JANE, DORIS, SUSAN (E UNA NOTA SU ALDO)

Uno. Durante il week end di Pasqua voglio/devo rileggermi un libro di Jane Austen. Poi vi dico.
Due. Giovanna è stata diabolicamente abile nel recuperare un Busi d’annata sulle donne.
Tre. Voglio leggere al più presto questo romanzo di Doris Lessing, di cui si era già parlato qui (ma ho qualche dubbio su un paio di risposte date oggi dalla medesima a Laura Lilli, del genere «Le donne sono molto più vicine alla natura. Sono anche più solide, più stabili, evidentemente costruite su basi più salde: infatti vivono più a lungo. I maschi sono instabili, distratti. Chissà, forse sono esperimento della natura»).
Quattro. Voglio leggere assolutamente il libro di Susan Faludi, Il sesso del terrore, che esce il 28 marzo presso Isbn.
Vi riporto l’articolo di Miriam Tola pubblicato in novembre su Liberazione. Merita. E credo che meriti moltissimo il testo di Faludi, direi.
” Sul New York Times la critica Michiko Kakutani ha sparato a zero: The Terror Dream: Fear and Fantasy in Post-9/11 America di Susan Faludi è «un libro tendenzioso, arrogante e inaccurato che mette il femminismo in cattiva luce» ha scritto.
Per Faludi giudizi spietati, polemiche e accuse di “nazi-femminismo” non sono certo una novità.
Contrattacco , il suo primo best-seller, uscì nel 1992 quando negli Stati Uniti le accuse di molestie sessuali lanciate da Anita Hill contro Clarence Thomas tenevano banco. La temperatura del conflitto di genere era bollente e il saggio, ricostruzione affilatissima della guerra anti-femminista lanciata dai conservatori nell’era reaganiana, aggiunse benzina sul fuoco. Il nuovo lavoro della giornalista premio Pulitzer è arrivato in libreria da poche settimane ed è già al centro di uno scontro vivacissimo. Tanto che il Times , oltre a quella di Kakutani, gli ha dedicato una seconda recensione di segno opposto che lo definisce: “una splendida provocazione”.
Terror Dream , spiega Faludi, esplora un aspetto inquietante della reazione americana all’attacco alle Torri Gemelle: il ritorno del sogno regressivo dell’unità familiare, della femminilità addomesticata alla Doris Day e della mascolinità da sceriffi con la pistola alimentato dai media e dalla Casa Bianca.
Ma, avverte l’autrice, «Questo non è
Contrattacco 2. Non dico che l’11 settembre ha riportato le donne indietro nel tempo. Parlo del 9/11 come una finestra sui nostri miti più profondi». Le radici della fantasia di vendetta che chiamiamo guerra al terrore affonderebbero nell’epoca della frontiera, nei 200 anni in cui «i coloni sentivano di essere attaccati da gente che demonizzavano come non-cristiani, non bianchi, come terroristi, un termine usato perfino allora.»
Oltre un quarto delle donne bianche catturate dai nativi tra la fine del 1600 e l’inizio del 1700 non tornarono più e molte decisero di rimanere con gli indiani. La risposta al trauma originario della vulnerabilità, afferma Faludi, è stata la creazione del mito della «nazione inviolabile da attacchi sul territorio interno e di una sicurezza nazionale incarnata da uomini eroici e donne che devono essere salvate».
Di fronte alla crisi di proporzioni storiche causata dal crash degli aerei sui grattacieli di Manhattan il mito è stato riattivato. «C’era bisogno di affermare l’autorità protettiva degli uomini specie dopo un trauma in cui il sistema di protezione maschile aveva fallito» dice Faludi.
Pochi giorni dopo l’occupazione dell’Afghanistan, Peggy Noonan, editorialista del
Wall Street Journal , gioiva: «Bentornato Duke. Dalle ceneri dell’11 settembre emergono le virtù virili». John Wayne, esultava Noonan, è di nuovo tra noi, riflesso nei pompieri di New York e nei soldati che (sic) danno la caccia a bin Laden tra le montagne di Tora Bora. In omaggio alla resurrezione del machismo, nel Natale 2001, Turner Broadcasting System trasmetteva una serie di film con il mitico protagonista di Sentieri selvaggi . Hollywood, ricorda Faludi, ha contribuito con film come La Guerra dei Mondi di Steven Spielberg dove Tom Cruise, esempio perfetto di maschio in crisi d’identità, considerato un buono a nulla dalla ex moglie, si riscattava salvando la figlia di nove anni dalla minaccia aliena.
Nel frattempo Bush e Cheney attingevano a piene mani dai copioni dei western, dedicando al nemico wahabita frasi come «Lo faremo fuori» e «Ricercato: vivo o morto». Una delle immagini promozionali più efficaci della campagna presidenziale 2004 ritraeva Bush in atteggiamento paterno con una bimba che aveva perso la madre alle Twin Towers. Contemporaneamente, i guardiani della mascolinità guerriera parlavano trionfanti di “morte del femminismo”. In tempo di guerra l’autonomia delle donne era una frivolezza, un lusso troppo costoso. Se Jerry Falwell, defunto leader della destra cristiana, descrisse l’attacco come il frutto dell’irritazione divina contro «pagani, abortisti, femministe, gay e lesbiche che perseguono attivamente uno stile di vita alternativo», Karen Hughes, stretta collaboratrice di Bush, disse a proposito dell’aborto che «dopo l’11 settembre gli americani danno un valore maggiore alla vita». L’imperdonabile colpa del femminismo, insinuarono molti (e molte), era quella di aver indebolito gli uomini, averli ammorbiditi, femminilizzati (orrore!) e resi incapaci di svolgere la loro funzione “naturale”: garantire la sicurezza della patria.
Insieme all’autorità del commander in chief e al coraggio dei soldati, il rullo dei tamburi di guerra celebrava il sacrificio delle vedove, le lacrime orgogliose delle mogli dei soldati e le donne afghane prossime alla liberazione dal burqa per mano americana. Mentre gli strali dei media conservatori si levavano contro voci femminili come Susan Sontag che osavano dissentire, le opinioniste sparivano dalle pagine dei giornali. Su 107 editoriali pubblicati dal
Washington Post nelle tre settimane successive ai dirottamenti fatali, solo 7 erano firmati da donne.
L’elenco di esempi di mascolinità a mano armata e femminilità zuccherosa sorti dalle rovine di Ground Zero potrebbe andare avanti all’infinito. Ancora sette anni dopo, sul piccolo schermo statunitense passano serie tv come 24 dove il protagonista Jack Bauer tortura i nemici dell’America in ogni puntata. Vivere fantasie di vendetta, sostiene Faludi, ha un prezzo: la restrizione delle libertà civili, le vite di migliaia di iracheni e di soldati e un’altra guerra all’orizzonte.
L’autrice non concede molto spazio ai volti femminili della guerra al terrore, da Condoleeza Rice a Lyndie England. Questa omissione non di poco conto sembra favorire chi la accusa di aver tenuto fuori campo una parte importante della storia. Ma l’obiettivo polemico del suo libro non è il rapporto delle donne col potere quanto quello della superpotenza col suo passato.
The Terror Dream esce mentre Hillary Clinton dà filo da torcere agli sfidanti nella corsa alla Casa Bianca. Una coincidenza rimarcata più volte dai detrattori di Faludi come dimostrazione della fallacia delle sue tesi. Lei ribatte: «L’ascesa di Clinton non è dovuta all’11 settembre. Al contrario. Ora la gente guarda a leader politici in grado di offrire competenza anzichè arroganza machista. Hillary Clinton è una dei candidati che sembrano perseguire un approccio differente alla politica. Non perché, in quanto donna, è biologicamente diversa, ma, semplicemente, perché ha senso pratico. Lo stesso vale per Obama ed Edward». Qualche settimana, in California, Clinton ha promesso «che il tempo della diplomazia da cowboys è finito». Chissà che sul suo comodino non ci sia The Terror Dream” .

6 pensieri su “JANE, DORIS, SUSAN (E UNA NOTA SU ALDO)

  1. OT necessario parlando di letteratura. Ho scoperto che se n’è andato il buon vecchio Arthur Clarke. Che la sua anima riposi in orbita geostazionaria o voli verso Rama?

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