Ho ricevuto parecchie storie, via mail, che riguardano i generi e l’anagrafe. Volevo cominciare oggi a postarle, ma rimando fino a lunedì. Perché mi sembra che questa intervista di Antonio Gnoli a Remo Bodei possa suggerire non pochi spunti.
L´ira è una passione che non conosce la misura: dilata, si gonfia, esplode improvvisa. La Chiesa la rubrica tra i vizi capitali. Ma è anche qualcosa di più di una condanna teologale. Essa si insinua nei momenti cupi della storia: alligna tra le furenti esplosioni contadine, tra il Tre e il Seicento in Europa, nelle ribellioni improvvise e nelle grandi rivoluzioni, nel fanatismo religioso e nella vita civile quando questa sembra improvvisamente piombare nel caos: è allora che l´ira si scarica contro i potenti e gli inermi, diventa un fiume in piena e porta con sé la vendetta e la violenza. L´ira, però, non è solo una passione che a volte muove la storia, è anche una collera individuale che si accumula e poi deflagra. Per gelosia, per offesa, per fraintendimento. Come accade ad Otello che dell´ira fa il centro della sua rovina; o come in Achille la cui funesta collera rasenta la follia.
Remo Bodei all´ira ha dedicato un libro particolarmente acuto, in uscita la prossima settimana per l´editore il Mulino (Ira, sottotitolo “La passione furente”, pagg. 160, euro 14). È un tassello che si aggiunge alla grande ricognizione sulle passioni che – questo professore che insegna tra Pisa e Los Angeles – nel tempo ha costruito come una mappa dei nostri sentimenti più intimi e incontrollati: «Mi sono proposto di chiarire quei fenomeni – come le passioni o i deliri – a lungo posti al bando o ai margini della razionalità ufficiale», dice Bodei.
E l´ira che posto occupa in questa sua cartografia dell´anima?
«Fa parte di quelle passioni tristi, l´espressione è di Spinoza, che – assieme all´odio, all´invidia o all´avarizia – deprimono la nostra vitalità. Ci fanno soffrire, ma contengono anche una parte di piacere agro. Nell´ira tale risarcimento è rappresentato dalla prospettiva di una vendetta che l´immaginazione prefigura in molteplici modi: nell´odio, dal pregustare la sconfitta dei propri nemici; nell´invidia, dalla gioia per il male altrui e nell´avarizia, dal godimento nel contemplare i denari risparmiati attraverso le rinunce».
L´uomo non ne esce benissimo da questa analisi.
«È il legno storto dell´umanità, come diceva Kant. Ma l´ira segnala inoltre il grado di vulnerabilità dell´io e, insieme, la sua capacità di riaffermare il ruolo, il potere, il prestigio. Sfiora talvolta anche l´eccesso di legittima difesa del suo spazio psichico e fisico o del sistema di principi e fedi con cui si identifica. L´ira scaturisce non solo dalla convinzione dell´individuo di essere stato tradito, insultato, manipolato, sminuito, trascurato, ma anche dal rimpianto per aver sprecato le occasioni o, addirittura, la vita».
Questo corteo di frustrazioni e risentimenti può facilmente passare dal piano individuale a quello collettivo. Non sempre le nostre democrazie – come nel caso della Repubblica di Weimar – sono state in grado di gestire e controllare l´ira collettiva. Perché?
«La democrazia di norma “mite”, capace di sterilizzare l´ira e di gestire le frustrazioni, perisce o degenera in periodi di accresciuta percezione dell´insicurezza personale e sociale, di esasperati conflitti, di devastanti crisi finanziarie o di cronica precarietà del lavoro. Quando l´esistenza perde dignità e valore, l´ira si riaffaccia prepotentemente e, alimentandosi di vittimismo, spinge alla ricerca di capri espiatori, spesso immaginari».
Quali forme oggi assume l´ira?
«Proprio perché è difficile rivolgerla verso obiettivi chiari, largamente condivisi ed estranei alla logica delle rivendicazioni strettamente personali o di categoria, l´ira sembra girare in folle e innescare, accanto ai processi di implosione, un sordo rancore nei rapporti tra le diverse componenti della società. Ho l´impressione che oggi si vada acuendo un´ostentata aggressività verbale e fisica anche dinanzi a minime offese. Nel clima di un diffuso individualismo di massa ognuno crede spesso di essere un moi soleil. Considera gli altri semplici satelliti, si proclama vittima di soprusi, allontana da sé colpe e responsabilità. Trova comunque insopportabile la messa in discussione di “sua maestà l´Io”».
Accanto a questo lato aggressivo del narcisismo, ci sono casi di rabbia civile (penso all´opposizione alla riforma Gelmini); ma anche rabbia che esplode contro gli immigrati. Perché siamo disposti ad accettare alcune forme d´ira e altre meno?
«Normalmente si accetta la “rabbia civile” quando si rivolge contro l´ingiustizia, l´oppressione o il degrado, quando è mossa dalla speranza di modificare assetti sociali o politici stagnanti e intollerabili o quando si ribella alle millenarie forme di subordinazione e di vessazione, come nell´indignazione delle donne. Non siamo disposti ad avallarla quando si trasforma in violenza fanatica e indiscriminata quando nelle rivendicazioni si inseriscono frange criminali, quando si sfogano le proprie difficoltà colpendo i più deboli in una guerra tra poveri».
Che poi sono quelle guerre che aprono ad avventure autoritarie. A questo proposito l´esperienza dei totalitarismi del secolo scorso mostra un uso ideologico dell´ira e dell´odio. Quale relazione intercorre tra queste due passioni?
«I totalitarismi novecenteschi hanno sistematicamente utilizzato l´ira e l´odio come armi, forgiandoli burocraticamente ed esibendoli pubblicamente. Tali passioni, del resto, hanno sempre avuto una potente incidenza sociale, politica e religiosa per la loro capacità di mobilitare folle, sette, partiti o interi popoli e per la loro natura contagiosa e dirompente. L´ira, che è una passione non premeditata e difficilmente controllabile, ha una durata breve. E in questo è diversa dall´odio che risulta freddo, calcolato e di durata assai più lunga. Inoltre, l´ira ignora la paura e, sul momento, non conosce remore o rispetti. L´odio, al contrario, di fronte a ragioni che suggeriscono la rinuncia all´immediata aggressività, come ad esempio la silenziosa preparazione della vendetta o il timore di inimicarsi qualche potente, si trattiene dal mostrarsi ma può far crescere la propria ostilità».
L´ira è una costante che ritroviamo nelle più diverse civiltà. A cosa si deve la sua prolungata presenza?
«Al fatto che essa ha basi biologiche antiche, legate all´istinto di sopravvivenza, in particolare alla risposta aggressiva a possibili minacce. Ogni cultura la elabora però secondo codici diversi, assegnandole valori compresi tra i due estremi dello sradicamento e dell´abbandono al suo impeto ed elaborando, nello stesso tempo, apposite terapie dell´anima. L´uomo cerca così di situarsi tra la temuta “santa ira” della divinità e la schiumante rabbia delle bestie».
A proposito di collera divina, l´ira gioca un ruolo preponderante nella Bibbia. Perché?
«Il tema dell´ira di Dio si ritrova in quasi tutti i popoli, ma la sua frequenza non è lontanamente paragonabile a quella dell´Antico Testamento, dove compare ben 518 volte e dove l´idea di Patto tra Yahveh e il suo popolo è presentato come un legame tra un geloso marito orientale e la sua sposa».
Rapporto che è destinato a mutare con il cristianesimo.
«Effettivamente, pur non rinunciando all´ira per correggere chi erra – “Adiratevi e non peccate: il sole non tramonti sul vostro sdegno”, dice San Paolo – il cristianesimo spezza la spirale infinita delle ritorsioni mediante il perdono, il porgere l´altra guancia e l´amore. Pone così la sordina all´ira di Dio e sposta l´accento su quella umana. La svolta decisiva ha però luogo con la moderna secolarizzazione, quando gli eventi catastrofici finiscono per essere attribuiti a fenomeni naturali o a responsabilità umane».
davvero attuali queste considerazioni: la rabbia latente che necessita di un nemico contro il quale scagliare il proprio malcontento.
e la rabbia può essere anche un potente catalizzatore per chi ha la disponibilità delle parole del discorso pubblico
il manovratore lavorando sul linguaggio ha già studiato il modo di far passare per sfigato chi s’indigna(non prima di aver contribuito a farci ragionare come se lo sfigato fose il paria della nostra era).La collera forse ci rende un po più stupidi ma incanalata sui binari giusti smuove le montagne.Diversamente somatizzata fa ammalare una società già di per se morbosetta.Intanto bisogna non scordarsi di come la bibbia essendo stato il primo testo stampato e il più diffuso detti i canoni di lettura delle sovrastutture dominanti,qualsiasi cosa voglia dire ciò.Nasdarovie
http://nplsk.info/botchdorn/cisuM/ROXY%20MOOOSIC/Roxy%20Music%2072/04%20Virginia%20Plain.mp3
“Cantami o diva del pelide Achille l’ira funesta…”
E anche lì c’erano di mezzo invidia e gelosia.
Più che analizzare singolarmente le passioni, troverei affascinante raggrupparle per famiglie. Il mimetismo sociale mi sembra imprescindibile da questa, e Girard ha molto da dire in proposito.
Valter, da quel che capisco (e conoscendo il modo di lavorare di Bodei), questo libretto sull’ira è un’aggiunta al suo più grande “Geometria delle passioni”, che dovrebbe rispondere alla tua esigenza. Segnalo anche “Destini personali”, che prosegue il precedente “Geometria” coprendo un arco che va dall’Ottocento al Novecento (e lasciando intendere una futura terza grande opera). Bodei vale senz’altro la penna di essere letto, non foss’altro (e non è poco) perché dimostra che si può trattare di questioni fondamentali con un linguaggio chiaro e accessibile a tutti. Le sue lezioni magistrali al Festival della Filosofia di Modena (che tu snobbi, temo) sono, da questo punto di vista, imperdibili.
Temi giusto per quel che riguarda i Festival della Filosofia: fanno parte di quel genere di esposizione tipo lo-scrittore-su-Facebook che mi sciolgono gli intestini. Ma queste sono probabilmente idiosincrasie da cavernicolo. Invece un libro che s’intitola “Geometria delle passioni” sa molto di spinoziano ma non può che sedurmi.
Mo me lo segno.
L’ira che mi spaventa è quella “telecomandata”: l’ira promossa dai totalitarismi, per dirigere altrove la ribellione che potrebbe abbatterli, ma anche da certe democrazie (vedi rabbia contro gli immigrati)
La geometria delle passioni è un testo bellissimo – se può confortare accessibile nella misura in cui il lettore decide di inchiodarsi alla sedia – cioè non proprio immediato.
Però come diamonds ho anche o avuto la reazione di pensare all’aspetto salubre dell’ira, cioè nonostante io obbligherei la lettura forzata di kant alle scuole medie di tutte e tre le critiche – che soì tutta salute – non è tutta legno storto. E’ il legno dell’uomo ma non è come l’invidia di sopra. C’è qualcosa di doloroso e terribile nelle persone che non riescono a sentire la propria ira, ma non solo per cose nobili e socialmente condivise – quando l’assenza di ira è sintomo di graziosa anestesia sociale, ma anche i forzato dello “sputame in faccia e te dico che piove”: sono un casino! Sono cioè nell’impossibilità o di sentire le priorità della propria vita, o di accorgersi quando queste priorità sono offese, o in caso di difenderle. La totale assenza di ira rinvia a un modo di stare rispetto alla realtà asimmetrico – non tra pari. O troppo sotto o troppo sopra.
@ Valter
capisco l’idiosincrasia per i festival, ma con un po’ di fiuto si riescono ad evitare gli effetti intestinali e ascoltare tre-quattro buone lezioni. Quanto al libro, è decisamente spinozista (il che, considerati i trascorsi hegeliani di Bodei, non è da poco). Con una non disprezzabile novità: a differenza di tanti vacui ripetitori, Bodei non ha bisogno di appoggiarsi a Deleuze, e riesce ad argomentare sua sponte, aggiungendo qualcosa di nuovo (il taglio storico, ad esempio) che lo porta alle stesse conclusioni del grande (per me, non ti scaldare) Gilles, ma per vie diverse. E, sempre in attesa del terzo tomo, fornisce una chiave di lettura dell’ultimo mezzo millennio incentrato sul tema delle passioni (il capitolo su Pirandello, in “Destini personali”, è da standing ovation). Storia della filosofia a parte, un autore come Bodei aiuta a capire che certe tensioni e tonalità contemporanee non spuntano dal nulla, ma vengono da lontano, e richiedono, per il loro superamento, un paziente lavoro sul lungo periodo.
L’ira come l’invidia, la gelosia ecc. meglio curarsela.
Si può combattere le proprie battaglie contro l’ingiustizia lucidamente.
Giusto l’appunto di Zauberei (non sei arrabbiata con me, vero?) sulla salubrità dell’ira, quando reagisce al sovvertimento del valore. Per lo più è il proprio valore che viene messo in discussione e innesca reazioni non sempre limpide, ma a volte è il valore oggettivamente inteso e percepito, e l’ira equivale ad una volontà di giustizia. Pensate a Gesù che scaccia i mercanti dal tempio, non per un proprio orgoglio offeso, ma per “lo zelo” nei confronti della casa del padre.
Un tempo ho creduto di incarnare questo zelo, in una prospettiva rivoluzionaria per cui avrei volentieri speso la mia vita, prima di accorgermi che stavo prendendo a calci alcuni bottegai solamente per far posto ad altri.
Giusto anche riportare l’ira ad ataviche eredità, Girolamo. In quel caso però sarebbe giusto provare a liberarsene, per maturare un giudizio oggettivo sui rapporti di forza tra cui effettivamente ci si ritrova a vivere.
Diciamo che ira, vergogna, risentimento, appartengono alla stessa famiglia di passioni, la più trascurata dalla psicologia filosofica classica (ho in mente Cartesio e gli empiristi inglesi) che mi sembra tendere a polarizzare le passioni intorno al binomio piacere-dolore. E’ un binomio che svela unicamente i rapporti oggettuali e non le turbe identitarie. Ma, in fondo, anche Freud ha scoperto tardi il narcisismo e non ha ristrutturato interamente il suo impianto teorico dopo questa scoperta, il che forse gli ha nuociuto.
La rabbia che nasce dal percepire (a livello viscerale prima ancora che razionale) una violazione del senso di giustizia (quale ne sia il motivo) è un’emozione innata e ineliminabile. Richiede, ovviamente, di essere incanalata e utilizzata come propulsore per un cambiamento, altrimenti diventa solo distruttiva. Una certa cultura (quella cattolica, in primis) che deligittima totalmente la rabbia a vantaggio del porgere l’altra guancia (tanto poi c’è dio padre che ci pensa – prima o poi-) non solo non aiuta ad imparare a gestirla, ma la ricaccia nel rimosso, dove finisce per essere ancora più deleteria – per il soggetto che la vive- che se fosse in qualche modo agita.
Questa interpretazione della massima evangelica è talmente caricaturale (per non parlare della goffaggine deduttiva che la segue), che anche al cattolico più zelante scapperebbe da ridere.
Scommetto che nei giorni pari vendi questa, e nei giorni dispari vendi quell’altra del cattolico rabbioso e fanatico che scatena guerre di religione.
Pari sono.
A destra o a manca si può recitar scempiaggini, quel che fa difetto è il complesso e il profondo.
che poi,se qualcuno ancora non se ne fosse accorto,la Lega è Rabbia in val padana
http://www.stanford.edu/~lucaswj/It%20Had%20Better%20Be%20Tonight.mp3