In uno dei commenti al post di ieri (uno degli ultimi, quello di Valberici) si parla dell’importanza di educare alla lettura lenta, o quanto meno di proporla. Sono d’accordo, e non soltanto per far conoscere ai bambini (comincerei da qui, infatti) quante più parole possibile, ma per farli avvicinare alla diversità di linguaggi e di storie.
Storie. E’ corretto insistere su questo punto quando si parla di libri per bambini (intendo fino ai dieci-undici anni, in questo caso): ma una storia non basta. Non se è sempre la stessa, con lo stesso linguaggio e con varianti appena percettibili. Credo che almeno in parte la causa delle problematiche di cui si discuteva ieri – il restringersi del lessico nei libri, nel giornalismo, nella comunicazione – vada rintracciata qui.
A partire dagli anni Novanta, la narrativa per bambini è stata quasi sempre florida, nel nostro paese. A partire dagli anni Zero, la narrativa per bambini è diventata, in molti casi, “fast”, seriale, facile. Se date un’occhiata alle classifiche dei libri per ragazzi (per esempio, quella apparsa domenica scorsa su La lettura), ai primi cinque posti ci sono libri di Peppa Pig, al sesto uno di Geronimo Stilton. Il che va bene, certo. purché si abbia un libro fra le mani, va tutto benissimo. Questo avrei detto fino a qualche tempo fa: adesso non ne sono affatto sicura e provo a spiegare perché.
Partiamo dal personale: sono cresciuta leggendo Pamela Travers, Louisa Alcott e i libri di Nancy Drew. I miei figli sono cresciuti leggendo Roald Dahl, J.K. Rowling e C.S. Lewis. Ognuno ha preso strade diverse, come lettrice o lettore. Ma partendo comunque da una varietà di scelta. Quella varietà, sulla carta, c’è ancora. Grazie al cielo i libri di Dahl, Alcott, Travers e Lewis (per non parlare di Rowling) sono in circolazione e non sono scomparsi: ma già leggere Travers è diventata cosa molto più rara, e Mary Poppins “è” la versione Disney e non quella, enormemente più sfumata, complessa e minacciosa, dei libri. Per me, entrare a contatto a otto anni con i mondi onirici di Travers ha suscitato il famoso effetto apriporta (“voglio leggere altre storie così”). Immagino che le streghe di Dahl abbiano sortito lo stesso effetto su mia figlia.
Di contro, la serializzazione comporta in moltissimi casi l’abbassamento e la semplificazione del linguaggio: c’è una grande differenza fra i primi libri di Geronimo Stilton e quelli degli ultimi anni, quando il medesimo è divenuto “brand” prima ancora che personaggio di finzione: sappiamo che in dodici anni ha venduto più di venti milioni di libri solo in Italia. Ma stiamo, appunto, parlando ormai di prodotto: completo di sito per piccoli self-publisher, come ha raccontato qui Antonio Prudenzano.
In poche parole: le lame della forbice di cui parlavo ieri si divaricano prestissimo. E’ vero che il mondo editoriale per ragazzi è vasto e propone libri di enorme pregio, e autori e autrici come Bianca Pitzorno, Paola Zannoner, Luisa Mattia, Silvana Gandolfi, Beatrice Masini, Roberto Denti, Bruno Tognolini e tanti, tanti altri. Però le classifiche vanno studiate. E, no, il “purché leggano” non basta più.
GRAZIE LOREDANA! Il” purché leggano” è sempre stato un programma culturale e un metodo fallimentare, per il semplice fatto che non va d’accordo con l’idea di educare alla lettura. Scrivo “educare” consapevole che il termine non piacerà, ma provo a farlo piacere. Educare vuol dire non solo trasmettere l’amore per la lettura (senza quello non si va da nessuna parte), ma anche e soprattutto, strutturare capacità di giudizio, consapevolezza critica, in una parola: allevare lettori LIBERI, in quanto capaci di scegliere. Dei gourmet dei libri? Se anche non si arriva a vette specialistiche, diciamo almeno dei lettori voraci e capaci di distinguere una pietanza letteraria sana da una intossicante. Poi, sui generi, ognuno andrà dove gli pare. Se vogliamo fare educazione alimentare, non si è mai sentito dire che ai bambini si può dare di tutto, purché mangino… Non diamo le scatolette scadute ai bambini purché non muoiano di fame (che è una politica omicida da emergenza, èpiuttosto che una politica culturale sana a lungo termine…) Per la lettura vale esattamente la stessa cosa.
Il problema sta nel chiamare le cose col proprio nome: “purché leggano” cela il “purché si venda” 🙂
Non posso fare a meno di confrontare Geronimo Stilton con l’altro roditore che andava per la maggiore durante la mia infanzia, cioè Topolino…Leggendo Topolino (che se non ricordo male era scritto edisegnato espressamente per il mercato italiano) ti imbattevi in espressioni ricercate, e parole come biechi batraci, conquibus, valsente, per dire, che secondo me contribuivano a formare il gusto e il divertimento per la lingua. Ben diversa la lingua che parla Geronimo Stilton, con tutti quei punti esclamativi, e neologismi un tanto al chilo… (Poi che si presenti alla James Bond: “Sono Stilton, Geronimo Stilton”, lo trovo odioso, e esemplificativo della poca originalità di questo prodotto editoriale, che pesca qua e là idee già lette, proprio in un ambito dove la possibilità di creare mondi nuovi potrebbe essere sfrenata…)
Faccio un intervento un po’ o.t. e poco sviluppato.
Qualche tempo fa ho rivisto su internet una puntata di Grisù (che da piccola non guardavo, tra l’altro). Ad un certo punto il draghetto ha parlato di “tendenza atavica”. Immagino che certe parole siano scomparse dai cartoni animati di oggi.
Io sono per un passaggio più rapido possibile nel mondo delle forbicine. Una cosa del tipo: favolette->geronimo stilton-> Tolkien e via pedalare sui classici della narrativa (anglosassone naturalmente). Vietare i fantasy e per la letteratura italiana aspettare il liceo. In ogni caso sono d’accordo: evitare come la peste tutte le nuove collane per ragazzi.
Un intervento da nonno infatuato. Giorni fa il mio nipotino Jonathan di tre anni è uscito di corsa arrabbiato da un gruppetto di ragazzine. Nonno “Perché sei arrabbiato?”- Nipote “Mi hanno escluso”. A dimostrazione che c’è sempre speranza in un linguaggio più preciso, via (però, birbe le ragazzine!). Io gli leggo un sacco di storie e gliene invento anche qualcuna per irrobustirlo nell’ironia toscana. Una di queste parla di un mostro scurreggione che fa svenire gli abitanti di un paese. Allora chiedono aiuto a Jonathan che di notte, mentre il mostro dorme, gli infila un tappo nel sedere. La mattina successiva, quando sgancia la puzza esplode e tutti portano in trionfo Jonathan. Ma forse esagero… 🙂
… e lettura ad alta voce.
Giorgia, le favole, per cominciare, e non solo “ette”: c’è una tradizione straordinaria a cui attingere prima che cali la mannaia della trasposizione cinematografica. Pesco sempre dai ricordi personali: tra i sette e i nove anni mi regalarono l’integrale dei Grimm e di Andersen. Integrale, niente adattamenti, con profluvio di teste mozzate e sangue a litri. Altri apriporte. Sono piuttosto contraria al percorso guidato e ai divieti così come alle imposizioni. Piuttosto, cercherei di limitare al massimo le sirene del brand a cui facevo cenno: proprio perchè, come è stato evidenziato negli altri commenti, appiattiscono il linguaggio verso il basso.
Può essere utile ricordare cos’è successo all’amato “Topolino” (& Co.). Finché, cioè inizio anni ’90, se n’è occupata Mondadori, è stato un fumetto dove davvero si imparava non solo a leggere ma anche a parlare in maniera decente. Le storie spaziavano dalle rivisitazioni dei grandi classici ad esempi più demenziali.
Il bambino italiano, secondo Mondadori, era un essere pensante e critico.
Poi la gestione è passata a Disney Italia, e da lì è cominciata l’involuzione del prodotto. Il bambino italiano, a questo punto, è un essere fragile debole e bisognoso di cure. La qualità dell’Italiano si è impoverita, e soprattutto è giunta la censura. Qualsiasi tipo di violenza, fisica e verbale, è bandita e persino le storie del passato vengono edulcorate.
E guarda caso, questo “declino” dei bambini è osservabile anche a livello sociale.
I miei grandi amori di fanciullezza furono Sandokan, Giovanni Boka e Sherlock Holmes. Gente che faceva razzie nei mari, vedeva morire i compagni di scuola e si faceva di cocaina soluzione al 7%.
E possiamo spaziare tranquillamente anche al Cinema. Il periodo aureo dei “teen-movies” furono gli anni ’80. Oggi esiste qualcosa di anche lontanamente paragonabile ai “Goonies”?
Mi ha molto interessato il commento di Ekerot, perchè io anche ho constatato l’involuzione di topolino.
C’è una tendenza patologica in italia, a pensare che ciò che si da ai piccoli, debba essere sullo stesso livello dei piccoli. E non quel gradino sopra abbastanza vicino ma non sullo stesso piano che garantisce un arricchimento.
A me succede questo per esempio – io parlo con mio figlio di tre anni nel mio modo, garantisco che ci capiamo:) – ma uso tutte le parole del caso, uso parole che so che non capisce, condite con quelle che capisce. Mio figlio ha tre anni, ma gli metto sul tavolo anche concetti parecchio astratti: Giochiamo anche con le parole e con i registri linguistici. Per esempio invento favole che hanno una parte in italiano forbito – la parte magica di streghe che mettono nelle pentole cose come i rimpianti degli attori, e le macchie dei gattopardi, e una parte in dialetto – la parte ironica della favola per cui di solito le pozioni della mia strega si concludono co ajo ojo e n’anticchia de sale. Mio figlio va pazzo per queste favole combinate.
Ma è capitato due volte – che una signora sull’autobus si mettesse a ridere dicendo che mio figlio non avrebbe capito niente o e che era tempo perso, una volta anche con la riprovazione della madre che sa. 100 parole sa, ma vaglielo a spiegare.
Zauberei dovevi dire alla signora dell’autobus: “Guardi che esiste la zona di sviluppo prossimale!”.
Adesso salterò di palo in frasca su alcuni punti:
Concordo con il Topolino della Mondadori ha sempre avuto tanti di quei piani di lettura da essere più per adulti che per bambini. l’ equivalente Donald Duck olandese è una cosa da piangere, secondo me a 9 anni già non ne puoi più e infatti i miei figli chiedono sempre di più il pocket, che sono in genere le storie più lunghe e complesse, molto spesso tradotte dall’ italiano (e lo so perché un loro traduttore è stato mio studente). Aridatece il Topolino per intellettuali.
Secondo punto, in Olanda dove vivo, da anni gli editori investono enormemente nei bambini, sulla falsariga della settimana del libro (per adutli) esiste anche la settimana del libro per bambini, tematica, a cui tutte le scuole partecipano con materiali proposti dall’ organizzazione centrale e iniziative proprie. A scuola ci sono libri e spesso la lettura per conto proprio è una delle attività settimanali, vedi sempre quei 6-7 bambini in silenzio in corridoio a leggere. Mio figlio tutto Harry Potter se l’ è sparato entro i nove anni nelle ore di letture a scuola e anche un sacco di altri classici della gioventù olandesi. A casa legge Topolino e gioca al computer, oppure andiamo in biblioteca e cercarci e leggerci libri. Arrivano al liceo, questa è l’ amara constatazione e non riescono più a fare il passaggio alla letteratura adulta, al massimo quella da intrattenimento. Perché non sono abituati.
Quello che i miei figli di 8 e 10 anni leggono molto a casa, invece, è la “saggistica”, i libri che spiegano le cose e ti invitano a rifletterci. Figlio piccolo che non fa mai domande sul sesso, un paio di settimane fa mi ha fatto un trattato sui metodi contraccettivi, corredati di sue riflessioni (“quelli per le donne però mi sembrano così complicati che forse la cosa migliore è un condom, diceva, e non ho neanche capito come si fa a tiare fuori un tampone”, io ascoltavo esterrefatta, poi mi ha detto che l’ aveva letto tutto nel libro). Quindi io la divulgativa la lascio discretamente e strategicamente in giro e al prossimo giro sarà astronomia.
Però ho provato a leggergli libri miei: Lo hobbit, troppo troppo siamo arrivati alla fine a puntate della buonanotte. L’ Ultimo dei mohicani della mia infanzia è scritto in maniera talmente pesante che mi stupisco di averlo retto e amato io.
Mia madre ha la fissa de I ragazzi della via Pal, ma non ha avuto successo. Adesso ritito fuori tutti i Gialli per Ragazzi che ho collezionato a suo tempo e glieli propongo, ho l’ idea che il thriller, noir e giallo saranno la mia ultima sponda. C’ è sicuramente anche una componente linguistica l’ italiano è la loro lingua debole, ma proprio per questo mi accorgo delle parole che hanno imparato da un libro o da Topolino, e la cosa mi riconforta.
Davvero interessante questo post, offre molti spunti di riflessione, differenti punti di vista, quello pedagogico, quello culturale, quello editoriale e anche un bel amarcord nel mondo delle mie letture da bambina.
Da quando ne ho memoria non ricordo un solo giorno senza un libro, dai primissimi solo disegni (Impazzivo per Richard Scarry) alle prime letture, mi regalarono le favole di Esopo illustrate e non mi fermai più, da Piccole Donne a Bianca Pitzorno, tutto Dahl per cui ho avuto una vera cotta, e poi Le avventure di Tom Sawyer, il funambolo delle parole Gianni Rodari e infine l’idolo dei miei 10 anni: Sherlock Holmes!
Ho ancora qualcuno di questi libri e secondo il metodo di mia mamma vicino ad alcune parole ci sono dei disegni fatti a matita, i simboli che avevo inventato per segnare e ricordare le parole di cui non sapevo il significato o che semplicemente trovavo curiose o belle.
Il fatto di non conoscere il significato di tutti i vocaboli non ha mai rappresentato un problema, anzi al massimo uno stimolo in più, oggi forse si vogliono evitare ai bambini anche i minimi sforzi, sembra che già i genitori tendano a renderli spettatori passivi.
Invece si può e si deve insegnare ai bambini la bellezza delle parole e della loro condivisione.
Oggi comprare libri per i miei nipoti (Nel mio caso poi noto che i maschi già da piccoli leggono meno rispetto alle femmine) è davvero un’impresa, e davanti alle tante possibilità ci si sente davvero tra le due lame delle forbici.
Se non scoccia alla padrona di casa vorrei approfittare del commentarium per un mini sondaggio: oggi Piccole Donne e Tom Sawyer si leggono ancora? Grazie
@Zauberei ed Ekerot: certe volte vi voglio davvero bene!
Ekerot, confesso di aver comprato (tanti anni fa) una copia de “Il segno dei quattro” esclusivamente per l’incipit spiazzante: Sherlock Holmes che si inietta cocaina, una descrizione molto dettagliata. Ho conosciuto così Conan Doyle e poi… non ho più smesso.
@ Giorgia P: il testo più famoso di Tolkien è un grande classico della letteratura mondiale ascrivibile al fantasy. Su questo blog il genere fantasy (di qualità) è stato spesso difeso. Insomma, occhio con i divieti ;-))
Temo di dire una cosa ovvia: il problema oltre alla scarsa offerta del mercato e l’assenza di supporto nella scelta dei libri da parte dei genitori. Genitori che non leggono, che non possiedono libri in casa “pretendono” che i figli leggano. Ricordano vagamente qualche titolo e basta. Non solo. La cultura della “qualità del libro” (e ci metto dentro testo, ma anche immagini! Vogliamo parlare delle illustrazioni di certe case editrici! Ole illustrazioni nei libri di testo della scuola primaria!) secondo me inizia fin dai primissimi mesi di vita: oggi si spende e si spande per passeggini ultra-super-tecnologici, vestitini rosa/azzurri, scalda-biberon, si fanno le liste “nascita” per avere tutto. Gli albi, quelli con la A maaiuscola, no! Mai!
Non sono mai stata d’accordo nè come madre né come insegnante sul “purchè leggano”. Ho sempre scelto con accuratezza i libri di lettura per i miei figli ( chi ricorda gli splendidi album della Emme Edizioni?) e per i miei alunni, consapevole innanzitutto del rispetto che dovevo alla loro intelligenza e alla loro età. Libri belli e interessanti che divertono e fanno crescere ce ne sono molti, basta avere la voglia e la pazienza di informarsi sul serio, senza seguire, per pigrizia, i richiami della pubblicità su prodotti, come quelli da voi citati, che tutto sono ma non certo “narrativa forte”.
Non vorrei allargare troppo il discorso, pero mi è capitato di vedere postata in giro la celebre scena di Totò e Peppino che scrivono la lettera, e di notare commenti di persone che non capivano cosa ci fosse da ridere…
Ecco, nei cinema di paese di qualche decennio fa, contadini con la quinta elementare capivano benissimo e si spanciavano dal ridere. Andavano anche a vedere cose tipo Il Gattopardo senza sbuffare, e sapevano riconoscere la tecnica del flashback usatissima nei western (negli ultimi anni mi è capitato di sentire in sala vari commenti di gente stranita davanti a un flashback).
Poi ho pensato alla qualità delle serie tv italiane più viste e ho capito, dialoghi e storie che lo spettatore anni 80 avrebbe trovato terribili.
Su facebook gruppi che fanno ironia sul linguaggio povero e scorretto come “Siamo la gente il potere ci temono” vengono presi sul serio. Quindi, ormai, roba come questa è da professoroni http://youtu.be/SzrEfkjdzgw
La parola è importante, letta e raccontata. I ragazzi, i piccoli, e anche gli adulti, hanno bisogno di riscoprirla come gioco misterioso e profondo di un mondo più segreto e impalpabile, forse, ma anche umano e vero. Però, però, non possiamo più pensare a una parola qualsiasi, a un “urlo” qualsiasi che lascia il tempo nel trova come quello che troppo spesso sentiamo in Tv senza neanche renderci conto di quanto ci offende. Ci sono storie che vanno raccontate, e anche storie dal passato che hanno ancora un significato e incitano ancora a scoprire il proprio mondo. Bandirei le parole inutili, quelle vestite di bello ma prive di contenuto… ci si può rilassare anche edificandosi.
Ops, scusate, ho inviato senza inserire il nome, ma non volevo restare anonima e così ri-eccomi qui!
Tutto vero, tutti veri gli esempi citati, da Topolino al cinema. Dunque, il post di ieri e quello di oggi sono strettamente legati. Oggi, a Fahrenheit, parlavamo dei libri importanti che spariscono dal catalogo. Horcynus Orca (per fortuna, sembra, appena ripubblicato dopo un decennio di assenza). Malombra di Fogazzaro. Verso Damasco di Strindberg, e così via. Salvatore Silvano Nigro diceva che la scuola ha una buona parte di responsabilità. Anche e non solo. Perchè anche sommergere le librerie di Stilton conta, anche identificare col topo la lettura infantile conta. E conta il pensiero che, appunto, il linguaggio vada scarnificato in nome di un “nuovo” che viene dipinto come ineluttabile. C’è sempre un’altra strada. Non credetegli, ai cantori del nuovo: si tratti di Marchionne o di un roditore.
Son tutte allodole i commentatori di Lipperatura! Nessuno che posta all’ora dei gufi e dei vampiri, uffa.
@Laura Atena, più che altro spero che Tom Sawyer e Piccole donne continuino ad essere ristampati, perché ho intenzione di farli leggere a mia figlia (che adesso ha cinque anni). Attualmente le stiamo leggendo Heidi, il romanzo originale, a mo’ di favola della buona notte; credo che, finito quello, passeremo a Mary Poppins. Ovviamente mia figlia ha conosciuto l’una e l’altra tramite le trasposizioni televisive e cinematografiche. Non so, mi sembra una buona “tattica” cominciare col film o col cartone animato e poi approfondire col romanzo, che è comunque più complesso e stimolante.
@salvatore talia grazie per la risposta! Credo e spero anch’io che Tom Sawyer e Piccole donne continuino ad essere ristampati, in caso contrario ricorreremo alle care e sempre benedette biblioteche!
Me lo chiedevo perché parlando con diversi genitori a proposito di quei libri alcuni li considerano superati, non adatti ai bambini di oggi e al loro tempo, sia per quel che riguarda il linguaggio che il contenuto.
Certo non è facile passare dalle Winx alle sorelle March ma lo sforzo vale la candela o no?
La tattica del film o cartone che poi viene approfondito con il libro mi sembra buona ma in parte leva il gusto dell’immaginarsi i personaggi o mi sbaglio?
A me piace così tanto vedere come i bambini s’immaginano, disegnano o descrivono persone, cose, idee e altro senza che noi li “incanaliamo” che li lascerei il più possibile “liberi e selvaggi”.
Salutami la tua piccola e Heidi!
@ Laura, sì, sono d’accordo con te, l’optimum sarebbe partire dal testo letterario. Quella che abbiamo adottato noi è una soluzione di compromesso. Per dire, le fiabe dei fratelli Grimm: abbiamo dovuto cominciare con quelle di cui ha già visto il cartone animato; le altre, inizialmente, non le voleva proprio ascoltare. Stiamo cercando gradualmente di abituarla a immaginarsi le situazioni e i personaggi anche senza averli visti prima su uno schermo.
Circa l’attualità o l’inattualità delle storie che le raccontiamo, del linguaggio ecc., penso che mia figlia non ne sappia niente e in ogni caso non le interessa. Credo che siano solo ubbie di certi genitori. Saluti anche a te e grazie 🙂