Avvertenza. Il seguente post va
inteso come corollario ad alcuni commenti all’intervento di ieri. In
particolare, a quelli che invocavano la lettura dei classici in quanto salvavita
(o salvabarbari).
Le situazioni e i personaggi
descritti di seguito non sono frutto dell’immaginazione della sottoscritta: i
fatti sono realmente avvenuti questa mattina tra le otto e le nove.
Qualora si ritenesse che il
contenuto del post medesimo possa risultare offensivo per la reputazione dei
blog letterari, è possibile saltare direttamente alle due righe conclusive,
contenenti la citazione platonica utile per tutte le occasioni.
Che
bello, penso, infilandomi in un vagone insolitamente semi-vuoto della linea B.
Accade che l’inizio delle vacanze di Pasqua compensi, almeno in parte, l’inizio
dell’era turistica stagionale capitolina. Dunque posso persino permettermi di
tenere lo zaino in spalla e di leggere il quotidiano tranquillamente.
Naturalmente vengo subito smentita dai fatti: perché dopo due sole fermate sale
una ragazza. Ha un libro fra le mani. Ed è evidentemente in urto con il mondo
circostante. Fatto sta che mi prendo un paio di spintoni ben assestati che mi
fanno planare verso il passeggero seduto proprio davanti a me: anche lui sta
leggendo un libro. Interrompe, mi prende al volo e mi sorride, gentilissimo. La
ragazza non sorride affatto, anzi: “perché non si toglie su-bi-to quello
zaino?”. Mi verrebbe da dire che il medesimo, per quanto scorretto, non
giustifica la spallata, ma eseguo: sfilo lo zaino e riapro il giornale.
Però il
vecchio istinto dell’impicciona prende il sopravvento. Che staranno mai
leggendo il cortese salvatore di passeggere volanti e la tosta spintonatrice?
Sbircio. Lui esibisce un best-seller di quelli fatti apposta per attirare
fulmini letterari (l’ultimo Moccia).
E lei? E’ immersa in uno dei più nobili fra i classici: Madame Bovary. Ridacchio e penso a cosa potrebbe dedurne il famoso
antropologo polinesiano di Diario minimo.
Oltretutto, la pagina del mio quotidiano non è aperta, come si dovrebbe, sulle
ultime osservazioni di Howard
Gardner a proposito dell’intelligenza: bensì, felicemente, sulla cronaca di
Roma-Manchester.
«Se questo è vero», dissi,
«dobbiamo concludere che l’educazione non è come la definiscono certuni che si
professano filosofi.
Mi dispiace che ti abbiano spintonata sull’ autobus: ti fa onore l’usarlo ( lo uso anche io, non potendomi permettere nemmeno un motorino: non sono una persona ricca), ma non c’è da sopravvalutare l’insulto: è di quelli da cui il narcisismo si riprende velocemente; nel frattempo ci si può dedicare a quel che suggeriva Cioran, cioè immaginare di infierire sull’ autore dell’ oltraggio:
“Ascoltate il mio sermone: ho ucciso un uomo per uno sgarbo e ho un ragazzo per un insulto” – e non è letteratura, ma Genesi (che, va da sè, è una fesseria: molto meglio i nostri blog).
Ma la ragazza non legge Madame Bovary perchè le piace: lo legge poichè glielo hanno ordinato o a scuola o alla università.
Dunque non lo sta leggendo, lo sta mangiando come un cheeseburger per vomitarlo sul tavolino del docente.
Perchè va da sè che sia le scuole che le università sono il miglior modo per instillare un durevole odio per la cultura.
Che amore per il sapere si può avere se la istituzione che dovrebbe promuoverlo te lo collega ad una ricompensa per la prestazione?
Al massimo si diventa prostitute della cultura, che siccome son ricompensate, si limano le unghie nel mentre che leggono.
Solo un idiota si legge Madame Bovary mentre cammina sull’ autobus.
Le scuole e le università infatti sono quei posti dove si insegna a chi le frequenta quali cose incredibili siano stati capaci di fare coloro che le università non le hanno mai frequentate.
Einstein fu bocciato in matematica (e non in letteratura), Thomas Hardy non riuscì mai a laurearsi, Hemingway non era laureato, Faraday nemmeno, non lo erano Rousseau e non lo era William Faulkner e non lo era Henry Miller e non lo era Kafka. E la lista si potrebbe fare assai lunga.
Alcuni erano laureati (pochi) e di solito in materie che non avevano nulla a che fare con lo scrivere (tanti “avvocati” perchè la famiglia glielo imponeva).
Se tuttavia ai tronisti e alle vallette venisse fatto presente che esiste dell’ altro, che di là dal fiume e tra gli alberi ci sono anche altri valori, e che ci sono uomini e donne che si sono fatti una strada anche rinunciando ai troni, non si farebbe cosa sbagliata: perchè queste persone NULLA sanno di quel mondo, e tu le aiuti a confermarsi nel loro pregiudizio.
Infatti, se un tuo post dichiara che leggere Madame Bovary non serve ad una cippa perchè (tale è la motivazione) ti possono ancora spintonare sull’ autobus, ti fai coessenziale al mondo di futilità sopravvalutate che dici di volere combattere. SDtai dicendo a chi ti legge che è inutile leggere Madame Bovary: che leggere i nostri blog farebbe meglio…
Comunque non è che la cosa stupisce me: pare piuttosto che sia rimasta impressionata tu.
Il che ci dice che fare certi nomi, serve: quantomeno, passata la notte ancora ce li si ricorda. E in un mondo di tronisti che passano come l’erba del campo prima ancora che si faccia mezzogiorno, e sono dimenticati prima ancora dell’ ora di cena, essere rammentati dopo una notte parrebbe più una conferma che una smentita.
Ma si sa: siamo i segretari delle nostre emozioni, e non si può pretendere più di tanto nè dagli amanuensi nè da chi legge Madame Bovary sull’ ottovolante.
W Hery Miller. W Falubert.
PS
oh, intendiamoci: la ragazza fa benissimo a leggere Flaubert in autobus.
Trattandosi della tipica lettura da antologia, epperciò ovviamente prescrittagli da un insegnante di x livello che legherà quella lettura ad una votazione ovvero ha già ridotto la cultura e il ringhioso Flaubert (“Madame Bovary sono IO!”) a una merce di scambio, la ragazza giustamente se lo legge in autobus e (probabilmente) al gabinetto.
Insomma, Flaubert le sta rubando del tempo, ed ella gli dedica quel che trova. Come hai fatto a dedure da un setting simile che questa ragazza leggesse Flaubert per voglia anzichè chiaramente controvoglia?
Perchè una lettura prescritta in tal modo non si merita altro che d’essere fatta per il poco valore che le viene attribuito da chi ce la prescrive.
Leggere, va da sè, non è questione di ambientazione. Non occorre stare nella casa di Gabriele D’annnunzio o in quella di Vittorio Sgarbi per leggere.
Non è questione di dove, ma di quando.
E’ il tempo che conta, non la località.
E un autobus ovviamente è il posto meno indicato per leggere: perchè lo si deve aspettare questo autobus, poi si deve salire, si deve farsi strada tra la povera plebe e le signore e i signori, si deve tenere un occhio alle fermate effettuate, e poi dopo pochi minuti si scende.
Pensare che quei minuti possano essere produttivamente delegati alla lettura ci fa capire quanto poco effetto abbiano avuto le lezioni seguite dalla ragazza. Ma al prof questo non interessa, gli interessa solo che ella sappia dirgli in che anno è stato scritto.
E allora la ragazza se lo legge a spizzichi e bocconi, proprio come un cheeseburger. E, ovviamente, non ha alcun effetto.
Al Fast Food Gustave Flaubert non si coltiva la cultura, ma Farenheit 911.
non so, ma tu dimmi la verità. o forse ho capito male, o forse voglio capire io una cosa.
ti saresti sentita meglio, o forse avresti trovato più prevedibile, se le letture fossero state invertite?
cmq si, non solo l’educazione ma anche l’altezza intellettuale non dipende da cosa si è circondati o da cosa ci si nutre.
[il brutto è soffermarsi sul primo spigolo che non ci piace, sulla prima parola che non apprezziamo, etichettare senza andare oltre, senza capire il senso.
non sempre dietro una brutta forma, o un colore forte, c’è del significato.
ma a volte c’è e sarebbe brutto lasciarselo scappare.]
Gente, non prendetemi alla lettera. Intendevo soltanto sottolineare una vecchissima questione, affrontata centinaia di volte in questo blog: attenzione agli automatismi. Ovvero: non è consequenziale che una lettura alta sia portatrice sempre e comunque di modi e stili di vita che riteniamo corretti. E, viceversa, il best-seller non fa di noi degli animali proni al mercato. Mischiare le carte e farsi due passi fuori dalla platonica caverna è cosa salutare.
Ci mancava solo che la ragazza ti apostrofasse come “vecchia sessantottina”!
Ascrivi ai tuoi lettori automatismi xhe non hanno 🙂
La ragazza non stava leggendo Falubert. Ci scherzava su anche Woody Allen “dovete capire che avete a che fare con uno che si è letto Finnegans Wake tre volte sull’ Ottovolante”.
Uno che legge Madame Bovary in autobus, nei 3 minuti e mezzo prima della fermata, non lo sta affatto leggendo.
Sull’autobus ti puoi leggere la gazzetta dello sport, o Wilbur Smith: letture che non pretendono di avere alcun valore formativo (e che dunque sarebbe ingiusto rimproverargli di non averlo: e infatti non lo facciamo).
Ma Falubert con Madame Bovary ci ha voluto distillare un decennio di dolore: sull’ autobus se lo possono leggere solo coloro che a casa non han tempo per lui perchè deveono correre a vedere la De Filippi.
Quanto ai passi fuori dalla caverna platonica, non vorrei che tu avessi scambiato qualcuno per un troglodita ahah.
In un mondo dove di passi fuori dalla caverna platonica se ne fanno fin troppi (o non era questo il rammarico espresso nel tuo post di ieri, che ci si dedicasse troppo alle futilità?), suggerire un tempo per l’intimismo (c’è un tempo per tutto dicono le Ecclesiaste) è del tutto opportuno.
Ma se non appena lo si fa tu suggerisci subito di tornare a dedicarci allo shopping, mi tocca chiederti di prendere una decisione!(sto sorridendo, visto che sui blog la espressività è bandita).
Comunque la letteratura non è una ricetta per ritirarsi dal mondo e tornare nella caverna platonica: è al contrario una ricetta per rientrare nel mondo meglio equipaggiati.
Ti cito a tal proposito Brodsky:
“La letteratura è un dizionario, un compendio di significati. (…) La sua funzione è di salvare il prossimo uomo dal cadere in una vecchia trappola, od aiutarlo a comprendere che è caduto in una trappola, e che è vittima di una tautologia. In questa maniera egli sarà meno impressionato e, in un certo senso, più libero. Perchè capire il senso di cio che ci accade, ha effetti LIBERATORI”.
la letteratura non ti chiude in una caverna: te ne fa USCIRE.
E’ la ignoranza, che è la caverna.
Alberto, posso rivolgerti un piccolo invito, senza, giuro, il minimo tono polemico? Dai un’occhiatina agli archivi del blog? Solo per capire come la penso a proposito di lettura, letteratura, “popolare”, eccetera eccetera.
Se lo hai già fatto chiedo scusa in anticipo. Ma, dalle tue risposte, ho come idea che non ti sia chiarissimo come la penso su questi argomenti…
Aneddoto che non c’entra o quasi. Vicino all’ufficio c’è una casa del Centro d’igiene mentale, e sull’autobus spesso incrocio vari utenti (sorvoliamo sui nomi, per pietà!). L’altra mattina, uno dei più fastidiosi e imprecanti sale sull’autobus: uno zuccherino, complimenti all’autista, cortesissimo con gli altri passeggeri, saluti gioiosi…
Quale dei comportamenti risponde alla sua persona? Quale è il risultato di influenze esterne? Purtroppo, si fa molto più presto ad appiccicare un’etichetta che a sospendere il giudizio o risalire alle cause. Gli chiederò se legge Moccia 😉
Leggere è faticoso.
Perchè leggere significa camminare nella giungla e tollerare tanto gli scorci fantastici quanto le punture delle zanzare.
Se leggi Dostojevski ti tocca prepararti a 30, 40 pagine noiose e poi, all’ improvviso, 4 rapinose. E’ come Beethoven, piano piano poi all’ improvviso badaboom. Poi di nuovo piano piano, quasi noioso. Poi di nuovo senza che te lo aspetti, badaboom altre 5 pagine che ti lasciano davvero senza fiato.
Il punto è che non si legge per ottenere una ricompensa immediata. E’ questo che distingue una lettura formativa da una ricreazionale.
Tu leggi e qusndo hai finito e metti via il libro, è il libro che legge te.
Esso inizia a sedimentare, pian piano, a produrre una specie di effetto di consolidamento.
E’ come se maturasse nel buio.
Mi ricorda Ezra Pound “leggi un detto di Confucio e pare niente. Dopo 20 anni torni a pensarci”.
Una lettura ottiene il suo effetto dopo un po’ che è stata terminata. Alcune volte paga subito, come ad esempio certi suddetti passi di Dostojevski. Ma il vero motivo per cui una lettura può avere effetti formativi è che si conquista il suo spazio nel preconscio.
Nessuno ricorda tutte le parole di un libro, tranne un computer. Non si legge dunque per ricordare le parole, ma per essere contaminati dal SENSO e dallo STILE.
Dopo un po’ che ti leggi Hemingway, inizi a sentire come sentiva lui. E la storia di una donna di provincia che desiderava il successo che non avrà mai si fa spazio formativo nel nostro inconscio, perchè Madame Bovary siamo NOI.
alberto quel che scrivi è condivisibile, certo.
ma è bello quel che ha scritto la lipperini.
e cioè:
Ovvero: non è consequenziale che una lettura alta sia portatrice sempre e comunque di modi e stili di vita che riteniamo corretti.
quando avevo 20 anni ho lavorato in fabbrica. leggevano la gazzetta dello sport, sorrisi e canzoni, qualcuno, pochi, l’unità.
era un mondo che per certi aspetti rimpiango, ma non perché avevo 20 anni.lì, la parola solidarietà aveva un peso, un valore. non idealizzo, il discorso è lungo, ma quel che ha detto loredana lo diceva anche beniamino placido.
su repubblica una volta parlò di alcuni suoi vicini di casa.
gente bella, gente semplice.
che guardava una trasmissione tv, che lui stroncava, puntualemente.
questa gente un giorno chiese un favore a placido. di intercedere, ché volevano portare la figlia malata (forse handicappata, non ricordo) negli studi rai.
non ricordo bene tutto l’articolo. ricordo placido che chiosò con una frase “chi sono io per…?”.
ci portiamo dietro, io credo, la puzza sotto il naso di certo 68. che non sa comunicare e guarda dall’alto. e penso che questo discorso sia estendibile a certe scelte editoriali.
dove la mediazione della semplicità è vista come un compromesso, con una smorfia.
No in effetti gli archivi non li ho letti. In realtà, ora che tu sembri “rimproverarmelo”, non ho la minima idea di chi tu sia. Ho reprito questo blog su una ricerca su Google “blog letterari”.
In realtà, mi ricorda “Ultimo Tango a Parigi” (che NON era un film sul sesso): “non voglio nomi io. Non voglio sapere il tuo nome”.
Magari più in laà darò una occhiata agli archivi. Ma su un blog che si offre come spunto di riflessione al pubblico, non potrei leggere quel che leggo e commentarlo per quel che dice?
Anche tu non mi conosci, ed io non trovo questa assenza di credenziali come ostativa al dialogo: anzi, il contrario.
Potrei evitare di leggermi gli archivi, e affrontare la cosa con la naturalità e la freschezza della spontaneità?
Tu da parte tua non devi dimostrare niente – non è che devi ricostruirti la personalità davanti ad ogni nuovo interlocutore: per cui non preoccupartene se non ho letto i tuoi archivi.
Ma io sono il tipo di interlocutore a cui piace guadagnarseli sul campo gli stendardi: voglio vederli garrire qui e ora, non leggerli sulla mappa.
Io quando scrivo su un blog non scrivo ad personam: anzi nemmen credevo che tu sul tuo blog rispondessi (molti non lo fanno affatto). Ma per me i blog sono entità impersonali, niente reputazione, niente carriera, niente biglietti da visita: scrivo qui e a te pare che scrivo a te.
Ma non sto scrivendo a te. Sto scrivendo a me. Come tutti quelli che scrivono. Leggo gli altri, ma scrivo per crescere io.
Per me questa è già una ricompensa davanti alla quale non sento la necessità di leggermi gli archivi. Così come non sento quella di farmi pregiudizi al riguardo della tua persona.
Ti prego, sottovalutami.
Sinceramente, non mi è ben chiaro perché non si possa leggere Flaubert su un autobus…
Alcune brevi postille.
1. Ho sentito Niffoi affermare che un ragazzo che ha letto i classici (lui ne citava uno in particolare, ma non è rilevante) se incontra un ferito per strada non si allontanerà, ma si fermerà a soccorrerlo. Mi è venuta in mente la competenza con la quale Hitler era in grado di parlare del comico nella musica di Liszt (il suo musicista preferito).
2. Però Niffoi ha detto anche: per ogni ragazzo conquistato alla lettura c’è un imbecille in meno sulla strada. (a scanso di equivoci: Niffoi non intendeva “ragazzo costretto a leggere”, ma “ragazzo che scopre il piacere della lettura”).
3. “Ho spesso avuto ottime idee vedendo un pessimo film” (W. Benjamin)
4. Molta della riflessione pedagogica dell’ultimo ventennio si misura nel passaggio, teorico e pratico, da Bruner a Gardner. Purtroppo una parte consistente (non saprei quantificarla, ma c’è) dei docenti sono rimasti non a Bruner, ma a Dewey. E alcuni a Gentile. Per fortuna c’è una parte altrettanto consistente di insegnanti che quando legge Bruner e Gardner (e Dewey) scopre di aver già messo in pratica da anni, senza saperlo, le loro idee.
Purtroppo, quasi tutto quello che leggo sulla scuola (com’è, come dovrebbe essere, com’era, cosa bisognerebbe fare) è scritta da gente che non dimostra di sapere neanche in quale squadra giochino Bruner, Dewey e Gardner (Gentile sì, lo sanno: gli viene subito in ment Italia-Argentina 2-1).
Devo essere un idiota. Ho l’abitudine di leggere mentre cammino sull’autobus. Classici, moderni, contemporanei, un po’ di tutto.
(Tra l’altro, Flaubert è una delle mie letture predilette: non riesco a trattenermi dal rileggere almeno una volta l’anno “L’educazione sentimentale”)
Puoi leggerli dove vuoi, in realtà.
Anche se Pasolini diceva che la cosa migliore da fare su un autobus è _pensare_. “Sono seduto sul bus e ora finalmente posso pensare. Pensare. Io posso pensare!” – citato a memoria, per cui senz’altro non alla lettera ma il senso è quello.
Non esistono i “classici”: presumo che sia una etichetta sbrigativa che utilizziamo qui e ora per indicare letture non ricreazionali. Ma in sè il termine “i classici” spiazza completamente i suoi autori. Sembra relegarli in un Olimpo distaccato dalla realtà.
I “classici” sono “classici” perchè siamo noi, non perchè sono lontani da noi. La loro “classicità” non consiste nell’ essere trascorsi, ma nell’ essere per sempre: ero sono e SARO’.
Come dicevo, così come Flaubert gridò “madame Bovary sono io”, noi che lo leggiamo dobbiamo intendere “madame Bovary siamo NOI”.
Finchè non si crea questo nesso, finchè non riusciamo a sentire che “il classico” sta parlando di noi, a noi, qui ed ora, come se Flaubert ce lo avessi seduto davanti, fino ad allora non li abbiamo affatto letti, anche se li abbiamo “letti”.
E’ come il libro di Giobbe nella Bibbia. Giobbe era uomo timorato di Dio, e Dio fece una scommessa col Diavolo e gli mandò addosso ogni dolore possibile. Alla fine di quel percorso Giobbe dice: “Signore, io prima ti conoscevo per SENTITO DIRE, ma ora i miei occhi ti VEDONO: mi porto la mano alla bocca, ho parlato una volta non lo farò due volte”.
Prima sentiamo le cose per sentito dire, e non ci dicono nulla. E ne chiaccheriamo a tempo perso.
Ma quando poi (e non cito dati autobiografici, intenzionalmente) ti muore un figlio a 30 anni, o un tumore ti devasta, o sparano ad un tuo familiare, o non succede qualcosa che ti porta a diretto contatto con il furore della vita, allora noi VEDIAMO: allora non è più per “sentito dire”: Allora non sono più solo “i classici”. Allora non è più “Flaubert” – per sentito dire.
Così, Flaubert puoi anche leggertelo in autobus, se è una tua scelta.
Ma io ho facoltà divinatorie, e la maleducata ragazza che ha dato una spinta in un autobus trovando così i suoi 15 minuti di celebrità, Flaubert lo stava leggendo perchè gli avevano detto di leggerlo.
Parola di lupetto. Sono veggente io!
Se li leggi perchè ti va, allora puoi leggerli anche sull’ autobus. Ungaretti scriveva poesie al fronte.
In realtà la unica cosa che conta è riuscire a scovare quel maledetto nesso che ti fa capire che quel libro, quel “classico” parla a te e di te.
Una volta fatto questo, puoi anche leggerteli in autobus – ma è da respingere come controproducente la suggestione che, se leggi Flaubert e poi dai una spinta in un autobus affollato, il valore formativo di Flaubert viene meno: particolarmente se Flaubert te lo leggevi per preparare un esame ad una facoltà a cui devi andare perchè senno papi e mami ti fanno una capoccia così…
leggili dove vuoi. Alla Sant’ Agostino “Ama, e poi fa’ quel che ti pare”.
Beh, quadretto stupendo e davvero carico di significato!
a proposito di bullismo…
sentito di quel sedicenne che s’è suicidato perchè i compagni lo prendevano in giro che era un secchione?
Mentre stiamo a discutere di “classici” o “non classici” ecco cosa succede là fuori…
E’ giusta questa esistenza?
Credo che non sia giusto accusare la scuola di instillare il disamore per la lettura. Pennac docet: il verbo leggere non ama l’imperativo!
Ci sono anche docenti che – istruiti da specifici corsi di aggiornamento – sanno proporre attività che non comportino necessariamente una valutazione “scolastica”, svincolando così la lettura “dall’obbligo”.
La scuola però non può “non fare la scuola”: nel senso che gli alunni stessi, impegnati in attività proposte dal docente si aspettano la relativa valutazione.
Forse si è travisato il ruolo della scuola in relazione alla letteratura.
Credo che i suoi compiti debbano essere:
1)far conoscere – “antologizzando” – l’ampio ventaglio di generi e autori
2)avviare, allenando, le capacità necessarie alla lettura (concentrazione, riflessione…)
3)dare occasione e guidare gli alunni affinché possano addentrarsi in opere complete/complesse
insomma, la scuola getta dei semi con la speranza che poi germoglino…
sono contento che non viviate tutti a Super-Cannes e che possiate godervi la maleducazione sentimentale irrorata da giovani menti innamorate del proprio telefonino
“ Goditi le schegge dorate finchè sei giovane e godine in pieno perché da vecchio e debole non raccoglierai più legno”
W. S. Scoopchisel(chi era costui?)
stamattina, metro A
miracolo da settimana santa: semivuota MA ragazzina protptipo (trucco capelli forcine vestiti da clone della maggiornaza delle adolescenti che si vedono ultimamente in giro) mi scippa l’ultimo posto a sedere, quindi mentre mi destreggio per continuare la lettura dell’ingombrante manituana in instabile equilibrio, mi trovo a reprimere il fastidio nel vedere la teen ager estrarre Top girl.
sarà che sto invecchiando, e sto invecchiando evidentemente male, ma forse se avesse letto un libro avrei rosicato meno….
Alberto, i cosiddetti “classici” esistono – le parole “canone”, “storicizzare”, “valori letterari consolidati” ti dicono qualcosa? -: e per me sono (alcuni, non tutti, eh) eccellenti letture ricreazionali. D’altronde, concordo con Harold Bloom quando nell’introduzione al “Canone occidentale” scrive che i libri non servono a niente, rammentando l’aforisma di Wilde “Tutta l’arte è completamente inutile”. Dunque, per me esistono solo letture ricreazionali: non ne concepisco di altre.
Tenderei a essere d’accordo con Alberto, ha capovolto la messa in scena del post. E altri potrebbero capovolgere lui, ma siccome qua e là lo fa da solo…
ma è più conformista e degradante leggere top girl o manituana?
Non lo so, caro alberto angioletta.
Sicuramente è noiosissimo e superfluo leggere certi commenti.
un po’ di sano sarcasmo controculturale non può che nobilitare questo sito così omologato su certe posizioni, cara Lipperini. Senza offesa per nessuno.
E chi si offende? Mi diverte moltissimo imbattermi un persone che, nell’ordine, pensano se stesse come “sarcastiche”, “antagoniste” e “colte”.
Averne, di autostima così.
(però, adesso, caro AA, la pianti: devo difendere l’omologazione di questo sito con le unghie e con i denti)
Sarebbe ben strano che un sito personale non fosse omologato sulle posizioni del blogger, mah, ogni tanto la logica esce a prendere un caffè.
…e a volte resta fuori un bel po’ di tempo…
Buona Pasqua, Alcor.
Deve essere un caffè all’americana, di quelli lunghi lunghi che a berli ci vuole un sacco di tempo.
Anna Luisa
Buona pasqua anche a te, e a tutti.