I CONTI DI SANDRO FERRI

Qualche giorno fa Sandro Ferri di e/o mi ha inviato questo intervento, ripreso in rete. Lo pubblico integralmente: riguarda il perchè è giusto, secondo Ferri, regolamentare gli sconti sui libri. Questa è l’ultima puntata di Lipperatura sull’industria editoriale, per ora. Domani ci sarà un post di congedo prima della pausa di agosto, che non riguarderà i libri. So di aver tralasciato molti argomenti (dall’osceno vademecum per la sicurezza per le donne di Roma alle sconcertanti dichiarazioni dell’autore del manifesto per la festa del Pd – quello con le famose gambe-. Per fortuna, molte donne hanno giustamente detto la loro su questo e, se sarà ancora il caso, ci tornerò). Su uno, quanto accaduto quasi una settimana fa in Norvegia, lascerò la parola a un amico, domani.
Nell’articolo di Loredana Lipperini nella Repubblica di sabato, viene evidenziata l’ostilità, o quantomeno la perplessità, di una parte importante del pubblico nei confronti della nuova legge che limita al 15% gli sconti possibili sui libri. Anche nel blog di Lipperini e in genere sulla rete ci sono commenti molto astiosi contro editori e librai (“Caste”, “Vi siete scavati la fossa”, Avete dimostrato di non saper fare il vostro lavoro”).
Tanti lettori si chiedono: perché non dovrebbe essere una cosa buona avere più libri disponibili a prezzi più accessibili? Non dovrebbe aiutare la lettura? E se internet e gli e-books permettono di ridurre i prezzi, perché non farne approfittare i consumatori?
Sono questioni complesse, se non vogliamo ridurle a demagogia, e necessitano quindi risposte articolate e pazienza nel capirle e discuterle.
Iniziamo da un minimo di analisi del costo del libro, indispensabile per avviare qualsiasi ragionamento sul tema.
Schematicamente (per forza) il prezzo di un ipotetico libro che costa al pubblico 18 euro è così formato:
10,80 euro (60%) alla distribuzione (per distribuzione s’intendono in realtà almeno tre funzioni diverse: la promozione, ovvero i rappresentanti che vanno nelle librerie a presentare le novità librarie; la distribuzione (trasporti, magazzini, incasso dei pagamenti); le librerie vere e proprie (o comunque i punti vendita). Per ora accontentiamoci di questa prima osservazione, ma più avanti torneremo su questo importante punto della distribuzione (per esempio sul costo della rendita immobiliare, ossia gli affitti ai quali paradossalmente va una parte sempre più importante del prezzo del libro), perché su questo punto le nuove tecnologie promettono risparmi consistenti.
1,80 euro (10%) all’autore.
Se si parla di un libro tradotto e venduto ad esempio in 2.000 copie una traduzione di 200-250 pagine costerà sui 3.000 euro, ossia 1,50 euro a copia (8,33% del prezzo di copertina). Così come per i libri illustrati si dovrà tenere conto del costo del lavoro dell’illustratore.
1,50 euro (8,33%) di costo fisico (carta, stampa, grafica, impaginazione, bozze).
C’è poi la parte più complicata di questo conto estremamente semplificato, ossia l’importo dei costi fissi generali di una casa editrice e la loro incidenza percentuale sul prezzo di copertina. Questo è un calcolo difficile da semplificare perché le spese fisse variano molto da azienda ad azienda e anche perché l’incidenza percentuale di questa voce varia ovviamente secondo il numero di copie di ogni libro che vengono vendute (ossia, per capirci: se un’azienda ha 1.000.000 di euro di spese fisse, la loro incidenza sul prezzo di copertina sarà di 10 euro se avrà venduto 100.000 copie, ma scenderà a 1 euro se ne avrà vendute un milione; e questo conteggio va fatto su ogni titolo; inoltre andrà tenuto conto che queste spese fisse andranno almeno in parte addebitate anche sulle ristampe di titoli non nuovi).
Abbiamo detto che queste spese fisse variano da casa editrice a casa editrice. Dipendono da quanti addetti ha l’azienda, da quanto li paga, quindi da quanto cura i vari aspetti della produzione del libro (editing, redazione, produzione vera e propria, promozione e marketing, amministrazione, gestione economica e finanziaria, magazzino, relazioni esterne, ufficio stampa, segreteria, invio delle copie, lettura dei testi, rapporto con gli autori, preparazione dei contratti, vendita di titoli per la traduzione in altre lingue, ecc ecc ecc ecc ecc; perché le attività di un’azienda, in particolar modo editoriale, sono innumerevoli e diverse tra loro).
Molto approssimativamente possiamo calcolare che queste spese fisse o “generali” variano, per delle case editrici che pubblicano tra le 30 e le 50 novità l’anno dallo 0,5 ai 2 milioni di euro. Di nuovo: questo importo dipende da tantissime variabili difficilmente analizzabili: ad esempio ci sono degli editori che lavorano gratis, perché hanno un altro lavoro o perché possono permetterselo; ci sono case editrici che riescono a far fare a tre persone lo stesso lavoro che in altre aziende richiede dieci dipendenti (e in genere ovviamente si vedrà la diversa qualità finale del prodotto); ci sono case editrici che pagano molti interessi alle banche e altre meno; ci sono aziende che spendono tanto in pubblicità e altre che risparmiano molto, c’è chi paga un affitto alto mentre altri lavorano in casa propria, e così via).
Se spalmiamo queste spese fisse non solo sul numero delle novità (da 30 a 50, abbiamo ipotizzato) ma anche, almeno in parte, sulle ristampe (diciamo un numero pari a quello delle novità prodotte ogni anno), abbiamo un costo per copia che varia dai 2,50 euro (per una casa editrice che ha “solo” 500.000 euro/annue di spese fisse, riesce a pubblicare 100 tra novità e ristampe ogni anno e a vendere 2.000 copie del titolo in questione) ai 5 euro (chi ha costi fissi di 2 milioni di euro, pubblica 100 titoli l’anno tra novità e ristampe e vende 5.000 copie del titolo).
In definitiva, da questo calcolo sommario, si ha un costo di euro 2,50 a euro 5 su ogni novità per le spese fisse della casa editrice. In percentuale sono dal 14% al 28% del prezzo di copertina.
Chi non si è ancora stancato di seguire questi calcoli si chiederà a questo punto: ma se già con le varie spese variabili sopra elencate (distribuzione, autore, eventualmente traduttore o illustratore, costi fisici) eravamo arrivati a 15,60 euro, ossia all’86,66% del prezzo di copertina, com’è possibile aggiungere altri 14%, addirittura 28%? L’editore perde sistematicamente denaro? E’ un benefattore? Qualcuno lo sovvenziona?
Chiedo scusa per aver trascinato il lettore in questi calcoli, ma senza una conoscenza minima degli stessi non è possibile affrontare alcuna delle questioni fondamentali della vita e del futuro del libro. Sintetizzo qui di seguito la composizione del prezzo del libro:
Distribuzione: 60%
Diritto d’autore: 10%
Traduzione: 8,33%
Costo fisico: 8,33%
Spese fisse: 14-28%
TOTALE: 100,66% – 114,66%
Ovviamente che il totale sia superiore al 100% significa che l’editore, o dovrà tagliare su qualche voce di spesa o dovrà vendere più copie del libro modificando automaticamente le percentuali in questione. In genere, quello che succede nella realtà di tutti gli editori è che la maggior parte dei libri che pubblicano PERDONO DENARO mentre pochi titoli guadagnano e “pagano” per gli altri.
Intanto forse sarà più chiaro il peso economico dei costi “fissi” nell’attività editoriale e il fatto che, se venissero tagliati per risparmiare sul prezzo di copertina, la qualità del prodotto libro ne risentirebbe pesantemente. Niente più revisione dei testi (né riletture, né controlli delle traduzioni, né bozze)? Niente cura grafica, elaborazione di strumenti di marketing che permettano di far conoscere il libro ai lettori più suscettibili di esserne interessati? Nessun rapporto con le librerie? Nessun rapporto con gli autori? Nessuna attività promozionale (presentazioni, contatti con la stampa e con la rete, ecc)? Nessun controllo amministrativo dei flussi dei libri, nessun rapporto con
clienti e fornitori, con le banche, nessun incasso e pagamento? Nessun conto economico, budget, preventivo, consuntivo? Nessun invio dei libri a chi, per vari motivi, li richiede (premi, giornalisti, clienti sparsi)? Nessun contratto, nessuna fattura, nessuna spedizione, nessun biglietto di treno o aereo? Ma soprattutto: nessun lavoro serio e accurato di selezione dei testi da pubblicare? Nessuno che ne organizza il flusso di arrivo in casa editrice, risponde all’autore o all’agente o all’editore straniero che propone i testi? Nessuno che archivia e classifica questo lavoro? NESSUNO CHE LEGGE I LIBRI E NESSUNO CHE TROVA GLI ARGOMENTI PER DIRE DI SI’, DI NO E PER COME DIRLO A CHI HA PROPOSTO IL TESTO MA ANCHE A SE STESSO (IN MODO TALE DA GIUSTIFICARE, DA CREARE UNA LINEA EDITORIALE)?
Sparirebbe così l’attività editoriale, almeno nel senso in cui è stata conosciuta fino a oggi e che ha consentito la pubblicazione della nostra letteratura moderna e contemporanea.
Cosa resterebbe? La rete, Amazon, i blog? Sì, ma sarebbero una cosa del tutto diversa. Se sparissero tutte quelle attività di cui ho parlato sopra, resterebbero delle persone che scrivono su Internet per cerchie ristrette, sparirebbe la stessa forma romanzo come è esistita fino a oggi. Ci sarebbe un unico grande negozio on-line che metterebbe a disposizione del massimo di utenti il massimo di testi possibile al minor prezzo possibile. In questo oceano apparentemente democratico, in realtà anarchico, senza mediazioni né vere selezioni, senza diversità di editori con gusti e progetti diversi, senza “controlli”, ci sarebbe l’unico grande fratello Amazon, l’amico dei consumatori. Fuori non esisterebbero più librerie, nessun editore che legge e sceglie i testi meritevoli (secondo lui ovviamente, ma come altro può mai essere?) di essere pubblicati.
Io sinceramente non vedo alternative alla figura dell’editore, al suo rafforzamento addirittura, a una selezione più severa, al mantenimento di questi lavori e mansioni che con i loro costi (purtroppo, ma la gente deve vivere) impediscono che un libro nuovo costi poco. E questo discorso vale ancora molto di più per la pubblicazione di autori esordienti, libri di sconosciuti che venderanno quasi sempre meno di mille copie, che quindi perderanno denaro sicuramente. Testi che, quando vengono mandati in rete senza la mediazione dell’editore, raggiungono non mille ma forse cento lettori, perché la gente non si fida oppure non sa che esistono o ancora non ci si è per caso imbattuta in una libreria. Un libro è il punto di arrivo di un processo collettivo, di una scrittura ovviamente, ma anche di una e più letture, di una proposta verso l’esterno che ha mille modalità (e non L’UNICA della rete). Tutto ciò necessita del lavoro dell’editore.
Veniamo a un’altra opinione molto comune tra chi osteggia il controllo del prezzo del libro e degli sconti selvaggi: “Vabbé, se il libro di carta deve costare tanto, allora muoia pure, e ci leggeremo tutti gli e-books”.
Premetto che non sono un nemico degli e-books. A me interessa la lettura e sono tutto orecchie sul dibattito in corso sul futuro delle forme che assumerà la lettura: libri di carta, elettronici, ecc. L’importante però (per me) è che si continui a leggere e, soprattutto, che si continui a leggere con la necessaria concentrazione, non a leggiucchiare a spizzichi, a captare i titoli o mezza frase qua e là.
Vediamo quindi quanto realmente si potrebbe risparmiare sul costo di un libro, eliminandone le parti “fisiche”. Io credo che alla lunga si risparmierà certamente, ma non così tanto.
Abbiamo visto che il costo fisico del libro incideva per meno del 10% nel nostro esempio. Sulle tirature più alte questa percentuale scende ancora. Se si pensa che anche il libro elettronico ha un suo costo, pur se minore, di produzione, si vedrà che passando dal libro di carta a quello elettronico il risparmio è basso, meno del 5%.
L’altra voce su cui si può realizzare un importante risparmio è la distribuzione. Eliminare parte della logistica (il trasporto delle rese, le copie invendute che dai negozi vengono rispedite all’editore, soprattutto), parte dello stockaggio, eliminare il peso economico degli affitti sempre più cari per le librerie), può ridurre senz’altro i costi.
Questo è un risparmio che mi fa particolarmente piacere perché odio pensare che una parte importante del denaro prodotto dalla cultura venga trattenuto, deviato, verso la rendita immobiliare. Pensare che piccole librerie (ma anche le grandi) per restare in punti un po’ vivaci della città debbano pagare affitti proibitivi, e che una parte importante del prezzo del libro acquistato vada nelle tasche del proprietario dell’immobile, non mi dà certo allegria.
Però anche questo risparmio ha degli aspetti molto negativi. Intanto ogni libreria che chiude (sostituita FORSE in parte da vendite di libri on-line ma certamente da vendite reali di jeans) significa perdita di posti di lavoro, spesso professionalità e passioni che svaniscono per sempre.
Che oggi troppi librai soprattutto nelle grandi catene siano solo commessi e non leggano e propongano più i libri ai clienti fornendo un importante servizio, è senz’altro vero. Ma allora sarebbe preferibile migliorare la formazione dei librai in quel senso invece che farli sostituire (semmai vengano sostituiti) dall’anonimato delle vendite on-line.
Eppoi le librerie sono un punto d’incontro e di scambio fondamentale per la nostra vita sociale. Io non voglio vedere Campo de’Fiori senza la libreria Fahrenheit, Piazza S. Maria in Trastevere senza la libreria Minimum Fax, Largo Argentina senza la Feltrinelli, le strade di Prati senza Il Seme, De Miranda, la libreria Arion a piazza Cavour e così via per tutti i quartieri della città. Io, abitante di Roma, sono disposto (pur se malvolentieri) a pagare qualcosa in più per un libro acquistato in una libreria, se questo mi consente di vivere in un luogo in cui c’è più cultura e più socialità intelligente.
Negli Stati Uniti le librerie indipendenti, aggredite prima che da noi dalle grandi catene e dalla grande distribuzione, si sono egregiamente difese puntando su due punti essenziali: 1) legarsi alle comunità locali esercitando un forte richiamo anche “ideologico” nei confronti dei loro clienti e invogliandoli a preferirle nei confronti delle vendite on-line o nella grande distribuzione, fornendo servizi e “socializzazione” in cambio di prezzi un po’ più alti; 2) ottenere migliori condizioni dagli editori e dai distributori, condizioni sostanzialmente paritarie a quelle dei grandi punti vendita.
Credo che questo processo di difesa di editori e librerie indipendenti, ma più in genere di una “cultura del leggere e dello stare assieme”, crescerà anche in Italia. Tra i tanti vantaggi di tale processo c’è anche la possibilitò per il lettore di recarsi in uno spazio fisico dove, casualmente o in base alle proprie inclinazioni ma con più possibilità di girare-vedere-toccare-sfogliare che su Amazon o che in un supermercato, potrà imbattersi più facilmente in un libro sconosciuto, “strano”, di un esordiente o di un autore di altre parti del mondo.
Ci sono i dati e confermare questa opinione: nei siti on-line (e ovviamente nei supermercati) si vendono in proporzione più bestseller e meno titoli poco conosciuti che nelle librerie (indipendenti e Feltrinelli).

39 pensieri su “I CONTI DI SANDRO FERRI

  1. L’unica cosa che viene fuori da quest’articolo è che i prezzi alti sono un problema di distribuzione. Sì, la stessa che impone solo i bestseller e che accorcia la vita del libro a poche settimane.

  2. un giorno un amico di un gruppo d’acquisto mi ha detto che le librerie indipendenti possono essere presidi culturali, validi punti di incontro, vanno valorizzate anche in quanto tali, come si valorizza il piccolo agricoltore sul territorio
    ammetto che presa a capo chino dalla mia quotidiana battaglia per restare sul mercato avevo sottovalutato questa possibilità del mio lavoro
    usateci, venite regolarmente, scambiate due parole con gli altri lettori, bevete un caffè, sedetevi sul nostro divano, e soprattutto leggete
    non sottostimate la fisicità del libro e del luogo in cui il libro si vende e la passione del libraio
    tutto qui
    Buona estate Loredana, e buona estate a noi lettori
    Nicoletta da Bologna

  3. Secondo questi calcoli mi sembra di capire che un ebook potrebbe essere commercializzato alla metà del prezzo di un libro di carta, garantendo lo stesso ritorno per l’editore (a parte il fatto che l’Iva sugli ebook è ancora al venti cento perché non sono considerati libri ma software, e non mi sembra che su questo ci sia una gran mobilitazione). Però facendo un passaggio su Ibs non vedo questa differenza di prezzo. Ed è verissimo poi che gli ebook hanno bisogno di essere promossi addirittura più dei libri di carta, ma sono forme di promozione diversa, credo, più che altro online dato che è online che vengono acquistati. Sono d’accordo comunque che immaginare una città senza librerie sia davvero triste. Come del resto è già triste, senza bisogno di immaginazione, passare davanti a una vetrina dove prima ti fermavi a guardare le copertine dei dischi e trovarci un paio di scarpe, o un assortimento di creme dimagranti. Però quando ha chiuso uno dei negozi che frequentavo, mi sono reso conto che da anni acquisto musica online. E guardando un po’ in giro mi rendo conto che i negozi di dischi sopravvissuti sono proprio quelli che si sono legati al digitale, mettendo in vendita anche ipod, auricolari wireless, mini hard disk, diffusori acustici, casse preamplificate e via dicendo. Non sono più “negozi di dischi” in senso stretto, d’accordo, ma le loro vetrine sono ancora lì. E lì dentro ancora si parla di musica, anche se insieme al cd acquisti una memory card o la custodia per l’iphone. Resto poi dell’idea che i diciotto-venti euro per un libro non siano il problema principale. Certo un ebook potrebbe costare meno e con la stessa cifra se ne potrebbe acquistare il doppio (per non parlare della possibilità di leggere gratuitamente tutti i testi non più protetti da copyright), ma stiamo parlando di venti euro, che diventano meno di dieci in edizione economica (andare a mangiare una pizza costa di più, e se ti presenti senza prenotazione ti ridono in faccia…).

  4. Esiste una cosa che si chiama mercato, e che ha una funzione fondamentale: evitare che il consumatore perda tempo con questa ragioneria.
    Si compra al miglior rapporto (soggettivo!) qualità/prezzo e chiuso.
    Discorsi del genere riguardano i produttori. Si fanno per esempio nel salotto di confindustria con il bicchiere di Porto in mano davanti al caminetto.
    [A meno che non si parli di “beni pubblici”. Ma il libro, in assenza di speculazioni stiracchiate, non sembra rispondere alla definizione]
    D’ altronde è Ferri stesso a dire: chi ha avuto il nostro problema ha tamponato con le strategie “a” e “b”. Ovvero offrendo nuovi servizi.
    Ma chissà, magari esistono anche le strategie “c”, “d”, “e”… e via fino alla “z” e oltre.
    Noi consumatori aspettiamo fregandoci le mani che voi imprenditori le troviate alla svelta per goderne. E’ il vostro lavoro.
    E un pochino ci gira se anziché impegnarvi al servizio dei vostri “sovrani naturali” cercate di risolvere all’ italiana invocando la “leggina”.

  5. i conti fatti da ferri li conoscevo. non certo per scienza infusa, ma perché sono stati resi pubblici tante volte. ferri, però, fa un’analisi dettagliata che, almeno da me, va presa come una specie di saggio. al di là di questo, però, avrei una curiosità. ferri, a parte una citazione riguardante gli stati uniti, non parla di altre realtà straniere. ora, per esempio, chi è che sa qualcosa di vendite-mercati-costi-promozione in germania, francia, inghilterra e spagna? (tanto per darsi una regolata)

  6. @riccardo:
    la tua conclusione sul possibile prezzo di un ebook è alquanto affrettata: se è vero che per un libro cartaceo il 60% del prezzo di copertina se ne va per la distribuzione, questo non significa che i negozi online di ebook non si prendano anche loro una percentuale (mediamente del 30%). poi c’è un costo distributivo, un costo di protezione, e infine va considerato il costo (anche se abbastanza contenuto) della conversione del file (diciamo, complessivamente un ulteriore 8-9%). a questo aggiungi il problema da te già evidenziato dell’iva al 20%. ed ecco che siamo già vicini a quel 60% del prezo di copertina.
    come ciliegina finale, aggiungici che gli agenti letterari (o, in ultima analisi, gli autori) supponendo anch’essi che ci sia un “enorme” risparmio da parte dell’editore chiedono royalties ben più alte sul prezzo del download. rispetto alla media del 10% di royalties su edizioni cartacee, per l’ebook si va dal 25 fino al 50% del cosiddetto “net receipt” (ossia di quanto l’editore percepisce sul prezzo di copertina tolto il costo di distribuzione). per essere più chiari: rispetto al 10% del prezzo di copertina dell’edizione cartacea, si parla di un valore che è circa metà del prezzo di copertina, su cui nel caso del 25% di royalties siamo poco al di sopra di quel 10% (circa il 12); nel caso (raro per la verità) del 50% siamo a oltre il doppio (circa 25).
    mentre il risparmio per l’editore (che fin qui ha speso più che per l’edizione cartacea) è solo nel costo della produzione fisica del volume cartaceo (circa 10%) a fronte del quale si vorrebbe far pagare l’ebook il 50%…
    ora, tutto questo si potrebbe anche sostenere, da parte dell’editore, fintanto che l’edizione ebook si affianca a quella cartacea (“ho già sostenuto i costi di traduzione, editing, correzione di bozze, diritti d’autore ecc ecc per l’edizione cartacea, quindi se anche ricavo molto meno dall’edizione digitale in fondo ho dovuto spendere poco per realizzarla”).
    ma quando o se l’edizione cartacea dovesse scomparire o diventare poco conveniente per l’editore, e se quest’ultimo dovesse sostenere tutti quei costi editoriali (come evidenziati dalla attenta disamina di sandro ferri, che dimostrano come i ricavi di un editore siano già molto bassi) solo per l’edizione digitale (non è che dato che fai solo l’ebook il libro non lo traduci, o non lo impagini, o non ne correggi le bozze, o non devi discuterne in redazione per sceglierlo in base alla linea editoriale, o puoi permetterti di non avere più un ufficio ecc) con i ricavi ulteriormente ridotti di un ebook, vedrai bene che non sarebbe affatto pensabile “commercializzarlo alla metà del prezzo di un libro di carta”.

  7. Mi sono fermato al secondo punto: vorrei che qualcuno indicasse gli editori che pagano circa 3000 euro per una traduzione, perché non mi è mai capitato (al terzo libro tradotto). Per lo più “si offre una possibilità” pagata al massimo 500 euro. Anche i grandi editori.

  8. (scusate, mi sono reso conto che il mio messaggio può essere interpretato come l’esatto opposto delle mie intenzioni: intendo dire: non credo che editori come e/o paghino un forfait di 500 euro dicendo che è un’opportunità per il traduttore. credo anzi che e/o e tanti altri come e/o rientrano nell’ampia lista di quegli editori che pagano dignitosamente e onestamente le traduzioni.)

  9. ma il tariffario non è a cartelle? se non sbaglio sì. allora, semmai, il problema è quanto un editore paghi (a certella) un traduttore. da ciò che mi risulta poco, molto poco rispetto ad altri Paesi alfabetiizzati.
    Si sbalio mi corigerete.

  10. Una nota a margine sugli ebook. Bisognerebbe capire il motivo per cui si è arrivati a pagare un costo distributivo così alto per l’ebook. Il distributore in quel settore non ha senso.

  11. @Marco Cassini
    Ti ringrazio per aver contribuito a spiegare le ragioni della diffidenza nei confronti del digitale. In effetti, messa così, la faccenda appare complessa e insidiosa. Però, ho la faccia tosta di insistere. Quando parliamo di percentuali, ci riferiamo a un prezzo di copertina di una singola copia che ha un costo di per sé. Sotto una certa soglia di prezzo (vedi la questione dei tetti sugli sconti) non è possibile scendere proprio per questo motivo. Costi ripartiti su copie fisiche prodotte in un numero limitato e conosciuto. Nel digitale il prodotto finito non è una tiratura di x copie, ma un file che può essere duplicato all’infinito (e che quindi ha una vita più lunga dei libri dei carta che lasciano gli scaffali della libreria dopo pochi mesi per far posto alle novità). Ora, il ragionamento di chi come me vede di buon occhio il digitale si basa a questo punto su quello che potremmo definire un “atto di fede”, quindi indimostrabile, da prendere per come è. Sulla convinzione, cioè, che un prezzo molto basso spingerebbe a un numero maggiore di copie acquistate. I numeri di Konrath (e ormai non solo di lui) lo confermerebbero, ma il panorama americano è, prima di tutto per estensione, così diverso da quello nostrano che il verificarsi di questa condizione anche dalle nostre parti resta comunque, come dicevo, un “atto di fede”. Ma se avessimo ragione il costo del lavoro editoriale sarebbe spalmato su un numero molto più alto di copie vendute, che non avrebbero alcun costo fisico per essere prodotte (compreso il costo di conversione del file e le protezioni). Ridurre il costo dei libri non basta ad aumentare il totale dei lettori e delle letture, ma aiuterebbe molto in un’ipotetica battaglia di “crescita editoriale”. Se poi ci fosse una seria mobilitazione per portare l’iva dal venti al quattro per cento, sarebbe un’ottima cosa e ci metterei subito la firma. Concordo poi con Daniela Pinna: concedere il 30 per cento a un distributore digitale è fuori logica. E anche sui costi delle protezioni potrebbero essere risparmiati i soldi, dato che appesantiscono il file, ne rendono più complicata la fruizione e se cerchi su Google il modo per “togliere i drm” ci sono 54.700 pagine che ti spiegano in modo dettagliato come farlo.

  12. Sicuramente in questo momento i costi del digitale sono alti e difficilmente ripagabili dalla vendita degli eBook per gli editori – che sono quelli che determinano il prezzo di vendita dei libri. Ma al prendere piede dei dispositivi e dell’eBook ci ritroveremo in un mercato dove gli intermediari continuano a percepire le stesse pecentuali con un volume di affari che si moltiplica e un costo di scala che si riduce. Quindi, le logiche NON cambieranno a favore dei lettori. Non per questa strada, almeno.

  13. La struttura dei costi non è un dogma, è il risultato di una organizzazione della produzione che evidentemente può essere migliorata, essendo incapace: a) di fornire al consumatore un prodotto adeguato a un prezzo sensato; b) di fornire all’imprenditore un ritorno che giustifichi l’investimento. Tutta questa “promozione” siamo certi che sia non gonfiata, che non sia autoreferenziale? Perché io che voglio solo leggere un buon libro devo anche pagare tutto il circo mediatico?

  14. vorrei dire a broncobilly che sono stufo di sentir parlare genericamente di “noi consumatori”, in maniera cosi’ demagogica. sono un vecchio socio altroconsumo ma ormai c’e’ un abuso; per stare sui libri chiedo di fare attenzione ai prezzi di copertina, sempre piu’ alti perche’ gli editori sanno di vendere oramai con uno sconto medio del 25% e non fanno altro che aumentare i prezzi. che “noiconsumatori” paghiamo basta che ci sbattano in faccia -30%!!!! evviva!
    il libro non dimenticate ha il prezzo imposto. chiedete sconti in farmacia sui farmaci? o dal tabaccaio sulle sigarette?
    e chi dice di aver a cuore il libro, faccia meno fotocopie (mi rivolgo agli studenti lamentosi che spendono 2-300 euro per la propria formazione, quanto un paio di nike che hanno ai piedi) e di cercare nel libro la qualita’ editoriale, non LO SCONTOOOOOOOOOOO. (falso, oltretutto)

  15. si tace – nei commenti – di una questione fondante, riguardo i costi dell’eBook. più d’una, in realtà.
    per esempio: come si fa a stabilire che la conversione in ePub rappresenta l’8, o il 9 percento del prezzo di vendita?
    la conversione è un costo di avviamento. l’ePub non ha una “tiratura”, non è stampato a 300, 1000 ecc.
    come è possibile quantificare questo costo, in percentuale? al massimo ci sarà un numero minimo di copie vendute che consente di rientrare dei costi fissi sostenuti.
    poi: distribuzione. si dimentica che nei costi di distribuzione ci sono i costi di trasporto e spedizione. che scompaiono con l’eBook.
    il costo totale – distribuzione+libreria (eStore) – è molto più basso del cartaceo. per forza di cose.
    in più, se un editore mette su un eStore proprio annulla questo costo – 25/30 percento circa del prezzo di vendita. e annulla anche le spese di spedizione, in questi tempi bui senza il piego libri.
    in definitiva, vendendo direttamente, sul proprio eStore, un eBook, i costi sono: diritto d’autore – più che giusto che sia maggiore del corrispettivo cartaceo – e costi di redazione [grafica, correzione, editing, conversione].
    un autore che volesse – e ne fosse capace – redazionare, convertire, e mettere in vendita da solo il proprio testo, avrebbe come unico costo il proprio lavoro.
    e-

  16. @enpi
    “un autore che volesse – e ne fosse capace – redazionare, convertire, e mettere in vendita da solo il proprio testo, avrebbe come unico costo il proprio lavoro.”
    ma si starebbe trasformando in editore, editore di se stesso, senza il lavoro dell’editore. un buco senza menta attorno.
    un autore che si pubblica da solo è come un editore che seleziona, edita, ragiona su, promuove, distribuisce, pubblicizza, mette in vendita, e vende un ebook senza un testo dentro.
    sarebbe, per così dire, ilmioebook.it

  17. (quel che è più grave è che, subito dopo aver scritto il commento precedente, mi è venuta un’illuminazione: sono andato a vedere se il dominio ilmioebook.it era libero, in quei nanosecondi che hanno separato la pressione digitale sul tasto invio e l’apertura della pagina ho sentito crescere sulle mie pupille il simbolo ziopaperoniano del dollarone, uno per pupilla, e poi ho toccato con mano la triste realtà: il sito ilmioebook.it è già in costruzione. siate pronti a dare i vostri ebook in pasto al gruppo l’espresso. a spese vostre, e con guadagni per l’editore che finge di non esserci.)

  18. [a proposito, Marco: c’entra nulla, ma dalla pagina wikipedia di Minimum fax, il tuo nome porta a un altro Marco Cassini, attore, teramano, del 1986. te lo segnalo, così puoi, a tua volta, segnalarlo a wikipedia. o correggerlo direttamente]

  19. De Michelis (Marsilio) sottolineava, secondo me con buone regioni, il rischio che le titubanze degli editori consegnino sempre più autori al multiverso dell’autpobblicazione. Senza bisogno di aspettare ilmioebook.it esistono già piattaforme, come Narcissus per esempio, che prendono l’ebook e lo distribuiscono in tutti gli store online, garantendo all’autore il 60 per cento del prezzo di copertina, che è lo stesso autore a decidere. Amazon fa la stessa cosa e se non sbaglio lascia all’autore il 70 per cento. Proprio su Amazon, Francesco Dimitri ha messo in vendita il suo «Pan» (sfuggito proprio a Marsilio, che ne pubblica l’edizione cartacea) a 2,30 sterline. E più aumenta la notorietà dell’autore più si riduce la necessità di passare per uno store: la Rowling pubblicherà per conto proprio le versioni digitali dei romanzi di Harry Potter e se li venderà per conto proprio sul sito Pottermore, che aprirà a ottobre. Non so se il buco, con o senza menta intorno, se lo becchi la Rowling (che a quanto pare non ha avuto troppe remore a essere editrice di se stessa) o l’editore che non pubblicherà i suoi libri in digitale. Credo che per l’editoria si un grosso rischio, per il valore aggiunto che un editor può apportare al testo e per la crescita che un autore può fare grazie a un solido e costante rapporto con il proprio editore. Ma così stanno le cose. E quello di cedere autori all’autopubblicazione non è né l’unico né, forse, il più temibile dei rischi. Soprattutto per gli editori di medie dimensioni. Un paio di giorni fa la Mondadori ha sottoscritto un accordo con Amazon per distribuire duemila titoli sul kindle entro il prossimo anno.

  20. Che bella notizia questa della Rowling. Sono proprio autori di questo calibro che dovrebbero indicare il sentiero. Io non ne farei un grosso dramma, la Rowling fa così perché può permetterselo. Gli editori avranno sempre la loro funzione di trampolino di lancio, in partenza, ma quando un autore diventa “grosso” che male c’è se riesce a sopravvivere da solo? I lettori i libri li leggeranno, l’autore guadagnerà dal suo lavoro. Chi ci rimette, in parte, sono l’editore e “la distribuzione”, che una volta adempiuto al loro ruolo di “tramite” verranno bypassati.

  21. @Alessandro Ansuini
    L’autopubblicazione può essere una grande risorsa, può aprire nuovi scenari e ridefinire ruoli. Ma non si può ridurre il ruolo di un editore a quello di stampatore e distributore di un testo. L’editore per primo deve evitarlo, proprio perché in questo caso l’autopubblicazione potrebbe garantire agli autori lo stesso «servizio». Un editore lavora sul testo insieme all’autore, migliorandolo, aiutandolo a indirizzare certe scelte e a farlo maturare, soprattutto quando parliamo di autori ancora non affermati. Sarebbe interessante, per esempio, sapere qual è stato il ruolo dell’editore nella fase di «gestazione» dei primi romanzi della Rowling. Qual è stato il lavoro editoriale che ha fatto di quei racconti i best seller che hanno inciso così a fondo nell’immaginario collettivo. Ci sono autori che inviano manoscritti senza capo né coda nei quali un bravo editore sa comunque distinguere (se ci sono) grandi qualità inespresse che attraverso il suo rapporto con l’autore farà in modo che emergano, strutturandosi in una narrazione. Come lettori questi passaggi non possiamo conoscerli, dal momento che l’opera che arriva nelle nostre mani (o nei nostri ebook reader) non è solo il risultato del lavoro di uno scrittore (salvo appunto i casi di autopubblicazione) ma il risultato di un lavoro collettivo in cui la maggior parte dei ruoli restano nell’ombra, ma ci sono. O almeno, ci sono nelle case editrici serie. Per quanto riguarda le altre, il self publishing sarà un degnissimo sostituto. Oltretutto oggi è possibile rivolgersi a editor freelance che lavorano su un testo un tot a cartella e lo restituiscono all’autore che se lo pubblica per conto proprio. Anche questa è una risorsa, ma torno a dire che il rapporto tra autore e editore, anche in prospettiva, non è sostituibile neppure con un filiera intesa in questo senso. Preferirei uno scenario in cui gli editori, liberandosi dalle spese fisiche, investissero di più nella loro schiera di editor e pubblicassero un maggior numero di esordienti, magari prevedendo una prima tiratura in ebook per valutarne il riscontro. Sembra intenzionata a muoversi in questa direzione, per esempio, la casa editrice Apogeo, che ha appena pubblicato a 4,90 euro un manuale (riguarda il nuovo sistema operativo dei mac) su ebook, anticipandone l’uscita in cartaceo che uscirà il 24 agosto e di euro ne costerà 39.

  22. Riccardo Bruni:
    Non metto in dubbio, anche perché non lo so, il lavoro che può aver fatto l’editor o l’editor di competenza sui romanzi della Rowling. Posso supporre eccellente. Infatti la Rowling è diventata la Rowling, ha preso, inizialmente, la sua piccola perrcentuale, e ha fatto guadagnare milioni al suo editore che adesso, e qui che vedo il nocciolo della questione, può concentrarsi su un altro autore, aiutarlo a migliorare etc, etc.
    A me questa sembra una svolta spontanea della vicenda “digitale” molto interessante.
    Con l’avvento di internet, mi pare di capire, la “soluzione orizzontale”, se presa da chi può permetterselo (vedi radiohead nella musica) è un’opzione che nessuno può sognarsi di ostacolare. Si stanno creando nuove figure ibride, come gli scrittori-editori di se stessi, o i musicisti-distributori di musica. Con buona pace di chi ci guadagnava a lungo termine.

  23. Ho trovato molti stimoli in questa discussione, mi fa piacere.
    E’ difficile prevedere il futuro ma, anche sulla scia dei commenti letti qui, vedo almeno tre “società”, tre gruppi, tre “mondi” che probabilmente coesisteranno:
    1) il mondo dell’autopubblicazione (“Come curare la zampa posteriore destra del mio cane lupo” troverà senz’altro i suoi lettori in questo mondo, a beneficio di tutti, soprattutto del cane lupo), della pubblicazione a 1 euro su Amazon (tanto Amazon non é sui libri che guadagna e – non c’é bisogno di dirlo – guadagna molto bene: non credo che jeff Bezos abiti in una capanna sulla costa della California), ossia della pubblicazione di QUALSIASI COSA su Internet, senza selezioni, revisioni, promozioni, senza questi costi né tutti i costi che comporta tenere in piedi una struttura editoriale;
    2) il mondo del mass market o del super-mega-giga-bestseller, dove POCHISSIMI titoli di autori stranoti o strafortunati saranno in vendita più o meno ovunque, dalle farmacie alle pizzerie a taglio; se entrate in una libreria Mondadori Franchising (ex-Gulliver) avrete un’idea di che tipo di offerta si tratterà (ci sono ovviamente le eccezioni, per esempio le Mondadori dei miei amici Campino) e potete dimenticare, in questo mondo, di cercare un autore esordiente o una scrittrice della Papuasia. Troverete solo nomi che già conoscete, per non spaventarvi!;
    3) il mondo (forse sotterraneo, forse alternativo, forse addirittura illegale – eh vabbé, fatemi sognare un po’ Fahrenheit 451…- dove editori e librai testardi continueranno a scegliere, pubblicare, proporre, vendere i libri che a loro piacciono e che sperano che piaceranno a qualcun altro.
    Questo terzo mondo potrebbe essere veramente marginale e ridotto alla fame, ma forse no, forse (spero) ci saranno anche dei grossi editori, delle catene librarie, degli e-stores belli e un sacco di lettori appassionati e disposti a pagare qualche euro in più per non vivere solo negli altri due mondi.

  24. @Alessandro
    Sono d’accordo con te. L’unico dubbio che mi resta è in quale misura gli editori possano permettersi di rinunciare ai loro carichi da novanta e continuare a produrre nuovi autori che certo garantiscono molto meno, in termini di ritorno. Non sono un editore ma a occhio temo che senza big in scuderia le risorse da investire nelle nuove proposte, soprattutto quelle più «fuori schema», si assottiglino. Ma il quadro che descrivi è senz’altro molto attuale.
    @Sandro Ferri
    Sto cercando di capire in quale mondo posizionarmi. Per quanto riguarda il primo di cui parli, mi piacerebbe acquistare su Amazon ebook (a prezzo ridotto rispetto alle edizioni di carta), ma preferirei leggermi un bel libro della e/o (magari il prossimo capitolo dell’Alligatore, appena Carlotto ce lo regalerà) piuttosto che trovarmi a passare il pomeriggio con un manuale di veterinaria spicciola. Sul secondo, lo ammetto: ho comprato libri nei supermercati, negli autogrill, alle bancarelle sulla spiaggia, su ebay, quando ne ho l’occasione adoro perdermi in librerie gigantesche in mezzo a volumoni colorati e non mi dispiacerebbe che si vendessero libri anche nelle pizzerie e nei pub. Ma il luogo dove di solito ho conosciuto nuovi autori è internet, grazie a blog, riviste, webzine, forum e altri strani canali. Alla fine, però, cedo: sono troppo sensibile a Bradbury per non iscrivermi nel terzo. E cioè proprio in quel mondo che, almeno così credevo, avrebbe dovuto guardare al digitale con maggiore interesse.

  25. Riccardo:
    Credo, ma sono supposizioni, nella misura in cui il suo nuovo ruolo, quello dell’editore, verrà ridefinito. Non è che potranno scegliere. Il trucco di farti pagare gli ebook come libri lo possono fare adesso che la cosa è molta fumosa. Una volta che tutti vranno mangiato la foglia, i margini saranno pochi, per scegliere. Considera inoltre, parlando del caso della Rowling, che i loro bei milionicini ce li hanno fatti, quindi il loro margine di guadagno resta. Non resta “così a lungo”. E questo non mi pare un male. Li costringe a fare il loro ruolo naturale di scopritori e allevatori di talenti, non di azienda fatturatrice. Sui libri, invece, intesi come cartaceo: non credo che scompariranno, saranno soltanto “una scelta” in più, come adesso i vinili, o i cd. E i piccoli librai, che magari diventeranno anche suggeritori nel mare magnum che va ad aprirsi, magari riusciranno a ritagliarsi uno spazio maggiore di adesso, ibridandosi essi stessi. SOno sempre luoghi dove puoi scambiare quattro chiacchiere con qualcuno che ne capisce e può indirizzarti, oltre che luoghi dove far incontrare autore e lettore. Non so, è tutto da scoprire.

  26. @Alessandro
    Sono d’accordo sulla necessità di ridefinire i ruoli. Tra l’altro non credo che espedienti come la legge Levi riusciranno a rallentare più di tanto l’aprirsi di questi scenari. E a questo proposito riporto questo link su un sondaggio che riguarda il prezzo degli ebook e il rapporto tra questo e la pirateria, il cui esito mi sembra molto significativo:
    http://www.pianetaebook.com/2011/08/prezzi-piu-bassi-uguale-meno-pirateria-i-risultati-del-sondaggio-9462

  27. Unico commento fra i tanti possibili: Sandro Ferri vaneggia per quel che riguarda i costi di traduzione, perché nella maggior parte dei casi, anche quando si tratta di editori medi e medio-grandi o grandi, i traduttori percepiscono pagamenti inferiori a quelli da lui evocati. E infatti molte traduzioni fanno pena, realizzate velocemente, senza revisione o con una revisione raffazzonata, da persone troppo giovani e inesperte o anche mature ma arrivate lì chissà come e inadeguate al compito. Oggi nella maggior parte delle case editrici italiane la traduzione è considerato un servizio da espletare al costo minimo possibile da chiunque sia disposto a accettare tariffe assurde, che mortificano anni di studio e di esperienza. Tempo fa mi fu proposto da un service che lavorava per la Newton Compton di tradurre con una tariffa di 5,20 euro a cartella; nemmeno il mio nome sarebbe statoprevisto nel frontespizio, diciamo come contropartita simbolica a un compenso già di per sé offensivo. Li mandai cordialmente affanculo.
    Storie del genere si ripetono quotidianamente nella tristissima dialettica fra editori e traduttori. Non so chi fece quella traduzione né mi interessa, ma mi dispiace per lui/lei.

  28. Proprio in questi giorni sono usciti i primi ebook della casa editrice Fanucci. Il prezzo è lo stesso per tutti: 5 euro. Newton Compton è scesa invece
    sotto i 4,50 euro. 😉

  29. Sottoscrivo in pieno il post di broncobilly: tutti i produttori hanno il problema di essere efficienti per riuscire a stare sul mercato, in un mercato in cui ci sia più o meno concorrenza. La legge sul blocco degli sconti serve per mantere lo status quo, cioè per bloccare la concorrenza di altri canali di vendita, così i grandi editori di porcatine varie altrimenti dette best seller si risparmino la fatica di inventarsi qualcosa in termini di miglioramento della propria efficienza produttiva, e noi paghiamo

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