LA CORTE COSTITUZIONALE E L'ORTICELLO DEL NOSTRO SCONTENTO

La decisione della Consulta, che ha dichiarato incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa, ci fa sentire un po’ meno incivili, evviva. Ma non risarcisce le coppie che sono state sottoposte all’umiliazione dei viaggi all’estero, e a esborsi considerevoli (esiste anche un classismo della genitorialità: chi non ha a disposizione svariate migliaia di euro, non può permettersi neppure l’adozione internazionale, sia detto per coloro che si riempiono la bocca dei “perché i figli non li adottano, questi egoisti?”).
Infine, pone di nuovo in primo piano una schizofrenia tutta italiana: perché nel paese che idolatra le madri e le pone su altari dove spesso si è ben liete di salire, per le madri si fa ben poco.
La legge 40, varrà la pena ricordare, disciplina in modo drammaticamente restrittivo la fecondazione artificiale. Nella sua formulazione originale, prima di venir smantellata, equipara (articolo 1) il concepito agli altri soggetti coinvolti, con possibili ma prevedibili ripercussioni sulla legge 194 sull’interruzione di gravidanza. Vieta (articolo 4), l’eterologa maschile (i leghisti, ai tempi della discussione, la definirono “adulterio in provetta”) e femminile (“sessantenni mostro” fu uno degli epiteti che volarono per opporsi alla sua liceità: vecchie che pretendono di generare, insomma). Vieta (articolo 14) la crioconservazione degli embrioni per ridurre il soprannumero in caso di procreazione assistita.
I quattro referendum abrogativi del 2005 non hanno ottenuto il quorum, mentre nel 2009 è stata dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale la parte della legge che prescrive un limite di produzione di embrioni “non superiore a tre” e che prevede il trasferimento nell’utero degli embrioni criconservati “appena possibile” (commi 2 e 3 dell’articolo 14 ). A giugno 2011 la Corte europea per i diritti dell’ uomo accoglie il ricorso di una giovane coppia di Reggio Calabria contro le linee guida che vietano il ricorso alla diagnosi preimpianto (oggi condannate dal Tar del Lazio come illegittime). I genitori erano portatori sani di fibrosi cistica. che si trasmette ai figli in un caso su quattro. Il loro primo figlio ha sviluppato la malattia e hanno interrotto la seconda gravidanza. Rendere illegale la diagnosi preimpianto li costringe a non avere altri figli. Ieri, l’ulteriore colpo di scalpello della Corte, con prevedibile codazzo polemico degli ultraconservatori e altrettanto prevedibile smarrimento ministeriale.
Qual è il punto ancora dolente? Quello in virtù del quale  la battaglia per i referendum non venne  sentita come propria da molte donne. Da molte madri, anche: che rivendicavano il diritto alla “naturalità” del parto. Di fatto, vietandolo ad altre. Per quanto nascosto nel pozzo nero delle emozioni inconfessabili, il sottile disprezzo verso le infertili esiste. Si dice ancora “non è stata capace” di una donna che non riesce ad avere figli. Capace, abile. Come se dipendesse dal talento. Di contro, essere madri viene percepito come uno status che accomuna. Noi madri. Noi che sappiamo. Noi che ci capiamo. Noi che ci siamo passate. Noi che diamo la vita. Per molte donne, “in quanto madri” si dovrebbe avere diritto di parola su tutto: come se partorire rendesse, di per sé, atte alla comprensione delle leggi dell’universo. In occasione dei referendum, ci sono state donne colte e influenti che hanno invitato all’astensione perché il mito potente della Dea Madre non venisse intaccato da mano umana.
Le altre, si arrangiassero.
Quell’arrangiatevi rivolto a chi non ha i nostri problemi è, credo, la questione centrale, e non soltanto per quanto riguarda le centinaia di diritti negati alle donne (lavoro, welfare, salute). E’ quello che ci inchioda all’orticello del nostro scontento da diversi lustri: non dovrebbe essere la Corte Costituzionale a ricordarcelo, ecco.

10 pensieri su “LA CORTE COSTITUZIONALE E L'ORTICELLO DEL NOSTRO SCONTENTO

  1. Un articolo lucido appassionato da donna “consapeùole” pronta a “dare la vita”…alla quale mi associo con la stessa intelligenza del cuore.
    Piccolissima aggiunta al tutto. Togliersi un pregiudizio é fatica “dura” come rieducare i sentimenti non pit spontanei ma appresi durante il cammino della vita,selezionando,se non escludendo la percettivita,dandole libero campo. Facile,alloraanche senza averne piena coscienza,crearsi abitudini di pensiero,già orientato e falsato al suo nascere e,quindi,incapace di mettersi col giusto distacco dalla parte,o nei panni di chi ha necessità diverse dalle proprie. Un caro saluto,Mirka

  2. Mi ha fatto uno strano effetto questa sentenza. Vedo tanta gente esultare, c’è un’elettrizzante sensazione di vittoria, di liberazione che non riesco a condividere. Provo invece tanta rabbia, che sta riemergendo da dove l’avevo sepolta. Sì, noi siamo ormai fuori da questo incubo, siamo genitori da più di quattro anni, ne siamo felici. Dovremmo limitarci a gioire per le persone che stanno soffrendo ora quello che abbiamo sofferto noi, dare pacche sulle spalle a loro e fare un brindisi alla loro salute. Personalmente non la vivo così. Sarò rancoroso, ma quello che abbiamo passato non riesco a dimenticarlo, né lo voglio. E non riesco a passare sopra alla sofferenza di chi, a differenza nostra, non ce l’ha fatta e ha ormai perso il treno per raggiunti limiti di età o per qualsiasi altro motivo. Limiti di età, sì, perché uno se li dà, anche se la propaganda da circo Barnum sulle mamme-nonne spinge i gonzi a credere il contrario. Anche noi ce li eravamo dati, il bersaglio l’abbiamo centrato proprio nel finale di partita. Un gol all’ultimo minuto. Metafora becera, ma davvero rende bene l’idea della sensazione di miracolo che uno prova quando ormai sta abbandonando le speranze.
    Ma non c’è da gioire per questa sentenza, secondo me. Per l’ennesima volta, si deve prendere atto del totale scollamento tra una Costituzione ottima e un Parlamento, che dovrebbe regolare materie come questa, ostaggio di superstizioni e interessi di parte. E, più ancora, tra quella Costituzione e il sentire di una parte purtroppo vasta della popolazione, che in quelle superstizioni crede e addirittura le ritiene di rango superiore alla legge suprema dello Stato. Come dire che Dio – ammesso che Dio, se esiste, sia davvero quell’entità occhiuta e malmostosa che costoro ci vogliono spacciare – prevale sulle leggi della convivenza civile. Se uno si fa un giro in rete a raccogliere i commenti sulla sentenza, si accorge di quanto siano numerosi i nostri connazionali che vomitano acido in nome della superiorità di un presunto diritto naturale che viene dato talmente per scontato da non essere neppure definito. E infatti per me risulta incomprensibile. Ci si richiama alle pratiche riproduttive di cavalli, galline e scimpanzè, come se un milione e passa anni di costruzione della cultura non dovessero avere alcun peso nelle nostre azioni. Questo è grave: cittadini talmente inconsapevoli delle norme fondamentali della convivenza (in questo caso la Costituzione) da ritenere che possano tranquillamente essere bistrattate in nome di convinzioni personali. E, cosa ancora più grave, politici e rappresentanti delle istituzioni che avallano quella visione, contrabbandando il concetto assurdo secondo cui la Corte Costituzionale dovrebbe attenersi alle deliberazioni del Parlamento, che in quanto eletto dai cittadini sarebbe sovrano. Ma l’ha mai fatta in vita sua un’ora di educazione civica, la ministra Lorenzin? Perché delle due l’una: questa gente o è ignorante o è in malafede. Cose entrambi gravissime, per un ministro della Repubblica. A che dovrebbe servire la Corte, se non ha il potere di sanzionare le leggi sbagliate fatte dai parlamentari? Se non può fare questo, che dovrebbe fare? Perché si dà il caso che l’abrogazione di leggi incompatibili con la Costituzione sia esattamente il suo mandato. Dovremmo quindi chiuderla, la Corte, e affidare in toto la regolazione dei nostri affari collettivi a un parlamento sempre più gonfio di incapaci e prezzolati?
    Questa frangia dell’opinione pubblica non è piccola, purtroppo. Forse non è maggioritaria, ma potrebbe anche esserlo. Nel caso specifico della legge 40, mi ha sempre colpito vedere quante siano le donne che vi militano. Donne l’un contro l’altra armate non perché siano di idee diverse su argomenti di interesse generale, ma perché le une pretendono di dire alle altre come devono o non devono riprodursi. Spettacolo di una tristezza apocalittica.
    Poi, scendendo di livello, ci sono i commenti più idioti. Non si può rispondere a tutto, perché manca l’energia e il tempo per farlo: la vita, per fortuna, chiama e ci sono tante cose belle da fare invece che cercare di spiegare l’ABC agli imbecilli. Ne seleziono solo uno di questi commenti, il più ricorrente e il più idiota di tutti: ma se sei disposto/a ad avere un figlio geneticamente non tuo, allora perché non adotti? E dal fatto che non lo fai parte la solfa sul delirio di onnipotenza e il narcisismo e l’egoismo e bla bla bla. Bla.
    A questa gente, per sua immeritata fortuna inconsapevole delle cose di cui ciancia, dico solo: ma lo sapete, voi, cosa significa adottare un bambino? Davvero pensate che sia come andare al canile a prendere un cucciolo? Cominciamo ad esaminare gli aspetti pratici: la tua vita viene (giustamente) passata al microscopio a scansione, per verificare la tua adeguatezza o meno; il problema è che in una parte non piccola dei casi è lo stesso personale incaricato di fare questo a essere del tutto inadeguato. Fatevi una chiacchierata con una decina di psicologi del servizio preposto e con altrettanti assistenti sociali, e poi vediamo in quanti casi vi sentirete violentati nel vostro intimo da persone spesso totalmente incapaci di andare oltre visioni stereotipate apprese su manuali. Persone che hanno il potere di dirvi “no” sulla base di valutazioni che di oggettivo spesso non hanno niente.
    Ma non è nemmeno questo il problema più rilevante. Un’adozione nazionale è pressoché impossibile, e tralascio anche di parlarne. Quella internazionale passa attraverso il diritto (e spesso la corruzione) di paesi remoti dei quali non si sa nulla. Ci si deve affidare per forza ad associazioni specializzate, sborsare un sacco di soldi che non sempre si hanno e tenere le dita incrociate, Il sospetto che molti di quei soldi servano a ungere ruote nascoste, rendendo l’adozione (almeno in parte una compravendita), è forte. Per non parlare dei viaggi a vuoto, di bambini incontrati con cui si familiarizza e poi non ti vengono affidati, delle adozioni saltate all’ultimo momento perché mentre stavano per andare a buon fine c’è stato un colpo di stato, una crisi diplomatica, un’invasione marziana, la caduta del grande cocomero. In questo iter straziante passano non mesi, ma anni. Tanti anni.
    Eppure, non è ancora nemmeno questo il vero problema. Il problema vero è che adottare un bambino richiede una predisposizione emotiva del tutto diversa da quella di chi lo partorisce. Anche perché, spesso e tanto più quanto non si è giovanissimi, il bambino che ti verrà affidato non sarà un lattante, ma un bambino di cinque, sette, dieci anni, con alle spalle un vissuto traumatico che non tutti sono in grado di affrontare. Ecco, già li sento che berciano di “incapacità di amare”, gli ossessi della Buona Madre Natura. No, non è incapacità di amare: è pura e semplice coscienza dei propri limiti. Allevare un figlio è già difficile; un figlio problematico non è cosa per tutti. Chi pensa di non farcela fa bene a tirarsi indietro, invece di aggiungere infelicità a infelicità. Anche perché, badate bene, a me è sempre parso inaccettabile l’atteggiamento di chi dice che “un figlio adottato è come se fosse tuo”. No, maledetti somari: non è “come se”; è tuo, punto e basta. Devi essere in grado di dimenticartelo, letteralmente, che quel bambino non l’ha partorito tua moglie. Deve essere una cosa che ti torna in mente di tanto in tanto come un pensiero strano, qualcosa di inverosimile. E io, ragazzi, non sono sicuro di poter fare questo. Io sono diventato padre dei miei figli perché ho potuto prenderli in braccio, cambiargli il pannolino, stare sveglio la notte per consolarli quando piangevano, insegnargli a giocare. Insomma: perché ho potuto prendere confidenza con il loro corpo prima che con il loro intelletto. Fin dal primo vagito. Il che non vuol dire che sia impossibile sviluppare la paternità e la maternità in altro modo: solo, sospetto fortemente di non essere capace – io – di farlo. Volete crocifiggermi per questo? Sono meglio, magari, quelli che i bimbi li rimandano indietro? Perché succede, sapete? E anche spesso, a quanto ne so.
    E quindi, prima di ripetere quella frase idiota, provate a interrogarvi: sareste capaci, voi, di accogliere un figlio già grande? Perché a sei, otto anni, un bambino è un individuo già in buona parte formato. Un individuo che potrebbe anche non accettarvi. Ve la sentireste, di correre il rischio?
    E qui mi fermo, che di fatto ho scritto un altro post. E invito a intervenire, se ne ha voglia, mia moglie, che sta certamente seguendo questo post. Il suo punto di vista, soprattutto sul tema adozione, è certamente meglio argomentato del mio.

  3. Scusate l’invasione, ma questa è incredibile. Qui trovate Adinolfi sul tema: https://www.facebook.com/mario.adinolfi/posts/10152317346970428.
    Spara un sacco di minchiate, e da tanto intelletto non mi aspettavo niente di più. Ma leggete come chiude:
    “Ora la questione è resistere. Voglio la mamma ad oggi è l’unico testo che con parole semplici, dati inoppugnabili, riferimenti bibliografici precisi spiega perché e come si deve resistere a questa offensiva. Dotatevi di questo strumento, è fondamentale, è piccolo, è facile da leggere e da far leggere, sta in una tasca della vostra giacca. Non è propaganda commerciale, il libro potete leggerlo gratis sulla pagina Facebook, ma considero decisivo che chi vuole resistere all’offensiva si doti di una strumento agile per farlo e in giro attualmente non ne vedo altri. Se volete una o più copie a domicilio in pochi giorni scrivete a adinolfivogliolamamma@gmail.com e esiste anche la versione ebook a soli 3.99 euro (il cartaceo a domicilio costa 13 euro) che potete scaricare immediatamente da http://www.amazon.it e insomma, trovate un modo, ma usate Voglio la mamma per la ragione per cui l’ho scritto. Resistere all’offensiva senza precedenti in atto in questi giorni, in queste ore”.
    Ovviamente “Voglio la mamma l’ha scritto lui”. Ma non è più dignitoso fare la colletta per strada, se si ha bisogno di arrotondare?

  4. un genio come crozza è riuscito a infilare nel mezzo di una satira indiavolata una verità non facilmente scardinabile. Imitando il senatore razzi assurto a paradigma della politica gli ha fatto sostenere che è conveniente approvare il matrimonio tra persone dello stesso sesso perchè tanto si rompono il cazzo come le coppie tradizionali dopo poco tempo e se ci si è organizzati specializzandosi in assistenza legale a divorziandi di matrimoni omossessuali si puà fare un mucchio di grana. Ora, sulla stessa falsariga, suggerirei anche coloro che siedono in parlamento e ai medici obbiettori di coscienza, che hanno perplessità sulla libertà di fecondazione eterologa, di non rompere il cazzo liberalizzando la sperimentazione a tutto campo che favorisca la fertilità, consolandosi se proprio vogliono, pensando a quando le persone che hanno cullato ardenti desideri di maternità/patenità si ritroveranno coi nervi a pezzi per le angosce e le deluzioni che solo un figlio può portare ,arrivando magari perfino a maledire i momenti in cui sentivano un dannato bisogno di prolungare la stirpe(e non so se mi sono spiegato)
    http://www.youtube.com/watch?v=KokJ1x1xV3c

  5. Maurizio, sono banale e in più, ma condivido tutto quello che dici, e anche se ho avuto la fortuna di non passare quello che hai passato tu sono comunque molto arrabbiata anch’io.

  6. E anche oggi non c’è la fila, a commentare su questo tema. Strano, se penso a quanto molte e molti amino esporsi – spesso temerariamente – su una gran quantità di problematiche anche molto difformi tra loro. C’è pudore, imbarazzo o cos’altro? Si ha semplicemente paura di dire che questa sentenza non piace, che in fondo si preferiva che le cose rimanessero come erano prima? Riflessione amara e probabilmente anche ingenerosa verso molte persone che hanno semplicemente altro da fare, lo so. Ma questo è: sei commenti compreso questo, di cui tre miei.

  7. Mi è tornato in mente un vecchio discorso di Stefano Rodotà che, più o meno, sosteneva: o l’infertilità è una malattia e quindi tutti hanno diritto a curarla con tutti i mezzi messi a disposizione dalla medicina o consideriamo un optional il diritto alla genitorialità. Mi scuso in anticipo per il rozzo riassunto. La corte arriva tardi ma meglio tardi che mai. Speriamo che il Parlamento non inventi qualche altra diavoleria per farci vivere tutti peggio. Per Maurizio – credo che molto del silenzio da te lamentato sia anche una sorta di rispetto per storie come la tua. A parte essere solidali, c’è una sorta di pudore a esprimersi.

  8. Intervengo tardi a “sostegno” di mio marito Maurizio. Poiché ne condivido ogni singola parola, non starò a ripeterne i concetti; mi ha colpito però la singolare coincidenza con cui è scoppiato il caso mediatico del presunto scambio di provette al Pertini, per cui a una donna sarebbero stati impiantati gli embrioni di un’altra. Singolare coincidenza, appunto, questo caso di involontaria eterologa destinato a scuotere gli animi di tutta quella brava gente che pensa che le tecniche di PMA siano l’epitome dell’immoralità e della perversione…

  9. il vaticano ha forti interessi a mantenere lo status quo culturale anche perche` vuole riservarsi la fetta di potere relativa alla possibilita` di sciogliere un matrimonio a causa dell`impotenza generandi di uno dei coniugi(il diritto canonico considera forse le persone con problemi di sterilita` alla stregua di oggetti da abbandonare alla deriva in balia di una cattiva sorte. Una cosa davvero cristiana)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Torna in alto