DUE CHIACCHIERE CON IL TEAM DI OBAMA

Ieri pomeriggio ho conosciuto Ben Self e Dan Thain. In altre parole: Blue State Digital. In altre parole ancora: coloro che hanno predisposto e realizzato la strategia on line per la campagna elettorale di Barak Obama.
L’occasione era un incontro fra alcune persone che si occupano di/vivono su/scrivono per il web in Italia e chi, nel Partito Democratico, si occupa di/ragiona su/lavora per il web medesimo. E’, per la cronaca, il secondo incontro a cui ho preso parte in quel del Nazareno, insieme a un piccolo gruppo di blogger, imprenditori, giornalisti, operatori della rete.
Ed è stata un’occasione molto, molto interessante.
Self e Thain hanno parlato di cose note e no. Hanno precisato che nessuna tecnologia, pur sopraffina, è utile senza una strategia, e che la strategia medesima deve attenersi comunque ad alcuni principi guida.
Ovvero: non aspettatevi che il pubblico (o la gente, o gli elettori, o i lettori) arrivi da voi, dovete essere voi a raggiungerlo, attirarlo al vostro sito, suscitare interesse e utilizzare poi l’interesse medesimo; non dimenticate che Internet è un mezzo bidirezionale: chi lo utilizza ha una reazione e quella reazione è importante; siate disposti a sorprendervi e a mutare la strategia iniziale in seguito alle reazioni che otterrete; tutto quel che fate è misurabile: i risultati ottenuti volta per volta vi permetteranno di predisporre aggiustamenti laddove ci fossero dei punti deboli; le attività on e off line non devono mai procedere per strade separate (e questo mi pare uno dei punti fondamentali).
Poi. Le parole d’ordine. La gente è stanca dei politici: reagisce alle persone e alle emozioni. Solo con l’emozione (la passione, ricordate?) è possibile coinvolgere pubblico ed elettorato.
Poi. Le cifre. Notevoli. Dei settecento milioni di dollari  di donazioni per Obama, cinquecento sono state raccolti  on line. Le donazioni individuali sono state quattro milioni. Molte anche di cento dollari. O di cinque. E ancora: duemila video caricati sul portale, centomila blogger collegati alla campagna elettorale.
Ecco: video di chi? Altro punto da sottolineare: raramente di Obama, ma dei suoi sostenitori. Storie, insomma, individuali. “Everybody wants to be an insider”, campeggiava su una delle slide mostrate ieri pomeriggio. Argomento ben noto a chi frequenta la rete, certo.
Ma la cosa singolare, e forse inaspettatata (da me), è che il fulcro di tutto sono le e-mail. Mail personalizzate (con un team di volontari che si occupava esattamente di  mandare risposte non generiche: parliamo di settemila diversi tipi di mail, per essere precisi) e finalizzate ad ottenere che i destinatari delle mail medesime si impegnassero OFF-LINE. In incontri, campagne porta a porta, feste e quant’altro. Il team di Obama ha totalizzato 220 milioni di contatti diretti con gli elettori: parliamo di porta a porta e di telefonate. Knocks and call. Off line, appunto.
Ma come, e i social network? Utili, ma fino a un certo punto: le elezioni – è stata la risposta – non si vincono con un milione di amici su Facebook ma con il porta a porta. Ovvero: “Su Internet, abitualmente, si cerca di riflettere sulla politica. Invece, bisogna farla”.
Alla fine, la vostra eccetera ha alzato la manina e ha esposto il proprio dubbio: dunque, la rete va considerata soprattutto come strumento per rendere più efficace la campagna tradizionale, il famigerato contatto diretto, viso a viso, con gli elettori? Risposta: “Con Howard Dean- di cui la Blue State Digital si era occupata – il risultato ottenuto in rete è stato entusiasmante. Ma non è stato tradotto in voti”.
Meditate. E se volete andare ad ascoltare in prima persona Self e Thain oggi pomeriggio, nell’incontro pubblico delle 16. Informazioni qui.

30 pensieri su “DUE CHIACCHIERE CON IL TEAM DI OBAMA

  1. Ho seguito la campagna Obama passo passo.
    Ero iscritta alla sua mailng list nel periodo di transizione. Ho studiato e archiviato una a una le mail che mi mandava il suo staff: impeccabili.
    Le mostro sempre, quando parlo di comunicazione politica e cura dei dettagli, per spiegare come un punto o una virgola, un aggettivo o un’interpellazione fanno la differenza.
    La comunicazione è SEMPRE una questione di dettagli. Piccolissimi dettagli di forma e contenuto.

  2. La differenza tra Obama e gli uomini senz’ombra che si alternano alla guida del piddì è, per usare una metafora di Orson Welles, che Obama, come il regista che gira il film, usa non una penna, ma un esercito. Nel piddì, invece, c’è il leader-ino che si accontenta di essere fotogenico, c’è Ermete Realacci che decide tutto lui sulla campagna elettorale, perché lui “è uno che ne capisce”, c’è al massimo lo sforzo di prendere uno slogan e tradurlo in italiano – senza la minima consapevolezza degli slittamenti semantici cui si va incontro facendo scomparire, nella traduzione di “Yes, We Can” il We, che è tanto il centro dello slogan (=forma dell’espressione) quanto il centro del messaggio (=forma del contenuto). Dal NOI al SI impersonale, andando a combattere contro un asse espressione-contenuto incentrato su un IO ipertrofico – la cui ipertrofia, punto debole su cui si doveva far leva, si ribaltava in forza a fronte del nulla espresso dalla controparte: è quello che è successo alla cosiddetta sinistra italiana, come poteva non succedere ai propri messaggi?

  3. Ho linkato il tuo post e espresso sul mio blog tutto il mio pessimismo, purtroppo.
    Il PD è troppo lontano dalle vette della comunicazione e della politica di Obama.
    Con quel gruppo dirigente, possono al massimo simulare di essere ricettivi e aperti al nuovo, organizzando conferenze e invitando team di esperti.
    Dopo di che, continueranno per la loro triste e ammuffita strada.
    Sono troppo pessimista? Vediamo cosa dicono anche i miei studenti.
    Bah.
    Sulla differenza fra il WE e il SI, di cui parla Girolamo, avevo scritto un anno e mezzo fa questo post:
    http://giovannacosenza.wordpress.com/2008/02/15/la-differenza-fra-yes-we-can-e-si-puo-fare/
    Ciao!

  4. Ma ce l’hanno le idee quelli del PD?
    Perchè io sono assolutamente d’accordo sul fatto che le parole sono importanti, ma anche su quel vecchissimo slogan che diceva ‘rem tene, verba sequentur”.
    Ora la destra, o come si voglia chiamare quella strana cosa italiana, secondo me, le idee ce l’ha, sa benissimo cosa vuole fare e non fare, le parole le servono solo a non farlo capire, sennò addio consenso.
    Quindi quel linguaggio, ipersemplificato e pubblicitario, che loro dicono tanto vicino al popolo, in realtà ne è tanto lontano, molto di più della famigerata ‘langue de bois’.
    Perché se nel politichese, se così si può tradurre ‘langue de bois’, il cosiddetto popolo può individuare la distanza da sé, nel linquaggio ipersemplificato il sempre cosiddetto popolo individua una falsa vicinanza. Quindi c’è una mistificazione al quadrato.
    Riguardo ai discorsi di Obama poi c’è da considerare anche il fatto che nel curriculum statunitense è previsto un allenamento al discorso pubblico attraverso lo studio della retorica antica e moderna, che da noi non si sa più nemmeno cosa sia.
    Uno si può circondare pure dello staff più raffinato del mondo, ma un certo stile di discorso (se vogliamo limitarci solo alla forma) non si improvvisa.
    Un’ultima cosa. Ben vengano tutte le strategie comunicative di questo mondo, ma il nostro è un paese che ha bisogno di un approccio scientifico alla reatà. Non lo chiamerei un ritorno, perché non è mai stato granché diffuso nella cultura italiana, ma nella tradizione della sinistra forse c’era.
    Riprendo l’invito che Antonio Pascale fa nel suo ‘Scienza e sentimento’ alla sinistra, ovvero di riprendere a studiare seriamente e di applicarsi a quella ‘res’ senza la quale tutti i discorsi, anche i più ben costruiti, sono, se va bene, inutili, se va male, dannosi.
    E poi ben venga Obama e tutto il suo staff, si capisce.

  5. beh, per me lo straordinario successo delle “primarie” di prodi, anche come raccolta fondi, era un po’ un obamismo all’amatriciana ante litteram, oppure è un po’ tirata per i capelli?

  6. Siamo anni luce lontani da quell’organizzazione e quell’acume, sia per un budget limitato, sia soprattutto per una cecità che fa fatica a guarire. Il web viene annusato, vagliato, ma mai veramente capito.
    Ho come l’impressione ci sia come uno scarto generazionale, tra i politici e le nuove tecnologie. Che nonostante i proclami da politica 2.0, non ci si sforzi più di tanto per imparare a fondo la rete, forse perché non si crede davvero che possa essere un grimaldello importante.

  7. Per carita’, tutto vero, staff di Obama bravissimo, etc (e il PD si e’ sputtanato sin dalla presentazione al Lingotto di Veltroni, un autogol clamoroso). Pero’: McCain non sa parlare, e la Palin non sa. Period. Era difficile far peggio di loro. Visti tutti e tre i confronti (2 Obama-McCain e uno Biden-Palin), e alla fine mi veniva da piangere. Purtroppo, Obama sta dimostrando in queste settimane tutti i suoi limiti (sul bailout, sulla sordina messa all’utilizzo del materiale militare che metterebbe in pericolo i militari US, sulla non insistenza ad intervenire sulle infrastrutture, etc; alla cena con i giornalisti si e’ preso in giro dicendo di esser stato l’unico presidente a dover nominare tre ministri dell’economia in meno di 100 giorni: c’e’ poco da ridere…) e la sua appartenenza alla “casta”. Ha stravinto le elezioni, e’ vero, ma poi? Ormai quasi chiunque e’ concorde nel ritenere lo stimulus package fallimentare (fatto salvo aver devoluto un bel pacco di soldi ai banchieri), i dati sull’occupazione continuano a peggiorare (si e’ arrivati al livello degli anni ’80), i vari stati federali stanno tagliando a piu’ non posso il gia’ poco che spendevano su educazione pubblica e sanita’. E allora? Dov’e’ la politica? Strategia vincente elettorale a parte, le tentville si moltiplicano, e la disperazione non diminuisce.

  8. Rilancio: dov’è la politica? Può essere sostituita con il ‘packaging’ ?
    (Solo per inciso: non mi sembrava che Mc Cain fosse un pessimo comunicatore. Quella che a molti è sembrata goffaggine, a me sembrava solo sobrietà).
    Riguardo ai limiti che Obama sta dimostrando adesso temo che siano i limiti imposti dalla gestione delle cose reali . Non sto dicendo affatto che le scelte di Obama siano inevitabili, assolutamente no, ma che gestire insieme mito e realtà diventa difficile.

  9. Si è detto che l’utilizzo sapiente della rete è fondamentale per raggiungere i cittadini elettori. Bene. Io penso che in Italia siamo ancora distanti anni luce da tutto questo perché:
    i dati nazionali, qualche tempo fa, parlavano di una riduzione dei collegamenti internet (i costi e la crisi incidono anche in questo senso) e io stessa ho contatti con una realtà molto povera – scuola in Sardegna – e vi assicuro che in molte famiglie internet non c’è mai stato.
    Se è vero che i politici non usano abbastanza questa realtà, visto quanto detto sopra, non è un gran problema.
    Piuttosto, altri partiti, considerando proprio questa realtà, hanno sperimentato altre strade – “tradizionali” – per accattivarsi il consenso degli elettori: parlo, ad esempio, dell’operazione mediatica che la Lega sta facendo in Sardegna dove, quotidianamente le trasmissioni di radio padania “allietano” le nostre giornate. Seguendo quelle trasmissioni si coglie una volontà di stare veramente vicini ai problemi quotidiani della gente (le persone telefonano per lamentasi dell’insufficienza degli spazi per i cani, della pericolosità delle autostrade per via dei tir, dell’invadenza del kebab… ecc,): con la radio hanno riscoperto il modo per dar voce al paese reale, con le sue paure e le sue speranze…
    Se ci lamentiamo del fatto che il PD non sappia più intercettare i voti degli operai dobbiamo anche prendere atto che gli operai forse oggi, non hanno più neppure il collegamento internet…
    E allora: noi parliamo del futuro della comunicazione, anche politica ma ci rendiamo conto di come siamo messi in Italia, quanto ad accesso ai mezzi di comunicazione e reale capacità di decodifica dei messaggi?

  10. Scusate, intervengo di nuovo, ma per me la parola comunicazione è come un martelletto che mi tocca un nervo evidentemente scoperto.
    Concordo con quello che scrive Paola e ci aggiungo un articolo di De Mauro, Analfabeti d’ Italia, pubblicato su Internazionale circa un anno fa.
    Lo cito perché il dato sull’analfabetismo è troppo sottovalutato, o tenuto troppo presente, dipende da che tipo di comunicazione, o di manipolazione, si vuole fare.
    Ci si meraviglia del successo della Lega e, a commento, si dice ‘eh si certo loro sì che sanno lavorare sul territorio’.
    E perché la sinistra no, perché non più?
    E’ stato citato l’esperimento casareccio di Prodi. Casareccio è casareccio, ma qualcosa credo la potrebbe ancora insegnare.

  11. E’ decisamente entusiasmante: poter vedere cosa c’è dietro questa enorme macchina comunicativa, da persona singola, mi fa tanto sentire parte di un sistema più grande. Peccato che qui non sia come in America (che i nostri politici non sanno nemmeno aprire una gmail) e che infatti questo senso di ‘appartenenza’ non mi appartenga più.

  12. grandiosa manifestazione di solidarietà nella rete a favore dei terremotati dell’Abruzzo:raccolti settanta milardi di parole.I social forum salveranno il mondo(e l’ormai familiare risata ci seppellirà)

  13. Ricordo che il giorno delle ultime elezioni politiche L’Unità recava una breve intervista a Ermete Realacci sull’uso di internet nella campagna elettorale (nella Segreteria Veltroni aveva allora responsabilità in questo campo). Una bella serie di autolodamenti, che culminava nel richiamo del picco di visite nel periodo elettorale. A me pare che Ben e Dan non abbiano detto grandi cose, forse la più importante è l’invito a “misurare”. Se poi però i nostri scambiano la domanda con la capacità di risposta…
    Del resto in buona parte sono gli stessi che guidarono la campagna Rutelli2001. Anche allora chiamarono un gruppo di esperti oltremare che giustamente avvertì di non enfatizzare la rete nel parlare con chi la rete non la usa. Ma i nostri per essere ben sicuri di non sbagliare finirono per cancellare la rete.
    Me lo ricordo quel 2001. Quando un gruppetto di volontari riuscì ad accreditarsi al quartier generale di SS.Apostoli, una delle cose che costò più fatica fu quella di formare una mailing list mettendo insieme tutti gli address sparpagliati sui circa 60 pc della rete interna e via via arricchendola con i contatti utili registrati dal desk di risposta ecc. Insomma, tutte persone che aspettavano solo di essere lanciati, che aspettavano strumenti per fare al meglio la campagna. Cosa hanno detto Ben e Dan? Motiva i tuoi e mettili incondizione di attivarsi one2one. E sapete i nostri strateghi che messaggi inviarono negli ultimi 10 giorni? Due messaggi per invitare ad andare nelle piazze a comprare le piantine, si piccole piantine di fiori ai banchetti elettorali pro Rutelli.
    Gradite qualche altro episodio? Che amarezza…

  14. Quello che in pratica penso e predico da millenni.
    Cara Loredana, ci tenevo a segnalare un’altra pubblicità aberrante: http://www.youtube.com/watch?v=SpApITku5aw
    Per curiosità ho “googlato” per vedere se magari qualche giornale si fosse degnato di segnalare reazioni indignate alla vista di questo schifo. E sì che nel video di youtube i commenti indignati non mancano. Ho provato ad inviare una mail alla Rocchetta ma l’invio è fallito, forse per problemi alla mia mail e ritenterò in seguito.

  15. Eppure quello spot, per gli obiettivi della Rocchetta, funziona, colpisce il bersaglio.
    Lo spot non è sbagliato, è sbagliato secondo noi il messaggio che veicola.
    E quindi quello che sto tentando di dire è che analizzare la cominucazione soltanto in termini di corenza interna, di semiotica e di raggiungimento degli obiettivi – a prescindere da questi – comporta sempre dei rischi. Sia quando riguardano le donne che quando riguardano tutto il resto.
    Mi viene in mente il discorso che fa Seguela (il pubblicitario che ha curato una mitica campagna elettorale per Mitterand) in “Non dite a mia madre che faccio il pubblicitario. Lei mi crede pianista in un bordello” dove rivendica la non responsabilità del pubblicitario rispetto al prodotto che pubblicizza, sia questo un sapone o un uomo politico.
    Lui deve piazzare il prodotto, tutto il resto non conta.
    I pubblicitari della Rocchetta devono piazzare quell’acqua.
    In nome di cosa dobbiamo chiedergli di più? (E’ una domanda provocatoria)

  16. Valeria. Dal momento che la pubblicità ha un ruolo sempre più pervasivo nelle nostre vite, che è capace di orientare i comportamenti, i gusti, in una parola il costume, e che questo ha implicazioni inimmaginabili sul senso comune, sui modelli psicologici di riferimento, ecc di un contesto sociale, i pubblicitari hanno evidentemente un potere enorme, che va ben al di là del semplice compito di “vendere il prodotto”. Questo “sintomo” della divisione del lavoro, questo dilagare di specialismi (lo dico in tono neutro) fa sì che si perdano di vista i perché, i contesti, le conseguenze. Ogni lavoratore, allora, in un simile assetto burocratico (dove, cioè, ciascuno delega ad altri le proprie responsabilità, e, come direbbe Arendt, s’instaura una sorta di governo di nessuno) fa quello che deve fare ciecamente: “io mi svolgo il mio compituccio, al resto ci pensino gli altri” che ovviamente, non ci penseranno, perché a loro volta faranno lo stesso ragionamento. Non so se mi spiego.
    Allora, secondo il tuo pensiero, dovremmo accettare messaggi pubblicitari anche disumani, volgari, in una parola barbari, semplicemente per “rispettare” le (pretese) circoscritte intenzioni del pubblicitario? Trovo che sia molto riduttivo e semplificatorio pensarla così.
    Temo che sia decisamente OT, ma la domanda mi è balzata agli occhi.

  17. Io sono tentata dall’opinione di Valeria diciamo così – nella misura in cui ritengo che la pubblicità non crei ma in linea di massima rispecchi.
    E almeno io leggo il suo parere nella direzione di: non possiamo isolare le nostre critiche alla semiotica della pubblicità laddove essa è solo una propaggine della cultura generale, una delle tante per altro.
    Però Valeria mi dico – come ho già scritto in altri commenti sempre qui – come mai se chiedi a un inglese, a un francese a un americano a un giapponese, cosa pensa della tivvù italiana e quello REGOLARMENTE dice, mizzica quanti culi? Come mai in Italia l’immaginazione pubblicitaria passa per la fica in un numero di volte esponenzialmente superiore che negli altri paesi? Non è che se trombi de meno nelle Inghilterre eh, epppure l’economist si è scandalizzato sul fatto che da noi, per vendere una tariffa telefonica, tim, ci volevano le tette della Kanalis. Allora c’è un problema, il problema per cui si incrocia sessismo povertà di idee e un generico modello di imprenditoria fermo allo stadio della clava. La qual cosa certo è dell’Italia tutta e non solo della pubblicità – ma mi pare lecito chiedere all’industria culturale di fare un qualche progressuccio in termini di ideologia (ohibò che parolaccia!) e creatività (invece tanto alla page)

  18. La domanda era provocatoria e il pensiero di Seguela, nonostante l’indubbio fascino e intelligenza della persona, non rispecchia il mio.
    Decisamente io non l’ho mai condiviso, ma è lì da molti anni e non mi pare che abbia suscitato delle reazioni critiche o soltanto scandalizzate da parte di qualcuno.
    Io ho solo voluto mettere una freccia del tipo: noi siamo qua.
    Vorrei capire come siamo arrivati a questo punto. Siamo sicuri che è tutta colpa dei pubblicitari?
    E quindi la mia domanda va esattamente nel senso in cui l’ha intesa Zauberei.
    Mi chiedo quando c’entri quella cosa che va sotto il nome generico di postmoderno, che io sinceramente non ho mai capito in pieno cosa sia, ma che per un alcuni versi condivido e per altri assolutamente no.
    Ad esempio quanto c’entrino con questa concezione della comunicazione totalmente deresponsabilizzata i concetti di ironia e di alibi, di cui tanto parla Wu Ming.
    Parlo di Wu Ming perché a me sembra che il problema lo vedano con molta chiarezza soltanto alcuni scrittori, per esempio, per limitarmi a un nome solo, Genna.
    E’ da loro che viene l’esigenza di un ritorno alla responsabilità pubblica e individuale della parola, esigenza che mi pare sia pochissimo avvertita non solo dai politici ma pure dagli intellettuali nel nostro Paese.
    Quando si parla di comunicazione e la si analizza, anche con strumenti molto sofisticati, non si fa quasi mai cenno ai concetti di referenzialità e di congruenza ovvero, detto in modo molto grossolano, quanto l’enunciato sia coerente con la realtà che descrive e con il soggetto che lo enuncia.
    Ci si limita a considerare l’aspetto formale del messaggio, la sua confezione.
    Da questo punto di vista la comunicazione della destra in Italia è perfetta, è confezionata in modo impeccabile, funziona alla grande.
    Peccato che abbia perso del tutto qualsiasi referenzialità e qualsiasi congruenza: mai come in questo momento mi pare che in Italia la realtà sia stata sostituita dalla sua narrazione.
    E per me questo è il vero aspetto osceno della questione, e oscena mi pare essere diventata tutta la società.
    Una volta che si accetta questa irresponsabilità etica e cognitiva della comunicazione (e l’ abbiamo accettata o non l’ abbiamo rifiutata o non l’ abbiamo criticata a sufficienza), tutto il resto ne consegue. Anche l’esposizione ossessiva di tette e culi.
    Cominciamo pure da qui la critica, per carità, ma secondo me quella è solo la parte emergente del problema e, neppure la più volgare, nonostante le apparenze.

  19. Gli è Valeria, che la discussione sul post moderno – nei confronti del quale ho una certa ambivalenza, ma l’antipatia prevale – è tanto utile, gli scrittori sono molto utili, ma mi chiedo quanto agisca sul grande mare dell’industria culturale. Soprattutto perchè con questo tipo di riflessione si riflette tra persone che hanno bello che riflettuto e sono perciò le meno pericolose. Si rimane insomma tra noi. La letteratura in questo momento storico non ha quella doppiezza che hanno pubblicità o televisione in genere, per cui simultaneamente producono ideologia e fanno creatività. Sono insomma terreni più politiici, coinvolgono più persone e al loro interno lavorano molte persone senza che questa riflessione sia arrivata. Per questo io penso che – benchè la tiua domanda sia legittima – bisogna partire da la:)

  20. Partiamo pure da là, Zauberei, tenendo a mente però tutto quello che c’è intorno. E c’è tanto.
    Sulla elitarietà (e dunque inutilità?) degli scrittori io sarei più cauta, in fondo anche loro sono usciti da un grande sonno. E che qualcuno cominci a svegliarsi a me sembra molto positivo.
    Poi certo le ideologie passano attraverso la televisione e la pubblicità, e ormai questi sono mondi che si riproducono dall’interno, ma gli intellettuali che stanno là dentro in qualche modo si devono essere pur formati. In fondo le panzanate di Lanza traevano linfa da una certa filosofia e visione del mondo esterna alla televisione.
    Insomma quello che voglio dire è che la responsabilità ce la dobbiamo assumere tutti, poi facciamo pure pressione sui pubblicitari, sui televisivi, sui creativi ecc. ecc. ecc.

  21. Non è che lui ne sappia, ma qualcosa gli deve essere arrivata alle orecchie, secondo me.
    E come un bambino che si è trovato tra le mani dei pezzi di lego spaiati. Però i pezzi di lego ci sono. Che poi qualcuno riesca a farci delle costruzioni anche di una certa dignità è tutto un altro discorso.

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