INTERLUDIO: UN RESOCONTO E UNA QUESTIONE DI LESSICO

Piccolo interludio prima di riprendere con il Passo Tre. Nel pomeriggio di ieri, insieme a Lorella Zanardo, ho partecipato a una riunione con Se Non Ora Quando sulla violenza contro le donne. Incontro lungo e profondo, condotto su un doppio piano: pratica e immaginario, azioni concrete e ricerca di cause/origini/detti e non detti. O meglio, come ha suggerito una delle partecipanti, di tutto ciò che è così nascosto dentro di noi che non è quasi più possibile vederlo.
Riunione interlocutoria, dunque, dove sono state prospettate sia iniziative nazionali sia azioni continuative, sia interventi culturali che politici.  E, aggiungerei, lessicali. Il linguaggio con cui nei media si parla di violenza non è affatto faccenda secondaria, come ricordava Lorella citando le molte iniziative che vengono prese, per esempio, da chi si batte contro il razzismo.
A proposito di lessico. Da una mail appena ricevuta, scopro  che due giorni fa,  su Rai Uno, ci si riferisce al movimento delle donne come a un gruppo di suffraggette e nazifemministe.  Peraltro, temo, squalificando fortemente la discussione sulla paternità, che pure è urgentissima. Lessico, appunto.

11 pensieri su “INTERLUDIO: UN RESOCONTO E UNA QUESTIONE DI LESSICO

  1. Se Timperi usa parole così forti come “nazifemministe”, per molti inaccettabili, ci saranno altri che ne useranno di diverse in contrapposizione.
    Per me non esiste il problema.
    E’ la libertà di espressione.
    In ogni caso preferisco questa sincera brutalità all’ipocrisia (mi pare tra l’altro che Timperi abbia una storia personale piuttosto dolorosa).

  2. Rita, le storie personali e i discorsi pubblici dovrebbero rimanere separati. Del resto, mi sembra che si tenda a confondere libertà d’espressione con libertà d’insulto, negli ultimi tempi. E, anche qui, una separazione sarebbe opportuna.

  3. A me perplime un po’ il “nascosto dentro di noi”. Sono molto contenta che si parli di qualcosa di concreto. Ma nel momento in cui si parte con il nascosto dentro di noi, c’è un forte rischio di retorica e di mancanza di discernimento. Se non si comincia col chi si e chi no, dove di più e dove di meno per quali casi e in quali costellazioni di fenomeni, alla fine si fa un intervento certamente positivo, ma generico e troppo debole. Ossia, nella nostra contestualità che non è quella del centro Africa, i cambiamenti non si producono negli stessi modi, e sospetto che in termini di violenza sulle donne sia ben lungi dalla sufficienza. Parere personale.

  4. Beh, quasi tutti i thread di Lipperatura sul tema gender mi fanno pensare:”questo linguaggio è da segregazione sessuale…”.
    Non è che voi (Loredana e le persone che riesce a coagulare) siete immuni da un discutibile uso del linguaggio. Chiaramente il linguaggio si riflette sul modo di intendere le cose. Poi certo, ciò che fate è importante e lo fate in tante poche che non si può non darvi una mano.

  5. Sì, è vero, la libertà di espressione non è uguale a quella di insulto.
    Ed è anche vero che sarebbe bene mantenere separati i problemi propri dal proprio ambito pubblico quando si è personaggi noti.
    E infine, non conosco bene Timperi e solo per sommi capi la sua vicenda; solo una volta l’ho sentito parlare di queste questioni private e mi aveva colpito la sua sofferenza, per questo posso capire, se non giustificare, un linguaggio di questo tipo.

  6. Dunque, s io vado ospite in un programma televisivo ed uso appellativi ingiuriosi, insultanti e calunniosi, vado incontro a qualche eventuale sanzione o no? E Timperi viene trattato nello stesso modo in cui verrei trattata io o no?

  7. Credo che soffermarci su Timperi sia riduttivo. Sulla questione del linguaggio porto avanti una piccola battaglia da tempo, naturalmente scrivendone o dicendo la mia quando c’è occasione. I media nell’ultimo decennio hanno fatto proprio un linguaggio comune, un linguaggio da bar che è entrato in tutti gli ambienti. Faccio qualche esempio. “Gnocca”. Di una donna non si dice bella, ma gnocca. Fica, stessa cosa. E potrei andare avanti. Tant’è che perfino alcune donne utilizzano questo lessico considerato ormai popolare. Credo che dietro le parole c’è un mondo. E c’è una cultura. Il fatto che si ritorni a parlare di donne stuprate consentendo ad avvocati di usare la parola consenziente come arma di difesa mi sembra da brivido. Come lo è quando la Litizzetto, donna simpaticissima per carità, che per fare spettacolo usa questo linguaggio. Della serie “a lui l’ha data” riferendosi a una fanciulla che ha accettato una relazione sessuale con un maschio. Detto questo non ho mai sentito espressioni lessicali di questo tipo riferite ai maschi. Il che lascia intendere che siamo tornati molto indietro sul piano della civiltà dei rapporti. Che si faccia spettacolo, che si parli al supermercato, o alla televisione

  8. concordo con stefania nardini completamente, tranne che sul giudizio sulla Littizzetto, ovvero la mediocrità fatta “comica”.
    Un’altra frase che da anni è entrata nel linguaggio comune e che tuttavia mi infastidisce ogni volta: fare sesso.

  9. Non mi sorprende troppo, dato che Rai 1 ha di fatto sponsorizzato il libro “Sposati e sii sottomessa” nella loro classifica dei libri dell’anno. Ci sarà anche la storia personale ma chi si ricorda del servizio sulla corsa in tacchi a spillo mentre la manifestazione SNOQ è stata platealmente snobbata? Direi che in Rai entra soprattutto la linea editoriale.

  10. @stefania nardini, d’accordissimo, ma il discorso partirebbe da premesse troppo lontane rispetto ai baratri in cui ci troviamo: io sono stata adolescente in un’epoca in cui tra le donne del femminismo si discuteva sul mettere al bando le “parolacce” in quanto maschiliste, cioè in quanto originate da una matrice culturale maschilista. Personalmente la penso ancora così, mi pare come te, ma vaglielo a spiegare a tutte le persone che si son adagiate nel linguaggio imposto dai media imbonitori.

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