IL RITO DELL'INNOCENZA

Ieri sera, leggendo della polemica che contrappone Selvaggia Lucarelli (per questo articolo) al foltissimo (predominante su Twitter, anzi)  gruppo di giovanissime ( in maggioranza ragazze) fan di Justin Bieber e One Direction, mi sono venute in mente molte cose che vanno al di là dell’episodio in questione.
Per esempio, mi sono tornati in mente altri casi che hanno visto le adolescenti  farsi carnefici di altre. E’ successo su Twitter a ottobre ed è successo di nuovo nelle prime settimane del 2013: nella classifica delle discussioni più seguite sul social network entrano due hashtag, prima #letroiedellamiacittà e poi, in gennaio, #letroiedellamiascuola. Centoquaranta caratteri di pura rabbia, spesso con annesse fotografie della coetanea presa di mira: già, perché la discussione è stata, in tutti i due casi, ad altissima partecipazione femminile e minorenne (il secondo hashtag, quello sulle troie scolastiche, è stato lanciato da una ragazzina di terza media). Qualche esempio? “Le troie della mia scuola si fanno le foto quando nevica mezze nude. si siete trasgry”. Oppure: “cambiano foto trenta volte al giorno solo per avere più mi piace”, “si fanno foto bimbominkiose cn la sigaretta in mano e l’iphone5 anke se nn fumano x metterle su fb e avere i mi piace”, “non capiscono che la didascalia delle foto non serve x citare frasi poetiche che giustifichino le loro tette di fuori”, “si fanno mille foto agli occhi pubblicandole poi su facebook e scrivendo ‘ho degli occhi bruttissimi”, “si fanno le foto in pantaloncini corti e pancia scoperta quando fuori ci sono i pinguini”.
Troia è anche Flora, diciassette anni, massacrata di insulti su Twitter per aver vinto un biglietto gratis per un concerto. Era novembre, quando, se ricordate, Flora vinse tre biglietti omaggio per partecipare al concerto degli One Direction, a New York. Alla notizia della vincita, i tweet furono di questo tenore: “Devi morire”. “Fai un aerosol con il gas”. “Lavati con la benzina e asciugati con l’accendino”. A gennaio 2013, una quattordicenne di Pescara viene prescelta da Justin Bieber per salire sul palco: anche qui, il massacro. “Ti vorrei buttare giù dalle scale”. “Ti prenderei a sprangate”. La ragazza disattiva i suoi account. “L’abbiamo fatta cancellare da Facebook, siamo grandi”, esultano. Quando la storia diviene pubblica, uno dei tweet sarà: “CHE BELLO REGA’ TUTTE IN CARCERE MINORILE INSIEME! DISTANZA, VINCIAMO ANCORA NOI. SOFFOCO”.
Che sta succedendo? E perché le ragazzine stesse denunciano che chi è fan di Belieber o One Direction viene a sua volta insultato e aggredito? E dove? Nella vita reale o sui social?  Perché nella vita reale gli scontri fra giovanissime fan ci sono sempre stati, almeno a partire dagli anni Sessanta, e sono stati decisamente violenti. Ma qui il punto è un altro: i social, appunto, dove, per dirla con il vecchio Yeats del “Secondo Avvento”, Le cose si dissociano, il centro non può reggere E la pura anarchia si rovescia sul mondo, La torbida marea del sangue dilaga, e in ogni dove Annega il rito dell’innocenza. Cosa succede quando non la scuola, non i genitori, ma gli adulti che sono sugli stessi social network e di cui di certo le loro figlie e sorelle minori occhieggeranno qualche parola, si comportano peggio di loro?  Su un blog, ho trovato il commento di una delle ex bambine etichettate come “troie” su Twitter, solo perché “un anno fa ho accettato l’invito x un cinema….. La storia dura ancora lei era una mia amica lei ha la mia età”, e che dice amaramente: “In rete dovrebbero starci le persone mentalmente elastiche e intelligenti ( non parlo di studi) forse dovremmo dire educate…”.
Ma forse non è neanche questione di educazione. E’ che la rete così come è concepita attualmente vive di fiammate rapidissime di haters e di altrettanto veloce e apparente risoluzione dei contrasti. Megafono e insieme tritatutto: finisce una polemica, avanti un’altra.  Il punto è che tutto questo è permanente: una vecchia fan di Simon Le Bon o, prima ancora, di Mal dei Primitives, potrà sorridere di se stessa e dell’incomprensione di cui si sentiva rabbiosamente oggetto, o delle ferocissime invidie verso altre fan. Oggi se lo ritrova scritto, nero su bianco (e rischia di ritrovarselo  davanti per un bel pezzo, e che qualcuno glielo ricordi quando sarà un’adulta) e rivomitato dalle trasmissioni televisive del pomeriggio e di nuovo rivomitato sui social, in un atroce ouroboros.
Dunque? Dunque questo è un punto molto serio su cui indagare. Intanto, vi posto un brano del già molto citato Nell’acquario di Facebook, del collettivo Ippolita, che non mi stanco di consigliare.
“La diffusione capillare dei social network comporta dinamiche di esclusione che abbiamo già sperimentato con il boom dei telefoni cellulari. Se non hai un account su Facebook, non sei parte di una minoranza e basta: più semplicemente e radicalmente, non esisti, diventa difficile rimanere in contatto con gli altri. Tanto più se non si hanno relazioni precedenti al magico mondo dei social network, ad esempio per ragioni anagrafiche: gli adolescenti subiscono una pressione sociale più forte ad adottare in maniera esclusiva questo genere di strumenti. Fortunatamente sono spesso molto più smaliziati e competenti degli adulti nel gestirli, perché sono nati e cresciuti in un mondo digitalmente interconnesso, di cui conoscono luci e ombre per esperienza personale. Sfortunatamente, nel complesso non hanno alcuna memoria storica e ritengono erroneamente di essere completamente diversi dalle generazioni che li hanno preceduti, con problemi totalmente nuovi e strumenti completamente innovativi per gestirli e risolverli. Ma forse essere ridicolizzati sul proprio muro di Facebook non è così diverso dalle prese in giro che si verificano in qualsiasi gruppo di adolescenti a tutte le latitudini in tutti i tempi. Le questioni sociali sono innanzitutto questioni umane, di relazioni fra esseri umani, inseriti ciascuno nel proprio ambiente. Nonostante la pellicola luccicante degli schermi tattili, la civiltà 2.0 è molto simile a tutte le civiltà precedenti, perché gli esseri umani continuano a ricercare l’attenzione dei loro simili, ad aver bisogno di nutrirsi, di dormire, di intrattenere relazioni amicali, di dare un senso al mondo di cui fanno parte; continuano a innamorarsi e a deludersi, a sognare e a sperare, a ingannarsi e a derubarsi, a farsi del male e a uccidersi. In una parola, gli esseri umani devono fare i conti con la coscienza della finitezza del proprio essere nel tempo (l’incomprensibilità della morte) e nello spazio (lo scandalo dell’esistenza degli altri, di un mondo esterno), anche nell’era dei social network digitali. Ma come vedremo è davvero arduo mettere in pratica politiche adeguate nell’epoca della distrattenzione globale, in cui tutti sono talmente indaffarati a chattare, scattare, postare, messaggiare, twittare da non aver più tempo e nemmeno le capacità per coltivare relazioni significative.
Ad ogni modo, nonostante il corpo e il linguaggio rimangano i limiti condivisi dell’esperienza umana, una parte preponderante del mondo adulto tende ad abdicare a qualsiasi ruolo di comprensione e guida all’utilizzo consapevole delle tecnologie digitali. Forse intimorite dalla sensazione di non essere all’altezza, dal giovanilismo rampante di società gestite da vecchi rifatti, molte persone rifiutano di sporcarsi le mani con le tecnologie digitali, soprattutto con quelle a maggiore implicazione sociale, rinchiudendosi in una sorta di scoraggiato «io non ci capisco nulla» che sconfina spesso nel luddismo di chi proprio non vuol sentir parlare di internet e dintorni. Questa percezione di assoluta novità è corroborata dalla nefasta categoria dei tecnoentusiasti, in questo caso fautori dell’internet-centrismo per cui ogni cosa è destinata a passare da internet, dalle relazioni interpersonali agli acquisti, dalla politica locale a quella internazionale, dalla salute alla formazione. L’internet 2.0 sarebbe la realizzazione online di un mondo perfettamente democratico, in cui ogni netizen (net citizen, cittadino della rete) contribuisce al benessere comune, innanzitutto in quanto consumatore”.
Come sapete, non è così.

15 pensieri su “IL RITO DELL'INNOCENZA

  1. Rispetto alla riflessione che fai in chiusura mi sento di dire che purtroppo scontiamo ancora una forte immaturità nel dibattito sulla tecnologia. Immaturità che appunto si rispecchia nella polarizzazione degli atteggiamenti tra il neo-luddismo e il tecno-entusiasmo.
    Sono entrambi i segni che un pensiero critico della rete che sappia muoversi in maniera equidistante tra la ricognizione dei problemi e la capacità di prefigurare soluzioni non è ancora un patrimonio condiviso.
    Dovremmo cominciare a riflettere, in modo aperto e partecipato, sui modi in cui la nostra esperienza del mondo viene formattata da questi nuovi media di massa.

  2. El Pinta, un milione di grazie. E’ esattamente quello che intendo: a cinquant’anni da Apocalittici e Integrati siamo ancora a quella polarizzazione. E corriamo rischi maggiori, peraltro, rispetto a mezzo secolo fa.

  3. Per me e’ stata molto utile per capire scientificamente cosa ci succede ( soprattutto cosa non succede) dentro di noi quando reagiamo davanti a un computer la lettura di un libro (La tirannia dell’Email di John Freeman) . Quando ci vediamo di persona agiscono dentro di noi dei meccanismi che ci impediscono di reagire violentemente, faticosamente elaborati negli anni per sopravvivere e che ci limitano nel dare un pugno o nell’insulto al nostro interlocutore ( che pur, magari, ci affiora nella mente, ma ci mordiamo le labbra).Davanti a un computer tali reazioni non partono perche’ non vediamo l’interlocutore.

  4. Io credo che l’aggressività descritta nel post sia una delle conseguenze del processo di “identificazione di massa” prodotto dai social identitari come twitter e Fb. Gli adolescenti sono le prime vittime di tale processo perché vivono la costruzione dell’identità e soprattutto dell’identità corporea (come si vede dagli esempi del post) in modo più problematico. La ricerca, soprattutto ansiosa, dell’identità ha purtroppo il lato oscuro, razzista e violento che anche su altri livelli tutti noi conosciamo.

  5. A me il pezzo della Lucarelli sembra un po’ ironico e anche autoironico.
    Forse il problema sta nella Lucarelli che usa un'(auto)ironia non abbastanza incisiva e nelle Belieber che non mettono il pezzo in prospettiva nostalgica thirty-something.
    Comunque Belieber è un nome fantastico secondo me.
    Per il resto d’accordo sul discorso cyberbullismo femminile e apocalittici e integrati.

  6. Interrogarsi sul perché di questa aggressività significa anche e soprattutto interrogarsi su come funzionano questi servizi in cui mettiamo molto di noi stessi.
    Tommaso dice bene quando parla di un processo di “identificazione di massa” che avviene sui social. Questi servizi sono specchi in cui ci riflettiamo e costruiamo la nostra immagine allo stesso tempo.
    E lo facciamo usando un set di azioni che predeterminato dall’infrastruttura che utilizziamo.
    Spesso queste azioni sono basate su meccanismi di risposta senso-motoria (segnale-check-azione) resi possibili dal tempo reale sempre differito che è la dimensione temporale propria dei social.
    Su FB ad esempio non esiste altra possibilità per esprimere il dissenso che non sia il commento.
    Da parte degli sviluppatori penso sia prevalsa l’idea che gli stimoli negativi vadano argomentati nei commenti. Ma probabilmente hanno sottovalutato il modo in cui il circuito azione-reazione restringa i tempi di elaborazione del pensiero.
    Serve una certa consapevolezza per rendersi conto del modo in cui l’infrastruttura determina i nostri comportamenti e abbastanza distacco per poterla abitare senza correre il rischio di intasarsi nelle sue strettoie.
    Purtroppo a me pare che anche in questo caso si stia sottovalutando tutto questo, rinunciando al necessario processo di alfabetizzazione.

  7. Totalmente d’accordo con El Pinta. Da teorico, per me la questione diventa proprio la strategia migliore per comprendere le dinamiche di identificazione. La strada che sto percorrendo ultimamente è quella di allargare il campo e marcare “strane” corrispondenze. Per esempio, ho accostato in un mio lavoro l’identificazione di Fb alle pratiche (opposte) di “disidentificazione” attuate dall’arte contemporanea. Recentemente ho inserito la costruzione dell’identità corporea su Fb all’interno di un più vasto processo di “body building”. Insomma, credo la questione nel suo complesso diventi più chiara quando mettiamo insieme ciò che viene tenuto separato, uscendo dall’implosione del suo mondo

  8. ieri stavo pensando a quale film dell’orrore è rappresentativo della generazione che (non)ci viene dietro:tutta la vita davanti(benchè non riesca a non pensare senza brividi alla scena del caimano in cui si vede Orlando nel suo cinema mentre sul palco girano una televendita )

  9. Concordo su tutta la riflessione e perdonate l’ot. Ma quoto Biondillo e rincaro. Il post della Lucarelli è non solo spocchioso, ma ha qualcosa di peggio, uno sperequare sull’asimmetria generazionale tutto inutile. Giacchè insomma solo lei a. non si voleva scopare Simon Le Bon, b. solo lei non si accorgeva che tra Bibier e lui non corre nessuna differenza, entrambi come prima cosa ti chiederanno come sta il gel sui proprio capelli. E un commentino sul sessismo implicito nel ah perchè non correte dietro a sto figo che le donne se le sceglie su Vogue? Ahò.
    Questa spocchia indicibile, questo complesso di superiorità verso un’età che per statuto, spesso e volentieri implica l’innamoramento del narcisismo altrui, per cui è un fatto i più fichi e le più fiche sono delle icone dell’idiozia, è veramente mediocre, e il mio giudizio si ferma li. Capisco però che se fossi stata una di quindici anni a cui mica Rita Levi Montalcini nevvero, ma quasi una sua pari si rivolge in questo modo, mi sarei veramente risentita.
    Capisco che naturalmente il tema è un altro. Capisco che le reazioni sono state fortissime ed esagerate, e che tu parli di altro. Però insomma.

  10. Certo sfottere ragazzine dall’alto della visibilità di un quotidiano nazionale per ridicolizzare modelli estetici non abbastanza machi, non è come augurare la morte. Ma neppure una gran esempio di scambio costruttivo, considerato che lei dovrebbe essere l’adulta.
    (no che poi, per fare l’amarcord, il compagno di scuola che deride i Duran per l’abuso di meches, ombretto e lucidalabbra è pure un classico degli anni ’80)

  11. premesso che a me piaceva Miguel Bosé, un metrosexual antelitteram (altro che Tom Cruise!)….e sono anche “precedente” alla Lucarelli
    il problema non è tanto la reazione ad un pezzo come questo, palesemente congegnato per provocare fuoco e fiamme.
    Il problema è che ora come ora su Fb anche se dici “è una bella/brutta giornata” rischi di farti dei nemici.
    quanto allo specifico dell’insulto sessual/sessista, è tanto che le amiche insegnanti mi riferiscono che è moda tra le giovanissime, quindi non lo legherei alla rete se non di riflesso.
    In rete mi ha turbato di più veder litigare in malo modo donne che tempo fa erano allineate su obiettivi comuni.

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