Da un post su quelli che sono ormai a tutti gli effetti “i fatti di Colonia” chi legge si aspetta due cose. Solo due, probabilmente, e questo è già un sintomo che inquieta. Ovvero. La condanna senza se e senza ma di quello che è avvenuto, in nome del femminismo (quello stesso femminismo sbeffeggiato quando prende la voce per denunciare quanto avviene, con cadenza quasi quotidiana, dalle nostre parti). Oppure la difesa senza se e senza ma del multiculturalismo (che va difeso, lo dico subito, senza quei se e senza quei ma. Ma sapendo che in ogni cultura, e in alcune in modo più evidente, si fatica a considerare le donne persone. E sapendo anche che all’interno di ogni cultura si devono fare infiniti distinguo. Come vedremo).
Troverete altre parole. Perché la preoccupazione per il nuovo tassello di un mosaico che ha un solo titolo, ormai (scontro di civiltà), non può renderci immemori. E l’unico modo per fornire elementi di riflessione è ricostruire cosa è avvenuto all’interno della nostra cultura. La nostra, quella che si autodefinisce civilissima ma che civile non può essere finché rifiuterà di fare i conti con la propria storia.
Partiamo alti. Partiamo da Gabriele D’Annunzio, che nel 1903 compone Maia. Sottotitolo, Laus Vitae. Superomismo, miti nascenti, elogio della guerra. E celebrazione dello stupro etnico:
“Le vostre vergini molli le soffocheremo nel nostro amplesso robusto. Sul marmo dei ginecei violati, sbatteremo i pargoli vostri come cuccioli. Il grembo delle madri noi scruteremo col fuoco, e non rimarranno germi nelle piaghe fumanti”.
Ah, ma scomodi D’Annunzio. Troppo facile, si dirà. Era un poeta, D’Annunzio. Non parlava sul serio. Forse no. Forse non qui, almeno, perché i discorsi che incitarono all’interventismo e vagheggiavano inondazioni di sangue erano serissimi.
Ma è giusto. Facciamo parlare i soldati.
Quinto Antonelli ha raccolto lettere, diari e memorie dei soldati al fronte in Storia intima della grande guerra (Donzelli). Sono scritti indirizzati alla famiglia, nella maggior parte dei casi. Un’altra narrazione, rispetto a quella ufficiale (“Capirai a noi qua si divora la rabbia nel sentire che in Italia fanno delle feste per la presa di gorizzia e suonare le campane si dovrebbero vergognare”). In questa narrazione entra quello che non viene detto: l’esaltazione della morte, l’ebbrezza dell’uccisione. E dello stupro, anche.
In una delle lettere viene raccontato un episodio. I soldati italiani circondano una donna. Non parla la nostra lingua, o forse sì, non sappiamo molto di lei. Sappiamo solo che la violentano e che, alla fine, le infilano nella vagina uno di quei tubi di gelatina che si usano per far saltare i reticolati austriaci. Fanno esplodere il tubo. Coperti di sangue e brandelli di carne, ridono.
Il soldato che racconta il fatto ha orrore di sé e dei suoi compagni.
Ma si potrebbe andare indietro, in tempi che precedono D’Annunzio e la sua frenesia. A quell’episodio dimenticato che venne chiamato la ribellione dei Boxer, e che nel secolo nascente portò in Cina un gran numero di forze internazionali (e colonialiste), fra cui un contingente italiano. Le donne vennero stuprate e si suicidarono per non sopravvivere al disonore.
Possiamo ricordare le operazioni di pulizia coloniale italiane di fine Ottocento e inizio Novecento, per esempio. Quelle che è così faticoso ricordare. Quelle che sono classificate, come è giusto che sia, crimini di guerra. E la violenza sulle donne è in primo piano. Vediamolo. Per frammenti.
1891. La commissione reale d’inchiesta che indaga sul comportamento italiano in Eritrea dopo la conquista di Asmara scopre che le cinque mogli del Kantimai Aman erano state sorteggiate, su disposizione del generale Baldissera, per essere violentate dagli ufficiali italiani. Nessuna condanna.
1915-16. Nel suo diario, Ferdinando Martini, scrittore, parlamentare, governatore civile dell’Eritrea dal 1897 al 1907, ministro delle colonie, racconta di ufficiali italiani impegnati “a tirar su bambine a minuzzoli di pane” per adescarle. Più avanti, il medico ungherese Ladislav Sava che si trovava ad Addis Abeba al momento dell’occupazione italiana, raccontò nel 1940 al settimanale londinese New Times & Ethiopia News di aver personalmente assistito alla “deportazione di donne etiopiche in case convertite con la forza dai militari italiani in postriboli”. Nelle interviste raccolte nel 1994 tra i reduci d’Africa uno degli intervistati dichiara: “la colonia era un paradiso per gli uomini anziani che potevano avere rapporti con bambine di dodici anni”.
1931. Durante la conquista italiana di Cufra non solo vengono uccise centinaia di civili libici. Le donne stuprate sono almeno cinquanta. Ad alcune donne incinte viene squartato il ventre. Alle ragazze vengono conficcate candele di sego nella vagina e nel retto.
1940. Durante l’invasione italiana della Grecia vengono invano segnalati stupri di massa.
Non ne potete più, vero? Fa male. Malissimo. Ma non è faccenda che appartenga al passato così lontano. Facciamo un salto in avanti.
Siamo nel 1993. Somalia. Missione Ibis. Johar, a nord di Mogadiscio. E’ una sera di giugno Due blindati con una decina di parà della Folgore si fermano al check point. I militari di guardia hanno circondato Dahira Salad Osman, una ragazza somala di 24 anni. Si divertono. “Andiamo a divertirci anche noi”, dicono i parà. Dahira viene palpata dai soldati. Poi viene legata a un blindato. Qualcuno tira fuori una bomba illuminante. Qualcun altro spalma sulla bomba un po’ di marmellata. “Per farla entrare meglio”. Avviene la stessa cosa che straziò la sconosciuta ragazza durante la Grande Guerra. Questa volta, almeno, la bomba non viene fatta esplodere.
Mi fermo.
Cosa voglio dire con questo elenco di orrori? Non che gli italiani siano bestie. Non che i maschi lo siano. Voglio dire, invece, che l’abuso dei corpi delle donne durante i conflitti è una prassi mai svanita. Ma se quanto è avvenuto, sempre in tempi recenti, in Congo, Bosnia, Sierra Leone, Rwanda e Kosovo, suscita un tiepido e infine svanito orrore, molto silenzio avvolge ancora le violenze sessuali compiute dai cosiddetti peacekeepers (si pensi ai soldati Onu in missione in Congo, e non solo).
Il problema che riguarda l’Italia, e proprio l’Italia, è sempre lo stesso: della parte tenebrosa del nostro passato rifiutiamo di parlare. Chiara Volpato, ordinaria di psicologia sociale presso la Facoltà di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca, ne parla in questo articolo, e ricorda come il mito auto-assolutorio di italiani brava-gente abbia ormai costituito la nostra identità collettiva. Ricorda, Chiara Volpato, che il silenzio sulle violenze di genere si debba alle solite strategie: la negazione, l’eufemizzazione, la disumanizzazione, la colpevolizzazione, la psicologizzazione, la naturalizzazione, la distinzione.
Solo riconoscendole riusciremo a capire che parlare di scontro di civiltà non ha senso (e rientra in quelle stesse strategie, peraltro). C’è una questione molto più ampia che riguarda le donne, e attraversa tutte le culture.
Chi, oggi, sollecita le femministe o le persone che si oppongono al razzismo a “venire allo scoperto” lo fa per biechi motivi elettorali. O personali, nel caso ci si senta meglio ad aggredire le femministe (auguri).
Noi non sappiamo cosa sia accaduto a Colonia. Non sappiamo se si sia trattato delle aggressioni del branco o se, come si adombra, sia stata “un’azione di guerra”.
Sappiamo però due cose: che i femminismi non sono un giochino per bacheche di miserandi comici o di egualmente miserandi politici, ma l’unica via per far sì che la violenza di genere venga combattuta. Da qualunque parte venga. E sappiamo che non tutti sono uguali. Non tutti “i musulmani” stuprano. Non tutti gli italiani. Mio padre partecipò alla guerra di Grecia, e non stuprò nessuno. Né lo fece il soldato che nella Grande Guerra che assistette alla bestialità dei suoi compagni. Questa è l’acqua, appunto. Questa è speranza. Teniamolo a mente.
Era il 1981 quando condividevo la stanza della caserma con un ragazzo di Como.
Era da poco riuscito a fuggire dalla legione straniera dove si era arruolato con”l’ideale” di fermare l’avanzata comunista nel mondo. Mi raccontava episodi di guerra in Ciad dove aveva combattuto e parlava di stupro come di una atto dovuto, alle donne nei villaggi non bastava certo tenersi ad un braccio di distanza dagli stranieri, le stanavano anche dentro casa. Avevano istruzioni precise e dovevano stare attenti, prima di violentarle dovevano infilarci un dito perché quelle bastarde si infilavano nella vagina una trappola costituita da una camera d’aria e due lamette a croce che te lo aprivano in quattro. Sto parlando della mia generazione.
Carissima, condivido ciò che hai scritto, d’altra parte molti di noi sono consapevoli dei misfatti degli uomini di qualsiasi colore e paese. Sui fatti di colonia e non solo, ancora oggi emergono fatti sconvolgenti, è necessario fare chiarezza, perché è oscuro tutto quanto. Vedo due ipotesi una più inquietante dell’altra. una, che si tratti di fatti organizzati dalla destra più becera per fomentare odio, persone pagate da organizzazioni nazifasciste che da tutto questo hanno tutto da guadagnare in termini politici e di consenso. L’altra ipotesi che io penso, ed è ancora più terribile è che effettivamente siano fatti organizzati da islamici che pretendono di dettare la loro legge, di dimostrare che le donne si trattano così, anche al di fuori dei loro paesi. Questa seconda ipotesi è veramente terribile, e porrebbe tutti noi di fronte a una nuova situazione, la pretesa di alcuni musulmani organizzati di imporre la loro pseudo cultura all’occidente, o almeno di condizionarla. E’ uno scenario che mi sconvolge e mi fa molta paura, darebbe ragione alle varie Fallaci e alle varie destre xenofobe….
Informato, meditato, argomentato benaltrismo.
Ognuno vi legge quel che vuole, e quel che può.
Sentirsi dare dell’imbecille da un pulpito così elevato non può, lo ammetto, che dare un segreto piacere.
Ripeto quanto detto sopra.
“Non guardare il trave che oggi è nell’occhio del tuo fratello musulmano finchè non avrai fatto totale penitenza per quelli che ha avuto tuo nonno nell’occhio tra 50 e 100 anni fa. Fino ad allora fai finta di nulla.”
Hommequirit. Che pazienza che ci vuole con lei e con i suoi eteronimi.
Così come avvenne negli anni 70 per l’ayatollah Khomeini, che le (estreme) sinistre rivalutarono in funzione antiamericana (coi bei risutlati che seguirono), così oggi il dettato islamico sulla donna è il “fas nefandum” della sinistra.
Di tutto si può parlare tranne che di quello, e, se proprio i fatti ci costringono, bisogna affiancarlo a tutte le colpe occidentali da quelle secolari alla moglie bambina di Montanelli pur di bilanciare il quadro.
E’ foderandosi gli occhi con questo genere d’insaccati che si lascia il campo alle destre estreme.
Se le sembra che in questo post si parli di occhi foderati, Danila, ha perfettamente ragione. Ma non sono, credo e spero, i miei. In nessuna riga troverà l’approvazione per quanto è accaduto a Colonia. Anzi. Semmai, c’è la necessità di non parlare, in modo alcuno, di scontro di civiltà. Il fas nefandum, oggi, è quello di chi cerca, spesso con la saliva che cola, conferme alla propria necessità di dividere il mondo in buoni e cattivi. La saluto.
All’italiano medio lo stupro dispiace solo se fatto da “negri” o comunque stranieri “inferiori”. Il punto non è la condanna dello stupro ma l’attestazione di proprietà sulle “nostre” donne. La controprova è che gli indignati di questi giorni normalmente se ne infischiano di stupri e violenza di genere, e fanno battute sulle femministe “cesse” e “frustrate”. Quando fai notare che la cultuta dello stupro in Italia è sedimentata, forte e diffusa, scatta il benaltrismo e parlano di Islam.
Cara Loredana, continuo a sperare che la vita di una donna in tempo di pace sia pur meglio che in tempo di guerra. In guerra la mostruosità la fa da padrona e non ho nessuna illusione su cosa siano gli italiani con le altre donne – ma se per parlare dei fatti di Colonia parliamo di stupri in guerra, significa avallare l’idea che siamo in guerra, che questi uomini sono venuti da noi in guerra e per farci la guerra e usarci come strumenti di guerra. Forse è vero, dentro di noi lo abbiamo capito anche se razionalmente non vogliamo ammetterlo. E’ così?
Valdo, è proprio così. La cosa comica (tristemente) è che dopo una settimana dove si chiedono a gran voce i pareri delle femministe, diviene chiaro che i medesimi sono accettati solo se rispondono a quel che i richiedenti avevano già in mente.
Closethedoor, è il novantesimo commento che posto (su FB, non qui) sul punto. Quanto scritto è una risposta a chi parla e continua a parlare di scontro di civiltà. Quanto è avvenuto a Colonia (e che va, lo ribadisco per i e le distratti/e, sanzionato) non è ancora chiaro.
Non sapevo del blog. Il femminismo rimane ancora una lotta settaria. Dovrebbe essere compreso in un processo di emancipazione del genere umano, di superamento della barbarie e del “medioevo” in cui viviamo. Il tuo post mi ha svegliato perché, dopo aver letto nel fine settima Adonis, Violenza e islam, avevo concentrato la rabbia nei confronti dei sunniti per la concezione della donna e dell minoranze nell’islam. Il tuo elenco degli orrori è stato utile per ritornare ad una visione generale e più critica del problema.
Post terribile e necessario. Ma senza andare a scomodare i tempi di guerra, parliamo invece dei tempi di pace e di festa, come il Capodanno. Ogni anno all’Oktoberfest vengono denunciati 10 stupri (ma si ipotizza che possano essercene anche 200). Questa una testimonianza (riportata qui http://www.vice.com/it/read/aggressione-donne-colonia-capodanno-639): “Il solo tragitto verso il bagno diventa una sfida. Uomini sconosciuti che cercano di abbracciarti, pacche sul sedere, tentativi di alzarti la gonna e una pinta versata di proposito nella scollatura sono il bilancio di soli 30 metri”.
A Woodstock nel 1999 vennero denunciati quattro stupri, di cui uno di gruppo, più furti, incendi e violenze di ogni genere (info qui http://www.salon.com/1999/07/29/rape_4/). Secondo ricerche condotte nei college americani, una studentessa su cinque subisce violenza sessuale durante la sua permanenza al college, un tasso che non ha eguali neanche nelle città più violente (https://en.wikipedia.org/wiki/Campus_sexual_assault#2015_Campus_Climate_Surveys). Moltissimi di questi stupri, avvengono durante le feste. Si sa che per una donna sola un semplice bar è un posto pericolosissimo. Più o meno un anno fa, una donna è stata drogata e stuprata in un bar a 100 metri da casa mia. Ne ha parlato con altre, che hanno organizzato una manifestazione e per questo se ne è saputo qualcosa. Lei non ha voluto denunciare, come preferiscono fare tantissime. Chissà a quante altre è successo da allora, sempre nel mio quartiere, e non se ne è saputo nulla. La violenza maschile e l’impunità per la violenza sono onnipresenti, sia in guerra che in pace, sia in un momenti bui che in momenti di festa. A patto che non la pratichino “gli altri”, certo.
Alle donne che in piena autonomia intellettuale hanno aspettato alcuni giorni per dire la propria sui fatti incresciosi di Colonia (ed ancora aspettano peraltro), sono stati lanciati attacchi da altre donne, che invece sin da subito avevano la verità in tasca. Se posso aspettarmi da uomini di destra di essere invocata per prestare il fianco alle loro strumentalizzazioni in chiave razzistica, non avrei mai messo nel conto di essere dileggiata e offesa da quante di noi hanno avuto bisogno della violenza sessuata denunciata dalle donne tedesche per ritornare a prendere pubblica parola. Hai proprio ragione, Loredana, quando hai usato l’espressione verbale “non siamo generatrici automatiche di opinioni”. Anzi, se mi permetti, aggiungerei “né di parole non praticate nella realtà”.
Sono totalmente d’accordo, la retorica dello scontro tra civiltà è estremamente tossica. Che noi occidentali abbiamo “rinunciato ai nostri valori”, come piace dire a tanti appassionati del genere, è anche vero. Solo che non si tratta di crocifissi nelle scuole, presepi e altre amenità; ciò a cui abbiamo in buona parte abdicato è molto più profondo e costitutivo , in rapporto a quelle che dovrebbero essere le regole interiorizzate dalle nostra comunità: si tratta delle basi illuministiche delle nostre costituzioni liberali. Prendiamo il caso di specie: io non penso che sarebbe stato così facile, per questi gruppuscoli di giovani maschi ubriachi (ammesso che sia questa la spiegazione di ciò che è accaduto), molestare quelle donne, se avessero respirato fin dal momento dell’ingresso in Germania un’atmosfera di totale riconoscimento e di interiorizzazione profonda dei valori di uguaglianza di genere. sarebbe sorta, in quel caso, una qualche forma di inibizione; la stessa per cui, a un livello più banale, anche il più maiale dei nostri connazionali si guarda bene dal buttare una cartaccia in terra a Londra, mentre magari non se ne fa alcun problema quando si trova a Roma. Magari degli episodi ci sarebbero stati lo stesso, ma non così massivi, non così pervasivi. Una delle spiegazioni possibili per quello che è successo, secondo me, è semplicemente il fatto che “poteva succedere”: non si era in un posto in cui molestare donne fosse un tabù assoluto (tanto che la più che tedesca Oktoberfest è anch’essa teatro di molestie). Ecco, sono questi i valori che non riconosciamo più, o che più probabilmente non abbiamo mai riconosciuto: ne abbiamo infarcito le nostre costituzioni formali, ma la loro pratica ci è sempre stata profondamente estranea. Tanto che le strida più alte che si sentono in questi giorni non sono prodotte da persone sinceramente indignate per la violazione dei diritti e dei corpi di decine di donne: queste persone sono minoranza; no, sono quelle di chi si sente derubato delle “nostre donne”. Come dire, con le parole di Vauro: “eh no! Le nostre donne le molestiamo noi!”.
Estrapolo l’ultima parte di questo scritto di Gioulia Blasi. “Smettiamo di sentirci superiori. Non abbiamo niente da insegnare a chi arriva qui: Tra il nostro mondo e il loro mondo c’è solo la fragile barriera di una legge che in un attimo può essere cancellata, perché in fondo si pensa che la libertà delle donne sia già troppa”. Tratto da https://storie.expost-news.com/la-colonia-in-s%C3%A9-e-la-colonia-in-te-15fa411314ad#.128l3lu0q
In effetti sui fatti di Colonia credo che nessuno si sarebbe aspettato un post del genere, nemmeno closthedoor, che evidenzia giustamente come il mettere insieme gli stupri che avvengono in teatro di guerra militare, e le violenze di massa a una festa di capodanno, sia un confronto un associazione d’idee che fa davvero scintille anche in una civiltà illuministicaa come la nostra. interessante il commento di adriaana.
ciao,k.
Mi scusi ma Lei fa confusione di tempi, di luoghi e di valori. Si rischia così di non far capire. Per quanto siano “di gruppo” le violenze o “turistica” la pedofilia, si tratta di fenomeni socialmente rifiutati da molti anni da parte della “cultura occidentale” che, appunto, persegue penalmente le loro manifestazioni. Citare come significativi episodi, per quanto odiosissimi, attribuibili a italiani, storicamente “isolati” e avvenuti in scenari esotici e per lo più nell’anteguerra (peraltro apertamente esecrati dai commentatori che li riferiscono e, per quel che riguarda i più recenti, puntualmente e severamente puniti), non ci consente di apprezzare la vera natura della nostra civiltà e a una “colpevolizzazione generalizzata” secondo un modello “filosofico” che però – e questo non credo proprio sia il Suo fine – porta dritto al paradosso caro ai politici della prima repubblica: “tutti colpevoli, nessun colpevole”.
Dobbiamo avere il coraggio di dire che esistono differenze tra una “cultura occidentale” che, aderendo a Trattati e Convenzioni internazionali (e avendo adeguato la sua legislazione interna ad essi) questi fenomeni persegue e “altre culture” (subculture) per le quali questi “crimini contro l’umanità” (ché anche quelli contro le donne e i minori tali sono) sono addirittura fatti leciti, socialmente ammessi.
Non uso volutamente la categoria della “religione” per non inquinare il pensiero, né vorrei che quanto qui scritto fosse oggetto di un fraintendimento, nel senso che non si vuole certo generalizzare una condanna contro nessun popolo. Chi commette certe violenze è un criminale prescindendo dalla nazionalità alla quale appartiene e indipendentemente da quella delle sue vittime!
E’ chiaro, invece, che un malinteso “multiculturalismo” (tanto caro a certa sinistra internazionalista) non deve portarci a confondere le nostre civiltà con le (sub)culture che ancora son diffuse altrove, e deve quindi spingerci a difendere, con ogni determinazione, almeno nei nostri territori i valori e gli ideali di libertà sui quali si fondano le nostre democrazie.
Isolati, eh? Appartenenti al passato, eh? Puniti? Sa che per lo stupro in Somalia non venne punito nessuno? Ed era il 1993, non preistoria.
Giovanni, a proposito della nostra cultura “superiore”: secondo lei lo stupro di gruppo in Italia non esiste? La parola “branco” viene usata tutti i giorni per descrivere insiemi di italianissimi stupratori. E lo sa che oltre il 90% delle violenze sessuali in Italia avviene dentro le mura domestiche? Lo sa che in Italia ogni anno tra le cento e le duecento donne vengono uccise da mariti, ex-mariti, ex-fidanzati o spasimanti perché hanno avuto il coraggio di abbandonarli (magari dopo ripetuti pestaggi e/o violenze psicologiche) o semplicemente dar loro torto su una qualunque questione? La donna è ancora vista come proprietà dell’uomo, tu sei “la mia donna” e non devi azzardarti a metterti sul mio stesso piano. Certo, tutto questo viene stigmatizzato (nemmeno sempre) a parole, ma continua a succedere, perché è radicato nella nostra cultura che lei ritiene “superiore”. E’ un dato “ambientale” della nostra cultura, dove il sessismo e l’esclusione femminile (come nella chiesa cattolica) sono tuttora visti come normalissimi.
Se il “malinteso multiculturalismo tanto caro a certa sinistra internazionalista” deve lasciare spazio al ritorno in auge del razzismo culturale, come quello che distingue tra “cultura occidentale” e “subculture che ancora sono diffuse altrove”, stiamo proprio freschi. Discorsi che sembrano saltati fuori dagli anni Trenta, sì, ma dell’Ottocento.
Anche questa è una falsa rappresentazione del conflitto, equivalente a quella che si definisce “scontro di civiltà”. I difensori della superiorità (quindi supremazia) culturale occidentale si creano una controparte ad hoc: le anime belle della sinistra ubriache di politically correct, che accetterebbero tutto in nome del rispetto dell’altro. E se qualcuno si azzarda a far notare che il problema di genere è trasversale alle culture, e che prescinde dai Trattati e dalle Convenzioni; che viviamo in un paese in cui fino al 1996 (millenovecentonovantasei) lo stupro era per il Codice penale un reato contro la morale e l’onore, non violenza contro la persona; che l’omicidio per mano maschile è la principale causa di morte delle giovani donne italiane… sta divagando, generalizzando. Meno male che ci sono i selvaggi islamici a farci apparire belli allo specchio, altrimenti bisognerebbe inventarli.
Giovanni, la nostra democrazia è come le altre e si fonda sulla violenza, la sopraffazione e l’ingiustizia. La violenza viene esercitata da chi detiene il potere mentre a subirla sono le donne, i bambini, i lavoratori, gli immigrati, quelli insomma che Deleuze chiama minoritari. Col rischio di generalizzare e di confessarmi internazionalista, lo sfruttamento del corpo della donna e l’odio per il femminile non ha connotazioni nazionali o religiose è costitutivo dell’attuale sistema.
Cominciamo (quasi) dalla fine. Accusare qualcuno, come fa Wu Ming 4, per qualcosa che non ha mai affermato è solo un espediente dialettico per ottenere ragione quando non la si ha. Respingo al mittente, dunque, l’accusa di “razzismo culturale”, poichè mi sono limitato a mettere in evidenza la differenza che passa tra chi a certi Trattati e Convenzioni aderisce di diritto e di fatto e chi no. Chi, per motivi “culturali”, ammette come pratica ordinaria lo stupro di massa o la violenza (magari mascherata da matrimonio precoce!) a bambini anche di 9 (nove!) anni è per me un selvaggio, alla faccia di qualsiasi peloso pseudomulticulturalismo. La mia cultura è superiore alla sua!
La nostra democrazia, Francesco, si fonda sui valori della Costituzione, della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e su quelli del Trattato istitutivo dell’Unione Europea. Lì dove si trovino resistenze nel farli applicare deve esservi una larga coalizione perchè ciò avvenga!
Caro Aldo, so bene che in Italia, come nel resto dei Paesi civili del Mondo si commettono reati efferati, anche da persone riunite in “branco” (non ricordo, però, branchi di italiani composti da decine e decine di persone!), ma appunto queste persone, per la nostra “civiltà” commettono reati (aggravati dal numero dei partecipanti) e non “attività socialmente tollerate” e/o legalmente consentite, come accade altrove.
Da ultimo, cara lalipperini, fermo che quelli avvenuti in Somalia sono fatti che risalgono al giugno 1993 (oltre ventidue anni fa, cosa che ovviamente non ne sminuisce la gravità, ma conferma, in mancanza di altri episodi consimili successivi che in una democrazia come la nostra certi “costumi” possono essere eradicati con l’applicazione dei principi), devo ricordarLe che di essi si resero responsabili sette militari e che , contrariamente a quel che Lei asserisce, essi finirono tutti sotto processo dinanzi alla magistratura militare e vennero espulsi dalle Forze Armate. Si deve anche dire che, in quello scenario davvero ad alto rischio, i Paracadutisti e la stragrande maggioranza di tutti gli altri militari italiani devono essere invece giustamente ricordati – bandendo i furori ideologici che possono capziosamente distorcere la realtà – per l’alto contributo che diedero in termini di soccorso umanitario e di mantenimento della Pace.
Sulla Somalia:
“Alcuni anni dopo, i militari italiani reduci dalla missione furono investiti da pesanti polemiche giornalistiche su casi di violenze nei confronti di civili. Le commissioni d’inchiesta e i tribunali interessati ridimensionarono la questione scagionando tutti i vertici dell’operazione” (…) “i colpevoli non sono mai stati puniti, ed i fatti sono stati raccontati solo in minima parte” (…) ” Le foto mi furono consegnate tutte da militari che avevano partecipato alla missione Ibis. Una sequenza era particolarmente odiosa: una donna legata mani e piedi a un veicolo militare veniva stuprata da cinque paracadutisti che se la ridevano (tra loro c’era anche un sottoufficiale) con una bomba illuminante cosparsa di marmellata. Stefano, il paracadutista autore di quelle fotografie, nei giorni successivi a quello stupro scrisse una lettera toccante e angosciata, direi piena di lacrime, ai genitori. Scriveva delle urla della donna e dei suoi incubi che non lo hanno più abbandonato. La commissione governativa presieduta da Ettore Gallo, una commissione priva di poteri e di budget (non poterono andare neanche in Somalia a fare delle verifiche con testimoni che aspettavano di raccontare la loro verità) riconobbe che era tutto vero. E che erano veri o verosimili anche altri episodi. La giustizia ordinaria invece mise sotto processo Stefano perché aveva fatto il nome del sottoufficiale che aveva fotografato. La procura militare, infine, dopo le dichiarazioni del capo della procura Antonino Intelisano che condannava le gesta dei soldati, non fece nulla. Ma proprio nulla. (…). Quando la commissione Gallo stava per essere chiusa, un maresciallo del Tuscania (il reparto che aveva in Somalia compiti di polizia militare) decise di rendere noto al procuratore militare il suo memoriale. Si facevano i nomi, oltre al resto, di alti ufficiali che avevano partecipato a stupri collettivi usando il terribile gioco della bottiglia. Uno di questi era un maggiore promosso a colonnello: lo stesso che dirigeva le operazioni in piazza Alimonda a Genova quando fu ucciso Carlo Giuliani”
Da qui: http://www.noidonne.org/articolo.php?ID=00171
Scrive Giovanni: “Citare come significativi episodi, per quanto odiosissimi, attribuibili a italiani, storicamente ‘isolati’ e avvenuti in scenari esotici e per lo più nell’anteguerra”…
Come no? Sempre la stessa storia:
“But that was in another country: / And besides, the wench is dead”.
Bravo Giovanni !
Questa è una nota di contorno concernente il metodo/merito della costruzione del suo post. La citazione di d’Annunzio è fatta alla cazzo di cane, presentandola come se lui attribuisse a sé – in quel poema – l’idea di violentar vergini. In realtà se lei avesse un minimo letto “Maja” si sarebbe accorta che c’è un lungo passo in cui d’Annunzio – passando accanto ai ” campi delle battaglie terribili, da Mantinèa da Platèa da Cheronèa da Potidèa da Leuctra, da tutti i campi sacri alle grandi stragi di genti” ascolta metaforicamente il “lagno dei vinti, lo scherno dei vincitori, il canto amebèo della guerra”. Quindi la parte che lei ha citato in realtà non è che uno dei passaggi che il poeta attribuisce vuoi ai vinti, vuoi ai vincitori. In questo caso sono quindi i vincitori delle battaglie dell’antica Grecia (e NON d’Annunzio) a dir di sé: “Le vostre vergini molli ecc. ecc.”. Avrebbe potuto tirar fuori uno dei discorsi di d’Annunzio enfi di retorica che invocavano il “ferro e il fuoco”, ma le sarebbe sfuggita la connessione con tutto il cascame del discorso sulla nostra civiltà ecc. ecc. In pratica, lei ha manipolato il senso di una fonte letteraria per metter meglio su il suo quadretto. Lipperatura, sarebbe questa…
Ma va’, Luigi? 😀 Ci mancherebbe altro che D’Annunzio parlasse in prima persona! Quanto al ferro e al fuoco dannunziani, sono ampiamente citati in questo umile blog. Avendo voglia di cercarli.
Nicoletta. E’ ovvio che vadano condannati. Stavo cercando, semplicemente, di respingere l’idilliaco quadretto “sono gli altri a molestare la donna bianca, noi no”.
Giovanni e Nicola60: un bel raduno, in effetti. Ci sarebbe da chiedersi quali nervi scoperti siano stati toccati. Ma è una domanda retorica.
Respingo al mittente “ogni accusa di razzismo culturale”, ma… “la mia cultura è superiore alla sua!”.
Sembra il paradosso del mentitore. Fantastico.
Mi piacerebbe sapere perché è ritenuto superficiale condannare senza se e senza ma gli stupri e le molestie di Colonia e di altre città.
Neppure in Italia e in Europa nonostante i progressi fatti possiamo sentirci al sicuro in quanto donne lo sappiamo.
Condannare è un modo di far sentire la propria voce sempre, senza paura di essere strumentalizzate perché gli stupratori sono immigrati.
Attualmente fare analisi storiche e sociologiche e un modo per annacquare.
Signor Wu Ming 4, la mia cultura e i miei valori sono e saranno sempre – almeno dal mio punto di vista “razzistico” – superiori a quelli di qualsiasi stupratore, molestatore e pedofilo. Sono incorregibile, lo so! Se Lei si vuole assimilare, vada pure dove io non son disposto a seguirLa.
In quel che scrive Giovanni, oltre alla rimozione della nostra merda, c’è anche la descrizione dell’ Altrove come blocco unico indifferenziato. La sua mistificazione si poggia da un lato sulla negazione dei conflitti interni alla “nostra” società e alla “nostra” cultura, dall’altro sulla negazione dei conflitti interni alla “loro” società e alla “loro” cultura. Basterebbe ad esempio guardare i filmati dei cortei femministi a Teheran nel ’79 e della durissima repressione che subirono ad opera dei pasdaran, per rendersi conto che gli attuali assetti legislativi in Iran sono la formalizzazione di rapporti di forza storicamente determinati tra i fautori del dominio patriarcale e le donne che combattevano per liberarsene. Il che significa che quegli assetti legislativi non sono dati metastorici, e quindi possono essere modificati dalle lotte di chi subisce sulla propria pelle quel dominio. Cioè le donne, che sono parte di quella società, che è appunto conflittuale al suo interno. Allo stesso modo gli assetti legislativi (di cui parla Giovanni) in “occidente” sono il risultato delle lotte del movimento femminista e non sono dati metastorici intrinseci alla “nostra” cultura.
Alla riflessione di tuco associo un consiglio di lettura:
http://www.connessioniprecarie.org/2016/01/12/il-capodanno-del-patriarcato-e-lurgenza-di-una-politica-femminista/
E’ una riflessione per nulla assolutoria nei confronti dei molestatori migranti – e vorrei anche vedere il contrario – ma capace di non imputare tutto a una consolatoria differenza “culturale” (gli stupri etnico-religiosi sono avvenuti nella civilissima Europa appena vent’anni fa, e appena a trecento chilometri da casa mia, nella ex-Jugoslavia, un paese laico e socialista fino a pochi anni prima) o di adesione a Trattati e pezzi di carta vari.
Cito: “se è vero che il patriarcato è un fatto sociale globale, vale la pena pensare ai modi differenti attraverso i quali si manifesta, che non hanno a che fare con la cultura o la religione – benché ne siano inevitabilmente condizionati – ma con la configurazione dei rapporti di potere tra i sessi.”
E ancora: “vi sono differenze specifiche relative ai modi, all’entità, alla legittimità pubblica di queste violenze. E si deve anche registrare che queste differenze non sono dovute a valori universali, ma alla forza che le donne hanno saputo esprimere in Occidente come altrove.”
E’ di lotte e di vittorie femministe che si dovrebbe parlare. Vittorie che, come tali, non sono mai al riparo dal ritorno del patriarcato. Il problema non è condannare o meno i fatti di Colonia, ma non rifugiarsi in narrazioni consolatorie sulla propria superiorità.
“non ricordo, però, branchi di italiani composti da decine e decine di persone!”
Qual è il numero legale per stuprare in branco in accordo alla propria cultura? Sotto i 10 lo stupro è estraneo alla cultura in cui avviene, mentre sopra i 10 è organico a quella cultura?
E poi, quale sarebbe la cultura degli stupratori e molestatori di Colonia diversa dalla nostra? I molestatori erano di diverse nazionalità, compresi molti tedeschi. A unirli era la cultura dello stupro, che è trasversale.
Questa cultura va condannata ovunque, senza se e senza ma, nei paesi a maggioranza musulmana come in quelli a maggioranza cristiana, nelle teocrazie come negli stati laici, ma, per favore, senza ipocrisie, senza senso di superiorità, senza gerarchie tra popoli e culture.
@ wu ming 4
Se parliamo di Jugoslavia, come non notare che la maggior parte degli “stupri etnici” furono commessi da miliziani serbo-ortodossi (benedetti dal pope) e croati cattolici (benedetti da wojtyla) ai danni di donne musulmane (nel senso secolarizzato che il termine aveva nella jugoslavia pre-guerra).
Ok signora Lipperini. Allora diciamo che la citazione di d’Annunzio era un artifizio retorico che le è mal riuscito. Perché lei non dice che il poeta non parlava di sé (magari in senso onirico/superomistico), ma che “non parlava sul serio”. Cosa falsa: parlava serissimamente. Ma non di sé. Spero che noterà la differenza sostanziale. Lei però ha fatto seguire immediatamente a ciò che scrive d’Annunzio le lettere dei soldati, creando quindi un meccanismo retorico/evocativo totalmente sballato. Ne ho anche per Wu Ming 4, però. Egli afferma in un suo post che “l’omicidio per mano maschile è la principale causa di morte delle giovani donne italiane”. Ebbene: la cosa è falsa. La principale causa di morte delle donne italiane nella fascia 16/24 anni è l’incidente, seguito dal suicidio. Dati ISTAT.
Caro Luigi, non parlava di sé, lei dice, né della sua concezione della guerra. Strano, visto quel che seguì. Ma sicuramente lei sarà confortato da certe e solide fonti. Ne ho qualcuna anche io da sottoporle. Sull’Istat e sui femminicidi. Saluti cari.
http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2013/05/27/il-fact-screwing-dei-negazionisti/
Ma per avere qualche dato in più su cui confrontarsi, direi che potremmo rifarci a questo (impressionante) rapporto dell’ISTAT: http://www.istat.it/it/archivio/161716.
Ovviamente riguarda solo l’Italia. Sto cercando di capire se esistono delle statistiche relative ai paesi arabi o comunque a maggioranza islamica.
Io le ho postato un link, Luigi. Quel link è stato fatto ragionando sulle statistiche, insieme a uno statistico. E’ un post molto lungo, se è riuscito a leggerlo in una manciata di minuti, vengo a lezione di lettura veloce da lei.
Caro Tuco, e chi ha detto che la nostra civiltà non sia frutto di lotte e che rivendicarne l’attuale livello debba comportare necessariamente la rimozione dei percorsi, a volte intrisi di sangue innocente, attraverso i quali vi si è giunti? Non l’ho mai detto, limitandomi a constatare come OGGI la mia Italia e l’Europa aderisca a principi e valori che altrove non sono riconosciuti. Il mio “Altrove” è indifferenziato proprio perchè non ho una visione settaria del Mondo e manichea del Male: la mia condanna è relativa a ovunque non si rispettino certi principi e a chiunque si renda responsabile di certe violazioni, senza distinzione di sesso, etnia o religione!
Cara lalipperini, a parte una vena di dogmatica intolleranza che vedo affiorare in Lei nei confronti di coloro che la pensano diversamente, il nervo scoperto toccato, per quel che mi riguarda, è solo quello di affermare una visione equilibrata, intellettualmente onesta e realistica della realtà.
La fonte che Lei cita, peraltro, manipola ampiamente la Storia: come ho scritto (e leggendo con attenzione tra le righe della fonte che Lei stessa cita si ha conferma di quel che ho scritto) chi dalla MAGISTRATURA MILITARE (non ordinaria) venne riconosciuto responsabile dell’episodio del “missilotto” venne condannato ed espulso dall’Esercito. Poi in Italia si vive di complotti, retroscena e altre simili amenità, per cui a determinare la caduta dell’Impero romano son stati i marziani… Si fa presto ad affermare, a distanza di anni e apoditticamente, che “vi furono responsabilità di vertice che restarono impunite”, che è “tutta colpa dei servizi segreti”, ecc. ecc. Ma le prove nessuno le ha mai prodotte, altrimenti si dovrebbe parlare di specifici procedimenti penali e amministrativi (magari chiusi con un’archiviazione!).
Giovanni, ma quale intolleranza? 😀 Guardi che a parlare di quel che avvenne in Somalia è un generale della Folgore in pensione, non Simone de Beauvoir.
Bellissimo come immancabilmente questi “difensori delle donne” finiscano per minimizzare i problemi delle donne, tipo il fatto di essere ammazzate.
Loredana, il suo link parla di femminicidio. Che è cosa spregevole ma diversa dalla violenza sessuale. Non direi che c’entra con l’argomento di cui si sta parlando. A meno che lei non si voglia accodare a Wu Ming 4, affermando che il femminicidio è la prima causa di morte fra le giovani italiane. Cosa che ISTAT non dice. ISTAT dice questo: http://www.istat.it/it/archivio/140871
Non è un post molto lungo nemmeno se scarica il pdf. Quindi non ci vorrà un corso di lettura veloce.
E’ vero, il maschilismo è trasversale a tutte le culture, ma in alcuni contesti gli anticorpi sono riusciti a svilupparsi più che in altri. La cultura e la società del nostro stesso Paese, anche recente, è pervasa di maschilismo, ma grazie a lotte e battaglie ci sono stati enormi miglioramenti e conquiste su questo piano: senza dimenticare quel passato, e i limiti ancora presenti, non mi sembra razzista essere fieri dei passi avanti fatti, e rimarcare la differenza di parità di genere tra la Germania e altri Paesi che su questo piano sono invece obiettivamente più indietro. L’Italia stessa, lo diciamo, dovrebbe prendere lezioni di parità di genere da culture che consideriamo a questo rispetto più avanzate (ad esempio ctiamo spesso i paesi nordici):come ci sono contesti più avanzati di noi in tema di condizione femminile, bisogna riconoscere che ce ne sono anche di più arretrati, magari ancora simili all’Italia di venti, trenta, quaranta, cinquant’anni fa il cui maschilismo tanto (e giustamente) condanniamo. Credo che questo anzi sia un tema da affrontare di petto quando si parla di accoglienza. Cosa che ad esempio in Norvegia tentano di fare con corsi rivolti agli immigrati, in modo che conoscano gli usi e le leggi che regolano i rapporti tra uomini e donne nel Paese in cui sono giunti (le stesse cose si suppone che vengono inegnate agli autoctoni durante la scolarizzazione ecc.) http://www.ilpost.it/2015/12/21/migranti-maschi-donne/
Caro Salvatore pensare di poter controbattere delle argomentazioni logiche sull’evoluzione della coscienza civile nel nostro Paese (e nelle Forze Armate, che ne sono parte) con le frasette “But that was in another country: / And besides, the wench is dead” mi induce a pensare che Lei possa essere pronto ad accettare per vero il seguente sillogismo: “Siccome una montellese, tra il 1939 e il 1941, uccise e saponificò ben tre donne, ancor oggi a Montella si pratica diffusamente la saponificazione”.
Gentile lalipperini, forse mi sono distratto: da quando il giornalista Marco Gregoretti è diventato generale, sia pure in pensione?
Bruno Loi è il generale che ha scritto il libro “con” Gregoretti.
@ francesca violi
Un approccio pragmatico come quello norvegese, di cui si parla nell’articolo linkato, implica una problematizzazione, contestualizzazione, storicizzazione del problema, *partendo dalla violenza di genere* e dai *rapporti di genere*, appunto, e non dai rapporti tra civiltà o culture “superiori” e “inferiori”. E’ precisamente una questione di focus. Se il focus viene posto sul vero nodo da sciogliere, magari vengono in mente anche le soluzioni parziali da mettere in atto. Se il focus viene messo sullo scontro di civiltà, le uniche soluzioni che si finiscono per avallare sono quelle repressive, che per quanto ineludibili in certi casi, non sciolgono il nodo.
Ho trovato alla fine questo studio delle Nazioni Unite sulle violenze alle donne: http://unstats.un.org/unsd/gender/chapter6/chapter6.html
Bisogna cliccare su “Download Data” per trovare le statistiche (tabella A. per un riassunto). Dico subito che in Italia (dato 2014) risulta che il 25% delle donne ha subito violenza nel corso della sua vita.
Ci sono i dati di quasi tutti i paesi. E’ evidente da queste statistiche che la violenza è maggiore in zone come l’Africa o l’Asia piuttosto che l’Europa: una marea di stati africani e asiatici registra oltre il 45% di donne che hanno subito violenza nel corso della loro vita. Ma non c’è alcuna correlazione con la religione. Sono iperviolenti contro le donne alcuni stati africani a maggioranza cristiana, e molto poco violenti alcuni stati asiatici a maggioranza islamica. Non traggo alcuna conclusione anche perché bisognerebbe rifletterci molto sopra, leggendo di più.
E’ assolutamente sorprendente – per me – scoprire che lo stato europeo nel quale è registrato il maggior numero di violenze contro le donne è la Danimarca (48%) e che stati come Finlandia (43,5%), Francia (42%), Germania (33%) e Olanda (41%) registrano un dato più alto dell’Italia.
Cara Lalipperis, ma Lei il libro “Peace-keeping, pace o guerra? Una risposta italiana: l’operazione Ibis in Somalia” di Bruno Loi (ed. Vallecchi) lo ha letto? Non mi sembra che ci sia nulla di quel che di negativo Lei sopra dice che vi sia affermato.
Gregoretti, nell’ambito dell’intervista a un sito “orientato” come quello che Lei cita si assume la responsabilità personale di formulare, con più d’una capziosa ambiguità, ipotesi che non hanno però mai trovato alcuna conferma.
Il complottismo, ricordo a me stesso, è uno dei peggiori vizi di questo Paese.
Caro Luigi, il problema delle statistiche è che spesso non sono compiute (perchè non possono esserlo) sulla base di criteri omogenei per tutti i Paesi esaminati. La qualità del dato non consente, in questi casi, di fare rilevazioni e soprattutto comparazioni scientificamente affidabili.
Per il resto, concordo con la Sua impostazione “laica” e scientifica di approccio a questo argomento storico-sociologico di così scottante umana attualità.
Ho l’impressione che ci sia poco da meravigliarsi sui dati europei, invece. Sbaglier, ma secondo me nei paesi dove le donne sono più emancipate c’è meno acettazione sociale o soggettiva della violenza e quindi più denuncia della violenza subita. Di conseguenza il dato emerge in percentuale maggiore che altrove.
Nota a margine: il Friuli orientale non è “uno scenario esotico” e i casi non furono isolati (semmai insabbiati), grazie.
Premetto che a me sembra difficile trarre conclusioni sui fatti di Colonia, innanzitutto perché non ho capito esattamente cosa sia successo. E’ stato stabilito se quel che è capitato fosse pianificato? Io ho letto cose contrastanti a riguardo e mi sembra fondamentale per capirci qualcosa.
Comunque, anche supponendo che non sia pianificato penso che sia dannoso e falso il discorso sulla supremazia culturale. Di tutte le sue argomentazioni, Giovanni, mi pare si possa dedurne al massimo che “le leggi dello stato in cui vivo siano migliori delle leggi di altri stati”.
Il concetto di “nostra cultura” credo che se discusso non vedrebbe per niente d’accordo i suoi figli e comunque sarebbe com’è stato detto un groviglio di conflitti in cui forse, la storia ha stabilito un filo. Di certo non mi sembra un concetto così semplice e condiviso da poterne fare una bandiera.
Detto questo mi pare anche che riassorbire il tutto nella “prospettiva patriarcale” abbia il difetto di evitare di confrontarsi con l’ eccezionalità del fatto. Intendo dire che quel che è capitato è comunque straordinario per il numero di persone coinvolte e la simultaneità degli eventi. Sarebbe forse riduttivo considerarlo solo come l’ennesimo di una lunga serie di crimini quotidiani.
Oppure proprio di questo si tratta, di un’ incredibile coincidenza di “ennesimi” crimini?
Ecco, Wu Ming 4 su questa Sua ultima affermazione concordo in pieno. E aggiungo, nei Paesi che garantiscono e incoraggiano l’emancipazione delle donne si riconducono alla fattispecie di “violenza” o “molestia” fatti che “Altrove” possono non esserenemmeno considerati antigiuridici.
Per Giobix, i fatti esecrabili del Friuli furono “fatti criminali”, da condannare duramente al pari di quelli avvenuti in Africa e negli altri luoghi di cui abbiamo parlato, ma non espressione del “sentire di un Popolo”, di una lecita e/o socialmente accettata “(sub)cultura della sopraffazione delle donne”. In ogni caso, in Italia oggi la nostra cultura percepisce fatti di violenza, molestie e pedofilia come criminali.
Provo a introdurre nella discussione la parola contesto. Cambiando il contesto, cambiano molte cose.
Quando il contesto è quello della guerra, l’obiettivo è quello di annientare il nemico e tutto ciò che è associabile al nemico, i militari, i civili, le donne, le case, i beni diventano obiettivi sui quali si esercita la pretesa di completo dominio, ivi compreso quelli sessuale, della distruzione e dell’omicidio.
I festeggiamenti di capodanno sono oggetivamente un contesto del tutto diverso e mi pare un espediente argomentativo piuttosto debole associare le due situazioni.
Mi spiace, Signor picobeta, ma non concordo: anche nelle guerre – per quanto schifosa e sanguinosa sia sempre e in ogni caso qualsiasi guerra – esistono delle regole precise che NON possono essere violate. Le donne non si stuprano, i civili inermi non si uccidono, i bambini si rispettano. Perfino il “nemico in armi”, quando si arrende, diventa sacro. Anche questo fa parte della mia “civiltà”.
Le violenze di Colonia, poi, sono frutto di un’aberrazione culturale immanente in coloro che le hanno commesse.
Wu Ming 4 & Giovanni. La vostra è una plausibile spiegazione, ma ovviamente è un’ipotesi di lavoro.
In conclusione direi che la questione della violenza sulle donne è un problema planetario ed è rilevata dalle statistiche in maniera percentualmente elevata, salvo ciò che dirò dopo. Sono convinto che si tratti di un dato storicamente e culturalmente spiegabile col portato di secoli e secoli di “oggettivazione” della donna, che tendenzialmente è rilevabile a tutte le latitudini.
Sono altrettanto convinto che i fatti di Colonia vadano inquadrati in un contesto più ampio, che riguarda il modo in cui in Europa vengono percepiti i fenomeni migratori. Ma non metterei del tutto la sordina alla questione relativa ai mondi dai quali provengono gli immigrati. Senza ovviamente dar la stura alle cazzate sciovinistico/nazionaliste. Va da sé che ritengo assolutamente inderogabile per ogni europeo il riconoscimento della parità di genere e – perché no – dei principi di uguaglianza e libertà. Principi che in moltissimi dei paesi dai quali provengono gli immigrati sono tutelati in modo minore rispetto alle nostre lande.
E adesso vengo alla considerazione ultima relativa alle statistiche: ho notato che i paesi che registrano la percentuale minore di violenza sulle donne (siamo pur sempre pari o sotto il 12%!), sono Hong Kong (12%) e Singapore (6,8%). Non proprio due stati nei quali brilla la democrazia: due città/stato con un fortissimo controllo politico-sociale sulle condotte pubbliche e private. E mi è venuto in mente che queste due città/stato sono entrambe ai primissimi posti al mondo nell’indice di competitività economica. Così come sono ai primissimi posti nei test PISA 2012. La possibile correlazione fra queste tre rilevazioni la butto lì come ultima osservazione.
A me non frega un cazzo… i delinquenti ci sono sia da noi che da loro… la differenza? Perchè devo accettare anche la violenza che arriva da fuori?
Non si danno una regolata… affari loro… peggio per loro.
Fanno bene a fare le ronde in Germania.
Giustificatemi questo video perbenisti di merda, preciso che sono ateo e anarchico (giusto per ribadire che non voglio mi venga dato del fascista o comunista, visto che a seconda di cosa dico mi tacciano di una delle due).
on.fb.me/1ZpYrwt —-> è normale? (ps. ripeto abbiamo già i nostri di delinquenti)