IMPERO

Giusto ieri, stavo facendo ricerche per un breve libro che sto scrivendo, e le ricerche riguardavano l’uso di strumenti di controllo dei lavoratori. Strumenti che, in diverso modo, ne monitorano i movimenti e ne misurano l’efficienza. I casi segnalati non sono pochi: in alcuni si tratta di proposte poi respinte (gps negli elmetti  e negli scarponi degli operai richiesti da Fincantieri, il braccialetto vibrante desiderato dalla catena di bricolage Obi), altre sono prassi non solo in Italia (i famigerati braccialetti imposti ai lavoratori dei magazzini Amazon.)
Non molto tempo fa, inoltre,  Paul Krugman ha fatto un’interessante riflessione sull’AppleWatch, scrivendo: “Sono convinto che i dispositivi indossabili diventeranno molto presto diffusissimi, ma non per consentire alle persone di guardarsi il polso e imparare qualcosa. Il loro scopo sarà esistere perché l’onnipresente rete di sorveglianza possa vederli e offrire loro qualcosa”. O magari  controllarli, avverando così la vecchia profesia di Bentham con una versione gradevole e anzi desiderata del Panopticon o quella, più recente, di Toni Negri e Michael Hardt con Impero.
Mi sono dunque chiesta quanto abbia di apocalittico temere che questo sistema di sorveglianza sia già in atto, nel momento in cui volontariamente affidiamo ogni giorno pensieri, stati d’animo, prese di posizione alla rete.
La domanda, me ne rendo conto, suona drammaticamente ingenua e fuori tempo, ma provo a spiegare perché sento l’urgenza di riproporla.
Quando ho aperto questo blog, nel 2004, l’ho fatto, similmente ad altri, per condividere gratuitamente e quotidianamente testi e discussioni che non avrebbero avuto senso sulla carta: vuoi perché non necessariamente interessanti dal punto di vista della notizia, vuoi perché quei testi, riguardassero la letteratura o la cultura o la società o la politica, chiedevano il contributo della discussione. Come ognun sa, le cose sono fortemente cambiate con i social: la discussione si sposta su Facebook, sia pure sotto lo stesso post pubblicato qui, o prende altre forme, più rapide, su Twitter. E mi si perdoni la sintesi.
Ma in tempi più recenti le cose stanno cambiando ancora. C’è un episodio di cui non spetta a me parlare, e che verrà diffuso da chi ne è stato protagonista nei prossimi giorni in altro blog (ve ne darò notizia quando avverrà, naturalmente, ma per rispetto non aggiungo altro) che fa un po’ da spartiacque. Perché in questo caso si tratta della risoluzione di un rapporto di lavoro per aver preso una posizione diversa da quella del datore di lavoro medesimo.
Stiamo parlando di opinioni, non di giudizi sull’azienda in questione. In questo caso, non sarebbe nè il primo nè l’ultimo episodio. E, sempre in questo caso, esisterebbe una legittimità, sia pur amarissima: se lavoro per un’azienda ritengo corretto non attaccarla o deridere i miei colleghi nei miei spazi che sono certamente privati ma pubblicamente leggibili. E’ l’antica e non rispettata prassi della responsabilità della parola pubblica, di cui spesso si è discusso.
Stiamo anche parlando di opinioni espresse correttamente e correttamente argomentate. E qui arriva la prima contraddizione. Come è arcinoto, la questione della libertà di espressione viene evocata spesso nei confronti degli insultatori. Per insultatori intendo coloro che si esprimono in modo pesantemente offensivo (“Ma chi ti credi di essere? Sono le caldane della menopausa a darti questo nervosismo?” è l’ultimo epiteto in ordine di tempo ricevuto dalla sottoscritta su Facebook questa mattina: ed è uno dei più gentili). Da quanto mi risulta, nessun insultatore ha mai ricevuto sanzioni dal datore di lavoro per il linguaggio usato. Anzi, ne hanno trovato uno: perché  alcuni degli insultatori seriali, con linguaggio appena più forbito del signore di cui sopra, sono o stanno diventando collaboratori di testate prestigiose in quanto ritenuti arguti, divertenti, urticanti, brillanti. Anche se passano il tempo a sbeffeggiare (specie le donne e le femministe, ma qui si aprirebbe un altro capitolo) e invocare ed effettuare gogne. Più insultano, insomma, più sono richiesti.
Ma se chi, invece, esprime un parere argomentato, pacato e personale su una questione sociale rischia il licenziamento, che tipo di libertà è esercitabile su un social? E quanto l’account di cui si è titolari, dunque, diventa braccialetto di sorveglianza? Quale possibilità di movimento si va a delineare, a questo punto? Quanto ci sentiremo inconsapevolmente spinti a esprimerci nel modo più superficiale e lieve possibile per autotutelarci?
Non ho risposte, evidentemente. Ma preoccupazione sì, e molta.

16 pensieri su “IMPERO

  1. hai messo il dito su una piaga antica … mi fai tornare in mente il peggiore Ferrara ed il primo Sgarbi …. ma l’elenco potrebbe essere lungo , ma anzichè essere emarginati questi signori e signore penso a quasi tutte quelle di forza italia sono richiestissimi perchè producono ascolti oltre a disinformazione :siamo una società malata

  2. L’informazione diffusa crea un problema di privacy, non c’è dubbio. Ma anche il mondo dell’informazione vaga, però, ha i suoi inconvenienti, pensiamo solo allo strumento più diffuso per vivere in un mondo del genere: lo stereotipo. Gli effetti collaterali non sono sempre piacevoli.

  3. @Type
    Iniziare con “Ma lei ci è o ci fa?” non è un modo efficace per introdurre un post in cui si voglia smentire l’esistenza degli insultatori. Si criticano gli argomenti, non le capacità cognitive degli interlocutori.

  4. Forza, Hommequirit, ci stupisca: torni a firmarsi con il suo storico nick, ne abbiamo nostalgia!
    P.S. “legittimo”, non “leggittimo”. Sa, la padrona di casa è snob, magari la banna se continua ad esmprimersi così.

  5. Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno: più controlli sul lavoro, meno sprechi, meno rendite, più assunzioni (UPS è un caso di scuola).
    Ma soprattutto più opportunità per quei soggetti con “profili a rischio”: senza la garanzia di controlli a loro magari non verrebbe mai concessa una chance lavorativa.
    E le telecamere sull’auto degli agenti di polizia? Hanno ridotto di parecchio i comportamenti “dubbi” e a me non dispiace. E’ giusto infatti vedere la cosa anche dall’altra parte, ovvero quando i danneggiati dall’azzardo morale potremmo essere noi.

  6. Tovo particolarmente odioso liquidare come ‘hater’ chiunque esprima posizioni non in linea con quelle ritenute ‘lovely’ dal titolare di un blog.

  7. L’insultatore ha successo… I sopra citati Sgarbi e Ferrara docent, e si potrebbe risalire più indietro.
    Quanto all’essere sempre a vista (in quanto controllati o di propria iniziativa), “Il cerchio” di Eggers configura una prospettiva realistica. O una realtà già in atto?

  8. se si qualifica pubblicamente hqr come “pericoloso” bisognerebbe produrne pubblicamente le prove. Altrimenti si accusa indebitamente una persona, negandole anche la possibilità di difendersi.
    Io stessa sono stata definita un'”hater pericolosa” solo perché critico il femminismo di terza ondata ovunque me lo facciano criticare.
    Se però si hanno prove conclusive che la persona di cui si parla sia pericolosa, il discorso cambia e diventa di competenza delle forze dell’ordine.

    1. Cara Diana, e Marco Amabile: torno per l’ultima, definitiva volta sulla vicenda. Hqr è già stato diffidato per vie legali da altre blogger, e dopo la diffida ha smesso di importunarle. E’ un hater, specie nei blog tenuti da donne. Punto. Non ho intenzione, per ora, di seguire la stessa via, ma non escludo di farlo se insiste. Con questo, pregherei di chiudere l’OT. Grazie. Anche perché la funzione del troll, come si vede, è sempre quella: distogliere l’attenzione dall’argomento del post e riportarla su di sè. E francamente dei narcisismi patologici ho piene le tasche. Nessun blogger è lo psicanalista di nessuno.

  9. @Marco Amabile:
    un blog è uno spazio che ci viene offerto da chi lo apre; è evidente che chi lo apre ha tutto il diritto (in qualche caso persino il dovere) di decidere chi bannare e perché. Hommequirit (traduco dal francese: “uomo che ride”, di che?) si è sempre comportato come un troll e raramente ha espresso con pacatezza le sue posizioni dissenzienti. Quindi… a lei le conclusioni.

  10. Si può obiettare che l’etichetta di ‘troll’ o ‘hater’ torna sempre comoda per un blogger che pretende l’esclusiva dell’attenzione sui propri assunti. Chi è, dunque, il vero narcisista? Inoltre: se ‘odiatrice’ professionale è persino Diana Corsini, non si vede come chiamare i trafficanti di uomini nel Mediterraneo.

    1. Marco Amabile, se un blogger posta qualcosa, forse lo fa per discutere di quello, non della personalità dei commentatori, che ne pensi? Per quella ci sono ottimi professionisti, anche non costosi. Quanto a Diana, non mi sembra di averla definita odiatrice professionale. Ho criticato semmai alcuni riferimenti personali del passato che mi hanno ferita, ma, appunto, è roba vecchia, eh. E adesso, gentilmente, si torni all’argomento del post: che col narcisismo entra pochissimo, ma riguarda una questione non da poco sull’uso della rete. Se non ti interessa, pazienza.

  11. cara loredana, grazie infinite della precisazione e del fair play dimostrato. Cercherò di non venire più qui a rompere le scatole col mio antifemminismo.
    diana

  12. @Marco Amabile, io odio solo i capelli di Loredana. Per invidia.
    Ma che solo io c’ho l’alopecia androgenetica????
    donna in menopausa

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