FILISTEE

Sono reduce da una discussione a Uno Mattina che considero importante (poter parlare della morte delle donne in termini diversi dal “ti amo tanto che ti uccido” mi sembra comunque importante). Una ragazza del pubblico ha citato in diretta un articolo di Marcello Veneziani per Il Giornale. In effetti, dovreste dargli un’occhiata. Cuore dell’articolo:
“Arrivo perciò a dire che si è trattato forse di una rivolta degli schiavi, i maschi, a cui è stato tolto il pane della loro vita. È quella la vera debolezza, far dipendere la propria vita da un’altra persona; impensabile per un vir delle società maschiliste e patriarcali. Il delitto d’onore o passionale del tempo remoto era la punizione per aver infranto un ordine, per una ribellione al potere maschile, per rimediare alla vergogna, ad una brutta figura sociale. Qui il movente appare un altro, non è la considerazione del giudizio altrui o l’esigenza estrema di ribadire la gerarchia tra il maschio e la femmina, non è la punizione per aver infranto una sovranità indiscutibile. Ma è l’estrema fragilità di chi dice: se te ne vai tu è finita la mia vita, ti uccido e mi uccido. Non sottovalutate che solitamente il progetto di uccidere l’ex partner si accompagna al desiderio di uccidersi. Perchè non si sopporta l’idea del carcere e del vituperio generale, sì, è vero. Ma soprattutto perchè la mia vita senza di te non ha più senso, muoia Sansone con la filistea.”

37 pensieri su “FILISTEE

  1. io quando te me linki gli articoli senza pensierino entro in grave imabarazzo. Comunque apprezzo moltissimo che hai detto “morte di donne” mo’ magari non l’hai fatto apposta eh… però io sono contenta uguale.
    Quello che comunque trovo abbacinante dell’articolo, è che una considerazione che è psicologicamente lucida diventa una strafalcioneria culturale. Il che dirai te, da ragione a voi?
    Quando Veneziani ammazzerà la moglie. Mentre non la ammazza si rivela per quello che è: uno che specula sui vissuti drammatici delle persone morte e delle situazioni non diagnosticate per tempo, per strumentalizzare un discroso a fini reazionari.

  2. A me sembra invece che l’uomo voglia tornare ad essere forte (o forse dovrei dire prepotente e prevaricatore), ma le donne non sono quelle degli anni ’50 e giustamente si ribellano. A questo punto scatta lo psicodramma omicidio/suicidio.

  3. IL discorso di Veneziani – anche se un po’ scivolato sul finale – non mi pare sessista, né retrogrado. È un tentativo di psicanalizzare una delle due vittime, il maschio. Perché ce ne sono due, e sarebbe anche il caso di dirlo, visto che stanno aumentando a dismisura gli omicidi-suicidi. Che non sono una eccezione, una singolarità del mondo delle violenze sulle donne. Stiamo parlando di qualcosa di differente e inquietante, che con il maschilismo, e la sua incapacità di accettare l’autonomia di pensiero e azione della donna, c’entra (ovvio), ma non è solo il vecchio retaggio.
    Qui c’è una fragilità terribile, nella quale – mi dispiace, devo sintetizzare e banallizzare quindi verrò crocifisso – mi pare centrale la figura della madre.
    Cioè di una donna.
    Io sono cremasco, e ho fatto un servizio sull’omicidio-suicidio di Rivolta d’Adda, ma in quel caso c’è una patologia da serial killer: si erano segnato su un foglio tutte le sue ex e voleva ammazzarle tutte (i carabinieri erano riusciti ad avvisarle quasi tutte tranne quella di Rivolta che non risultava, essendo una ossessione mai concretizzata in alcun rapporto).
    Ma mi ha sconvolto molto di più quello accaduto 48 ore dopo, quando un 28enne ha ucciso la fidanzatina di 19 (!!) e si è suicidato.
    A parte la mostruosità del gesto, prima di puntarsi la pistola contro ha fatto una telefonata al fratello: “Vieni a vedere cosa ho fatto”, ha detto.
    Ma i giornali non hanno detto tutto, forse perché hanno ritenuto troppo crudele aggiungere questo particolare. In realtà, prima di interrompere la comunicazione, ha aggiunto anche “ti prego non dirlo alla mamma”.
    Ecco, io credo che questo sia molto significativo.
    E penso che questa follia, accecata, sia molto simile al blocco emotivo di questi adulti-bambini nei confronti della madre. Perché hanno una reazione simile a quella del bambino: non puoi abbandonarmi. Non PUOI.
    Non hanno fidanzate, hanno sostitute, sulle quali proiettano le stesse dinamiche. Le donne si devono prendere cura di loro, e l’abbandono è visto con terrore sempre crescente.

  4. se il discorso attiene alla casistica, allora bisogna considerare che sono quasi sempre soltanto le donne a uccidere i figli (spesso neonati) o a buttarsi dalla finestra o a fiume insieme a loro. su questo leggo pochissime interpretazioni pseudo-psicologiche. d’altro canto ogni qualvolta i giornali chiedono un commento a un esperto (anche di chiara fama), esso è “non conosco il caso in questione. ma in linea generale posso dire che se un uomo uccide la moglie e poi si ammazza, c’era un problema che covava in maniera impercettibile”.
    la saggissima signora che viene due volte alla settimana a casa mia a dare una mano per le faccende domestiche, saprebbe dire qualcosa di più interessante.

  5. Nella casistica citata da enrico.gregori però bisognerebbe tenere conto del fatto che – a differenza degli uomini e almeno inizialmente – sono le donne che passano più tempo da sole coi bimbi, in special modo neonati. Per carità, non voglio difendere le madri assassine (e suicide), mi viene solo il dubbio che la casistica citata da enrico.gregori sia “viziata” da un dato oggettivo che invece non riscontro nel fenomeno uomo asassino (e suicida).
    Sto per diventare madre e ne ho letti di interventi con taglio psicologico, e qui ha ragione enrico: nei giornali hanno più diffusione le interpretazioni e opinioni generiche e risapute, è vero… mia madre, picchiata e vessata dal primo marito fino al giorno in cui ha reagito gonfiandolo di botte e cacciandolo per sempre dalla sua vita a calci nel culo, direbbe (e dice ancora) cose molto più interessanti 😉

  6. Mi pare che il problema emergente nell’articolo di Veneziani sia la mancata concezione del rapporto di coppia come paritario tra due persone: egli, infatti, ha bisogno di parlare di “dominio” come condizione naturale del rapporto stesso; inoltre, ritiene che i problemi di solitudine maschile debbano essere risolti dal ruolo consolatorio femminile esercitato ad oltranza. Ma questa è ancora una volta la pretesa (maschilista) che la donna svolga il tradizionale ruolo di cura.
    Sulle nostalgie da re leone poi,… si potrebbe vedere l’articolo su libero di ieri, in riferimento alla canzone di Povia.

  7. Io concordo abbastanza con l’articolo, non con la “rivolta degli schiavi” che trovo aberrante, ma con il fatto che il cuore della questione è evidentemente il non voler sopravvivere all’essere lasciati dalla donna amata.
    Non è psicoanalisi è lettura semplice delle vicende di cronaca. Mi lasci, sono ossessionato dalla perdita, ci incontriamo, si litiga vado fuori di testa e ti uccido, poi, premeditato o meno, uccido anche me.
    Il sessismo è dilagante e nauseabondo, ma davvero non mi sembra questo il caso. Assimilare l’omocidio-suicidio o l’essere vittima di un assassino predatore sessuale con il maltrattamento domestico, mi sembra una forzatura.
    Ci sono due punti che non mi quadrano:
    1. Cosa c’entra la ‘punizione’ con l’omicidio-suicidio? Quando mai nelle società che opprimono le donne, gli uomini si suicidano dopo aver ucciso mogli, figlie e sorelle? Piuttosto vanno a piangere e poi al bar.
    2. Poi perché siete così lesti ad accomunare ‘il lasciare l’uomo’ con la ribellione?
    Da queste storie non esce mai l’idea di ribellione, mi sembra un cappello che si vuole mettere per forza, seplicemente non si sopravvive all’essere lasciati dalla donna amata.
    Ci si ribella lasciando e restando insieme, o magari si lascia uno per un altro ancora più primitivo e manesco.
    Capire è una cosa, giustificare e non punire è ben altro.
    Ripeto che a mio avviso questi sono segnali di una incapacità diffusa di gestire i rapporti e della carenza terribile di una educazione sentimentale, negli uomini e donne, specie se giovani.
    D.

  8. A me sembra che un punto chiave mai abbastanza sottolineato, a monte di tutto quanto (ove per tutto quanto si intendono le condizioni specifiche inerenti a societa’ e momento storico) sia il discorso dell’equilibrio.
    Tendiamo ad attribuire ai sentimenti e all’amore un ruolo eccessivamente pesante e importante nella nostra vita, a farne una sorta di stampella, di salvagente, a proiettare all’esterno cio’ che dovrebbe essere interno, oppure, a fargli rivestire aspettative fuorvianti.
    Intendiamoci, gli appoggi affettivi sono importanti. Ma spesso, quando siamo agitati da mille ansie e inquietudini e insoddisfazioni, magari perche’ abbiamo semplicemente rimosso le grandi domande alla base dell’esistenza, oppure per problemi piu’ pratici e concreti, coltiviamo l’illusoria speranza che l’amore possa compensare, che se andra’ bene quello, tutto il resto andra’ bene.
    E cosi’ molto spesso le donne trovano nella devozione a un uomo una sorta di appagamento, gli uomini, viceversa, nell’avere una donna accanto un rafforzamento dell’ego.
    A premesse sbagliate, risposte e conseguenze sbagliate. Che non sempre sono quelle estreme, certo. Ma spesso procurano molti tormenti e contrasti.
    Quante separazioni e formazioni di nuove coppie, per esempio, sono dovute al fatto che si e’ tesi, inquieti per altri motivi, magari economici e lavorativi, e in qualche modo, non potendo cambiare quelli, si finisce per proiettarli sulla vita affettiva, illudendosi inconsciamente che basti spostare il nodo della questione, realizzare comunque un cambiamento, per stare meglio.
    Insomma, so che e’ piu’ facile a dirsi che a realizzarsi, ma se ciascun individuo cercasse dentro di se’, non nell’ “altro”, la risposta ai perche’ esistenziali, si sforzasse di realizzare il proprio equilibrio, prima di tutto, non investendo la propria vita affettiva di compiti e aspettative che non le competono, allora anche i legami andrebbero meglio.
    In tempi di assenza totale di spiritualita’ e di ricerca interiore, di rimozione di tutto quanto da’ profondita’ all’esistenza (preciso che io sono atea, ma riconosco debba esistere una sorta di lato immateriale, filosofico o spirituale nell’interno di ognuno di noi), si finisce per rivestire di una passionalita’ eccessiva e qualche volta poco controllabile altri aspetti del nostro vivere emotivo e affettivo.
    Perche’ la rimozione non annulla le energie esistenti, le soffoca soltanto e qualche volta le accresce e le proietta altrove.

  9. @ daniele
    credo che il sessismo in questi casi c’entri perchè l’uomo che arriva a commettere atti di questo genere non vede davanti a sè un’altra persona ma qualcosa (concezione della donna come un oggeto di proprietà) che non può avere per sè e perciò preferisce distruggerla:
    mi viene in mente un tale… “Sicché quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare all’anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: – Roba mia, vientene con me! -“)

  10. Si paola, non fa una piega, ma allora quando poi il lasciato si uccide considera una cosa anche se stesso? E quindi è sessismo -sessismo, e il risultato è zero, no?
    Voglio dire andrebbe tutto bene, se non fosse che
    1. poi l’uomo uccidendosi dimostra o di rintere entrambi cose o entrambi persone e quini in nessun caso c’è sessisimo
    2. e poi si possono uccidere anche le persone, anzi a maggior ragione le persone delle cose. Accomunare l’omicidio-suicidio al disprezzo della violenza famigliare è fuorviante e non calza.
    Non voglio essere arrogante ma sto ponendo una questione vera.. per capire..
    D.

  11. La scelta del suicidio potrebbe essere letta come l’esito fatale dell’incapacità di assumersi delle responsabilità dei propri atti: ovvero è ancora una volta l’incapacità di avere una visione critica del proprio ruolo in un rapporto di coppia che impedisce di mettersi in discussione. Ciò si salderebbe con una errata concezione del proprio ruolo sociale. E qui condivido la parte finale del post in cui si parla della carente educazione emotiva a cui aggiungerei anche una riflessione sul deficit di empatia che caratterizza i nostri tempi.

  12. Luisa Tanzi vorrei farti notare che la tua risposta a enrico grigori è alquanto imbarazzante, oltre che superficiale. La donna commette più facilmente infanticidio perché passa più tempo con il figlio? Bella cazzata. Sottointendi che la colpa è del figlio. Allora potrei risponderti che è il marito che passa più tempo con la moglie, e per questo la uccide. Se tanto mi da tanto, anche in questo caso la colpa è della moglie.

  13. Una volta in un film c’era una battuta che mi è rimasta impressa, non ricordo il film purtroppo.
    Il senso era più o meno questo: gli uomini in certe circostanze scaricano l’odio su qualcuno, le donne su di sé.
    Forse sta qui il senso dell’uomo che uccide prima la donna amata e la donna che si uccide o uccide i figli piccoli (sempre visti come parti di sé). Infatti le donne quasi mai uccidono i figli se cresciuti.
    Mi scuso se lo spunto è cinematografico, ma tant’è, mi è sempre sembrato verosimile poi confrontato con quanto succede in giro.
    D.

  14. paola.
    Un maschilista sprezzante che ritiene una donna inferiore non ce lo vedo a uccidersi per non prendersi le responsabilità, piuttosto tenta la fuga prima.
    Questi non lo fanno quasi mai..
    D.

  15. Effettivamente, se lo leggiamo come “mi hai fatto morire ma non devi sopravvivermi” siamo un po’ lontani da “cosa, togliti di mezzo e fammi spazio”, e pure da “donna schiava, il tuo padrone ti elimina”.
    Ma non sono sicuro che “mi hai fatto morire ma non devi sopravvivermi” sia la chiave di lettura prevalente e più convincente…

  16. Le parole di Veneziani sono veramente illuminanti. La chiusa “muoia Sansone con la filistea” una la sintesi perfetta e imbarazzante (ma l’avrà riletta?).
    Se riordiniamo i personaggi (Sansone, la filistea e i casi di questi giorni a cui si fa riferimento) l’immagine è quella dell’eroe che sacrifica se stesso pur di giustiziare (per il troppo amore?) l’infame troia.

  17. Il fatto è che le letture possibili sono molte quanti sono gli itinerari possibili che producono un certo comportamento. E’ un buon motivo per cui gli psicologi chiamati in causa, quando sono seri, tendono a non dare letture univoche in base a pochi dati e per di più distorti dalla narrazione mediatica che li vuole trascinare a dire cose che non è scientifico se non deontologicamente corretto dire. Io credo che ci sia una famiglia di tratti psicologici, e una famiglia di storie cliniche che porta a questo tipo di comportamento – se può confortare, nel caso dell’infanticidio ho idee molto più chiare e farei meno fatica a produrre opinioni in tema – penso che il problema sia in termini di forza dell’io – di uso di difese arcaiche nella gestione della relazione e del lutto per l’assenza della relazione Penso a una classe di patologie del DSM; e al fatto che hanno in comune certi modi di agire, che vuoi per questioni culturali, ma anche per altre ormonali e biologiche nelle donne si articolano in un modo negli uomini – in questo. In un articolo su un media, penso che si potrebbe tranquillamente spiegare – in questo caso come nell’infanticidio qual’è il meccanismo psicologico facilmente sottostante. La situazione patogena che l’ha generato invece no: cominciare a cazzarare sulla famiglia di origine, mammà papà e l’ambiente rientrerebbe nel fuori luogo.
    Quello che mi disturba dell’articolo è che, non essendo scritto da uno psicologo, e non restringendo il campo a un caso clinico, a una prospettiva clinica, tende surrettiziamente a rendere la vicenda simbolica di una crisi del maschio contemporaneo, e si sente l’odore di una sinistra alleanza, di un eh caro mio in fondo ti capisco. Questo è fuorviante e sgradevole.
    Se non pericoloso.

  18. Io credo che il muoia sansone con la filistea fosse un riferimento all’omocidio suicidio non un modo per rendere eroico l’assassino.
    Paolo S.
    Dai fatti è la spiegazione prevalente invece, quella che richiede meno forzature interpretative, anche se poi, avvicinandosi alle cose i dettagli si moltiplicano e c’entra pure tutto quello che ha detto Zauberei.
    D.

  19. Dai commenti desumo che fortunatamente si fa strada un dubbio.
    Minimizzazione dell’io o messa in questione del maschio-padrone?
    Se fosse solo il secondo caso, avremmo insieme alla proliferazione di questi maschi frustrati e violenti delle donne felicemente integrate e propositive di una nuova etica dei rapporti. E’ così?
    No che non è così. Se non si vuole insistere sugli estremi dell’infanticidio, basta prendere in considerazione la costellazione e la diffusione di disturbi tipicamente femminili (dall’anoressia alla nevrosi da chirurgia estetica)) per accorgersi che questo stato di cose non premia nessuno, perchè non è il trasferimento di autonomia e sovranità da un genere all’altro ma una generalizzata involuzione psicologica a caratterizzare questo inizio di Terzo Millennio, e chi non svolge professioni sanitarie ma semplicemente educative (come me) se ne rende conto ogni giorno.
    La ricerca delle cause dovrebbe mettere in campo non solo categorie tratte dalla psicologia clinica, ma soprattutto una sociologia della famiglia e delle relazioni sentimentali e, come insisto da tempo, un bilancio della sovraesposizione mediatica che oggi non è solo passiva ma soprattutto attiva. Facciamo finta di non sapere quanta violenza mimetica si diffonde attraverso la pornografia (dove ogni affettività involuta può attingere liberamente agli inferni del sadismo) e come sia facile esercitarsi senza responsabilità apparente in prove tecniche di seduzione e tradimento dietro la maschera di un nickname?
    Facciamo finta di non sapere che non gli strumenti mediatici in sè (forse) ma la loro accessibilità da parte di uno psichismo involuto o irrisolto può trasformarli in micidiali fertilizzanti di quello che Kohut ha chiamato il “Sè grandioso”, ossia l’onnipotenza narcisistica che compensa la frustrazione affettiva, non riconosciuta e non affrontata come tale?
    L’ostinazione a riportare tutto a rigurgiti patriarcali la trovo non solo stucchevole ma anche pericolosa. Come ogni stato maggiore che si ostina a combattere la guerra precedente, ignora la valanga che sta per sommergere il paese che dice di voler difendere.
    Mancano genitori e insegnanti, capaci di riconoscere questa urgenza, pre-ponendola alle pur legittime aspirazioni alla professionalità e all’erudizione. L’analfabetismo affettivo e relazionale, la fragilità di soggetti incapaci di ristrutturare positivamente la frustrazione (di cui peraltro si fa cenno in diversi commenti qui sopra) sono il campo di battaglia in cui ci si dovrebbe fortemente impegnare. Non per togliere competenze e lavoro ad avvocati e psichiatri, ma perchè siano chiamati come è normale ad affrontare l’eccezione irredimibile, non a dettare i ritmi di una normalità su cui ogni società degna di questo nome dovrebbe poter contare.

  20. Veneziani come avete letto scrive anche: “Se dovessi tentare una formula riassuntiva per spiegare questa catena di delitti direi: è la sindrome del bambino perduto che si vendica perchè crolla il suo mondo e la sua nutrice. Il femminismo aggressivo ed espansivo dei nostri anni, unito alla regressione anche numerica dei maschi e perfino al destino genetico di scomparsa e di tramonto che viene copiosamente descritto attraverso quelle X e quelle Y inquietanti, ha intimidito i maschi li ha portati alla fuga, sulla difensiva, col timore di competere o in cerca di surrogati, come l’omosessualità o la transessualità”.
    Credo ci vogliano competenze specifiche per poter asserire questo con tanta sicumera. Veneziani è uno psicologo travestito da giornalista? Ha un passato da dottore? Sì gli uomini muoiono prima e le donne sono in maggioranza, ma dove veda questo femminismo aggressivo io non so.
    Poi anche “espansivo”, come se fosse un virus che sta distruggendo la razza umana. Poi vai a spiegare ad un maschio gay o a un trans che son dei surrogati? Sulla base di che? Ci vedo un tantino di razzismo rancoroso e virulento, efficace sulla carta, però. Leggo questo articolo a mia nonna che, nonostante la canicola, si prepara a giocare a burraco. “Ai miei tempi gli invertiti non esistevano, c’erano gli artisti” mi risponde severa. Figurarsi a chiederle dei problemi del maschio italiano del 2010!

  21. Mah, Daniele, è una narrazione che può convincerci perché è vicina al vissuto di molti: chi di noi non si è sentito almeno una volta annullato, metaforicamente morto, per via del rifiuto/tradimento/disprezzo di un partner o potenziale partner? Tantini, eh. E poi, a spanne: metà della letteratura tratta di sentimenti simili – con varianti nei ruoli e nei contesti, nel pre e nel post femminismo, con o senza psicoanalisi e via dicendo.
    Epperò, mica abbiamo ammazzato tutti la compagnuccia di scuola con le trecce bionde gli occhi azzurri e poi, ci mancherebbe!
    Quindi, andando con ordine:
    1) Veneziani nomina una situazione psichica comune e piuttosto poco evoluta, ma la spaccia per causa universale, di un problema molto più articolato
    2) grazie al cielo una grandissima parte delle persone è ancora capace di affrontare questa situazione psichica senza giungere al delitto
    3) si può dire che il mancato superamento di questa situazione così comune denuncia una scarsa o inadeguata maturazione psicologica (questo dà in parte ragione a Valter Binaghi, che afferma “l’emergenza è pedagogica – io direi educativa)? E che questa immaturità psichica non esclude competenza sociale ecc ecc, per cui non è così strano sentire osservazioni come “quello sembrava una persona normale”? E che il disagio o la patologia derivano da questa mancata maturazione/evoluzione personale? (Qui intorno, per me, sta il delicato bivio tra educatore e psicologo…)
    4) Ha senso chiedersi se, al variare di questo numero di delitti, qualche fattore esterno comune – leggi sociale e non personale/biografico/sono mutante nel DNA – può aver condizionato e nello specifico sfavorito la un tempo più normale capacità di superare questa condizione? (Qui trovo sensate le preoccupazioni di chi parla di femminicidio, ma ho dei dubbi sulla reale portata delle cause da loro indicate) E se sì, quali sono i punti su cui far leva per agire efficacemente sul problema?
    *
    Da una ricostruzione un po’ più ordinata poi possiamo partire per smontare le tesi qualunquiste, anche se acute, di Veneziani, ma anche quelle più massimaliste, anche se per giustificati motivi, di chi parla di femminicidio. Ma voler semplificare troppo i termini secondo me non aiuta a chiarire!
    (ah, Daniele… ora che è comparso l’aggettivo “eroico” potrebbero entrare nella discussione personaggi interessanti)

  22. Sul tuo punto 4) paolo, penso che interrogarsi sui fattori sociali secondo me è importante, l’ambiente sociale è il rovescio della medaglia rispetto a personale/famigliare.
    Per scendere dalla conversazione da autobus ed entrare in una comprensione sociale vera e non impacchettata di categorie e pregiudizi, bisognerebbe capire quali ambienti sociali frequentavano le vittime e gli assassini, quale istruzione avevano, quale, famiglia, ceto, valori,quali associazioni frequentavano, quale era il loro modo di passare il tempo libero, in cosa credevano.
    Solo dopo, magari si possono trovare parallelismi e differenze, si possono, con attenzione, prendere queste persone come rappresentanti di una popolazione più ampia di loro simili e pensare delle strategie serie di intervento valoriale e culturale…
    Non basa certo essere uomo-donna uccisi in italia nell’estate duemiladieci per avere qualcosa in comune.
    D.

  23. Mi ricordo quando il mio vicino ammazzò la moglie, e poi sé stesso. Erano entrambi in pensione. Lei era molto vitale. Lui era molto depresso. Lei ti raccontava che, da quando era in pensione, finalmente aveva il tempo di fare tante cose. Lui stava al bar, parlava male del governo (qualunque fosse), e palesemente non sapeva come occuparsi il tempo.
    Lui le sparò una fucilata, in casa. La ferì soltanto. Lei corse fuori, in strada. Io passavo in quel momento, rientravo con le borse della spesa. Lui la inseguì in strada, la spise contro un muro, le sparò nel ventre. Poi corse in casa, si chiuse dentro, ricaricò il fucile e si sparò in bocca.

  24. @corto maltese, non mi sono spiegata bene e/o forse tu non hai capito: dicevo che a mio modesto parere il paragone tra femminicidio e infanticidio fatto da Enrico non era esatto, perché c’è una condizione diversa, che è data dal tempo che le mamme passano col figlio DA SOLE, soprattutto se piccolissimo. Per te sarà “imbarazzante e superficiale” quanto ti pare, però è un dubbio legittimo da sollevare: se è vero che conta la vicinanza familiare, la promiscuità, chiamala come vuoi, le mamme stanno più tempo da sole, con i figli. E se alcune di queste mamme hanno problemi con se stesse o con la loro maternità (o col figlio o col marito, ecc), difficile che salgano su una macchina e vadano a uccidere altrove o che facciano una strage di famiglia, dalla suocera al fratello o altro parente. No, si concentrano su ciò che sentono appartenere loro.
    Perché le mamme che uccidono (e gli esempi sono tanti) alla fine vengono sempre fuori come donne isolate, col marito che non sospettava nulla, col disagio e con la depressione nascosti o malamente espressi. A casa. Donne da sole. Col bimbo in culla. Con molto tempo per amplificare le spirali mentali che si susseguono incessanti.. Ecco, mi ero limitata a far notare questo.
    “superficiale e imbarazzante” mi pare esagerato, come risposta tua. D’imbarazzante noto, invece, il tuo voler “affibbiarmi” la poco logica conseguente deduzione secondo cui…. la colpa ricade sul figlio ammazzato. Ma quando mai?! Dove hai letto questa cavolata, nel mio commento?
    In merito alla tua ultima “deduzione”, io credo che marito e moglie passino insieme…. la stessa quantità di tempo, no? E che quindi è superficiale e sbagliato dire che, di conseguenza, la colpa è della moglie.
    Se non ho capito io qualcosa, chiedo scusa. Ma negare che il fattore tempo legato all’isolamento della donna con problemi in presenza di un figlio piccolo possa incidere con l’atto tragico finale, mi pare poco realistico.

  25. Trovo l’articolo di Veneziani a tratti inquietante. Perfino sintomatico di un disagio tutto dell’autore. L’omosessualita’ maschile non e’ un surrogato e le lesbiche non hanno in piano di sterminare gli uomini. “Bambini”. Mi piacerebbe approfondire. Smontare punto per punto la tesi del Nostro. Ma ho di meglio da fare. Davvero. E poi mi affido alla vostra sensibilita’.
    Alle donne dico, vedete cosa dovete fare. Questo e’ un problema prima di tutto politico. E non potete farvi uccidere. Una al giorno.

  26. propongo di istituzionalizzare in rendita vitalizia (finché MORTE NON CI SEPARI ) il bonus forfettario “PUER ETERNO” da erogare indistintamente a tutte le femmine, biologiche e no, per ogni neonato maschio di questa italia schiavizzata in rivolta contro il potere costituito contro la lobby delle anoressiche, delle femministe, dei maschi adulti. Trattasi ovviamente di assicurazione sociale basata sul principio della solidarietà. Starà poi a loro, alle bonus beneficiarie, mammifere loro malgrado, investirlo in corsi di autodifesa, o che ne so in corsi di magia a la prestige con specializzazione in dissolvimento rapido dopo lasciamento/fine prestazione, o che ne so in corsi di chimicaglia per ragù al TSO da somministrare quotidianamente a maritini clienti papponi compagnucci and merende’s company, o in conversazioni con nonne/mamme/amiche , o corsi di condivisione d’esperienza e d’allontanarsi rapide, o in corsi di libri da regalare agli spaccino intellect, caso mai E SPESSO LO E’ il compagnuccio/pappone/cliente lavori cognitivamente (la trilogia di millennium, in mille pezzi di james frey, l’uccello che girava le viti del mondo del mura, lasciami l’ignoranza dei congedi del franco, la cecla, notti al circo di angela carter, come suicidarsi da soli di aavv).
    My baby shot me down. Fortuna che tutti hanno avuto la possibilità di leggere l’articolo di baby veneziani per intero (loredana mi viene in mente badinter, e una interpretazione diciamo così elastica, fantasiosa, da elasty girl, del bambino come… braccio armato del patriarcato:). saluti)

  27. scusate se mi inserisco goffamente nella conversazione con una sparata…
    a me sembra che dietro questa inquietantissima serie di omicidi-suicidi stia una specie di mentalità kamikaze. ammazzo te che hai reso la mia vita orribile, e muoio compiendo l’impresa. la giustizia ottenuta a scapito della propria vita, che tanto fa schifo. perchè si incolpano le donne? perchè, come detto più sopra, DEVONO essere creature dolci e amorevoli, capaci di guarire ogni male, come la mamma che da un bacino sul livido e passa il male, la crocerossina che bagna la fronte del soldato febbricitante, la puttana che dopo aver prestato altre parti di sé presta pure l’orecchio alle confidenze del cliente, la badante che cambia i pannoloni col sorriso sulle labbra (idea, peraltro, che appartiene sia agli uomini sia alla stragrande maggioranza delle donne).
    ovviamente si tratta di un fenomeno complessissimo, che riguarda prima di tutto individui con una propria vicenda di vita, e sono d’accordo sul fatto che le generalizzazioni siano inutili. Tuttavia a me pare che ci sia una specie di trend che riguarda il rapporto tra il bene e il sacrificio di sé. Come gli operai che, invece di minare la fabbrica come fanno i francesi, salgono sui tetti arroventati mettendo in serio pericolo la propria vita (spesso, oltretutto, sotto gli occhi dei figli). L’ottenimento della giustizia passa attraverso l’automortificazione. una volta si usava il cilicio ai fini di una vita ultraterrena, ora si usano i tetti ai fini di questa vita qua. forse davvero l’assenza di un percorso spirituale (anche ateo, ovviamente) non permette di affrontare le questioni terrene come tali.
    comunque mi sembra assai realistica l’ipotesi del suicidio come estremo atto di deresponsabilizzazione nei confronti delle proprie azioni, e in un certo senso non si tratta di una questione slegata a quella di cui ho appena detto. guardate come sono disposto a ridurre me stesso, mi ammazzo persino, è l’Ingiustizia! Sarebbe interessante sapere che pensavano questi assassini-suicidi, se sotto sotto non si sentivano eroi, come qualcuno che prima di lasciare questo mondo abbia messo a posto tutti i conti in sospeso, abbia fatto il suo dovere.

  28. L’articolo di Veneziani rientra in un preoccupante revival misoginistico a sfondo nostalgico (della buona vecchia società partiarcale, s’intende), di cui si trova traccia nei discorsi e nelle sparate di molti opinionisti redivivi (penso solo a Massimo Fini… ma anche alla piega di certi interventi di Paolo Barnard, ad esempio). Forse affrontare il problema a partire da approcci del genere, per giunta sull’onda di una sequela di episodi così drammatici è sbagliato in partenza… analfabetismo sentimentale, relazioni fra i generi ecc., secondo me cose che andrebbero affrontate nel quotidiano, cominciando con una seria e permanente autoanalisi. Quei fatti, molto più che di questioni psicologiche, sociologiche o politiche, parlano di un disagio che è proprio di ciascuno di noi, e, visti singolarmente e nel dettaglio, si rivelano per quello che sono: fatti, citando Nietzsche, “umani, troppo umani”. La discussione in termini generali è certamente utile e necessaria; ma secondo me c’è il serio rischio che una società intrinsecamente malata e un’umanità visibilmente priva di punti di riferimento, anziché “curarsi” nel quotidiano, sublimino pure la propria malattia in un eterno metadiscorso tendenzialmente autoassolutorio e deresponsabilizzante.

  29. L’intervento di Don Cave tocca degli argomenti che a me sembrano molto intelligenti. Anche io metto Veneziani insieme a Fini e Bernard (marò) e anche io ho un po’ paura del metadiscorso che non cura ma sclerotizza una patologia sociale.
    Ma ci sono delle questioni: la prima è che sereno Don Cave che per il momento il metadiscorso è talmente circoscritto a certe aree della popolazione che – aveccene. Il fatto che è circoscritto è strettamente correlato alla scarsa propensione collettiva a produrre autonalisi di qualsiasi tipo, giacchè queste autoanalisi dovrebbero per forza di cose servirsi di stralci di questo meta discorso.
    In secondo luogo – attenzione al disfattismo diffuso (che è strettamente parente della mancanza di responsabilità) nei confronti delle competenze intellettuali, le quali producono discorsi che paiono autoreferenziali e astratti ma sono solo la parte spesso pià che necessaria di interventi concreti. Questo atteggiamento spocchioso tipico in italia, per cui pare che se non fabbrichi caciotte in questo esatto momento sei inutile (eepure esiste un sapere procedurale e discorsivo sulla produzione delle caciotte) sta diventando virale, e pericoloso. Perchè sono quelle competenze a poter produrre interventi su più larga scala, che onestamente mi paiono ancora più urgenti delle famose labili, e variamente – molto variamente – efficaci, autoanalisi.

  30. Sono d’accordo con le tue considerazioni, Zauberei, e dirò di più: provengo da un percorso di studi umanistici che ho scelto proprio perché credevo (credo?) nell’importanza dell’autoanalisi, del mettere in gioco le “narrative dominanti”, o del tracciare nuove narrative laddove queste mancano del tutto. Però, come tu stess(o/a?) rilevi, il metadiscorso è confinato ad un’enclave di persone che, per una serie di ragioni sono maggiormente predisposte a porsi certi problemi e a tentare di discuterne. Nel frattempo il mondo continua a girare come sempre, e lo sforzo profuso nel capire il perché di certi fenomeni non riesce neppure a scalfire una quotidianità dove una dimensione autenticamente sociale, partecipativa, attiva, critica non si è mai davvero sviluppata su larga scala. Riguardo all’argomento specifico, poi, c’è secondo me un altro fatto: a prescindere dalla predisposizione o meno all’autoanalisi e ai metadiscorsi, siamo tutti immersi in una realtà che spesso ci costringe alla brutalità o alla mancanza di empatia verso noi stessi e verso gli altri; per cui mi chiedo: se anziché osservare il fenomeno come se ci fosse estraneo e avesse bisogno di una oggettivazione preventiva per essere analizzato adeguatamente, prendessimo finalmente atto che nessuno di noi è immune in linea di principio a quella brutalità, non faremmo un piacere a noi stessi e agli altri? Cominciando ad analizzare noi stessi, come viviamo le nostre vite, come ci comportiamo con gli altri, come viviamo la dimensione sentimentale e di coppia… insomma autoanalizzando noi stessi, anziché dando un contributo all’autoanalisi della società, non faremmo un gesto più concreto e, forse, efficace? Il dubbio sulla bontà del metadiscorso mi deriva da questa perplessità: se come individui abbiamo forse qualche chance di riuscire a condurre un’adeguata autoanalisi e una efficace autoterapia, che dire di un’intera società o di un’intera “cultura”? La mia non è quindi una presa di posizione a priori contro i metadiscorsi, né un tentativo di deresponsabilizzazione o disinteresse… semplicemente, credo che i metadiscorsi siano più efficaci se applicati ad una dimensione individuale, in una prospettiva idiografica, e che la responsabilità e l’interesse abbiano tante più possibilità di produrre risultati se applicate anzitutto alle proprie scelte e alla propria vita.

  31. Don Cave – delle osservazioni: intanto molte delle persone che partecipano a questo dibattito probabilmente potranno usare questo metadiscorso in modo assai pratico: lipperini ci fa i libri che altri possono leggere, io per mio sono psicologa, altri che partecipino oggi qui o meno, ma sono commentatori abituali sono insegnanti.
    L’autoanalisi individuale è cosa buona e giusta, ma difficile che cicci fuoir se non ci sono strumenti, e sono certe competenze che possono fornire progetti di intervento per fornire quegli strumenti.
    In questo contesto specifico poi, motivo dei miei interventi fin dall’inizio, dubito che la scelta del delitto passionale sia così superficiale, esito di condizionamenti culturali così diretti e immediati. Ma mi ripeterei e mi fermo qui:)

  32. in un mondo che preferisce solitudini perchè maggiormente produttive e cosumatrici,ovvio che il dialogo a due ne sia travolto.oggi devo essere contemporanamente tutto.primus inter pares,leone,manager,soldato,amante dolce,panettiere e anche fabbro.
    il tutto sapendo che comunque non esiste poi neppure la riconoscenza di lei e,nel contrario,neppure quella di lui.i rapporti possono scindersi anche all’improvviso,senza avvisaglie.
    senza invenzione vocale che crea il significato nulla rimane,nulla si conserva e tutto degrada.economia interiore nessuno la spiega.serve letteratura,ove nessuno legge e domanda.atteggiamenti pericolosi in un mondo che va di fretta ma senza sapere dove.ovvio che i deboli soccombano senza aiuto.

  33. risulta evidente anche dalle risposte che la guerra tra i sessi non viene comunque vista,oggi come oggi.il femminismo aggressivo produce le virago alla simona ventura,che ,credetemi,come atteggiamento,esistono per le strade.sono solo che maggiormente i deboli maschi,spoliati dalla spada e dalla produzione esclusiva per la cura della casa,odiano.alcuni,che credono di avere un potere riflesso nell’averne accanto,le amano,come stato sociale da sfoggiare.della serie, io si che sono capace di contenerle.illusi.

  34. Tutte le storie sul femminismo aggressivo (ma dove sarebbe in Italia?), la rivolta degli schiavi eccetera non sono che balle patriarcali e reazionarie tanto care ai tradizionalisti stile Veneziani e Massimo Fini.
    Queste tragedie nascono dall’incapacità di alcuni uomini di accettare il fatto che la loro compagna, fidanzata o amante è un essere umano con la sua libertà e individualità, non è e non può essere la loro “sexy tata” sempre pronta a rassicurarli emotivamente e sessualmente e vale anche per le donne, ovviamente: facciamo in modo, tutti noi, di non far dipendere completamente la nostra autostima dall’amore di un’altra persona perchè l’amore non è eterno nè immutabile nel tempo: l’amore può finire e se lo accettassimo il più possibile serenamente e senza drammi staremmo meglio tutti.

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