Da un post su quelli che sono ormai a tutti gli effetti “i fatti di Colonia” chi legge si aspetta due cose. Solo due, probabilmente, e questo è già un sintomo che inquieta. Ovvero. La condanna senza se e senza ma di quello che è avvenuto, in nome del femminismo (quello stesso femminismo sbeffeggiato quando prende la voce per denunciare quanto avviene, con cadenza quasi quotidiana, dalle nostre parti). Oppure la difesa senza se e senza ma del multiculturalismo (che va difeso, lo dico subito, senza quei se e senza quei ma. Ma sapendo che in ogni cultura, e in alcune in modo più evidente, si fatica a considerare le donne persone. E sapendo anche che all’interno di ogni cultura si devono fare infiniti distinguo. Come vedremo).
Troverete altre parole. Perché la preoccupazione per il nuovo tassello di un mosaico che ha un solo titolo, ormai (scontro di civiltà), non può renderci immemori. E l’unico modo per fornire elementi di riflessione è ricostruire cosa è avvenuto all’interno della nostra cultura. La nostra, quella che si autodefinisce civilissima ma che civile non può essere finché rifiuterà di fare i conti con la propria storia.
Partiamo alti. Partiamo da Gabriele D’Annunzio, che nel 1903 compone Maia. Sottotitolo, Laus Vitae. Superomismo, miti nascenti, elogio della guerra. E celebrazione dello stupro etnico:
“Le vostre vergini molli le soffocheremo nel nostro amplesso robusto. Sul marmo dei ginecei violati, sbatteremo i pargoli vostri come cuccioli. Il grembo delle madri noi scruteremo col fuoco, e non rimarranno germi nelle piaghe fumanti”.
Ah, ma scomodi D’Annunzio. Troppo facile, si dirà. Era un poeta, D’Annunzio. Non parlava sul serio. Forse no. Forse non qui, almeno, perché i discorsi che incitarono all’interventismo e vagheggiavano inondazioni di sangue erano serissimi.
Ma è giusto. Facciamo parlare i soldati.
Quinto Antonelli ha raccolto lettere, diari e memorie dei soldati al fronte in Storia intima della grande guerra (Donzelli). Sono scritti indirizzati alla famiglia, nella maggior parte dei casi. Un’altra narrazione, rispetto a quella ufficiale (“Capirai a noi qua si divora la rabbia nel sentire che in Italia fanno delle feste per la presa di gorizzia e suonare le campane si dovrebbero vergognare”). In questa narrazione entra quello che non viene detto: l’esaltazione della morte, l’ebbrezza dell’uccisione. E dello stupro, anche.
In una delle lettere viene raccontato un episodio. I soldati italiani circondano una donna. Non parla la nostra lingua, o forse sì, non sappiamo molto di lei. Sappiamo solo che la violentano e che, alla fine, le infilano nella vagina uno di quei tubi di gelatina che si usano per far saltare i reticolati austriaci. Fanno esplodere il tubo. Coperti di sangue e brandelli di carne, ridono.
Il soldato che racconta il fatto ha orrore di sé e dei suoi compagni.
Ma si potrebbe andare indietro, in tempi che precedono D’Annunzio e la sua frenesia. A quell’episodio dimenticato che venne chiamato la ribellione dei Boxer, e che nel secolo nascente portò in Cina un gran numero di forze internazionali (e colonialiste), fra cui un contingente italiano. Le donne vennero stuprate e si suicidarono per non sopravvivere al disonore.
Possiamo ricordare le operazioni di pulizia coloniale italiane di fine Ottocento e inizio Novecento, per esempio. Quelle che è così faticoso ricordare. Quelle che sono classificate, come è giusto che sia, crimini di guerra. E la violenza sulle donne è in primo piano. Vediamolo. Per frammenti.
1891. La commissione reale d’inchiesta che indaga sul comportamento italiano in Eritrea dopo la conquista di Asmara scopre che le cinque mogli del Kantimai Aman erano state sorteggiate, su disposizione del generale Baldissera, per essere violentate dagli ufficiali italiani. Nessuna condanna.
1915-16. Nel suo diario, Ferdinando Martini, scrittore, parlamentare, governatore civile dell’Eritrea dal 1897 al 1907, ministro delle colonie, racconta di ufficiali italiani impegnati “a tirar su bambine a minuzzoli di pane” per adescarle. Più avanti, il medico ungherese Ladislav Sava che si trovava ad Addis Abeba al momento dell’occupazione italiana, raccontò nel 1940 al settimanale londinese New Times & Ethiopia News di aver personalmente assistito alla “deportazione di donne etiopiche in case convertite con la forza dai militari italiani in postriboli”. Nelle interviste raccolte nel 1994 tra i reduci d’Africa uno degli intervistati dichiara: “la colonia era un paradiso per gli uomini anziani che potevano avere rapporti con bambine di dodici anni”.
1931. Durante la conquista italiana di Cufra non solo vengono uccise centinaia di civili libici. Le donne stuprate sono almeno cinquanta. Ad alcune donne incinte viene squartato il ventre. Alle ragazze vengono conficcate candele di sego nella vagina e nel retto.
1940. Durante l’invasione italiana della Grecia vengono invano segnalati stupri di massa.
Non ne potete più, vero? Fa male. Malissimo. Ma non è faccenda che appartenga al passato così lontano. Facciamo un salto in avanti.
Siamo nel 1993. Somalia. Missione Ibis. Johar, a nord di Mogadiscio. E’ una sera di giugno Due blindati con una decina di parà della Folgore si fermano al check point. I militari di guardia hanno circondato Dahira Salad Osman, una ragazza somala di 24 anni. Si divertono. “Andiamo a divertirci anche noi”, dicono i parà. Dahira viene palpata dai soldati. Poi viene legata a un blindato. Qualcuno tira fuori una bomba illuminante. Qualcun altro spalma sulla bomba un po’ di marmellata. “Per farla entrare meglio”. Avviene la stessa cosa che straziò la sconosciuta ragazza durante la Grande Guerra. Questa volta, almeno, la bomba non viene fatta esplodere.
Mi fermo.
Cosa voglio dire con questo elenco di orrori? Non che gli italiani siano bestie. Non che i maschi lo siano. Voglio dire, invece, che l’abuso dei corpi delle donne durante i conflitti è una prassi mai svanita. Ma se quanto è avvenuto, sempre in tempi recenti, in Congo, Bosnia, Sierra Leone, Rwanda e Kosovo, suscita un tiepido e infine svanito orrore, molto silenzio avvolge ancora le violenze sessuali compiute dai cosiddetti peacekeepers (si pensi ai soldati Onu in missione in Congo, e non solo).
Il problema che riguarda l’Italia, e proprio l’Italia, è sempre lo stesso: della parte tenebrosa del nostro passato rifiutiamo di parlare. Chiara Volpato, ordinaria di psicologia sociale presso la Facoltà di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca, ne parla in questo articolo, e ricorda come il mito auto-assolutorio di italiani brava-gente abbia ormai costituito la nostra identità collettiva. Ricorda, Chiara Volpato, che il silenzio sulle violenze di genere si debba alle solite strategie: la negazione, l’eufemizzazione, la disumanizzazione, la colpevolizzazione, la psicologizzazione, la naturalizzazione, la distinzione.
Solo riconoscendole riusciremo a capire che parlare di scontro di civiltà non ha senso (e rientra in quelle stesse strategie, peraltro). C’è una questione molto più ampia che riguarda le donne, e attraversa tutte le culture.
Chi, oggi, sollecita le femministe o le persone che si oppongono al razzismo a “venire allo scoperto” lo fa per biechi motivi elettorali. O personali, nel caso ci si senta meglio ad aggredire le femministe (auguri).
Noi non sappiamo cosa sia accaduto a Colonia. Non sappiamo se si sia trattato delle aggressioni del branco o se, come si adombra, sia stata “un’azione di guerra”.
Sappiamo però due cose: che i femminismi non sono un giochino per bacheche di miserandi comici o di egualmente miserandi politici, ma l’unica via per far sì che la violenza di genere venga combattuta. Da qualunque parte venga. E sappiamo che non tutti sono uguali. Non tutti “i musulmani” stuprano. Non tutti gli italiani. Mio padre partecipò alla guerra di Grecia, e non stuprò nessuno. Né lo fece il soldato che nella Grande Guerra che assistette alla bestialità dei suoi compagni. Questa è l’acqua, appunto. Questa è speranza. Teniamolo a mente.
“Le violenze di Colonia sono frutto di un’aberrazione culturale immanente in coloro che le hanno commesse”, mentre le violenze all’Oktober fest (dove i musulmani sono certo pochini) sono eccezioni individuali nel quadro della civilissima cultura occidentale. Non fa una grinza. Ed è altresì notorio che gli eserciti occidentali non stuprano, non uccidono civii inermi, e rispettano i bambini. E non dimentichiamo che alla fine il cacciatore apre la pancia del lupo e libera Cappuccetto Rosso e la nonna. E vissero felici e contenti.
Giovanni, la guerra non funziona così neanche nei videogiochi, figuriamoci quella vera. Magari certe volte farsi una capatina nella realtà, invece di insegnare agli altri come funziona il mondo – insegnare alle donne come funziona il mondo delle donne, qui nello specifico – dalla stanzetta angusta della propria “civiltà” (che assomiglia tanto a una panic room).
L. il video non lo guardo, non per spocchia ma solo perchè in nulla potrebbe influire sui miei ragionamenti. La Storia del Mondo è una storia di migrazioni. Fare di tutta l’erba un fascio non ha senso e nuove, regolamentate presenze, in un’Europa di vecchi, non potranno che migliorare la qualità della vita di tutti. Non credo proprio che tutti i migranti siano delinquenti, anzi, ho la scientifica sicurezza del contrario. Non credo che l’innesto di nuove culture in Europa (ma siamo proprio sicuri che siano “nuove”) sia incompatibile con l’affermazione dei principi e dei valori che informano le nostre democrazie.
Quel che deve essere impedito, però, è che i criminali (senza distinzione alcuna) che pensano di mettere in pericolo o comprimere, CON I LORO ATTI, le libertà che noi garantiamo a TUTTI siano messi in condizione di non nuocere.
Caro Wu Ming 4, vediamo se riesco a spiegarmi: per un cannibale delle foreste tropicali è culturalmente ammissibile mangiare un uomo e lo farebbe “naturalmente” anche nel centro della civilissima Colonia. Per un tedesco (o un “occidentale”) l’antropofagia si traduce in una serie di gravi reati tra loro connessi.
Per Lei Wu Ming 4 e per Adrianaaaa ricordo poi che esistono, nel diritto internazionale, i “crimini di guerra” e che per tali crimini, specie in Occidente, si viene normalmente processati.
“per tali crimini, specie in Occidente, si viene normalmente processati.”
Scritto in un paese i cui criminali di guerra non sono mai stati consegnati ad alcun paese che ne chiedeva l’estradizione, e dove questo è parso del tutto normale, suona ironico.
http://www.odradek.it/Schedelibri/criminalidiguerra.html
Guardi, Signor Aldo, che anche gli eserciti greci e romani eseguivano sistematicamente stupri di guerra, ci tramandano Omero, Erodoto e Tito Livio. E le annunzio che anche questi crimini di guerra, se non per mano degli dei, sono rimasti per lo più impuniti.
Non sono certo responsabile di quello che (non) è avvenuto dopo la fine dell’ultima Guerra né lo voglio giustificare. Dico solo che OGGI i valori in cui mi riconosco (e con me si riconosce l’Europa) non lo consentirebbero più.
Comunque, la Storia aiuta a capire perchè l’accettazione o la la tolleranza di certi crimini sia il frutto guasto di “culture aberranti”.
Più ci si addentra nelle argomentazioni del razzista culturale più sembra di tornare all’Ottocento. Ma forse i “cannibali delle foreste tropicali” nemmeno Kipling li avrebbe più tirati fuori. Magari Salgari, ecco. Ma tant’è. Dall’analogia dovrebbe conseguire che nei paesi islamici le donne vengono molestate e palpeggiate ogni sabato sera. Io ho il presentimento che sia vero piuttosto il contrario, e che invece sia proprio l’equivoco sessuale il problema, e cioè che in una certa mentalità, in certi paesi, una donna che assume abiti e abitudini come quelli delle donne occidentali è ancora considerata alla stregua di una prostituta ergo palpeggiabile e molestabile… Questo almeno mi dice l’esperienza diretta di (ex-)viaggiatore nei paesi islamici e di (ex-)buttafuori di locali notturni occidentali. Questo per trovare il nodo, come dicevo, sul quale magari i norvegesi cercano di agire (si segua il link di Francesca Violi più sopra nel thread), mentre noialtri gridiamo alle invasioni barbariche.
A seguire c’è un secondo equivoco, nel quale invece incorre non già “il cattivo selvaggio” bensì l’uomo bianco con il suo fardello: scambiare la cultura giuridica per cultura diffusa. Se davvero il codice (per altro recentissimo) rispecchiasse lo stato delle cose allora non si avrebbero i tassi di violenza sulle donne che abbiamo nella civilissima Europa. E’ più o meno come credere che sia mai esistita una guerra che rispettasse la Convenzione di Ginevra, una “guerra umanitaria”. Ma tutto questo serve eccome, a raccontarci di essere superiori e soprattutto a seguitare a esercitare questa superiorità. Con ogni mezzo necessario.
Caro Wu Ming 4 per Lei la lieta novella: esiste il ragionamento per paradosso! Per il resto, la cultura giuridica, che Le piaccia o meno, è la cultura dei Diritti e della Libertà d’un Popolo.
@ Wu Ming 4: già, evidentemente in Norvegia sono abituati a ragionare sulla parità di genere, e la considerano un valore da difendere e preservare. Cioè loro la insegnano agli immigrati, da noi è bastato provare a parlarne nelle scuole per far sbocciare i deliri anti-gender 🙂
Più che Salgari direi Conrad.
@ francesca violi: non l’avevo detto per non aprire un altro file, ma mordendomi la lingua! 😀
A proposito dei “corsi di rispetto” vale la pena ricordare cos’è successo qua a Trieste (e poi nel resto d’Italia) a proposito del “gioco del rispetto” – progetto educativo sperimentale per le scuole d’infanzia. Genitori paladini della cultura occidentale cristiana hanno sollevato un putiferio allucinante, paventando la frocizzazione coatta dei loro pargoli maschi. I più invasati hanno dato per certo un complotto frocio-islamista per indebolire l’identità europea attraverso la demolizione della differenza tra i generi. Lunatic fringes? forse, ma fatto sta che chi ha figli* in età scolare deve sorbirsi quotidianamente sti deliri nei gruppi whatsapp dei genitori. In ogni classe c’è almeno un genitore che spamma sta roba. Qual è allora la “nostra cultura”?
@ tuco: Come non l’hai capito? E’ la cultura dei Diritti e della Libertà d’un Popolo! (con le maiuscole, mi raccomando, ché deve suonare lapidario).
@ wu ming 4
le maiuscole che piacevano a furio jesi 🙂
@tuco:
Proprio quelle, sì.
Giovanni, sono d’accordo con lei sul fatto che in guerra non si dovrebbe stuprare le donne, saccheggiare, uccidere i civili, ma la guerra, a differenza dei festeggiamenti di capodanno, determina una situazione estrema di violenza e di sopraffazione in cui tutti questi comportamenti sono più probabili. A costo di dire ovvietà, osservo che la ex-Jugoslavia non era prima del 1991 (neppure durante i festeggiamenti di fine anno) teatro degli stupri di massa che si videro negli anni successivi di guerra civile, anche se la popolazione era essenzialmente la stessa.
Mi lascia anche perplesso il dibattito su fenomeni complessi e sfumati come quelli sociali condotto in termini di bianco e nero, di società del tutto o per niente omofobe e inclini alla violenza contro le donne.
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Per me è anche strana l’idea che emerge qua e là della cultura come un datum costante e immutabile nel tempo, per cui noi e gli altri saremmo quello che erano la nostra o l’altrui società decenni o secoli o millenni fa.
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Rispetto a certi valori, le società si evolvono nel tempo e in un dato momento, ad esempio all’inizio del gennaio 2016, a macchia di leopardo certe società sono inclini all’omofobia e alla violenza contro le donne e altre società lo sono meno. La densità e l’estensione di queste macchie non è la stessa in società diverse ed è sicuramente diversa rispetto a quella di qualche anno, decennio, secolo fa.
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Non ne so abbastanza sull’argomento per dire quanto siano diverse la distribuzione e la densità di queste macchie nelle società occidentali e in quelle islamiche, ho una mia idea neanche troppo originale, ma non so quanto questa sia razionale e quanto sia di pancia.
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P.S. Mi pare anche di scrivere solo delle ovvietà oggi pomeriggio, se è così portate pazienza.
Caro Picobeta, quel che distingue l’Uomo dal bruto è il suo comportamento verso il prossimo, specie in condizioni estreme. Le regole ci sono e chi si mette al di fuori di esse dimostra di appartenere ad un’altra (sub)cultura.
Per Wu Ming 4, tuco e Daniela: tanto più si ricorre ad argomenti ad hominem tanto meno si dimostra di avere ragioni ad rem. Ma questo è difficile spiegarlo ai lontani pronipotini ideologici di Hegel.
Non mi é chiaro qualcosa sulla posizione delle femministe. E , comunque, la cultura mussulmana dá il “meglio “nel rispetto per la donna . Su questo credo si debba discutere e distinguere. Come sul fatto inequivocabile che la violenza contro le donne ha caratterizzato il potere della società patriarcale.
http://blog.iodonna.it/marina-terragni/2016/01/11/ancora-su-colonia-salvare-i-migranti-al-prezzo-della-liberta-femminile/
Gentile Silvia, io non sono “le femministe”. Sono io.
E dove sarebbero gli argomenti ad hominem?
“lontani pronipotini ideologici di Hegel”.
Gli argomenti ad personam invece vanno benissimo, a quanto pare… 😀
A proposito di distinzioni tra Uomini e bruti (jugoslavi):
https://twitter.com/monster_chonja/status/686982986315751425
Ma davvero stiamo qui ancora a dire “loro sono bestie arretrate e noi siamo meglio”? Davvero stiamo dicendo che in guerra lo stupro è tollerabile?
Oh, ma guardarsi attorno?
Italia. Molestie sulle metro, sugli autobus, sui treni, mai sentiti? E no, non è il maniaco con l’impermeabile.
Colonia. Gruppi organizzati di uomini che molestano in maniera molto pesante donne di qualunque età. Questo è un dato. Ed è anche una forma di terorismo, nuovo, ma non per questo sconosciuto e insolito. Perché non provare a vedere questo come ciò che è, ossia un atto criminoso compiuto a carico di cittadine, di donne libere e pensanti? D’accordo, cultura diversa. Verissimo. Facciamo un passo indietro: gli italiani in America agli inizi del Novecento. Insultati, ghettizzati come violenti, retrogradi, sporchi (sounds familiar, guys?) Le loro donne erano spesso analfabete, denutrite,, in una condizione di sottomissione prossima alla schiavitú. Eppure essi riuscirono ad adattarsi e a cambiare.
Per cui. Cambiamo la prospettiva. Atto di intimidazione su quello che queste persone considerano le fasce deboli della società. Presa di coscienza. Dimostrazione che questa fascia non è debole, e anzi è un punto nodale della società occidentale.
Ora la difficoltà vera è far capire ai machi de noantri che la femmina europea non è un possesso ma una persona. È qui avete poco da dire ma il cammino è bello lungo. Noi italiani ci siamo ripuliti la bocca ma la testa, no.
(E non specifico altro per non cadere nel triviale)
Stefania, una delle premesse del tuo commento è che quelle molestie fossero parte di un piano premeditato e organizzato. Io mi permetto di far notare che questa versione era presente, senza prove né pezze d’appoggio, solo ed esclusivamente sui giornali italiani. Su quelli tedeschi non la sposava nessuno, come non l’ha sposata nessuna autorità preposta a indagare o comunque gestire la vicenda.
Nessuna intenzione di catalogare. Da quel poco che leggo qui e ascolto a Fahrenheit molta stima. Solo desiderio di capire. Anche i miei dubbi.
Le donne ricusano tutte le forme ideologiche in cui si sclerotizza il flusso della vita e le logiche identitarie che sottendono strategie di dominio
Noto che le risposte, più che discutere il punto sul problema Colonia, discutono di “come dovremmo affrontare il problema Colonia.” Un test per stabilire se uno è pro guerra di civiltà, pro ideologia occidentale, se è o no razzista , quanto è femminista ecc. Stabilito che abbiamo a che fare con una violenza sistematica e non occasionale contro le donne, che segue uno schema e trasmette un messaggio chiaro, chiedersi se cultura e religione aprono spazi a questa bestialità è eticamente e politicamente legittimo, anzi doveroso. Osservare che in molti paesi e comunità mussulmane, non sole le donne sono escluse dalla sfera pubblica, ma che il problema della differenza sessuale sta in cima alla loro agenda, non vuol dire essere islamofobici. In Nigeria Boko Haram tradotto vuol dire “l’educazione occidentale è proibita”: niente educazione per le donne. Come sottolineava Daniela sull’Iran, Khomeini nel 79 dichiarava “non abbiamo paura delle sanzioni né di una invasione, ma dell’immoralità occidentale” . La logica è la stessa : non abbiamo paura degli eserciti, la guerra, l’economia (esclusione, povertà, disuguaglianza ) ma della differenza sessuale. Più che della correttezza politica, dovremmo preoccuparci dell’inconscio politico, anche nostro. Questo per dire che non basta una cornice femminista. Serve la politica e la memoria, come ci ricorda Zizek sui fatti di Rotheram (http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/08/28/londra-1-400-bimbi-stuprati-a-rotheram-bufera-sulle-autorita-sapevano-dal-2010/1101435/)
http://www.newstatesman.com/world/europe/2016/01/slavoj-zizek-cologne-attacks
Quindi: se le donne vengono molestate e stuprate in pubblico da persone straniere, preferibilmente di fede musulmana, la colpa è degli uomini che le hanno violentate. Anatema su di loro e sono tutt* femminist*: povere le nostre donne.
Se invece vengono molestate, stuprate e magari anche uccise tra le mura domestiche o in un parco o in guerra da persone di fede cristiana, e per di più italiane, la colpa è delle donne che se la sono andata a cercare o che sono vittime “naturali” della violenza estrema. Anatema comunque su di loro (o al più oblìo con spallucce) e massima comprensione per i poveri nostri uomini.
Qualcosa non mi torna.