a che fare con l’audience e il bisogno di “staccare la spina” e poco con la letteratura. Come a dire: se volete qualcosa di più significativo e raffinato siete teste d’uovo, nerd fuori dalla realtà, oggi la gente vuole questo, siamo tanti e abbiamo ragione. Immagino cosa pensi Bloom, tanto sullo spettacolo di massa quanto quando sottintende che la critica militante, in quanto militante, parte con un pregiudizio così forte da vedere quello che vuole vedere. Riguardo alla prima questione, reazionario o no, sono abbastanza d’accordo: come si fa ad accettare l’abbassamento culturale (medio) di oggi facendo gli araldi del nuovo che avanza? Questo “nuovo” è brutto, banale, irrispettoso, venale. Non lo voglio. Meglio il vecchio, magari non per musealizzarlo ma per dargli una convinta spolverata e riproporlo in forme nuove prima che sparisca o diventi materiale da venditori e pubblicitari disinteressati alla qualità di ciò che offrono purchè tiri.

  12. PS Prima di lanciarvi contro il matusa considerate solo una cosa: non mi ritengo un vero colto, di accademico o scolastico ho letto così poco! Ai miei occhi esaltare un autore grazie alla critica o farlo grazie alle vendite sono operazioni molto simili: la prima si fonda sul prestigio di pochi, l’altra sul senso comune presunto indiscutibile della massa. Il tutto per dire d’autorità al povero lettore che deve rinunciare al suo gusto, alla sua idea e al significato che lui ha dato al libro per arrendersi a quello che altri hanno dato e fissato per esso. Da qui poi parte la solita spirale che si motiva da sè, com’è tipico di tutte le culture che vogliano crearsi dei punti fermi (canoni, non solo in letteratura, nemici potenziali delle libertà del singolo) riassunta nella frase “piace perchè è piaciuto” (a qualcun altro che è venuto prima di te e che è inaccettabile contraddire).
    Trovo tutte queste cose peggio della peste se si vuole amare davvero, personalmente, un’opera qualsiasi. E’ commerciale? Non è commerciale? E’ ritenuto un capolavoro? E’ ritenuto una porcheria? Primo, non si rifiuta qualcosa senza prima assaggiarlo, secondo ognuno vede anche molto di sè nell’opera. Parametri oggettivi di qualità letteraria ci saranno pure ma credo che non determinino in modo meccanico l’apprezzamento o no del testo, è una cosa troppo complessa e personale.

  13. Francesco, fai sempre riferimento a chi misura che cosa. E’ una strada che, in genere, percorrono coloro che non vogliono entrare in merito ad un argomento. Bloom, a proposito, non tiene molto ai riconoscimenti, sovente li snobba.
    Girolamo, usi categorie meramente politiche, dentro le quali non puoi metterci con disinvoltura e pigrizia mentale uno Steiner o un Bloom. Ti invito a fare un piccolo sforzo e leggere non dico il “canone” ma “Grammatiche della creazione” di Steiner poi, forse, la parola reazionario la riporrai tra i giocattoli della giovinezza.

  14. Dinosauro: no, è un atteggiamento di chi non si fida dell’autorità. Bloom snobba i riconoscimenti? Scherziamo? Uno dei più grossi don accademici al mondo? Facile per Bill Gates, snobbare i dollari.
    E comunque no, che non intendo entrare nel merito. Perchè un argomento che parte da posizioni che reputo imbecilli (classificare il piacere, classificare la stazza critica, decidere che la Rowling non ha importanza), non lo stimo, non lo rispetto, e non merita il mio tempo. Un’invettiva, semmai. L’esistenza stessa di un ‘merito’ in cui entrare è una costruzione fatta dai bloomidi, e la disprezzo.
    E poi: ‘reazionario’ non è per forza un insulto, ma certe posizioni definiscono se stesse. Non è possibile lamentarsi, se poi uno ci dà il nome che ci siamo costruiti. La botte piena e la moglie ubriaca, al solito, non è concessa.

  15. Dinosauro, Grammatica della Creazione l’ho letto, grazie. Steiner l’ho ascoltato dal vivo almeno due volte. Ci ho anche scritto sopra (e contro) su carta, e ne ho parlato spesso in rete. È un autore dal quale imparo sempre qualcosa. Ciò detto, è uno che, se potesse, fermerebbe il treno della storia (non solo letteraria) e lo riporterebbe indietro: reazionario significa questo. È sbagliato ricordarlo? La sua idea della modernità, la sua nostalgia del tragico è coerentemente reazionaria: non è un giudizio di merito, non sto dicendo che è un cattivo critico perché è reazionario. Il suo presupposto è che per la critica letteraria non conta la distinzione tra buona e cattiva letteratura, ma solo tra buona e ottima, e che solo di quest’ultima debba occuparsi il critico (per capirci, tra la “buona” che non merita per lui c’è Madame Bovary): questa per me è una concezione reazionaria, come quella di Bloom, della letteratura. Perché alla fine per giustificare il perché un autore come McCarthy sia grande letteratura, visto che viene dal genere (western), e dunque non dovrebbe esserlo (e francamente come sarebbe pensabile Cormac McCarthy senza lo sdoganamento del genere?) tirano sempre fuori il deus ex machina reazionario (da noi si direbbe: crociano) del genio individuale, che funziona sempre, come la vis dormitiva dell’oppio.

  16. Io ho letto pochissimo di Bloom, qualche estratto dei suoi libri, forse un paio di articoli…
    Ma mi sono rimaste molto impresse due sue opinioni: la prima su “Il giovane Holden”, la seconda su Dostoevskij.
    Sul libro di Salinger Bloom scriveva delle cose banalissime, ripetute da mille altri, del tipo “sì, mi è piaciuto, ci sono pure affezionato al vecchio Holden, ma tra x anni questo libro non se lo filerà più nessuno”.
    Bloom è convinto che ciò che attrae del G.H. sia fortemente legato a un periodo storico, a una generazione ecc.
    Ma, come tanti altri critici, non considera che la precisione (l’esattezza?) linguistica, la particolarità dello sguardo e i temi di fondo del G.H. (l’insoddisfazione, la ribellione, il sentimento di esclusione o unicità)
    non sono destinati a invecchiare.
    Su Dostoevskij Bloom scrive che sarebbe anche un grandissimo scrittore, però è antisemita quindi non può esserlo. Poi spiega con dovizia di particolari perché è assurdo pensare che D. possa aver raggiunto la grandezza di Shakespeare: perché è un antisemita e quindi non può essere grande come Shakespeare.
    A parte il fatto che secondo me quando si giudica Dostoevskij dai suoi diari e dai suoi articoli bisogna sempre andarci molto cauti, perché è arcinoto che – dopo l’arresto e la Siberia – tutto quello che scriveva veniva controllato dalla polizia dello Zar (o come si chiama) e considerato che Bloom dovrebbe avere la premura di contestualizzare l’atteggiamento di D. nei confronti degli ebrei in relazione all’epoca in cui è vissuto, è lampante – credo – che l’ingegno di uno scrittore (così come la sua visione del mondo) vada ricercato nella sua opera. Se in relazione agli autori contemporanei questo è un atteggiamento auspicabile, in relazione agli autori dei secoli scorsi è l’unico atteggiamento possibile.
    Detto questo, non mi viene da inginocchiarmi davanti a Bloom come davanti a un Maestro Venerabile.
    Naturalmente queste due uscite, che a me appaiono infelici, potrebbero essere episodi negativi di una produzione critica di altissimo livello.
    Ma dedicare il mio tempo a chi liquida il più grande romanziere di sempre come un antisemita, per il momento, non rientra nei miei piani.

  17. Concordo anch’io con girolamo sul significato di reazionario come di qualcuno che vuole fermare il treno della storia e che, come una vecchia signora, si apparta nella sua stanza a suonare la spinetta mentre intorno il mondo precipita, come perfidamente disse Saba di Croce.
    Magari quella spinetta il reazionario la suonerà pure divinamente bene, come io ritengo faccia Steiner, ma sempre di spinette parliamo, ovvero di un finto rapporto con la realtà effettuale. A meno che non si pensi che tra critica e realtà effettuale non ci debba essere nessun rapporto, se non di totale rifiuto o negazione.
    Che poi la realtà non sia tutta buona e bella, e che forse il mondo stia pure precipitando, è un altro paio di maniche, quello che voglio dire è che il pensiero critico non può essere identificato tout-court con il pensiero restaurativo, o reazionario che dir si voglia, come troppo spesso si fa.
    Per quel che mi riguarda, sono profondamente convinta che forse oggi più che mai ci sia bisogno di una funzione critica il più possibile diffusa e militante e di un pensiero critico progettuale che, proprio perché critico, non si lascia bendare gli occhi dal pregiudizio, dalla nostalgia o dall’autoreferenzialità.
    Che poi – detto per inciso – uno che non si accorge di quanto genere ci sia anche nell’ultimo Mc Carthy mi chiedo proprio che genere di critico sia.

  18. La citazione di Valeria (da “Scorciatoie e raccontini” di Saba, 1946) è talmente bella che merita l’integrale:
    ULTIMO CROCE. In una casa dove uno s’impicca, altri si ammazzano fra di loro, altri si danno alla prostituzione o muoiono faticosamente di fame, altri ancora vengono avviati al carcere o al manicomio, si apre una porta e si vede una vecchia signora che suona – molto bene – la spinetta.

  19. Io capisco cosa dice Girolamo. Ma io ci ho la sensazione che il problema de BLUM! NON è l’essere reazionario in senso ampio, che ampia che te ampia anche la letteratura qualcuno dice ci ha sempre un che di reazionario. Ma nel senso semplice e politico della parola, più ristretto e quotidiano – quel tipo di reazionario che va insieme a “aristocratico” a “classista” a “maschilista” e a “sticazzi de voartri che morite de fame”. La critica letteraria è piena di questi personaggi – anche validi intellettualmente – ma altrettanto piena di altri che coniugano critica a altri ideali soggettivi. ANche questo secondo gruppo bestia nera del Blum!
    I cultural studies sono spesso altra cosa dalla critica letteraria, e concordo con chi li vuole distinti. Ma possono essere fatti molto bene, e non rappresentano necessariamente una corsa al ribasso.

  20. Perfettamente d’accordo con Girolamo, Bloom è un reazionario, ma spesso nelle posizioni dei grandi reazionari ci sono delle ragioni con cui bisogna fare i conti.
    Rifiutamo il canone ,giustamente, ma non possiamo rispondere solo con anobii o peggio con il mercato.
    Le risposte di Benjamin ad Adorno (non un reazionario, per carità) avevano una potenza che noi oggi non possediamo.

  21. Da lettore sono d’accordo con Bloom, Il linguaggio delle immagini sta uccidendo quello della parola scritta.
    Siamo a tal punto ubriachi di immagini che il lettore occasionale e pure quello “forte” spesso non riescono a digerire le scritture più verbali che visive, incapaci di leggere parole senza immagine, cioè in una lingua che non si appoggia al visivo. A mio modo di vedere, in Italia la situazione è meno invitante che altrove, in questo senso, per il fatto che abbiamo una lingua musicalmente ricca e complessa che si presta moltissimo a una lettura – per così dire – sensoriale, legata cioè ai sensi che la superficie del testo (i suoni, le risonanze poetiche) è capace di stimolare nel lettore, in modo particolare la “vista”. Ma questa, per quanto trascinante e piacevole, è solo una parte dell’interazione con il lettore, che consta anche di altre componenti, tutte verbali, che costituiscono quella “tensione” del linguaggio che la nostra letteratura, io credo, ha dimenticato da almeno trent’anni.
    Penso anche che la perdita di questa “tensione” nella lingua abbia comportato anche sul piano creativo e inventivo una caduta, oltre che di tono, della fantasia, e mi riferisco a quella fantasia linguistica capace di produrre mondi, situazioni, personaggi straniati – quando insomma le parole sono messe nella condizione di scatenarsi, quando sono in tensione perché si dedica loro attenzione (e intenzione) anche sul piano verbale.

  22. Preciso. Nel commento qui sopra c’è solo il tentativo di esprimere in parole una certa insoddisfazione (magari non solo mia) rispetto allo stato di salute della letteratura italiana. Contestabilissima. E’ solo un’opinione. Precisare non guasta, considerando le faide dei lit-blog.

  23. Bloom è reazionario, spudoratamente filoanglosassone e assai prevenuto verso certi generi (come la cosiddetta scrittura popolare) e verso certe letterature (ad es. quella francese); è anche ossessionato dalle classifiche di bravura e/o grandezza; ma è pure un uomo di straordinaria cultura e di notevole originalità di pensiero. La sua idea di letteratura come agone ame convince parecchio. Esagera sistematicamente quando parla di Shakespeare (uno su cui obiettivamente è difficile esagerare, eppure Bloom ci riesce), ma non esagera a mio avviso quando sostiene che un certo appiattimento culturale e un certo eccesso di democrazia estetica stanno danneggiando la forza e la profondità e la bellezza delle narrazioni e delle poesie attuali. Un discorso, questo, su cui insiste anche un altro grande intellettuale odierno succitato come George Steiner. Poi è chiaro, i patriarchi dell’accademia esprimono le proprie idiosincrasie e addirrittura i propri capricci a getto continuo; ma posseggono il merito a mio avviso di promuovere ancora un’idea di qualità individuale che oggi s’attribuisce più a calciatori, gossippari e veline che agli artisti.

  24. Mah, io ho tudiato in un’università dove si teneva in palmo di mano la “letteratura di massa”.
    E il problema era comunque la posizione degli accademici, non tanto l’oggetto degli studi. Facevano un uso reazionario (ancorché lo volessero gramsciano) del materiale di letteratura popolare, e ammazzavano la vitalità.
    Cambiamo par-agone: fosse Bloom apppassionato e scrivente di pugilato (immaginatevelo: che farebbe, di chi scriverebbe, chi seguirebbe), con il suo approccio che cosa saprebbe dare il suo discorso sulla boxe alla boxe? P-O-C-O, per essere gentili.

  25. Sarà, ma per scoprire l’esistenza di Alejo Carpentier ho dovuto aspettare lui: il chiacchiericco letterario presente lo ignorava del tutto.
    Bloom ha quasi sempre da dire qualcosa sugli autori importanti, qualche punto di vista originale o personale (anche sbagliato ma personale). In realtà se voglio sentir parlare di Stephanie Mayer o della Rowling non ho difficoltà a trovare in Rete tutto quel che voglio: ma trattandosi di opere più interessanti dal punto di vista sociologico che altro e che possono intrattenere ma certo non aprono il benchè minimo nuovo orizzonte mi posso anche risparmiare la fatica.
    Per i classici resta la definizione che non ricordo chi diede della letteratura: news that stay news – e per questo Bloom è perfetto

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