Non entrerò nel merito dei contenuti dell’articolo di Pagina 99 che sta suscitando sorpresa (in negativo) fra tutti coloro che nel tempo hanno sostenuto la rivista. Mi limiterò a fornire alcuni link, e a invitare chi con i numeri lavora a portare qui le proprie opinioni e le proprie eventuali confutazioni.
Entrerò, invece, nel merito delle parole usate. Scrive dunque il nuovo direttore Enrico Pedemonte:
“Chi ama il politicamente corretto è pregato di voltare pagina. Nell’era di Internet molti cittadini vivono in una personalissima bolla ideologica e non sono propensi a mettere in dubbio verità consolidate, specie su argomenti sensibili come l’immigrazione, dove ciascuno coltiva granitiche certezze”.
Premessa terribile. Perché immediatamente marchia l’eventuale disaccordo non come portatore di altre argomentazioni e approfondimenti ma come schiavo di una categoria inesistente, quella, appunto, del politicamente corretto, che è faccenda volatile come il gender, utilizzata per amalgamare posizioni molto diverse in unica salsetta, che si presume dolciastra e insapore, mentre qui, lo si avverte, si amano i sapori forti. Non è faccenda da buonisti, insiste poco dopo Pedemonte:
“Larga parte della politica e della cultura progressista europea negano che esista un problema di competizione tra lavoratori nativi e immigrati e raccontano la favola non dimostrata dei lavoratori stranieri che svolgono ruoli che i locali non vogliono svolgere. Accogliere migranti in fuga dalle guerre e dai Paesi poveri è un problema umanitario a cui non ci possiamo sottrarre. Ma sul lavoro, come sulle differenze culturali, meglio raccontare la verità e cercare soluzioni concrete ai problemi che nascondersi dietro trucchi buonisti facile preda del populismo”.
Populismo e, appunto, buonismo. Eventuali contestazioni sono già annientate in partenza. “Abbiamo fatto il nostro lavoro” – incalza Marco Filoni su Facebook – “raccontare la realtà e cercare di analizzarla senza ideologie, preconcetti, pregiudizi”. Anche qui, il presupposto non detto è che tutti gli altri raccontino e analizzino sotto il filtro dell’ideologia, del preconcetto, del pregiudizio.
Curioso. Sulla stessa rivista, sotto la precedente direzione, si ragionava sulla stessa questione con ben altre parole. Le parole sono importanti, ci siamo detti e ripetuti in anni e anni (magari obnubilati dal nostro buonismo, vai a capire). In questo caso va riconosciuto che le parole di Pagina99 sono efficacissime, e seguono la scia di una serie di discussioni recenti e dolenti che riguardano la questione femminile: chi sostiene che i migranti siano “il” problema e che con questo dobbiamo confrontarci con animo consapevole e sereno, e non gonfiati di odio e semplificazioni, è “buonista”. E’ “intellettuale”. E’ “radical chic”. E’ “politicamente corretto”.
Come scrive Helena Janeczek su Facebook, a proposito del servizio di copertina:
“La sostanza tratta da una recente ricerca è che nei Pigs disastrati d’Europa, Italia inclusa, gli stranieri ruberebbero davvero il lavoro agli indigeni, mentre nel Nord ricco e laborioso si limiterebbero a pesare sul welfare, giustificando anche in tal caso l’aumento di xenofobia e razzismo.
Purtroppo all’articolista sfugge tanto quanto al popolo indigeno xenofobo e razzista che il “peso sul welfare” di un italiano nel Regno Unito o in Germania, per esempio, si deve al fatto che l’immigrato in questione paga le tasse e contribuisce al Pil nazionale, o vorrebbe tornare a assolvere a tutto questo non appena trova una nuova occupazione lavorativa.
Se invece in Italia esistono dei problemi più complessi, e feroci, di guerra tra poveri, personalmente non ho nulla in contrario che se ne parli con l’ausilio di dati, statistiche, ricerche, interpretazioni”.
Alcune di quelle ricerche sono rintracciabili, per esempio, nel libro di Stefano Allievi e Gianpiero Della Zuanna, Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione. Certo che il problema va posto, capito (non sarà, per puro caso, che in Italia si tende a dare lavoro a chi non ha tutele proprio per continuare a non dargliele? No? E’ buonista sostenerlo?). Ma farne un cavallo di battaglia per conquistare lettori “cattivisti” è qualcosa che fa male: alla rivista, certo, ma soprattutto al nostro bisogno, sempre più urgente, di parole non tossiche. E, certo, non semplificate.
Parere personale: chi usa la parola “buonista” intende stigmatizzare e delegittimare una persona che la pensa diversamente in particolare su un tema centrale come quello dell’immigrazione. E quindi chi usa quella parola senza senso non è una persona seria. Rispetto al contenuto: il confronto che viene proposto “cifre alla mano” con altri paesi europei è semplicemente ridicolo. Quei dati sono solo apparentemente omogenei. In Germania, in Francia e in Gran Bretagna non è stata smobilitata la grande industria. Lì gli operai esistono ancora. In Italia gli immigrati occupano i lavori peggiori come succede negli altri paesi, solo che in Italia gli operai qualificati non esistono quasi più (chiuse le acciaierie, le chimiche, le automobilistiche, le meccaniche…). I giovani italiani, come i giovani degli altri paesi, pensano di non aver studiato per andare a raccogliere i pomodori, accudire le mucche, lavorare di notte, pulire le strade, fare i camionisti senza orario… Piuttosto emigrano. L’unico ragionamento che guarda al futuro è la riconversione ecologica del modello economico.
Ottima analisi, in cui, da lettore e abbonato alla rivista mi ritrovo totalmente.
Il problema ora, formalizzata l’estinzione dell’abbonamento, è… dove trovare parole non tossiche come quelle che pagina99 aveva prima della nuova direzione?
Grazie!
Daniele
La ricerca del CER, di cui parla l’articolo, sicuramente sarà molto seria, come è nella tradizione dell’istituto. Chi si occupa di mercato del lavoro, difficilmente si sorprenderà che i migranti facciano concorrenza ai locali, le donne agli uomini, i giovani (precari) agli anziani (assunti a tempo indeterminato). Quarant’anni fa, facendo ricerca sugli italiani emigrati in Svizzera, constatavo che l’occupazione delle donne svizzere aveva subito conseguenze negative. E allora? Parliamone, magari senza enfatizzare accuse preventive di “buonismo” (sicuramente un errore di Pagina99), e avendo ben presente, però, che le migrazioni non sono “un pranzo di gala”, che sono qui per rimanere, e che bisogna trovare un modo umano per conviverci e farle diventare un’opportunità, per loro e per noi.
Suggerisco di andare alla fonte. Purtroppo non mi risulta che lo studio sia disponibile in rete, ma una buona sintesi si trova qui: https://www.britishcouncil.it/sites/default/files/programma_dati_pontignano_2016_0.pdf, nelle ultime due pagine del rapporto. Leggetelo: scoprirete che i ricercatori non hanno mai detto quello che dicono su Pagina 99 e che certe conclusioni vengono loro messe in bocca per supportare tesi precostituite. Ma non erano loro, quelli che non si facevano prendere la mano dall’ideologia? In questo caso, in effetti, potremmo più semplicemente chiamarlo livore.
Sono del parere che si possa ragionare dei problemi che una gran massa di persone che scappano da fame e guerra per forza di cose portano nei paesi in cui cercano rifugio solo con chi non ha il cervello farcito di preconcetti orientativamente xenofobi. Nel caso in questione ho dato un`occhiata all`articolo incriminato ravvisando dei limiti nella sintesi e nell`enumerazione delle statistiche. Auspico che serie politiche di integrazione riescano ad avviare percorsi virtuosi rilanciando nuovi e vecchi mestieri. E che le speculazioni nel campo dell`accoglienza di chi ha i titoli per contarci siano rase al suolo. Il tutto nella consapevolezza che non si possano confrontare situazioni di altre realtà nazionali con una fotografia
Scusate se mi cito, ma:
«La ricerca [del CNEL] Il ruolo degli immigrati nel mercato del lavoro italiano [che trovate qui] rileva che «per quanto riguarda quindi il rischio di disoccupazione, sembrerebbe di poter affermare che non c’è un effetto di concorrenza, e tantomeno spiazzamento, derivante dalla maggior presenza di immigrati» [p. 132]; parimenti, «non si rileva un effetto di spiazzamento ricollegabile alla presenza di immigrati sul territorio» [p. 137]. Tradotto: non è vero che la presenza dei migranti comporta una diminuzione dei salari per gli italiani, né che il lavoro migrante sostituisce quello “indigeno”, creando disoccupazione. Questo perché (semplifico) il migrante trova in genere lavoro in quelle posizioni di basso rango che l’italiano abbandona perché ha trovato migliori opportunità lavorative, e che non sono ambite da altri italiani (una fra tutte: le imprese che bonificano dall’eternit i nostri tetti); mentre in caso di licenziamento di un lavoratore italiano non vi è alcuna sostituzione, ma perdita del posto di lavoro.
È invece vero che esiste «un evidente differenziale salariale sulla base della cittadinanza: se un italiano riceve circa 1299 euro netti in media al mese, uno straniero percepisce appena 993 euro, circa il 23 per cento in meno» [p. 56]: e infatti la ricerca del CNEL individua «l’esistenza di uno stiky floor (pavimento appiccicoso), che tende a mantenere segregati nelle occupazioni meno retribuite gli immigrati, e di un glass ceiling, che limita l’accesso alle posizioni di carriera più avanzate» [p. 57].»
Dopo di che, a giudicare dal summary indicato da @Maurizio, il cuore della ricerca del CER sembra essere diverso da quello che l’articolo di “pagina99” pretende sia, e la conclusione di “pagina99”, per ammissione dello stesso autore dell’articolo, non è tratta dal rapporto. In attesa, com’è ovvio, di leggere per intero il rapporto CER, e verificare se e quanto approfondisce l’analisi del contesto italiano, come fa il rapporto CNEL che ho linkato.
Per completare il quadro. L’attuale direttore di Pagina99, Enrico Pedemonte, partecipava ieri alla presentazione del Rapporto Cer http://www.centroeuroparicerche.it/24-ottobre-presentazione-rapporto-cer-12016/ . L’articolo quindi ne costituiva oggettivamente il “lancio”.
In secondo luogo, ringrazio molto il precedente commentatore per la segnalazione della ricerca Cnel, istituzione inascoltata, ma non inutile, di cui forse in futuro sentiremo la mancanza. Mi limito però a dire che la ricerca risale al 2012, e che nella penultima pagina della “scheda di sintesi” si legge che 900 mila lavoratori stranieri troveranno lavoro nel decennio 2010-2020 (mentre l’occupazione degli italiani rimarrà invariata) e si inseriranno nelle professioni meno qualificate, in cui sostituiranno i lavoratori italiani, che troveranno spazio in quelle più qualificate. A parte l’aleatorietà della previsione, secondo me questo equivale a circoscrivere e limitare “la concorrenza”, non a negarla.