Era il 1993. Isabella Bossi Fedrigotti firmava per il Corriere della Sera questo articolo:
“Sono circa trecento le donne editrici in Italia e il numero comprende sia quelle che hanno cominciato dal nulla, creando una casa in proprio, sia quelle che l’ hanno ereditata, da un padre o da un marito. Ovvio che le prime si sentano diverse dalle seconde, editrici per scelta contro editrici per caso e per testamento. Sono per lo più, le prime, piccole case raffinate che, per sopravvivere, hanno cercato di specializzarsi: in carteggi, per esempio, Rosellina Archinto, in scritti di donne la “Tartaruga” di Laura Lepetit, in narratori scandinavi “Iperborea” di Emilia Lodigiani.
Tutte insieme dunque sono trecento, spesso giovani, non sempre forti: il numero infatti oscilla in continuazione, non più soltanto all’ insù come qualche anno fa quando di piccole case ne nascevano in continuazione. Al salone di Torino, che apre oggi, ci sono circa centosei editrici contro ottocento editori. Ventidue di loro, accomunate dal fatto di pubblicare esclusivamente scritti femminili, sono riunite nel gruppo e nello stand “Parola di donna”. Decana in Italia è stata Rosellina Archinto, che nel 1963 ha fondato la “Emme edizioni” e che, per la sua ormai lunga militanza, riceverà domani il “Premio editore donna” assegnato dallo Zonta Club di Pinerolo. “Quando ho incominciato mi guardavano come una bestia rara. A quei tempi le signore che volevano lavorare facevano le Pr o aprivano una boutique. Dopo di me ne sono venute innumerevoli altre perchè era il momento in cui le donne si affermavano nelle professioni. Fanno le poliziotte e le pompiere, dunque anche le editrici, nient’ altro. O, forse, c’ è dell’ altro. C’ è che abbiamo una certa sensibilita’ per i libri, per i bei libri, per le immagini, le copertine. Mi sembra insomma un lavoro molto adatto a una donna. Del resto mi vengono in mente certi grandi scrittori stranieri che spesso hanno qualcosa di femminile… E poi c’ è che ci siamo tutte quante rivolte verso un’ editoria di qualità , per niente commerciale, probabilmente perche’ chi tra noi ha lo spirito commerciale preferisce aprire appunto una boutique”.
Qualcuna peròè più viscerale e non si accontenta della generica teoria dell’ avanzamento femminile nei mestieri maschili e quindi anche nell’ editoria: trova quindi qualcosa di predestinato nel rapporto tra le donne e i libri, il fare libri anzi. Laura Lepetit della “Tartaruga” per esempio rivendica per la sua categoria professionale un certo carattere materno, creativamente materno. “Per fabbricare un libro ci vogliono cure e pensieri come per un figlio, bisogna inventarlo, prepararlo, seguirlo fino a che esce di casa e poi trepidanti seguire i suoi successi o insuccessi: un lavoro perfetto per una donna”.
Ancora più radicale nell’ attribuire all’ editrice compiti materni è Elvira Sellerio, fondatrice di una delle quattro case palermitane in mani femminili (assieme a “Sellerio”, “La Luna”, “Novecento” e “Gelka”). “Il nostro è un mestiere di servizio, da fare con umiltà, , in stretta connessione con la tradizione oblativa delle donne. Siamo, per così dire, al servizio della genialità dello scrittore, simbolicamente maschio anche se poi è spesso femmina, per rendere accessibile il suo pensiero, divulgarlo tra il maggior numero di lettori. Il discorso non riguarda solo fondatrici, promotrici e direttrici di case editoriali: basta mettere piede in una delle grandi fiere del libro, questa qui di Torino come quella di Bologna o di Francoforte, per rendersi conto che quasi tutti i gradini dell’ editoria, i bassi, gli alti e gli intermedi, sono occupati da donne”. Non dissimile è la teoria dell’ altra editrice di Palermo, Valeria Ajovalasit, ex antropologa, fondatrice e presidente de “La Luna” che, come “La Tartaruga”, pubblica solo scritti di donne, spesso sconosciute, spessissimo siciliane e quindi collegate a quella particolare cultura (il primo libro, pubblicato nell’ 86, fu “La mafia in casa”, intervista a una donna d’ onore cui era stato ucciso il figlio). “Tante signore nell’ editoria? Certo, perché non ci si guadagna, perchè i rischi sono tanti, e perciò i signori graziosamente ci cedono il passo. Ma anche perchè le donne sono più curiose di libri, più’ innamorate di libri e, a conti fatti, più lettrici degli uomini”.
Fa impressione, vero, rileggere queste parole quasi vent’anni dopo? Bene, e oggi? Quante sono le donne editrici? E quanto contano?
Sapere che non ci sono più persone coraggiose e intraprendenti come donna Elvira mi rattrista profondamente. Quando è venuta a mancare, è stata una perdita non solo per la sua città ma per tutto il mondo editoriale italiano.
Più che altro, credo che in questo momento storico manchi il coraggio, la voglia di investire in qualcosa di nuovo perché – è un dato di fatto – i soldi sono pochi e investire costa. Io ho a che fare con un mondo editoriale al femminile, in cui la competizione è fortissima; e ciò che noto, confrontandomi con editor e direttrice editoriale, è che la quota di stress cui le editrici donne sono sottoposte è molto maggiore a quella degli uomini. Sembra una banalità, ma non è così: entrambe hanno una famiglia, una loro sfera affettiva di cui aver cura. A mio avviso, ancora una volta, il problema della scarsa presenza delle donne nell’editoria è una parte più vasta del macro problema”donne-mercato del lavoro”.
E infine, un altro aspetto, che per fortuna va scemando (credo… ). La donna non è vista come persona in grado di scrivere e produrre testi di alto livello. Facciamo il conto, pour parler, di quante sono i premi Nobel dati alle donne rispetto a quelli maschili. ( e parliamo di mondo, eh?)
Ci arrestiamo sulla soglia della narrativa di intrattenimento. Questa considerazione, almeno a mio avviso, si riverbera nella presenza dell’editoria femminile. Le donne che scrivono e che pubblicano (come editrici) narrativa c.d. “alta” o saggistica sono molto, molto poche. Così come sono poche le donne che rivestono docenze universitarie (un mondo a parte è quello dei ricercatori), storico bacino di produzione della saggistica (specializzata e non)
Chiedo scusa per questo intervento un po’ sconclusionato ma sono in fase di brainstorming su questo punto che mi interessa moltissimo 🙂
immagino di essere politicamente scorretta, ma mai, mai, neanche per un secondo, ho desiderato lavorare nell’editoria (e poi ho cominciato, e ancora continuo nonostante tutto) perché “è il lavoro perfetto per una donna”, perché soddisfa l’impulso all’oblatività, al mettersi al servizio di un “maschio-scrittore”, perché “alle donne piace fare cose belle, curare l’immagine”.
No, no. Ho molto rispetto per le donne che fanno l’editore, ma io fin da quando ho cinque anni volevo lavorare nell’editoria per partecipare alle riunioni di via Biancamano e litigare con Giulio Einaudi…
La mia intelligenza, la mia attenzione, la mia passione entrano in gioco, ogni volta che faccio la redazione di un libro o scrivo un retrocopertina, non la mia capacità di cura materna.
Sono acida se faccio notare il fastidio di sentire donne dell’elite culturale italiana dire frasi come “abbiamo una certa sensibilita’ per i libri, per i bei libri, per le immagini, le copertine. Mi sembra insomma un lavoro molto adatto a una donna… E poi c’ è che ci siamo tutte quante rivolte verso un’ editoria di qualità , per niente commerciale, probabilmente perche’ chi tra noi ha lo spirito commerciale preferisce aprire appunto una boutique” o accostare la cura per un libro a quella per un figlio dando per scontato che sia, questa, la perfetta vocazione femminile?
Mi hanno fatto molta tenerezza quelle parole di Elvira così consone al suo momento storico, alla Sicilia, al suo ingombrante marito, e a una certa sua segreta struttura di personalità. Poi chi l’ha conosciuta di persona e la ricorda con gli occhiali, la sigaretta pressocchè immancabile uno sguardo decisamente poco arrendevole, e le scintille della stoffa del dirigente, ricorda che lavorava sulle 18 ore al giorno e capisce che la sua era una devota e assolutamente in buona fede soluzione estetica, assolutamente in contrario con molti aspetti del suo modo di stare al mondo. Chi ha una casa editrice si fa un culo tanto per la casa editrice a prescindere dal genere. Deve fare tutte cose molto tradizionalmente maschili e per molte ore. Pensando a cosucce come i soldi e il potere.
Qualsiasi creazione può essere interpretata come atto di maternage. Anche una centrale nucleare. Questa era certamente la retorica di un’epoca, un po’ vocazione un po’masquerade – per citare Joan Riviere. Un modo di narrativizzare un lavoro. Ora di Elvira e delle sue colleghe oltre al talento per un artigianato di grande pregio estetico, mi piacerebbe ricordare l’intelligenza di certe scelte, la lungimiranza intellettuale. Io devo a Tartaruga per esempio grandi classici della psicoanalisi femminista che se ci si desse una riletta sarebbe ora. Devo a Meltemi per esempio Spivak e Butler. Devo il lavoro fuori dal genere ma dentro l’impegno di cose ben fatte, con buone traduzioni e un editing serio.
Credo che la sensazione di maternità per un libro sia, invece, particolarmente forte in alcuni casi. Ho avuto modo di confrontarmi con alcune editor al festival di Letteratura Femminile di Matera e tra di loro, molte professioniste ammettevano che c’erano dei libri con cui avevano instaurato un legame forte, intimo, simile a quello della madre con il figlio o ancora, dell’ostetrica durante un parto complesso. Non ci trovo – personalmente – nulla di disdicevole o sessista. Anzi.
Questo rappresenta forse un valore aggiunto, un quid pluris in termini di impegno che nulla toglie alla professionalità di chi ha “lavorato” il libro. Quanto alle copertine, vi dirò: in moltissimi casi, i cover artist sono maschietti. Fate un po’ voi…
In Sardegna, a Sassari, esiste una piccola realtà editoriale nata da meno di un anno: Voltalacarta Editrici. Ci siamo laureate in Lettere perché il nostro sogno era insegnare, ma dopo la laurea abbiamo capito che ormai il nostro sogno era irraggiungibile. Dopo un paio di anni trascorsi a lavoricchiare qua e là (io, Luana, mi mantengo facendo la barista, Silvia maestra precaria per due anni, poi ufficialmente disoccupata) abbiamo deciso di aprire un cassetto e di realizzare un’altro dei nostri sogni: creare la nostra casa editrice.
Abbiamo fatto un corso con la casa editrice Marcos y Marcos e poi ci siamo lanciate in questa avventura: in meno di un anno abbiamo pubblicato tre romanzi e uno uscirà a fine maggio. E’ stata dura, lo è tuttora e probabilmente lo sarà sempre, ma siamo felici di aver intrapreso questa strada. Abbiamo trent’anni, non avevamo un lavoro ma avevamo una grande passione (la lettura) e un grande sogno. Ecco come nasce la nostra “folle” impresa. Sì, folle, perché quando abbiamo iniziato tutti hanno pensato che fossimo pazze. Librai, editori, scrittori compresi. Ma noi abbiamo continuato ad inseguire il nostro sogno. Perché siamo testarde e abbiamo un carattere forte. Perché non ci piace piangerci addosso. Noi, ragazze degli anni ’80, siamo figlie della disoccupazione e dell’incertezza. L’abbiamo capito a nostre spese e abbiamo deciso di reagire.”Non abbiamo un lavoro? Bene, ce lo creiamo!! Qual è la nostra grande passione? I libri. Ok, è fatta.” Questa è la storia di Voltalacarta Editrici. 🙂
Dà fastidio anche a me e mi lascia molto perplessa il fatto che a pronunciare quelle parole sia stata Laura Lepetit della Tartaruga edizioni, la casa editrice che ha avuto il coraggio,la sola, di pubblicare la Robin Morgan di cui parlavo nel post precedente. La Tartaruga pubblicava narrativa e saggistica femminista. Ad oggi è stata assorbita da Baldini Castoldi Dalai
Sono abbastanza d’accordo con Francesca… “mestiere di servizio” e “vocazione materna” sono definizioni magari vere e belle, ma che da sole non rompono, ma confermano in pieno gli schemi nei quali siamo rinchiuse e ci rinchiudiamo.
Sicuramente per fare l’editore/l’editrice ci vuole sensibilità, vocazione all’ascolto, attenzione alla cultura… ma non vedo nessun compiacimento e nessun vantaggio a definirle virtù prettamente femminili. Riguardo l’aspetto materno/creativo, è un aspetto che se venisse concesso un po’ di più anche agli uomini migliorerebbe la vita e la percezione di tutti.
La differenza tra editoria “maschile” e “femminile”, se c’e n’è una, non può essere stabilita attraverso definizioni narcisistiche e autocompiacenti (e secondo me, lo ripeto, sessiste). Ma ad esempio, esaminando i fatti: i cataloghi, i titoli pubblicati.
Aggiungo poi: se si facesse un discorso simile al maschile?
“C’è una netta maggioranza di editori uomini, perché l’editoria è un mestiere dinamico, creativo, è un mestiere in cui bisogna azzardare e avere una mentalità prettamente assertiva, tutte qualità che contraddistinguono noi uomini da sempre…” … non ci roderebbe un po’ il c**o?
Ciao e grazie per lo spazio 🙂
Era, appunto, il 1993 🙂
Peraltro esisteva uno spazio “al femminile” dentro il Salone di Torino. Ma adesso? Perché la domanda è appunto quella. Arriviamo a quella cifra o è più bassa, secondo voi?
Ps. Voltalacarta, benvenute!
Rovescio la questione. Sapete perché moltissime editor sono donne? Perché questo mestiere permette di lavorare da casa e ti concede una flessibilità maggiore rispetto ad altri. Cosa di cui una donna, specie se ha un compagno e una famiglia, ha un estremo bisogno.
Un editor può stare a casa a rivedere un libro e andare in C.e. alcune volte la settimana. L’editore no. Dev’esser presente perché deve occuparsi di tutto, dalla logistica a i titoli. Le C.e. sono sempre e comunque aziende. E una donna che non ha come conciliare le sue necessità lavorative e personali diventa una donna molto stressata.
La cosa che mi colpisce è che anche la stragrande maggioranza degli editor stranieri sono donne. Basta legger ei ringraziamenti, le note a margine, quel che si vuole. Ian Rankin ha un’editor donna, ed è un giallista. Ci sarà una ragione?
Credo che molte prigioni sono esistenti e pericolose. Ma che altrerttante sono quelle che noi creiamo.
Io voto, paradossalmente, per la cifra più alta.
adorabili pioniere,inventrici di parole(ça va sans dire)
http://www.passengerseat.eu/m-blog/Offlaga_Disco_Pax-02-Ventrale.mp3
Quante sono? Chissà. In primo luogo di quali edizioni vogliamo parlare? Libri (su qualsiasi supporto) o anche riviste, giornali, webzine? Io credo che non arriviamo alla cifra del 1993 anche se includiamo le editrici on line, ma non ci sono modi reali per contarci. Molto di ciò in cui “non si guadagna” e che comporta tanti rischi è quasi impossibile da censire. Non ci sono albi, elenchi, sindacati o confqualcosa ad attestare queste abilità piene di genio e (quasi) prive di sostegno. Si va avanti di passione, di “maternage”, di sfida e poi ci si spegne sempre più facilmente rifugiandosi in ambiti già sperimentati, antichi, poso solidali, ma accettati dai più.
Il dato di fatto confermato anche nei Paesi Bassi è comunque che si, ci sono più lettrici che lettori. vogliamo magari partire dallo spiegarci questo dato, per poi aprire una discussione sul resto? (I miei editori sono una coppia e tutta la parte maternage me la fa lui, con lei che è la mia editor ci sono i discorsi contenutistici e formali da fare, e i giri al mercato a comprar verdure che mi imbosco successivamente nel bagaglio a mano. Che casella devo sbarrare per le verdure?)
Non è che voclio far le pulci a frasi dette vent’anni fa da imprenditrici che sicuramente col loro lavoro hanno fatto molto per la cultura italiana. Mi sembra però che la retorica capziosa sui lavori adatti per natura alle donne permanga molto nel senso comune anche oggi…Per questo vorrei precisare: non trovo disdicevole accostare il processo creativo e progettuale al maternage (anch’io mi sono molte volte espressa così, per quanto a essere sinceri la routine quotidiana di accudimento di un figlio abbia ben poco a che fare con la creazione e realizzazione di un progetto di altra natura); trovo disdicevole dire che è questo a renderlo un’attività perfetta per le donne.
Per le note implicazioni, che in quanto donna allora si suppone che tu sia a priori portatrice di qualità connesse con il materno; inoltre se in quanto donna ti sono più congeniali lavori che hanno a che fare con l’accudire e creare, allora gli altri lo sono meno, cioè dovresti essere meno “portata” ad esempio per la contabilità, l’IT o la guida dell’autobus.
(Infine, se un lavoro è perfetto per le donne, si dovrebbe pensare che gli uomini lo facciano mediamente peggio, ma non è così.)
Secondo me le editrici sono meno del 1993. Non ho i numeri per dirlo, è solo un’impressione.
secondo questo sudio dell’AIE (su dati 2011) la presenza femminile è aumentata in tutti i ruoli del mondo editoriale, compresi quelli direttivi.
“Raddoppia dal 1991 a oggi la presenza femminile in ruoli di presidenza, amministratore delegato, direttore generale (+98%)”.
http://affaritaliani.libero.it/culturaspettacoli/il-mondo-del-libro-e-donna-l-indagine-dell-aie.html
Ho letto lo studio Aie. Ma.
“Donne editrici: le donne invadono il mondo editoriale, non solo nelle attività redazionali e di segreteria, ma anche nei ruoli direttivi: nei ruoli direttivi cresce la presenza femminile in editoria. Coprivano il 27% degli incarichi nel 1991: vent’anni dopo sono il 40,2%. In tutte le attività direttive cresce la presenza femminile: da quella tradizionale dell’ufficio stampa (cresciuta dal 1991 a oggi del 21,5%) a quella del direttore editoriale (+47,3% tra 1991 e 2011). Raddoppia dal 1991 a oggi la presenza femminile in ruoli di presidenza, amministratore delegato, direttore generale (+98%).”
Quali attività direttive? Perché una cosa è fare l’ufficio stampa, dove la stragrande maggioranza è donna. Una cosa è il direttore di collana ed editoriale. A cosa si riferiscono quei segni più? Qual è il corrispettivo maschile? Perchè è indubbiamente cresciuta. Ma manca il paragone con l’altro sesso, mi pare.
Ho la sensazione che per darci una risposta sull’argomento c’è bisogno di un confronto si, ma anche di una verifica sul campo. Il pezzo riproposto da Loredana ricalca un momento storico, sul quale, per carità si può discutere. Ma la questione da allora è cambiata. Da un lato le donne tentano, per quel che possono, di dare vita a imprese che non siano di nicchia. La Tartaruga, splendida per i testi che ha pubblicato, è rimasta un prodotto di élite. Con i risvolti che ciò ha comportato. Tralasciando per un attimo il discorso sulle donne editor che lavorano da casa (doppio ruolo etc), mi fermerei sul mercato. Secondo la mia esperienza vedo editrici come Nottetempo, gestita da donne come la Bompiani, che sono aziende a tutti gli effetti, il che deriva dalla distribuzione e da altri fattori. Ad esperienze del genere vedo situazioni come Aìsara, editrice sarda dove lavorano prevalentemente donne. Testi di qualità ma le solite difficoltà di distribuzione e non solo. Poi penso a Lotto 49, una cooperativa formata da 9 donne, che nasce a Roma per occuparsi di editoria. Dunque ci sono vari piani da affrontare. E ci vogliono dati. La mia proposta è inventare uno studio, un questionario, nel tentativo di mettere insieme dei numeri. Ecco il primo passo di questo magnifico gruppo potrebbe essere questo.
Un saluto
stefania nardini
Esatto Stefania. Bisogna partire dai numeri. Luisa Capelli ci aiuterà, cerchiamo anche noi di supportarla con quelle realtà che magari non sono note a tutte. Grazie!
Io sarei contenta di sbagliarmi e di vedere aumentata la presenza delle donne nell’editoria se conoscessi anche le loro mansioni e le relative condizioni lavorative. Non lo dico per spirito di polemica, ma perché sono testimone diretta di una realtà, quella scolastica, dove la presenza femminile è sì schiacciante, ma c’è veramente poco, anzi niente, da rallegrarsi, perché questa femminilizzazione della professione docente è legata a scarsa retribuzione, precarietà cronica, scarsa considerazione sociale, sindrome da burnout e, dunque, progressivo decadimento della professione stessa, con ricadute sociali terrificanti. Non voglio spostare la discussione OT e dunque qui mi fermo, anche perché immagino che l’analisi cui ho accennato verrà fatta successivamente all’imprescindibile conta.
Quanto ad Aìsara, la redazione è sì composta da donne, ma l’editore non lo è. Il che può non dir nulla, oppure sì.
Peronalmente inizio osservando e facendo un elenco. Poi si passerà, raccolte le occhiate, ad un lavoro più “scientifico”.
Sì, non si capisce o almeno io non capisco se “Raddoppia dal 1991 a oggi la presenza femminile in ruoli di presidenza, amministratore delegato, direttore generale (+98%)” vuol dire che prima le donne erano il 10% e ora sono il 20%, che almeno sarebbe un dato di crescita, o se semplicemente sono raddoppiate in senso assoluto, cioè prima erano 10 e ora sono 20 ma non si sa su quanti in totale allora e oggi. E comunque sarebbe interessante sapere di quali numeri si parla, quattro, cinquanta? Loredana se lo chiedi all’AIE secondo te non ti forniscono lo studio dettagliato?
Ci posso provare ma bisogna vedere come è stato impostato lo studio. Secondo me bisogna cominciare dai vertici. Vedere quante donne sono in cima alla piramide e poi via a scendere.
@Francesca/Lipperini
““Raddoppia dal 1991 a oggi la presenza femminile in ruoli di presidenza, amministratore delegato, direttore generale (+98%)” vuol dire che prima le donne erano il 10% e ora sono il 20%, che almeno sarebbe un dato di crescita, o se semplicemente sono raddoppiate in senso assoluto, cioè prima erano 10 e ora sono 20 ma non si sa su quanti in totale allora e oggi.”
Vuol dire esattamente che è raddoppiato il numero e quindi anche la percentuale relativa. Se fossero state il 10% ora sono il 20%, proprio come dice lei.
Vorrei tuttavia che si ammettesse che la situazione è migliorata in tutti, e ripeto tutti i comparti dell’editoria,e non peggiorata, come Lipperini sembra credere con il suo proposto confronto col 1993.
Leggiamo dal rapporto AIE: “Nella piccola editoria poi sono quasi la maggioranza, visto che ricoprono il 49% delle funzioni dirigenziali o direttive (amministratore delegato, presidente, responsabile editoriale, ufficio stampa).” Molto chiaro direi, non c’è che dire. Un risultato che lusinga e costringe immediatamente ad abbandonare i discorsi a sensazione e i vittimismi.
Hommequirit. Quando avremo un “controrapporto” con i dovuti termine di paragone, ne riparleremo. Grazie. Molte grazie, anzi.
Ps
A onor del vero, e studiando i dati, occorre dire che il rapporto vede il bicchiere mezzo pieno. Ad esempio quel +98% (amministratori delegati, direttori generali, presidenti) è bello da leggere, ed è vero in sé, ma meno soddisfacente se compreso a fondo. Infatti la percentuale passa dal 4,8% al 13,6% (tabella 9). Quindi in assoluto la sperequazione è effettivamente ancora indecente.
ps2
Sempre consultando lo studio Aie effettuato su dati Istat e catalogo editori si possono trarre deduzioni niente male che possono tornare utili. Nonostante lo studio esibisca quasi completamente percentuali senza affiancarle a dati assoluti (che è sempre in parte un metodo truffaldino) si scopre comunque che una netta accelerazione di presenza femminili in tutti i ruoli editoriali si ha dal 2008 al 2011. Questo ci porta a concludere che la crisi, che non ha certo visto aumentare il numero totale degli addetti ai lavori, sta falcidiando l’editoria e chi rimane è donna a scapito degli uomini. Perciò non è peregrino pensare che il numero totale di donne impiegate nell’editoria dal 2008 non sia certo aumentato più di tanto quanto invece è diminuito il numero degli uomini occupati. Dal punto di vista femminile è la dimostrazione che la competenza è donna e i licenziamenti e pensionamenti maschi. Però se l’uomo piange la donna non ride.
Argh!! Avevo cercato di scaricare i dati da “scarica i grafici” che non funzionava invece erano nel riquadro lì a fianco…Metto direttamente il link del documento (pag. 9 per i ruoli direttivi)
http://affaritaliani.libero.it/static/upload/edit/editoriaalfemminileindagine.pdf
Non sono sicuro di aver capito il senso che ha preso il thread. A me interesserebbe soprattutto capire se l’indiscutibile aumento della presenza femminile nell’editoria abbia portato a un cambiamento nella qualità delle pubblicazioni o, almeno, nella quantità. Ho paura che non sia cambiato gran che. E se ciò fosse vero vorrebbe dire che tutta questa discussione ha di mira soltanto l’occupazione femminile fine a se stessa. Speriamo di no!
Riccardo, la presenza femminile non è, a mio modo di vedere, garanzia automatica di qualità. Quello che interessa capire, passo dopo passo, è quanto le donne occupino ruoli decisionali nell’editoria. Tanto per cominciare.
Scusa Loredana: continuo a non capire. Lo scopo sarebbe una specie di “occupazione” femminile della cultura? Per il puro scopo di affermare una parità (o una supremazia), oppure per uno scopo preciso (visto che dici “tanto per cominciare”)?
Monitorare non è occupare, Riccardo.
Tra le donne dell’editoria non dimentichiamoci le traduttrici (più dell’80% dei traduttori editoriali sono donne) e le agenti letterarie (forse sul 60-70%).
Forse in questi due campi, essendo il lavoro free-lance, è più facile sfondare il tetto di cristallo?
Continuiamo il dibattito.
Un saluto da una traduttrice e ora anche agente letteraria.
Eccomi!
Allora, una laureanda lavorerà per la sua tesi a costruire una mappatura (sarà lei a intervenire direttamente, appena si sentirà pronta :). Dalla seconda metà di maggio iniziamo a progettare un questionario che condivideremo anche qui e per distribuire il quale ci diamo tempo fino all’autunno. A fine anno dovremmo avere raccolto dati sufficienti per avviare il lavoro di analisi.
Un saluto a tutte e tutti e scusate la scarsa partecipazione alla discussione, ma sono alle prese con l’organizzazione di un appuntamento sulla lettura e l’editoria digitale che si svolgerà il 27 e 28 aprile all’Università di Roma Tor vergata e che, con il permesso di Loredana, vi segnalo: http://www.librinnovando.it/
Grazie mille Luisa!