Giovanna Cosenza ha fatto un post molto esauriente, ieri, a proposito della proposta di legge francese sul fotoritocco: proposta che è tutt’altro che semplificatoria, come potete leggere.
Giovanna è stata invitata, domenica mattina, a discuterne su Rai Due, nella trasmissione In famiglia. Che io ho visto. E mi sono convinta ulteriormente della necessità di ridiscutere i modelli con le persone che nemmeno li creano, ma li reiterano: nella maggior parte dei casi, inconsapevolmente. Almeno spero.
In famiglia, per chi non lo sapesse, è il programma che intrattiene il pubblico la mattina del sabato e della domenica. Lo firmano Michele Guardì, Giovanni Taglialavoro, Tony Cucchiara, Antonella Barbaglia, Fiore Caputo, Antonio Lubrano, Luigi De Filippis e Marco Aprea. Lo conducono Tiberio Timperi e Miriam Leone.
Dunque, la spettatrice (io) vede il lancio del servizio sul fotoritocco, con dovizia di immagini tratte dai settimanali popolari e molta insistenza sulle gambe di Fabrizio Corona. Vede il volto di Miriam Leone, che recita la parte della “contraria” al fotoritocco stesso con molti bronci e molto sgranare di occhioni. Presumibilmente imposti dal team autorale. Vede un “contro” di Tiziana Rocca, che difende fieramente il diritto di apparire belle, il “pro” di Gianni Ippoliti, che analizza il caso Valeria Marini. Poi arriva Giovanna, che viene chiusa in un cameo e non partecipa, dunque, alla discussione: fornisce dati, contestualizza la proposta di legge che va ben al di là del “quelle cattivone non vogliono farmi togliere il brufolo” (un giorno occorrerà discutere di questo pericoloso equivoco per cui “le femministe dicono che le belle sono tutte veline”), e chiude. L’allegra compagnia prosegue a discutere delle gambe di Corona.
Ora, quello di cui sono convinta è che molti, moltissimi autori televisivi ragionino ormai col pilota automatico: con la scaletta davanti, dicono “questo lo mettiamo qui e questo là, poi ci vuole l’esperto, anzi l’esperta donna, però poi alleggeriamo perchè a quell’ora ci sono le vecchiette davanti alla televisione, una battuta qua – dai che Ippoliti fa ancora ridere – un po’ di gossip di là”. Fatto.
Una proposta di legge non cambia il modello. Bisogna cambiare il modo di comunicare e di ragionare. Bisogna stanarli, i comunicatori imbrigliati nella coazione a ripetere di formulette, in televisione, sui giornali e nei libri.
Lavoro lungo, lavoro necessario.
Qualche ulteriore informazione dal cosiddetto backstage può aiutare la riflessione collettiva.
Ero invitata come docente dell’Università di Bologna, col carico di pregiudizi e stereotipi che questa carica si porta dietro: prima di entrare mi hanno raccomandato mille volte di essere chiara e breve, ma secondo me – non conoscendomi – erano terrorizzati dal fatto che io potessi essere “la solita barbosa che li appalla e non capisce che al grande pubblico si parla come si mangia”. Io lo so, lo capisco e sono abituata da sempre a “parlare come mangio”, a parlare “per tutti”, ma loro da me non se lo aspettavano. Di qui – credo – la loro decisione di confinarmi al cameo; decisione presa a priori, presa senza avermi mai consultata.
Detto questo (anche a loro parziale difesa), il problema vero è che, a dispetto di ciò che poi appare in video, il dibattito fra gli ospiti non c’era (e in questo tipo di trasmissioni non c’è mai, a quanto capisco, tranne nei talk sho serali mirati alla rissa).
Ognuno di noi era distante dall’altro 3 o 4 metri, eravamo tutti microfonati ma l’output andava fuori e io, per ascoltare quello che diceva Gianni Ippoliti prima di me e, peggio ancora, Tiziana Rocca che distava da me il doppio di lui, nel casino generale ho dovuto tendere l’orecchio (e per fortuna ci sento molto bene) – con un sacco di gente che mi passava davanti, dietro, a fianco.
Erano tanti cameo, insomma, non solo il mio. Tanti piccoli monologhi stimolati da die o tre domande fatte da Tiberio Timperi, con più spazio ad alcuni – quelli televisivamente certi e noti – e molto meno ad altri – quelli presuntamente a rischio, perché NON noti, NON televisivi e a rischio di noia.
Non mi sto lamentando del poco spazio dato a me: non ero e non sono alla ricerca di notorietà televisiva, anzi il contrario. Non sono andata lì per la comparsata televisiva, sono andata lì per studiare. (E molti miei colleghi mi guarderebbero con disprezzo se sapessero che ho preso parte a QUELLA trasmissione.) Direi la stessa cosa da spettatrice, se avessi visto la cosa da fuori. Salvo il fatto che, da fuori, non cogli sempre tutto. Ed è per capire, cogliere e studiare che sono andata.
Insomma è questo il mio punto: anche i pregiudizi e le barriere reciproche contribuiscono a fare in modo che i prodotti televisivi seguano sempre gli stessi binari. Ricercatori e docenti barbosi, vecchi, antichi (come le femministe coi baffi?) da un lato, gente di spettacolo bella e “divertente” dall’altro. Che a volte parla solo delle gambe di Corona perché non saprebbe fare altro. Ma a volte, magari, saprebbe e potrebbe parlare di altro, ma non lo fa perché non ha mai davvero interagito con nessuno di diverso.
In altre parole, col senno di poi sono sicura che, se io e gli altri ospiti della trasmissione avessimo avuto 5 minuti – non dico di più – per interagire fra noi e con il conduttore PRIMA di andare in onda (e magari poi pure in diretta, perché no?), per guardarci negli occhi, per stringerci la mano, eccetera, qualcosa di diverso sarebbe saltato fuori. Penso all’intervento di Ippoliti, ad esempio, che avrebbe potuto benissimo interagire col mio in modo divertente e interessante. E vadi mai, perché no? in modo educativo…
C’è molto da lavorare, sì. Con gli autori, nel backstage. Ma anche in diretta. Perché la tv al mattino presto della domenica non la guardano solo anziani, bimbetti parcheggiati lì per stare buoni, e casalinghe: molti miei studenti (20-21 anni!) mi hanno detto di avermi vista…
Scusate eventuali refusi, vado di fretta. Ciao!
Grazie a Loredana e a Giovanna Cosenza per questo spaccato che conferma eterne preoccupazioni. Il meccanismo della tv è tale da rendere onnipotenti gli autori. Il livello culturale (ma direi piuttosto il livello di umanità) degli autori emerge dal prodotto. E la conclusione è per lo più sconfortante.
Sono già intervenuta sul blog di Giovanna Cosenza, per cui non sto qui a ripetermi.
Il mio post,dunque, è un po’ OT.
Uno. E’ un avviso di servizio. Chi volesse ammirare o verificare dal vivo la prestanza delle gambe di Corona, può farlo ogni lunedì (mi pare) agli storici magazzini MAS di piazza Vittorio.
Perlomeno così ho letto sui manifesti affissi da quelle parte.
Due. E una condivisione di disperazione. Ieri mattina a ‘Cominciamo bene’ (raitre) hanno intervistato la regista Lina Wertmuller e il criminologo Massimo Picozzi sul caso Polanski.
Ne ho visto solo una parte, quel tanto da rimanere folgorata dalla risposta che Lina Wermuller (propolanski senza se e e senza ma) ha dato alla domanda della conduttriche sul perché, secondo lei, solo pochissime donne dello spettacolo abbiano firmato la petizione a favore di Polanski: “Evidentemente perché – ha risposto lei con un sorriso di chi per mestiere conosce le più recondite sfumature del cuore umano – le donne si sentono bambine violata oppure – ha accentuato il sorrido – tardone violabili”.
Sono rimasta letteralmente a bocca aperta.
Dunque, io pure ho detto la mia sul blog di Giovanna.
In quella sede dicevo che secondo me il provvedimento è un buon punto di partenza, perchè la frasina sotto potrebbe instillare un germoglio di razionalità che agisce anche al livello inconscio e che potrebbe costringere i pubblicitari ad adottare strategie diverse.
Ciò non toglie che il lavoro da fare auspicato da entrambe sia oltremodo necessario. Ma questo è un buon inizio.
Io pure io pure comunque una volta sono stata intervistata a una trasmissione in qualità di esperta! esperta de ebrei:)
La trasmissione era una cosa de ggiovani de Radio Maria (Loredana prometti che numme togli dal blogroll:) anche io ci sono andata per studio! oltre che per vanità:)))). Nel mio piccolo confermo l’esperienza della Giovanna Cosenza. Ma è curiosa la condizione paradossale dell’esperto – esso è chiamato perchè è un Vero Esperto, cioè egli è un portatore idoneo di esperienza, ma diciamo che sia portatore vero o portatore sano, non sbatte una cippa a nessuno. Cioè l’esperienza non è interpellata, conta solo il suono.
Credo che oramai succeda quasi sempre. (tranne un caso non è per gemellaggio politrico religioso! non è per parentela de nasi: l’Infedele di Lerner, secondo me è mejo).
ps.Posso dirlo Valeria?
Che schifo la Wertmuller.
Ma volevo ricordare anche che il tanto osannato filmazzo suo con Giannini, travolti da un insolito destino etc… ha una scena di stupro, ed è caricato di un triviale sessismo (eticamente sdoganato dalla presunta lotta di classe) che il film che tutti dicono chissa cosa eh beh, parla per lei. Andrebbe rivisto, commentato e fritto a dovere.
Oramai gli autori televisivi sono una razza in estinzione. Anche il più improbabile dei programmi viene retto dal format, dal contenitore. Ovviamente ci sono gli Autori, i supremissimi. Ma sono veramente pochi.
E questa conduzione tipo gioco di ruolo dei talkshow ne è la prova. Ci serve l’esperto, il contraddittore, la belloccia di turno, il provocatore.
Questo accade perché gli esperti di marketing (che sono i veri autori della tv italiana, come quella americana, ma i nostri sono molto più stupidi) hanno pieni poteri e si convincono che quello ha successo punto e basta.
Qualsiasi battaglia deve tenere conto della loro presenza. Peraltro sono personaggi tipo i 3 incappucciati di Tana delle Tigri.
*
(non c’entra niente, ma ho visto il filmato di Anna Frank on-line, e mi sorprendo ancora a scoprire il potere del cinema).
Non vedo la tv la domenica mattina, in prevalenza ascolto molto più volentieri radiotre. Ultimamente però, in tv, mi sono angosciata: oddio, ho 52 anni, che succede…uno speciale dossier tg1 la sera di domenica su come invecchiare, certo su come invecchiano le donne, uomini no, solo un passaggio che la curatrice Tiziana Ferrario dedica ai cinquantenni con la panza e sono tanti…me le sono sfuggiti. Ciò che conta sono le donne: intervista a una chirurga con sullo sfondo un’operazione in diretta, giuro! Pomeriggio da Sposini: che orrore…l’ossessione delle rughe, delle donne certo; Italia sul due primo pomeriggio: caro ragazzo, t’innamoreresti di una cinquantenne? Ma che cos’è, hanno deciso di dichiararci guerra?
Ciao Loredana,
mi riallaccio a quanto scritto da Susanna per segnalarti una cosa che mi ha veramente colpito e deluso. Se si va sulla pagina della campagna abbonamenti dell’Unità on line compare un banner pubblicitario sconcertante: in primo piano sulla sinistra il fondo schiena di una bella ragazza, fasciato in una minigonna jeans inguinale, in posa ammiccante e con una copia del quotidiano infilata nella minitasca… Accanto un profluvio di aggettivi del tipo ‘bella’, ‘moderna’, ‘indipendente’, ‘rivoluzionaria’, ‘forte’ e simili. Poi c’è una dissolvenza e al posto del fondo schiena (a colori) compare il volto di Concita De Gregorio sorridente e in bianco e nero. Ma come è possibile che il direttore abbia accettato di prestare il suo volto a una campagna pubblicitaria così brutta e conformista? Non si sente in contraddizione rispetto alle battaglie che il giornale porta avanti con grande sensibilità?
Ho scritto alla direzione del giornale per chiedere spiegazioni, ma nessuno mi ha risposto e il banner è sempre lì… Che ne pensate? Il volto di una cinquantenne intelligente e seria come Concita De Gregorio per vendere abbonamenti deve per forza stare insieme al culo di una ragazzina?
Cristina
Ciao Cristina, credo che in realtà quel banner sia il vecchio logo pubblicitario con cui si fece il lancio pubblicitario dell’Unità di Concita.
Concita ha ammesso che quel sedere è il suo. Nessuna ragazzina.
Se ne discusse l’estate scorsa parecchio. Anche io restai un po’ perplesso. Ma persone più autorevoli mi hanno detto che la De Gregorio “se lo può permettere” (visti i suoi trascorsi e i suoi presenti di battaglie proprio su queste questioni), e che evidentemente si cela dietro quella foto un significato ulteriore che ci sfugge.
@ ekerot
Grazie delle precisazioni. Resto comunque perplessa, davvero questo significato ulteriore, come dici tu, mi sfugge. Non credo che il fatto che Concita De Gregorio abbia personalmente prestato il suo corpo a questa operazione cambi molto le cose, né le cambia il fatto che lei se lo possa ‘permettere’ (il femminismo è un salvacondotto?). Il messaggio che passa è comunque ambiguo
ciao
Anche a me non è piaciuta molto quella pubblicità. A livello intellettuale, con un certo sforzo, sono riuscita a capirla. Ma si tratta appunto di dover ricorrere a un metalinguaggio per la decodifica.
Una mia amica di venti anni non ha capito. Durante una trasmissione in cui era presente la De Gregorio ha mandato una mail esprimendo la sua perlpessità in proposito e – ha detto – la De Gregorio si è mostrata molto infastidita, ma non ha di fatto risposto alla mia domanda.
Allora se un messaggio appare poco chiaro, o chiaro solo a un ‘target’ parecchio selezionato, forse non funziona abbastanza. E nel caso di un giornale come l’Unità questo non funzionamento mi pare grave.
Comunque questa è stata la conclusione della ragazza: ‘ma come?! fate tanto le femministe, e poi…”.
Vabbé forse dovevo farle una lezioncina di semiotica, ma non mi è sembrato il caso, tanto più che a quel punto pure io avevo deciso che quel messaggio non mi piaceva per niente.
Concordo perfettamente con voi. Un problemino di comunicazione quel messaggio l’aveva, se maschi e femmine (o alcuni maschi e alcune femmine) hanno avuto una sensazione di fastidio.
Poi se non ricordo male, la foto era di Toscani. Per cui, il fatto che se ne sia parlato così tanto, è proprio il suo marchio di fabbrica.