Ve la ricordate la storia di Theuth, giusto? Ma sì, il vecchio dio di Naucrati che sottopose al sovrano Thamus le proprie invenzioni, dai numeri alla geometria, dai dadi alle lettere all’alfabeto, il quale gli viene clamorosamente bocciato. Con queste parole:
“O ingegnosissimo Theuth, una cosa è la potenza creatrice di arti nuove, altra cosa è giudicare qual grado di danno e di utilità esse posseggano per coloro che le useranno. E cosí ora tu, per benevolenza verso l’alfabeto di cui sei inventore, hai esposto il contrario del suo vero effetto. Perché esso ingenererà oblio nelle anime di chi lo imparerà: essi cesseranno di esercitarsi la memoria perché fidandosi dello scritto richiameranno le cose alla mente non piú dall’interno di se stessi, ma dal di fuori, attraverso segni estranei: ciò che tu hai trovato non è una ricetta per la memoria ma per richiamare alla mente. Né tu offri vera sapienza ai tuoi scolari, ma ne dai solo l’apparenza perché essi, grazie a te, potendo avere notizie di molte cose senza insegnamento, si crederanno d’essere dottissimi, mentre per la maggior parte non sapranno nulla; con loro sarà una sofferenza discorrere, imbottiti di opinioni invece che sapienti”.
D’accordo, cose note e cose antiche (antichissime: è il modo in cui Platone, nel Fedro, avversa la memoria collettiva e incontrollabile resa possibile dalla scrittura). Ma ogni tanto è bene ricordare che la storia degli esseri umani è fatta di contrapposizioni fra vecchi e nuovi modi di comunicare. Specie quando su quella possibilità di condivisione, oggi offerta da altri mezzi, ci si accanisce a prescindere. Come nell’attacco mattutino di Francesco Merlo a YouTube a proposito del nostro mostro quotidiano (il pirata della strada che, peraltro, aveva inizialmente postato le proprie immagini su altro sito). Di qui, la definizione di YouTube come “il contenitore dentro il quale mandare la propria estetica, un’idea volgare e idiota di bellezza” e “una finestra su tutta la schifezza umana della nostra epoca, è la nostra anima malata”.
Sarebbe facile ricordare che, per fare un solo e recentissimo esempio, proprio due giorni fa la vostra eccetera ha linkato, sul medesimo sito, un video contro il prestito bibliotecario a pagamento. Per cercare di essere meno banali possibili, esemplifico in altro modo, e linko, dalla medesima finestra, alcuni video su Bolzaneto e dintorni che hanno contribuito a creare, appunto, quella memoria collettiva e irreversibile, quanto indispensabile, che tanto dispiaceva a Thamus.
Torno nella caverna.
Come ricordo sempre, la tecnologia in sé non è positiva, né negativa né neutrale. Naturalmente, io sono contro le censure preventive, ma bisogna ribadire che tra avere la possibilità di usare un mezzo e la consapevolezza di cosa ciò comporta c’è un salto che non è necessariamente automatico. L’anima è malata perché non viene coltivata, non per colpa delle nuove tecnologie.
Consiglio a Francesco Merolo: guardati Ghost in the Shell Stand Alone Complex.
Conoscevo il brano del Fedro e ne avevo parlato ad alcuni amici, paragonando l’invenzione della scrittura che mina la memoria individuale all’invenzione del cellulare e al conseguente utilizzo delle rubriche che fanno scordare i numeri telefonici. Questo per dire che è facile prendersela con le nuove tecnologie, come fa Merlo, ma è altrettanto facile e sbagliato negare che le nuove modalità di comunicazione, se è vero che per certi versi ci arricchiscono, è altrettanto vero che per altri versi ci impoveriscono. L’importante è che il saldo sia in attivo, insomma (e per me lo è).
(Merolo? LOL, Merlo – scusate)
è il modo in cui Platone, nel Fedro, avversa la memoria collettiva e incontrollabile resa possibile dalla scrittura
Per una volta non sono d’accordo. La didattica greca era fondata sull’insegnamento mnemonico: imparare a memoria Iliade e Odissea era l’accesso all’acquisizione della lingua, imparare a memoria i commenti già esistenti era l’accesso al sapere. Dietro l’attacco alla scrittura (nel Fedro) e ad Odisseo (nella Repubblica), con l’ironia che gli è propria (e che serve a mettere in guardia contro l’assunzione dogmatica delle sue proposte, che scaturivano sempre da un dibattito continuo dentro la propria scuola) Platone rovescia l’uso normativo della pedagogia, in favore di un sapere vivente che, in quanto tale, non può che scaturire all’interno dell’esperienza concreta del dialogo. In questo senso la memoria orale è sempre collettiva, la verità è soprattutto un’esperienza, e l’essere finisce col coincidere con il possibile. Il vero punto non è tanto l’antitesi scrittura/oralità, quanto la presenza o meno di un principio di autorità indiscutibile: principio che, all’epoca, si serviva della scrittura come strumento di garanzia della rigidità sociale (che nell’utopia platonica non c’è).
Ma se YouTube fosse davvero come dice Merlo, e cioè una finestra sulla schifezza dell’epoca e la nostra anima malata eccetera, non sarebbe una cosa bellissima? Quale metodo migliore per guardarci dentro, analizzarci, se non con un mezzo che rende pubblico che prima era nascosto?
E’ lo stesso ragionamento, ma generalizzato, di Fioroni che di fronte alle riprese degli atti di bullismo fatte coi telefonini ha deciso di proibirli, senza pensare che è stato proprio grazie a queste riprese che abbiamo avuto una testimonianza diretta e forte della consistenza del fenomeno
YouTube, la minigonna, il grammofono…
Costanzo proponeva: “Chiudiamo Internet, almeno la notte”
“O ingegnosissimo Alfa-Omega, una cosa è la potenza creatrice di arti nuove, altra cosa è giudicare qual grado di danno e di utilità esse posseggano per coloro che le useranno. E cosí ora tu, per benevolenza verso l’innesto neurale di cui sei inventore, hai esposto il contrario del suo vero effetto. Perché esso ingenererà oblio nelle anime di chi lo installerà nel proprio cervello: essi cesseranno di esercitarsi la memoria perché fidandosi degli impulsi richiameranno le cose alla mente non piú dall’interno di se stessi, ma dal di fuori, attraverso segnali estranei: ciò che tu hai trovato non è una ricetta per la memoria ma per scorrere un database. Né tu offri vera sapienza ai tuoi scolari, ma ne dai solo l’apparenza perché essi, grazie a te, potendo avere notizie di molte cose senza insegnamento, si crederanno d’essere dottissimi, mentre per la maggior parte non sapranno nulla; con loro sarà una sofferenza discorrere, imbottiti di dati invece che sapienti”.
Basta cambiare quattro-cinque parole e da Fedro passiamo a Matrix. L’evoluzione della tecnologia modifica, pezzo per pezzo, la concezione del sapere. Più avanti negli anni e nei secoli andremo, più sarà stretta tale correlazione. Poi magari non sarà così, ma nel frattempo temo che sarò morto.
@ Plessus
l’hai letto questo?
Sorry, il link è solo della pagina generale: il testo che segnalavo è Plato’s Cave and the Matrix
Domo arigato, Jiroramo san! Grande link! Raddoppio qui i ringraziamenti anche per i tuoi testi su Benjamin in Carmilla – veramente illuminanti.
(e la lettura di Platone così anti uni-voco, da dove viene? Se è vero che il Platone totalitarista è una str°\%@7a, se è vero che il dogmatismo platonico è piuttosto una deviata eredità plotiniana, non riesco a immaginare concretamente Socrate e Platone come campioni della pluralità!)
Lo leggerò, grazie Girolamo, anch’io seguo con attenzione i tuoi post su Carmilla. Ma lo devo prima far tradurre, le pur vivide conoscenze scolastiche dell’inglese temo non siano sufficienti a comprenderne appieno il significato che appare molto, molto interessante.
@ Paolo S.
<b>Platone totalitario</b> è, filosoficamente, una mezza bufala di Popper, che da anti-storicista non ha storicizzato l’insegnamento di Platone, e per di più, per sua stessa ammissione, ha scritto il suo libro senza avere a disposizione i testi platonici in originale. Il Platone plurale non è certo una mia invenzione: la fonte prima, anche come chiarezza espositiva, è <a href=”http://www.liberonweb.com/asp/libro.asp?ISBN=8806164414″ rel=”nofollow”>Mario Vegetti</a>. Tieni presente che dopo la morte di Platone l’Accademia non divenne “neo-platonica” (il neoplatonismo viene molto dopo), ma scettica. Cmq, per fartela breve, io credo che Platone sia convinto che la verità esista, ma che la sua esistenza non comporti l’automatica possibilità di attuarla <i>sic et simpliciter</i>: e per questo immette nella pratica forti dosi di ironia, di pragmatismo, persino di scetticismo. Poi, certo, ognuno ha il suo Platone: io preferisco quello, medio-tardo, del <i>Sofista</i> e del <i>Politico</i> in cui parla il misterioso personaggio eleate, non foss’altro che per il gusto di chiamarlo <a href=”http://www.musicafilm.it/images/dvdmovie_1463_front_1337.jpg” rel=”nofollow”>Lo straniero senza nome</a> 🙂