DUE PAROLE SU RUSSIAN DOLL (E IL SOLITO PATTO NARRATIVO DEI REALISTI)

Qualche anno fa arrivò in Italia Vita dopo vita, romanzo di Kate Atkinson che in molti scambiarono per un’operina di genere, complice anche la rosa-Twilight in copertina: era, invece, un romanzo di grande forza e grazia, altrove assai lodato, giustamente. Vi si raccontava la storia di Ursula, che viene al mondo in una fredda notte di febbraio del 1910. La prima volta, muore, strozzata dal cordone ombelicale, ma poi prova e riprova, e rinasce e  muore di nuovo annegando bambina, e poi, più di una volta, nell’epidemia di spagnola, e ogni volta riparte dall’inizio, e ogni volta perfeziona inconsapevolmente quel che non ha funzionato in precedenza. Il romanzo ha messo in difficoltà, ovviamente, non pochi recensori italiani, che si aggrappavano al realismo magico per definirlo e, con titubanza, riconoscevano la matrice colta della scrittrice, ma dichiaravano anche la difficoltà nell’accettare il patto narrativo del viaggio nel tempo, o del riconoscere i molti livelli del tempo stesso.
Richiamo in causa Atkinson dopo aver visto, e apprezzato molto, una serie televisiva, Russian Doll, ideata (con Amy Poehler e con Leslye Headland) e interpretata da Natasha Lyonne (Orange is the New Black, fra le molte altre cose). Commedia nera, è la definizione. Il tema è molto simile a quello di Vita dopo vita, con dovute varianti: Nadia, una sviluppatrice di videogiochi, esce dal bagno surreale dell’amica che le ha organizzato una festa per il suo trentaseiesimo compleanno, fuma il fumabile, beve il bevibile, si fa di tutto il possibile, si dilegua con un insopportabile professore di letteratura che cita Faulkner per sedurre le allieve, consuma, finisce le sigarette, esce a comprarle, vede nel parco l’amato gatto, attraversa la strada per raggiungerlo, viene investita, muore.
E si ritrova nel bagno, stessa situazione, stessi colpi spazientiti alla porta di altre due ospiti. Avverrà parecchie altre volte, per caduta dalle scale o in una botola, fuga di gas e altro che non si rivela, e tutte le volte Nadia si ritroverà nel bagno, fumerà il fumabile, e cercherà di capire qual è il “bug” che le impedisce di morire definitivamente o di vivere. Commedia lo è, perché la ruvida esistenza di Nadia è fitta di umorismo nevrotico e squisito. Nera, perché il nero è il colore che si affibbia a quello che non si riesce a inquadrare e che sfugge alla narrazione canonica, anche se il realismo, in Russian Doll, è presente ai massimi livelli nella scelta dei personaggi, e delle situazioni.
La serie, se si esclude il peggior doppiaggio di questa e altre galassie, è un gioiello, come si suol dire: e permette anche, come molte altre serie degli ultimi tempi, una piccola rivincita dei narratori e dei lettori e degli spettatori che quel patto narrativo del non realismo lo accettano eccome. E’ scritta da dea, raccontata da dea, fa ridere e fa commuovere e scervellare su tutte le ipotesi che si possono mettere in campo. Ecco, non è che le serie televisive sottraggano lettori ai romanzi: semplicemente, non li trattano da sciocchi quando i medesimi dichiarano di amare tutte le strade, incluse quelle che intrecciano i piani, i tempi, i livelli. Tutto qui, ed è parecchio.

2 pensieri su “DUE PAROLE SU RUSSIAN DOLL (E IL SOLITO PATTO NARRATIVO DEI REALISTI)

  1. Ricorda anche “Ricomincio da capo”.

    Il “loop temporale” è un topos della fantascienza.
    Per gli appassionati di genere vorrei citare “Edge of tomorrow”, decente film con Tom Cruise.

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