IL PASSO NEL FUOCO: UNA RIFLESSIONE SU #METOO

Lui era il mio capo. Il più difficile e crudele fra i miei capi. Un giorno, al telefono, mi disse testualmente (difficile dimenticare, anche quando il tempo corre molto avanti): “E fammi conoscere qualcuna di decente che mi succhi l’uccello. Tu no, sei troppo vecchia”. Avevo, allora, 45 anni. Scherzava, quel mio capo, fortunatamente momentaneo? Forse sì, forse no. Lo stupore, lo sgomento, la rabbia non necessitano di alcun forse. Riattaccai il telefono, e da quel momento feci di tutto per andarmene. Ci riuscii, per la cronaca.
Lei era il mio capo. Sapevo che non mi amava affatto, e questo ci sta. Quando divenne a tutti gli effetti il mio capo, mi demansionò e mi fece un’offerta lavorativa irricevibile, rispetto alla mia storia. Presi tempo. Seppi da altri che appena chiusa la porta aveva riso, e aveva detto: “Dove volete che vada, quella, con due figli piccoli?”. Avevo, allora, 43 anni. Dietro la porta chiusa, mi dissi che dovevo andarmene. Ci riuscii, anche quella volta.
Lui era il mio capo. So che mi stimava per quello che facevo, ma intuivo anche che avrebbe desiderato qualcosa d’altro. Non mi disse mai nulla, ma lo capivo lo stesso. Raddoppiai le barriere. Non accadde niente, rimanemmo amici, continuai a lavorare per lui. Avevo, allora, 35 anni.
Questa è la premessa, e non vuole dire semplicemente che in condizioni di potere gli uomini e le donne ti oggettivano (la vecchia, la madre, la donna-che-sembra-algida), anche se così avviene, perché i rapporti di forza questo comportano. La premessa serve a sottolineare alcune semplici cose:
– le molestie esistono. Esistono quelli che ti mettono la mano sul culo in autobus, quelli che gridano apprezzamenti offensivi a mia figlia in bicicletta, quelli che ti stringono il ginocchio mentre stai parlando di lavoro, o anche dell’ultimo film visto.
– esiste il ricatto sessuale in ambito professionale. Che può essere esplicito e ti mette davanti a una scelta che tale non è. Che può essere sottinteso. Comunque, esiste in tutti i luoghi di lavoro. Anche in ambito editoriale, e chi lo frequenta lo sa benissimo.
– esiste l’aggressione sessuale. Che davanti a un rifiuto, semplicemente, non lo accetta, ed esige quel che si era figurato di poter ottenere facilmente.
– esiste lo stupro. E non c’è molto da aggiungere.
Però esistono anche infinite sfumature che non rientrano in nessuno dei quattro casi. Mi è sempre riuscito abbastanza bene difendermi (quando ero ragazza e il tipo che voleva presentarmi un caporedattore mi aveva raccomandato di essere molto carina con lui, mi dileguai, e in seguito devo aver rafforzato un po’ la mia facilità nel fare la faccia cattiva), ma gli occhi li ho sempre tenuti aperti. Ho visto verificarsi, e spesso, almeno i primi due dei quattro casi elencati, ma ho visto anche nascere storie d’amore (e di grande amore) fra persone di diverso potere, storie che erano iniziate con “forse per ottenere quel che voglio devo andarci a letto” e “come me la scoperei volentieri”, per esempio. Storie dove la fascinazione verso il potere (di lui) era componente del desiderio. Storie dove la fascinazione verso la giovinezza e la mancanza di potere (di lei) erano ugualmente componenti del desiderio. Questo per dire che è molto difficile entrare nei letti degli altri, e che c’è una soglia dove ci si dovrebbe arrestare.
C’è un punto fermo, certo. Per le donne, è difficile essere “viste”. Intendo, con “viste”, essere prese in considerazione, in ambito professionale, per quel che sanno fare davvero: scrivere, progettare auditorium, sviluppare un videogioco, quel che volete. C’è una faccenda di corpo, prima, di desiderabilità e di disponibilità reale o presunta. Questo avviene da sempre e avviene ancora e avviene davvero. Avviene anche da parte di uomini gentili, corretti, femministi. Non sto dicendo che occorra soffocare il desiderio. Ma che nel migliore dei mondi possibili sarebbe bello se si riuscisse a vedere la persona, per intero. E poi, certo, desiderarla, e magari persino amarla. Ma avendola vista.
Non solo non nego il problema, dunque. Dico che è necessario e urgente affrontarlo, e mettere in atto tutto quel che è possibile per risolverlo: già, la famosa educazione sentimentale nelle scuole, la battaglia che abbiamo perso, fin qui, guarda caso, e l’abbiamo persa non solo perché esistono gli Alti Passeri del Family Day e tutti gli oltranzisti che minacciano i presidi e gli insegnanti quando provano a farla. Ma perché almeno una parte del femminismo stesso ritiene che non si debba fare perché il maschio è maschio e la femmina è femmina, o che sia molto più facile e comodo partecipare al #metoo. Il problema sono gli uomini e punto. Non le gabbie in cui tutti, donne e uomini, siamo costretti da secoli, e che non vediamo.
E adesso vi dico cosa non mi convince sulla narrazione collettiva delle molestie. Ci ho pensato a lungo (accidenti, sono in ritardo di tre mesi sulla discussione: mi pento, mi pento) e più ci penso più mi respinge la modalità con cui è avvenuta. I social, già. Ma non perché i social siano negativi, non perché esistano luoghi autorevoli e luoghi non autorevoli. Ma perché:
A)i social semplificano, per forza di cose. E questo è invece un discorso di enorme complessità. Perché esiste quella zona grigia, quella zona che non entra nelle quattro sopra (molestie, ricatto, aggressione, stupro), e quella zona attiene ai rapporti fra uomini e donne, ed è sfumata per forza di cose. Quando quella zona grigia entra in una narrazione social, viene inglobata dalle altre. Ed è pericolosissimo.
B) I social pongono in luce “noi” e non “l’argomento”. E non necessariamente nella direzione dell’autonarrazione che diventa collettiva. Non sempre, almeno. Non c’è nulla di male a mettersi in luce: ma occorre pur chiedersi quanto pesi la componente “entro nel trend topic” nel partecipare alla narrazione.
Qui, se permettete, faccio una digressione.
“Ancora dalla parte delle bambine” è uscito nel 2007. Mentre lo scrivevo, non pensavo a un ruolo per me: potete crederci o meno, naturalmente, ma questa è la nuda verità per quanto mi riguarda. Pensavo, semplicemente, che vedevo accadere attorno a me cose di cui non si parlava. Vedevo la trasformazione di un immaginario, che era quello che avevo attraversato nella mia giovinezza, in uno molto più antico, che non era mai stato, del resto, scardinato. Avevo bisogno di raccontarlo.
In questi dieci anni, anni di rinascita e di svanimento e poi di riaffermazione (spero) dei femminismi, ho visto molte cose. Ho visto donne partecipare con entusiasmo e passione al racconto e alla denuncia e alla lotta. Ne ho viste altre che si univano per un proprio vissuto doloroso: ma non tutte uscivano da quel vissuto per guardare avanti, e alcune volevano semplicemente esprimere un rancore non sopito. Ci sta, anche in questo caso, ma il rancore avvelena sempre il discorso collettivo. E poi ne ho viste altre ancora, non pochissime, usare i femminismi per proprio tornaconto: politico e mediatico. Ci sta anche questo, perché è non nella nostra natura ma nel nostro tempo, che ci impone di essere persone visibili e di successo, ci impone di essere leader di un blog, di un gruppo, di un social, di una formazione politica. Ma ha i suoi rischi: anche per chi decide di giocare a questo gioco.
Che c’è di male? Ma nulla, naturalmente. O meglio, il male è nel desiderio, non del tutto nostro, ma imposto, di sentirci al mondo solo se riconosciuti da una platea. E i social amplificano al massimo tutto questo.
Non sto dicendo che chi ha partecipato e partecipa al #metoo sia un egolatra, affatto. Sto dicendo che un’onda mediatica che diventa sempre più alta può offuscare anche le intenzioni migliori. E il rischio, nell’offuscamento, è esattamente quello di confondere la famosa zona grigia, quella delle relazioni fra uomini e donne, attribuendo alla parte maschile tutto il male.
Non è così. C’è una cultura maschile che sta cambiando, e cambierà ancora auspicabilmente. C’è una diseguaglianza gigantesca, ancora, fra donne e uomini nel mondo del lavoro, nelle cure familiari, negli stipendi, nella letteratura, nell’arte. Ma non è con la caccia al porco che si colma, secondo me.
Perché il bene e il male non appartengono esclusivamente a una parte. Quando si parla di letteratura fantastica, uno dei primi problemi che si affrontano è la questione del Male. Cosa sarebbe Il signore degli anelli se Frodo non dicesse, sul Monte Fato, l’anello è mio? Cosa sarebbe la saga di Harry Potter se nel protagonista non esistesse la stessa potenzialità malvagia che esiste in Voldemort? E’ fin banale: in una storia, non esistono bianco o nero. Ecco, nella vita ancora meno, perché le storie sono fatte delle nostre vite.
E dunque non è pensabile una rappresentazione dove il maschile sia il Male e il femminile sia il Bene. Le donne di potere che hanno commesso scempi sono meno numerose rispetto agli uomini, semplicemente perché le donne hanno meno accesso al potere. Ma ci sono state, eccome. E cosa dire del potere del materno, sempre più spesso evocato, sempre più spesso agito come minaccioso? Non esistono poteri buoni, diceva un tempo De André. Ecco, non esistono. E se è impossibile non esercitarli, dovremmo almeno riconoscerli.
Gli uomini non sono il male, le donne non sono il bene, e non sono fragili, anche se l’autorappresentazione rischia di andare in quella direzione. Possono persino, e anche questo non mi sembra di aver letto, esercitare lo stesso desiderio “predatorio” nei confronti di un uomo: perché le donne non sono soltanto e sempre umiliate e aggredite. Sono anche, libere, sessualmente parlando. E non di una libertà che viene garantita di un giudice. Perché quella libertà non è.
Continuo a pensare al meraviglioso intervento di Monica Pepe, in novembre, su quello che avremmo dovuto, potuto fare partendo dal racconto collettivo: “Avevamo una grande occasione. Avremmo potuto sederci attorno a un tavolo, uomini e donne, per ascoltare come eravamo, per vederci con gli occhi dell’altro e per capire fino in fondo chi eravamo. Confrontando dalle rispettive postazioni le nostre miserie e le nostre paure, gli egoismi e gli slanci avremmo scoperto l’altro”.
E penso, non posso fare diversamente, alla paura che ho io del meccanismo a cui assisto: non è quasi possibile tentare un distinguo senza finire dalla parte delle “nemiche delle donne”, senza sentirsi accusare di difendere il maschio padrone per proprio tornaconto personale, di essere ancelle del patriarcato (e per di più di essere intellettuali: già sentita, vero?). O di essere indifferenti, essere le egoiste che pensano ad altro invece di saltare, ora, qui, di corsa, sulla barricata.
Quale barricata, intanto? E quel salto dove vuole portare?
Abbiamo bisogno di tempo. Abbiamo bisogno di riflettere sulla qualità delle relazioni. Abbiamo bisogno di capire cosa stiamo muovendo, e con quale consapevolezza.
Io sento questa esigenza. Non per questo mi considero meno femminista. Non per questo mi sento indifferente. Non per questo mi sento colpevole. Rivendico il tempo, per tutte e anche per tutti (maledizione!) di capire cosa stiamo facendo e dicendo, e verso dove ci stiamo muovendo. Lo stigma generazionale (Deneuve è una vecchia pollastra, Melandri “ha una certa età”, Anna Bravo una maternalista di altri tempi), o partecipativo (non ci sei, dunque pentiti) e persino di genere, non mi appartiene, e l’ho contrastato in ogni parola che ho scritto, nella mia vita.
Per questo mi sono non indignata, ma lasciata andare alla costernazione quando ho letto della Carmen pistolera di Firenze: perché non basta cambiare un finale per cancellare un immaginario che ha raccontato le donne come vittime e le ha spesso predilette morte. Bisogna cambiare la mentalità nostra, e imparare a contestualizzare.
Ricordate la famosa frase di Furore di Steinbeck? “Vi ripeto che la banca è qualcosa di più di un essere umano. È il mostro. L’hanno fatta degli uomini, questo sì, ma gli uomini non la possono tenere sotto controllo”. Neppure il sistema dei media, specialmente da quando esistono i social, si può tenere sotto controllo. E, che lo si volesse o meno, una discussione indispensabile e fondante sul potere, sul sesso, sui rapporti fra uomini e donne rischia di finire malissimo, in un dalli al molestatore che non può portare da nessuna parte.
Potere, già.
Questa tristissima vicenda, lo ripeto ancora, è una vicenda di potere. Mi perdonerete se cito ancora Foucault, che per alcuni è divenuto oggetto di macchietta da social: “il sesso non si giudica solo, si amministra. Esso riguarda il potere politico. Richiede procedure di gestione” ( La volontà di sapere. Storia della sessualità 1). Quelle che vengono chiamate molestie dopo il caso Weinstein sono, più correttamente, forme pesantissime di ricatto sessuale, sono esercizio di potere. Il potere, nella stragrande maggioranza dei casi, è maschile. Il sillogismo, banalmente, ci porta a dire che i ricattatori sono uomini. Il che non significa che le pur poche donne che si trovano in ruoli di potere siano immuni dall’esercitare ricatto sessuale, e questo mi sarebbe piaciuto sentirmelo dire. E, insisto, dipingere le donne che hanno subito quel ricatto sempre e comunque come vittime è un errore per le donne: quel gioco di potere esiste, è noto, e va certamente combattuto. Ma non è mai stato sotterraneo. non sono certa che questo sia il modo migliore di renderlo esplicito.
Sto dicendo che se lo sono cercata?
No, mai e neanche un po’, posate le fascine. Perché da questa storia, tristissima, dovremmo trarre almeno due deduzioni.
Primo. La mia generazione ha perso.
Ha perso malissimo. Perché la mia generazione era quella che si illudeva che sesso e potere potessero essere scissi, e che il secondo sarebbe stato semmai combattuto con una gioiosa appropriazione (liberazione, si diceva allora) del primo. Non è andata così, come ognun sa, e l’uso del potere per ottenere sesso si è andato consolidando, semmai, come una pratica normale. Ma la condanna di quella pratica sta adombrando proprio quella libera espressione di sessualità. Mi rifiuto di pensare che non possa esserci sesso consenziente fra due persone che non hanno lo stesso potere. Mi piacerebbe poter pensare, anche, che, si smettesse di usare il potere per ottenere sesso: che è faccenda innanzitutto triste, per chi lo ottiene. Ma tanto.
Secondo. C’è una questione culturale irrisolta.
Che è quella maschile, e lo si sa, lo si dice, lo si ripete. Si è smesso, come ho scritto, di ribadire quanto sia importante l’educazione sessuale e sentimentale nelle scuole: e questa è una nostra sconfitta e una vittoria del moralismo di ritorno che ama le caselle (le donne e gli uomini, le vittime e i predatori, eccetera). Eppure è questo, o dovrebbe essere questo, il fine: far sì che gli uomini smettano di considerare normale usare una posizione di potere per ottenere sesso. Ma anche far sì che le donne smettano di considerarsi prede. O oggetto mediatico, che è faccenda non trascurabile (il “capitalismo emotivo” di cui parlava saggiamente Monica Pepe).
Proprio perché le molestie esistono, proprio perché la questione è reale, avverto un rischio nel #metoo, che pure ha potenzialità enormi, ma al momento non mi sembra essere la rivoluzione d’autunno delle donne: ma il trionfo dello spettacolo, che ogni cosa riassorbe e annienta, come sempre più spesso avviene.
Pensate che vicenda complessa: il potere delle relazioni, il potere dei social. Il successo nelle relazioni, il successo in tutto. Sembra Black Mirror. Ma è roba nostra. E se non la riconosciamo, ci ammazza.
Ps. Il titolo deriva da una poesia di Anne Sexton, Il bacio.

24 pensieri su “IL PASSO NEL FUOCO: UNA RIFLESSIONE SU #METOO

  1. Torno sul tuo blog dopo anni di latitanza a favore di facebook, cara Lips, perché hai perfettamente ragione che di questa discussione occorre lasciare tracce e pensarci bene a quello che si dice in un modo che i social ci hanno insegnato non avere. E quella che scrivo è una dichiarazione di, momentanea spero, impotenza.
    Perché io sono d’accordo assolutamente con tutto quello che dici, riconosco un sacco delle cose che ho letto e pensato in questi giorni. E perché questo fatto della tua generazione che avrebbe perso, io lo penso da quando ho 15 anni ma non è che sono in grado, ancora, di riuscire a metterci il dito sopra con esattezza. Io sono della generazione dei fratelli e delle sorelle minori – o dei nipoti grandi – quella dei qualunquisti cresciuti negli anni ’80, quelli che hanno figliato tardi e adesso si gestiscono dei preadolescenti, quelli dei primi progetti Erasmus che sono usciti fuori e hanno fatto conoscenza protetta a 20 anni di altri mondi possibili, scegliendo se e cosa adottarne o rimpiangerne per sé.
    E in qualche modo che finora non ho mai razionalizzato troppo abbiamo avuto partner forse come noi, con dinamiche che ci siamo illusi fossero diverse da quelle dei genitori e delle sorelle e fratelli maggiori. Abbiamo creato tra noi rapporti – con tutta la gestione interna del potere negli stessi – che volevamo diversi da quelli che vedevamo attorno a noi quando i preadolescenti eravamo noi. In qualche modo molti di noi nel loro piccolo mondo felice o infelice hanno cercato e forse trovato delle dinamiche nuove che sono riusciti a passare, si spera, ai propri figli (mi lascio ancora aperta l’opzione ormone impazzito che deve arrivare, ma ho fiducia).
    Per questo quando nel 2007 ero appena uscita dai pannolini e ho letto il tuo libro, è stata una mazzata in testa. Perché era tutto vero, riconoscevo tante di quelle dinamiche, e mi dicevo: ma allora non è cambiato niente? Ma allora queste mie creature ristanno punto e a capo e non serve niente a nessuno e, come direbbero ora le creature “we are doomed”.
    Non credo. La tua generazione con i figli, e la mia come i piccoli di casa, ha create delle avanguardie. Io oggettivamente le vedo da 30 anni delle dinamiche di coppia molto diverse, una accresciuta sensibilità a quei comportamenti che, se non ancora evidentemente riconosciuti e chiamati per nome come abusi di potere, quanto meno nel privato vengono visti almeno come grosse cadute di bon ton. Io semplicemente non me lo immagino, non l’ho mai sentito e non me lo sono mai sentita dire da un coetaneo una frase come quella del tuo capo in quel tuo esempio. Non ci vedo mio marito e i miei amici. Capisco che appartengo a una minoranza privilegiata, lo so benissimo che un sacco di gente della mia generazione questo passaggio magari lo sta ancora facendo, nel privato se non ancora nel pubblico. Ma credo di vedere e vivere cose diverse, e nel #metoo ci vedo intanto il grosso merito di aver messo queste cose sotto il naso, non mio, e tuo e dei nostri coetanei, ma dei nostri figli, anche quelli preadolescenti.
    Quei preadolescenti che mi colgono in una conversazione tra amiche: “Quel tipo, stai attenta, che una volta mi ha raccontato di un suo comportamento rattuso squallidissimo, come se fosse una cosa normale” e il quindicenne che salta fuori indignato: “Ma siamo pazzi, non è affatto una cosa normale” “Ah, hai sentito? Bene, mi fa piacere”. che mi chiedono: “Ma che per caso anche tu hai avuto il #metoo? E ti va di dirmelo? Ma comunque se non ti senti, guarda che lo capisco”.
    Insomma, non so se è che sono troppo immersa nel mommy-blogging con le sue aspirazioni di avanzamento delle famiglie e della prole, se non della società tutta, io questa zona grigia che descrivi tu la vedo benissimo e mi sono posta gli stessi dubbi. Ma possiamo anche dirci tranquillamente che alcune derive di tutta la discussione sono semplicemente frutto di una guerra di trincea di quelle frange a cui una discussione sul potere e i ruoli non conviene perché il potere verrebbe tolto a loro? Possiamo dire che il giornalismo italiano attuale, preso all’ ingrosso, non brilla per progressismo e lungimiranza e che quindi giusto sui social molti riescono a seguire discussioni? che è come farle al citofono, ovvio che si perda di complessità e sfumature. Ma io anche sui social e su internet ne vedo tante invece di riflessioni e discussioni che cercano la zona grigia, che provano a descriverla e definirla, e ripeto, continuo a considerarla un’avanguardia, ma penso anche lentissimamente certi equilibri di potere nella società e nel patriarcato stanno cambiando, che i ragazzi, e intendo quelli tra i 12 e i 25 anni, già vivono questi equilibri in maniera totalmente diversa da noi e che insomma, io le fila del discorso le tirerei volentieri fra una quindicina di anni e farmene sorprendere piacevolmente.
    Pur continuando a discutere ora, sui social, sui blog, di persona e ovunque si riesca. Perché sono discussioni che riservano sempre sorprese e danno briciole di fiducia.

  2. Sono riflessioni per me scontate, pubblicate e ripubblicate in Tabula rasa in questi anni. Spiace constatare che siano state ignorate.

    1. Cara Paola, temo che nulla sia mai scontato, a questo mondo. E, appunto, non si parlava di me o di te o di chi arriva prima. Si parlava dello stato delle cose. Che è importante di me e di te, no?

  3. Mi pare che l’argomentazione “entro in trend topic” possa essere valida anche per abbia voluto schierarsi dal lato opposto del #metoo. “Mi si nota di più..” diceva Moretti. #metoo mi è sembrata una gigantesca, infinita occasione di autocoscienza per tutti, preziosa ed opportuna. Poi la caccia alle streghe è naturalmente sempre un errore, i processi sommari di stampo maoista a cui capita di assistere fanno pensare, il modo in cui tutto ciò è diventato intrattenimento da prima serata ai Golden Globe può essere un pericolo. Amplificare e semplificare, disconoscere le mille sfumature di colore della “zona grigia”, d’accordo. Eppure: quante avranno trovato la forza ribellarsi al proprio destino di vittima proprio grazie a questo riflettore che si è improvvisamente acceso?
    E inoltre: pensiamo per un attimo a quanta parte dell’identità sessuale di un adolescente ( di qualunque età) si formi sulla base della pornografia di massa che è uno dei segni più presenti di questi tempi (insieme alla riproposizione social della qualunque…), di come la presunta realizzazione della propria vita relazionale sembri realizzarsi nella schema fisso di una infinita disponibilità sessuale (oddio, sono diventato un bacchettone…), che è il modo più ovvio di ribadire il legame, anzi, la sovrapposizione, di sesso e potere; e forse, dico forse, potremo continuare a ritenere che, con tutte le semplificazioni, e le approssimazioni, e il massimalismo di questi giorni di slogan, questo possa una impagabile occasione per porre in luce “l’argomento”.

    1. Andrea, personalmente non sono da alcun lato (e ti assicuro che si paga il non entrare nell’onda, altro che “mi si nota di più”, ma come sempre omnia munda mundis). Infatti, parlo di opportunità, enorme, che va colta.

  4. credo che il desiderio sessuale verso una persona (donna o uomo che sia) con meno potere o con più potere di noi esista e sia legittimo ma credo anche che questo desiderio sessuale non impedisca affatto di “vedere” l’altra persona. Si può “vedere” il bravissimo programmatore o programmatrice di videogame e al tempo stesso desiderare una storia d’amore/sesso con lui o lei. Mi sembra sacrosanto e giusto fare e tu lo fai nel post, un distinguo tra le storie d’amore tra persone di diverso potere e le molestie: nelle storie d’amore e di sesso il desiderio è reciproco e c’è consensualità; nelle molestie manca il consenso e anche il desiderio c’è solo sopraffazione. E sopratutto anche una donna può pensare, pensa e fa bene a pensarlo “Me lo scoperei volentieri” di quell’uomo con più potere di lei o con meno potere. Quello che non credo è che una grande storia d’amore possa nascere solo da un calcolo utilitaristico come “Forse per ottenere quello che voglio devo andarci a letto”, perchè se è nato l’amore c’era anche (non solo, ma anche) un desidero verso il corpo di quell’uomo o di quella donna, se è nato l’amore vuol dire che quella persona ti attizzava proprio per il suo carattere e per il suo corpo anche al di là del potere

  5. Non pensavo affatto a lei, che scrive dopo 3 mesi e propone obiezioni totalmente sensate e motivate. Chi ha stigmatizzato Asia Argento o altre con le più varie volgarità è altra cosa. La proposta di Monica Pepe deve rimanere all’ordine del giorno. Dell’intervento di Deneuve (e glielo dice un Truffauttiano di ferro) francamente, potevamo farne a meno. Come dei maschi appostati negli androni.

    1. Ah, ma quello, temo, fa parte di come si è articolata la discussione, o l’onda: se proponi dicotomie, ricevi dicotomie. L’articolo di Monica Pepe è uno dei più belli letti sull’argomento, ma di fatto è rimasto minoritario. Purtroppo.

  6. Condivido le conclusioni che posso condividere; per rispetto e per “presenza” in altre non ci posso “stare” – non è una critica, è un’esprimere il mio posizionamento.
    Rimango convinto che:
    – a qualcuno fa attualmente molto comodo che quella zona grigia rimanga tale, mentre potrebbe facilmente chiarirsi, e accadrà inevitabilmente mostrando l’ipocrisia chi la vuole difendere per i propri comodi;
    – i social rendono ipocrita quasi tutto, ed è per questo che la loro azione va contrastata con sano pensiero critico. “E’ uno sporco lavoro ma qualcuno lo deve pur fare”, e i risultati si vedono eccome;
    – non conosco un solo uomo etero che una volta che abbia provato a fare a meno di quella zona grigia che gli hanno raccontato fare tanto comodo, sia poi tornato indietro a usarla. Gestire autonomamente il proprio desiderio e il proprio piacere senza fraintendimenti aggiunge un gusto che “intender non lo po’ chi no lo prova”. Chi la usa, ripeto, è perché altrimenti non saprebbe ottenere neanche quella violenta finzione che invece ancora estorce.

    1. Ah, ma che la zona grigia faccia comodo è indubbio. Il problema è tenerla presente, sapere che esiste, e ragionare, come sempre, a monte. E però, se posso, non sempre la zona grigia è comoda, credo.

  7. Condivido pienamente e La ringrazio per questa riflessione. Alla fine per me il femminismo si dovrebbe focalizzare sul fatto dei diritti essenziali della persona a prescindere del sesso. E credo pure che ci dobbiamo concentrare sulla educazione della sensibilità. Piantarla con questa storia de noi contro di loro (in tutti i sensi, in tutti i casi).
    Mi piacerebbe tradurre questo meraviglioso testo allo spagnolo per diffondere un pensiero centrato, logico, chiaro, che mette -in qualche modo- fine a questa discussione sterile della vittima contro il predatore.
    Come La posso contattare?
    Grazie ancora!

  8. Uno dei testi più ragionevoli letti. Pongo però questi punti di disaccordo, più o meno marcato.
    A me pare di leggere una contraddizione tra la prima e la seconda parte del testo. Laddove nella prima parte si cerca di non tenere distinti maschile e femminile, bene e male. Mentre nella seconda la faccenda dell’uso del potere diventa faccenda maschile.
    “far sì che gli uomini smettano di considerare normale usare una posizione di potere per ottenere sesso” Che sia faccenda triste è un conto, che sia faccenda moralmente e civilmente inaccettabile un altro, e la frazione di questi giorni e il tuo articolo lo dimostrano. L’uso che una persona fa del suo potere è personale fintanto che non viola la legge. Riguarda gli uomini o semplicemente se potessero le donne si comporterebbero allo stesso modo? Se la tua generazione ha perso è perché si è posta obiettivi irrealistici. Inoltre le posizioni di potere per definizione sono minoritarie, la maggior parte delle persone, e degli uomini dunque, per il sesso ha poco o nulla potere. Al limite il ricorso alla prostituzione. Quello che non capisco è se attraverso l’educazione nelle scuole si vuole infondere alle persone il non voler esercitare il potere per ottenere sesso. Che è un po’ come voler educare i bambini a non cercare posizioni di potere. Per me è più realistico far sì che gli uomini di un certo tipo usino il potere per ottenere sesso entro i limiti del consenso.
    Sul vedere le persone per intero: anche qui, solo le donne non vengono viste per intero? A me sembra una cosa banale. Per vedere una persona per intero c’è bisogno di tempo e di sensibilità. L’innamoramento e il desiderio sono invece immediati e nulla hanno a che fare con la persona per intero. Quindi per quale motivo e come cambiare questo stato di cose? Più una donna è attraente meno è importante ciò che sa fare per un uomo. O lo si accetta o si dimostra che non è per forza così. Anche perché non capisco per quale motivo una donna abbia piacere a essere considerata per intero da un uomo che pensa soprattutto al sesso.

  9. Aggiungo, perché mi è venuto in mente dopo. Il tratto che mi trova più in disaccordo è questo desiderio che le persone si comportino tutte allo stesso modo. Se non si accetta che le persone hanno desideri e volontà diverse, e quindi quelle di usare il potere per ottenere sesso, e di conseguenza sesso per avanzare di posizione non si hanno poi neanche argomenti validi contro la deriva che descrivi.

  10. X asap
    alcune cose che dici sono interessanti ma mi rifiuto di credere che uomini e donne non siano in grado di provare anche molta attrazione sessuale verso altri uomini e donne e al tempo stesso non apprezzarli per ciò che sanno fare. Altrimenti vorrebbe dire che per apprezzare che ne so, il talento di qualcuno nel canto o nella cucina o nel progettare automobili dovremmo negare l’eventuale attrazione fisica che ci suscita, vorrebbe dire che possiamo apprezzare il talento solo se posseduto da chi non è attraente, io non credo sia così, per me almeno non lo è

  11. Cara Loredana, ti leggo e qualcosa non mi torna. Certo, la realtà è complessa, le relazioni sono molto complesse e ricche e fatte di tante cose: ma qui non stiamo, mi sembra, analizzando l’intero corpus di un legame o di un’interazione fra un uomo e una donna, stiamo mettendo a fuoco un solo, preciso aspetto, che è quello della sopraffazione. Un rapporto d’amore può benissimo contenere in sé abuso, a vari livelli: siamo appunto tutti immersi nella stessa cultura e tendo a credere che le relazioni sentimentali del tutto “pure” ed evolute dove la dinamica di potere e di sopraffazione non sia presente neanche in qualche traccia, per lo meno, nei giochi e dalle fantasie erotiche, sia davvero molto molto raro.
    E nemmeno stiamo dicendo che perciò ci dobbiamo tutti e tutte flagellare per i comportamenti e le pulsioni politicamente scorrette. Io non invoco l’autocensura. Trovo però utilissima la consapevolezza.
    Il fatto che nasca un amore non esclude che ci sia stata una molestia, e il fatto in sé che ci sia un rapporto di potere squilibrato non implica che questo potere possa essere usato in modo improprio. Io credo semplicemente che sia molto utile e prezioso evidenziarla, questa dinamica di potere, perché noi tutti, che spesso desideriamo ancora molto all’interno di questa dinamica, possiamo arrivare anche a rieducarci a desiderare ed essere desiderat* in altri modi.
    De-erotizzare l’abuso è veramente una cosa che a mio avviso avrebbe (e spero avrà) una ricaduta positiva sulle donne e sui rapporti a tutti i livelli.
    Sul fatto che i social creino mostri, sono invece pienamente d’accordo con te. Ma credo anche che al tempo stesso lascino, se si vuole, il tempo e lo spazio per recuperare la complessità. Anche i media tradizionali hanno sempre appiattito i discorsi, e poi però moriva lì, finito il clamore. Stavolta, invece, eccoci ancora qui a riflettere, a leggerci e a scriverci.

  12. X tullia
    Forse sbaglio ma dubito che un amore (autentico) possa nascere da una molestia cioè da qualcosa di non consensuale, e dubito che persone adulte possano modificare le proprie pulsioni corrette o “scorrette” che siano, e se queste pulsioni vengono realizzate tra persone consenzienti non occorre rieducazione

  13. buon giorno, la ringrazio per questa sua riflessione che ho letto dal post e perché l’ascolto a Fahrenheit. non mi preoccupa sia passato del tempo per questo suo intervento, almeno è più ragionato e meno da circo mediatico che abbiamo subito.
    gradirei una spiegazione su “la famosa educazione sentimentale nelle scuole,… gli Alti Passeri del Family Day e tutti gli oltranzisti che minacciano”…
    grazie
    G

    1. Salve. Perdono, avrei dovuto essere più chiara: gli Alti Passeri sono un gruppo di oltranzisti religiosi raccontati da Martin in Cronache del Ghiaccio e del Fuoco (da cui è stata tratta la serie Game of Thrones). Molto giustamente, in un fumetto di qualche tempo fa, Zerocalcare ha dato loro le sembianze dei leader del Family Day. Perché le posizioni, una di fiction e una reale, sono molto simili. Grazie a lei.

  14. Cara Loredana, mi sento di dirti solo grazie. Da anni penso quel che hai scritto ma non ero riuscito mai a sintetizzarlo come hai fatto tu. Ed è uno dei motivi per cui ho deciso di uscire dal volontariato attivo: faccio fatica a far fronte a quello che considero “fuoco amico” e mi sento depotenziato di tante armi di cui pensavo di poter disporre. Sì, le nostre generazioni hanno perso malamente le proprie battaglie ideali, ma non è questo il problema: il punto è che nel frattempo molte e molti di noi fanno danni, magari inconsapevolmente. Perché non “vediamo”. E poi non è neanche vero che tutti hanno perso: c’è chi ha vinto (eccome!) e chi pensa di aver vinto perché s’è comodamente accodato al carro dei vincitori… Forse la verità è che è dura perdere e saper perdere: parola di chi sta vivendo le conseguenze della “categoria E” a casa propria e con il concetto concreto di perdita sta facendo i conti da quando gli è arrivata la terribile notifica comunale. Ora si tratta di accettare l’aver perso senza sentirsi sconfitti.

  15. Gli Alti Passeri possono essere presbiti di qualunque religione.
    Tutti gli “ismi”, prima o poi, mostrano la loro bava reazionaria: la necessità di avere un nemico contro cui affilare le unghie.
    E fanno la fine di Procuste, autodistruggendosi nella diatriba fra estremisti e moderati.
    Il metoo sta dando indirettamente ragione a Kymlicka quando rispose alla Okin. Vent’anni fa.

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