LA RESISTENZA DEL DOPO

Oggi il terremoto fa notizia, dopo l’accusa di peculato rivolta al sindaco di Visso, e senatore, Giuliano Pazzaglini. Sia. La narrazione del terremoto, in questo terzo e lungo inverno, è fatta di questo: soldi per i terremotati usati per altro, per piste ciclabili e promozione turistica (da parte della Regione Marche, nel caso), casette ignobili e consegnate in ritardo, ricostruzione ancora da pensare.
Ma c’è l’altra storia, che è quella più importante: la storia delle persone che da due anni e mezzo sono abbandonate al proprio destino, la storia di paesi distrutti, di macerie ancora al loro posto, di indifferenza, di “periferie”.
Alla vigilia di quella possibile catastrofe che è il regionalismo differenziato (qui uno dei molti articoli di Roars, qui il link per scaricare gratuitamente il saggio di Gianfranco Viesti)  e del mantra “se pago di più devo avere di più”, chi vuoi che pensi alle Marche, all’Umbria, all’Abruzzo, ai paesi piccoli e grandi sbriciolati e che, vuoi mettere, è così faticoso far rivivere, perché non se ne vanno da un’altra parte?
C’è chi ci pensa, c’è chi racconta. Un compagno di strada, il giornalista e scrittore Mario Di Vito, ha scritto “Dopo”, liberamente scaricabile dal sito Lo stato delle cose. Leggetelo, diffondetelo.  E fate vostre le parole che Silvia Ballestra scrive nella prefazione:
“Questo libro parla del dopo, che è un infinito durante. Un dopo in cui continua a succedere di tutto o forse niente: solo in questi giorni, a due anni dal sisma, le casette, che dovevano essere d’emergenza ma che sono state attese a lungo, cominciano ad ammuffire a pochi mesi dalla consegna, con il maltempo e la neve in montagna salta la corrente e “i moduli abitativi” per gli allevatori restano al gelo perché alimentati a elettricità, crollano le strutture arrivate in dono, come la chiesa di Ussita (attenzione all’immondizia che arriva lassù, avvisa Silvia Sorana di Visso, attenzione alla sicurezza, alla beneficenza alla buona accettata perché non c’è nient’altro).
Un dopo in cui rimangono pochi a raccontare perché raccontare ancora e ancora è faticoso e sembra di ripetersi e ripetere storie di “un Paese senza” che di terremoti ne ha visti tanti e spesso ti sembra che non ci sia nessuno ad ascoltare questi racconti da un posto così periferico – “siete periferici”, gli dice un collega.
L’autore se lo chiede, in questo libro e nei suoi post su facebook: “Ha senso raccontare ancora una volta questa storia?”.
Ha senso, sì. Soprattutto quando, come qui, lo fai con tutti i sentimenti, intesi anche come cura e impegno nel dopo.
E quando lo fai anche con tutte le ragioni: prima fra tutte, quella della resistenza”.

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