GENERAZIONE SGARBI

Per una volta, parlo anch’io di blog. Prendo spunto da un commento di Lilith al post precedente, laddove Lilith, in disaccordo con Romagnoli (cosa assolutamente legittima: io stessa ho delle perplessità a decretare la morte autorale di uno scrittore che ha ideato Fight Club e Ninna-nanna), scrive:
“Ho come l’impressione che Romagnoli abbia nel cassetto un libro scritto da lui, che considera migliore di tutto quello che scrive Palahniuk e che secondo lui meriterebbe di essere pubblicato, letto e adattato ad un film”.
Ecco, a mio parere,  qualcosa di nocivo per la rete: credo di averlo scritto altre volte, ma ripeterlo non fa male. Questa parte del commento di Lilith non aggiunge e non toglie nulla al suo giudizio sull’articolo: è un affondo contro la persona del recensore, dove si presuppone peraltro che il medesimo si muova dettato da oscure motivazioni.
E qui chiamo in causa il New York Times, e in particolare un articolo di Alina Tugend dal titolo The Difference Between Feedback and Criticism. Tugend non parla di Internet: parla di psicologia. Ma quello che sostiene, e che sostengono i suoi interlocutori, viene a proposito.  Si parte da un concetto ovvio: a parole, tutti si dicono disposti a ricevere critiche, finchè le medesime non sono negative. Anzi: molto spesso anche un commento che è semplicemente non del tutto positivo viene letto come un attacco.
Fatta questa premessa, però, arriva il distinguo fra “criticism” e “feedback”: laddove il primo è accusatorio, tende a ridicolizzare l’altro, a schiacciarlo sotto una presunta morale, è formulato allo scopo di colpire emotivamente l’avversario. Mentre il feedback offre motivazioni concrete a supporto della critica e tende effettivamente al miglioramento della persona cui si dirige.
Non ci sarebbe bisogno di aggiungere altro, nè di trarne conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. Ho sempre pensato che l’eccesso di critiche violente, spesso volte davvero unicamente a suscitare la reazione del proprio bersaglio e sbeffeggiarlo, fosse un rischio per Internet: e non perchè in qualche modo giustifica le reazioni di coloro che snobbano la rete come inutile e rissosa, ma perchè la trasforma in occasione persa.
Il problema è che stiamo scontando, ancora una volta, un immaginario che ci è stato imposto: quello della televisione di Maurizio Costanzo, per esempio, che l’attuale presidente del consiglio magnificava negli anni Ottanta come il nuovo cenacolo illuminista e che in realtà ha fatto passare un modello mortale. Chi insulta più forte è un vincente. Molti leoni della tastiera sono i figli ideali di Vittorio Sgarbi. Purtroppo.

17 pensieri su “GENERAZIONE SGARBI

  1. Scusami Loredana sono d’accordissimo.
    Ma a proposito di commenti distruttivi più che critici non era molto più calzante l’articolo di Romagnoli piuttosto che il commento di Lilith? l’analisi non c’è e il richiamo alla morte ha veramente qualcosa di viscerale e un po’ sinistro per non dire mediocre. Non lo so io non lo farei mai, non lo scriverei mai. E si che come dicevo Palahniuk mi è piaciuto molto ma in cavie non mi è piaciuto granchè. Ma io da un articolo voglio altro ben altro. E’ quello stile che elicita risposte analoghe, proprio come assieme a Sgarbi – o fai training autogeno oppure te sgarbizzi pure te.
    Invece se devo rimanere perplessa su un commento al post precedente, allora quella che non condivido e trovo sintomatica è Ilaria, che dice uh che bello questo articolo mi ha orientata. Come se parlare di libri fosse come chiedere un’indicazione stradale.
    Che in effetti spesso oggi la critica letteraria sta messa così, vedi D’Orrico e questo stesso articolo di Romagnoli. D’Orrico, che mi pare un lettore blandamente istruito e che elargisce le sue impressioni, ma che non è che abbondi di strumenti e di profondità – e si dice – muove migliaia di copie. Sig.
    E’ davvero un problema di rete? Io invece sono stanca – e moltissimo sulla carta stampata – della paura della serietà, della vecchia profondità, sono stanca dello sdoganamento dell’emotivo selvaggio. Un problema di immaginario imposto? Non so se sia solo questo – è anche un problema dello stile nel fare informazione e cultura. Semo giovani! Semo come l’ammerigheni alla mano! Easy! Ce dobbiamo far capire! Per fare un articolo di letteratura basta poco!
    Lungi da me fare offese gratuite a Romagnoli, ma ora andrò a leggermi un po’ di Pratz.

  2. Io mi riferivo soprattutto alla rete, Zauberei. Dove è molto più facile trovare, accanto a feedback molto accurati, attacchi personali. A me non interessa se Romagnoli abbia o meno un romanzo nel cassetto, o ce l’abbia D’Orrico o chi per loro. Mi interessa sapere dove hanno toppato la critica. Romagnoli è un pretesto, vale per cento altri casi.
    E poi, Zaub, mi pare che su questo abbiamo già discusso: dire che in rete va tutto bene non rende un buon servizio alla rete. 🙂

  3. Anche tra noi cinematografari c’è questa differenza tra “critica” e “feedback”. La critica non è necessariamente violenta. E’ quella recensione con le stelline, in tre righe, che non ti serve a niente; se non a farti incazzare e\o deprimerti.
    Il feedback è talmente importante, che in America è diventata una professione (ben remunerata), quella di scrivere feedback. Io ti invio il lavoro di sceneggiatura (che non è una tavola di Mosè), e tu ci lavori sopra. Me la analizzi, mi trovi i punti deboli, e secondo il metodo che desideri, mi consigli delle migliorie. Il giudizio personale è quasi a margine. L’obiettivo del feedback non è infatti stabilire se quello script sia un capolavoro o una tremenda boiata. “Semplicemente”, deve migliorarlo. Anche dal 4 al 5, per capirsi.
    Un lavoro utilissimo, assai raro da noi. Una persona che ogni tanto, quando è priva di eccessiva acredine, tira fuori dei feedback notevoli è Gamberetta (come Loredana, peraltro, ha già scritto).
    Però c’è un però.
    E vengo alla questione “rete”.
    Il feedback è un lavoro di scambio tra due persone, l’autore e l’editor (chiamiamolo così).
    In rete? Chuck non ha mai chiesto a Romagnoli un feedback. E soprattutto, qui sta il punto dolente, Chuck non leggerà mai l’articolo di Romagnoli.
    Se difatti si fosse verificato il primo caso, sono strastrasicuro che Romagnoli avrebbe tirato fuori tutto un altro articolo.
    L’anonimato (chi lo conosce a Romagnoli?) della rete, la vaga indeterminatezza di chi leggerà il tuo lavoro spesso induce “alla fitta sassaiola dell’ingiuria”: questo è il problema.
    Bisognerebbe iniziare a dire che non tutti i blog sono uguali, che alcuni meritano attenzione anche da parte degli autori, e via e via.
    Ma temo che la natura anarcoide della rete si ribellerebbe assai presto.

  4. Sacrosanto. Il feedback, per uno scrittore, è puro oro. L’insulto, ahimè tipico della rete (spesso chi insulta, in un incontro “dal vivo” si rivela essere molto più ragionevole) non porta a nulla.

  5. Sicuramente, la rete per le ragioni che diceva anche Ekerot, non aiuta, ma un certo tipo di critica selvaggia credo sia sempre esistita.
    Non so più chi diceva, Eric Satie forse, che la pratica della critica non esiste tra gli animali: gli animali divorano un altro animale, non lo criticano.
    Evidentemente c’è nell’atto di criticare nel senso di criticism una soddisfazione maligna che il feed back non dà. La critica è immediata ed è uno sfogo, il feedback è un impegno di responsabilità verso un’altra persona, che richiede anche una tecnica specifica: osservazione rigorosamente fenomenologica, restituzione di ciò che hai visto attraverso un linguaggio – ho visto, ho ascoltato, immagino ecc. – in cui viene reso esplicito che quello che tu dici deriva dalla tua osservazione ma non è un giudizio sulla persona, sul sul suo essere. L’espressione Tu sei, per esempio, è bandita perché, nessuno ci fa mai caso, il verbo essere è un verbo molto aggressivo.
    Quindi il feedback, che nella parola ha proprio il senso di nutrimento, non è mai un giudizio nel senso in cui lo intendiamo normalmente e, al di là delle tecniche, richiede un rispetto autentico verso gli altri. Se questo rispetto non c’è è più facile che ci sia criticism piuttosto che feedback.
    Dopo questo pistolotto interiorizzato dopo anni di di frequentazione di psicologi umanisti, devo dire che io sono una lettrice molto viscerale e che purtroppo io gli scrittori li mordo, forse più come un animale che come un critico, e quando ho letto – sull’altro thread – il post di Arturo mi sono sentita fortemente in colpa.
    Forse, come lettrice, anch’io mi sarei espressa come Romagnoli. Ad esempio non riesco a leggere più Roth perché mi opprime il cuore, lo ritengo un grandissimo ma ne ho preso le distanze, per cui quando a Fahrenheit ho sentito Masolino D’Amico esprimere una critica garbata ma molto ironica non solo all’ultimo libro di Roth, ma pure all’ultimo Roth ho tripudiato, perché poi non c’è niente da fare, se ti senti abbandonato da uno scrittore che molto hai amato, scatta, almeno in me, il risentimento, un sento forte di tradimento e allora vai giù pesante.
    Poi mi sono andata a guardare in Bellezza e fragilità la critica che Daniel Mendelsohn fa ad Every man e lì ho capito la differenza fra un click come diceva Arturo, anche i miei viscerali click, e una lettura onestamente critica.

  6. Anche a me aveva infastidito quella frase di Lilith, è un modo ormai piuttosto diffuso per sminuire la persona anziché contestarne le affermazioni con argomenti più razionali. Riguardo a me, per rispondere a Zaub, sì, sono una lettrice appassionata e forse più della critica letteraria preferisco un articolo più da “lettore” o più di pancia, la vedo più come un’opinione con cui confrontarmi, in questo senso “mi orienta”. Il fatto è che quello mi sembrava più un articolo di costume, volutamente “spiritoso”, più che una recensione, qui forse è stato preso un po’ troppo sul serio… 🙂

  7. pensierini.
    1. Loredana è verooo:) se ne era parlato! Ma è il qui come li! L’umanità analoga. La rete però come dice l’Ekerot e la Valeria ci ha in più la legittimazione dal basso ecco e dell’anonimato per dire le peggio cazzate. Mi firmo pipripicchio e mica che di mestiere faccio il letterato che! E questa doppia questione mi da l’alibi a dire stronzate a man bassa. (Concetto questo che potreste pure applicare alla mia persona considerando che uso uno pseudonimo e non faccio la letterata:)
    2.Ilaria, scrive su Repubblica Romagnoli, e non mi pare che ci fosse tanto da essere spiritosi. E qual’è il confronto qui? “Ilaria sappi che a me Chuk mo me fa schifo. Prima era fico ora invece me fa schifo”. Confrontete. Che te confronti! Cosa sai in più oltre il fatto che ROmagnoli è triste perchè il Chuk non è più fico? Mo me lo segno.
    3. Mi riallaccio alla Valeria, che sottolinea la differenza tra lettore e critico e tra mozzico e critica. Constato però che la Valerissima sottolinea il concetto di feedback solo riferito allo scrittore. Ma io pure, io pure lettora di ricensioni Dio caro ci ho bisogno di una costruzione di senso meritevole, oltre alla solidarietà tra cornuti. Io compro un giornale, lo pago, e vi trovo articoli di persone che sono a loro volta pagate per la loro competenza. Voglio che la competenza si dispieghi in un’analisi che sobilli i miei neuroni, e non i miei più triviali meccanismi di difesa.
    4. Pensa Valeria, che io ho litigato con Roth in maniera retroattiva – che io lo collezionerei Roth pensa, tutte le prime edizioni italiche. Ora la lita retroattiva non è che mi impedisce di leggere gli ultimi ma mi fa chiedere come mai ho retto i primi. Solo che non è scrivo articoli su che ne so L’indice dei Libri del Mese, o anche sul mio modesto bloggarello, dicendo “Roth sei sempre stato un bruttone”.
    5. Non ho detto mai scotomizzare, neanche slatentizzare, e aspetto con ansia il momento del frame:))))

  8. @zauberei. cara zaub, io la soddisfazione del frame non te la do, come tu non hai dato a me quella di scotomizzare e slatentizzare, che mi mancano parecchio. E’ la prima cosa che cerco quando vengo a curiosare nel tuo blog, ma anche lì mi pare che da un po’ sono latitanti.
    Riguardo al feedback, in realtà, implicitamente lo riferivo anche a me lettrice, nel senso che quando leggo una critica mi piacerebbe che non sia un’invettiva, una collana di sarcasmi, un sofisticato pasticcio per addetti ai lavori, un volemose bene, una resa dei conti, una intimidazione e tante altre cose che a me lettrice confondono soltanto le idee e non mi danno nessuna indicazione utile e, spesso, neppure il conforto della solidarietà tra cornuti.
    Per questo, facendo un po’ di autocritica, citavo Mendelsohn e le sue ricinsioni. E poi a volte, sì, anche la solidarietà tra cornuti aiuta, purché non diventi un’abitudine.

  9. GL ha scritto:
    “Sacrosanto. Il feedback, per uno scrittore, è puro oro. L’insulto, ahimè tipico della rete (spesso chi insulta, in un incontro “dal vivo” si rivela essere molto più ragionevole) non porta a nulla.”
    Perdona la franchezza, ma questa frase detta da uno che in una intervista ha dato dell’imbecille con licenza elementare a una non meglio precisata persona mi pare un po’ ipocrita ^_^
    Il problema non è tanto l’insulto in se, quanto la motivazione che ci sta dietro. Qualsiasi frase, anche del tipo “oggi è una bella giornata”, risulta ridicola se non motivata, se non c’è il perché. Dire che Hitler era un folle è un insulto? No, perché dietro si trova tutta una serie di considerazioni a monte.

  10. Okamis: a parte il fatto che se pigli a cazzotti un muro, poi non devi lamentarti se ti fa male la mano, penso che tu abbia perfettamente centrato il nocciolo della questione. Il feedback porta a migliorarsi, il criticism serve solo a determinati personaggi a dare un senso alla propria frustrazione.

  11. Ma il nocciolo è proprio questo, infatti. Ora, non intendo creare inutili polemiche, soprattutto perché entrambi ci troviamo a “casa d’altri”, quindi prendi il mio come un discorso generale dove mi avvarrò del caso sopra citato solo a mo’ d’esempio (e anche perché entrambi sappiamo benissimo a chi ti riferivi con quelle parole).
    Dunque, cerchiamo di capire cos’è il feedback. Riprendo le parole dell’articolo di Loredana: “il feedback offre motivazioni concrete a supporto della critica e tende effettivamente al miglioramento della persona cui si dirige.” Ecco, permettimi di sottolineare quel “motivazioni concrete”. In quel famoso articolo le accuse nei tuoi confronti a cosa si riferivano? All’aver fatto confusione tra due concetti (realismo e attualità, e non come hai scritto su FM). Da lì è seguita una serie di motivazioni (concrete, appunto), volte a far capire dove stava l’errore. E’ vero: lo stile era ironico, ma non per puro piacere nel dileggiare, ma per mantenere desta l’attenzione del lettore. Allora la domanda è: questo è “criticism” o “feedback”? A mio avviso il secondo. E il medesimo discorso vale per l’intervista su FM. Pure lì hai fatto due svarioni oggettivi che ti sono stati fatti notare con toni ironici (ma l’ironia, almeno in quel caso, fungeva da risposta alle parole aspre, E NON MOTIVATE, usate da te). Anche in quel caso era “criticism”? Non credo proprio, sempre perché le parole di chi obiettava a quelle due affermazioni erronee erano pienamente motivate.
    L’errore, per come la vedo io (e in questo forse mi discosto leggermente da Alina Tugend), è confondere il “criticism” con i toni accesi. Per me la critica inutile è quella priva di motivazioni. Se Tizio dice a Caio “Tu sei (AGGETTIVO NEGATIVO A CASO)”, Tizio effettua “criticism”. Se invece dice “Tu sei (AGGETTIVO NEGATIVO A CASO) perché BLA BLA BLA” allora siamo nel campo del feedback. Poi quel feedback potrà essere corretto o sbagliato, ma quello è un altro discorso (e comunque in quel caso logica vorrebbe che si replicasse a Tizio con una nuova serie di motivazioni, non replicando dandogli dell’imbecille ^_^).
    Poi, guarda, io sarò strano (anzi, lo sono di certo), ma preferisco mille volte una critica aspra ma sincera, che una critica pacata ma ipocrita. Chi non mi piace (e qua non mi sto riferendo a te, sia chiaro) è la versione Sgarbi DOC, ovvero quelli che nemmeno lasciano possibilità di replica.

  12. Non eri tu che parlavi di cattivismo? Insultare da senso all’esistenza: non c’è niente di più simile ad un atto di potere che causare dolore altrui e rendersene conto. Ed è dannatamente più facile che causare gioia.

  13. condivido, e mi piace quel che ha scritto zauberei.
    a me lo scontro piace (si fa per dire) faccia a faccia.
    la rete, spesso, ha maglie strette (e ricorda quei cani che abbaiano, protetti da una cancellata).

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