Per il primo post del nuovo anno guardo indietro. Undici anni fa, per l’esattezza. Per una di quelle straordinarie coincidenze, due discorsi vengono pronunciati davanti a due diverse platee di laureandi. La prima è a Stanford, la seconda è nell’Ohio (Kenyon College, per essere precisa). Il primo discorso diventerà famosissimo, entrerà nel mito, soprattutto la sua parte conclusiva. Andrà a rappresentare un modello di vita, anzi, e santificherà chi l’ha pronunciato, consegnando all’ombra della dimenticanza il costo umano del raggiungimento di quel sogno. Il primo discorso è quello di Steve Jobs. Il secondo è quello di David Foster Wallace. E, anche se l’ho già pubblicato in passato, è anche quello con cui il blog vuole iniziare il nuovo anno. Auguri, commentarium.
“Il fatto è che voi laureandi non avete ancora ben chiaro che cosa significhi realmente “giorno dopo giorno”. Ci sono interi aspetti della vita americana da adulti che vengono bellamente ignorati da chi tiene discorsi come questo. I genitori e le persone di una certa età qui presenti sanno benissimo a cosa mi riferisco. Mettiamo, per dire, che sia una normale giornata nella vostra vita da adulti: la mattina vi alzate, andate al vostro impegnativo lavoro impiegatizio da laureati, sgobbate per nove o dieci ore e alla fine della giornata siete stanchi, siete stressati e volete solo tornare a casa, fare una bella cenetta, magari rilassarvi un paio d’ore e poi andare a letto presto perchè il giorno dopo dovete alzarvi e ripartire daccapo. Ma a quel punto vi ricordate che a casa non c’è niente da mangiare – questa settimana il vostro lavoro impegnativo vi ha impedito di fare la spesa – e così dopo il lavoro vi tocca prendere la macchina e andare al supermercato. A quell’ora escono tutti dal lavoro, c’è un traffico mostruoso e il tragitto richiede molto più del necessario e, quando finalmente arrivate, scoprite che il supermercato è strapieno di gente perchè a quell’ora tutti gli altri che come voi lavorano cercano di ficcarsi nei negozi di alimentari, e il supermercato è orribile, illuminato al neon e pervaso da quelle musichette e canzoncine capaci solo di abbruttire e voi dareste qualsiasi cosa per non essere lì, ma non potete limitarvi a entrare e uscire; vi tocca girare tutti i reparti enormi, iperilluminati e caotici per trovare quello che vi serve, manovrare il carrello scassato in mezzo a tutte le altre persone stanche e trafelate col carrello, e ovviamente ci sono i vecchi di una lentezza glaciale, gli strafatti e i bambini iperattivi che bloccano la corsia e a voi tocca stringere i denti e sforzarvi di chiedere permesso in tono gentile ma poi, quando finalmente avete tutto l’occorrente per la cena, scoprite che non ci sono abbastanza casse aperte anche se è l’ora di punta, e dovete fare una fila chilometrica, il che è assurdo e vi manda in bestia, ma non potete prendervela con la cassiera isterica, oberata com’è quotidianamente da un lavoro così noioso e insensato che tutti noi qui riuniti in questa prestigiosa università nemmeno ce lo immaginiamo…fatto sta che finalmente arriva il vostro turno alla cassa, pagate il vostro cibo, aspettate che una macchinetta autentichi il vostro assegno o la vostra carta di credito e vi sentite augurare “buona giornata” con una voce che è esattamente la voce della MORTE, dopodiché mettete quelle raccapriccianti buste di plastica sottilissima nell’esasperante carrello dalla ruota impazzita che tira a sinistra, attraversate tutto il parcheggio intasato, pieno di buche e di rifiuti, e cercate di caricare la spesa in macchina in modo che non esca dalle buste rotolando per tutto il bagagliaio lungo il tragitto, in mezzo al traffico lento, congestionato, strapieno di Suv dell’ora di punta, eccetera, eccetera. Ci siamo passati tutti, certo: ma non rientra ancora nella routine di voi laureati, giorno dopo settimana dopo mese dopo anno. Pero’ finirà col rientrarci, insieme a tante altre squallide, fastidiose routine apparentemente inutili…
Ma non è questo il punto. Il punto è che la scelta entra in gioco proprio nelle boiate frustranti e di poco conto come questa. Perché il traffico congestionato, i reparti affollati e le lunghe file alla cassa mi danno il tempo per pensare, e se non decido consapevolmente come pensare e a cosa prestare attenzione, sarò incazzato e giù di corda ogni volta che mi tocca fare la spesa, perché la mia modalità predefinita naturale dà per scontato che situazioni come questa contemplino davvero esclusivamente ME. La mia fame, la mia stanchezza, il mio desiderio di tornare a casa, e avrò la netta impressione che tutti gli altri MI INTRALCINO. E chi sono tutti questi che MI INTRALCIANO? Guardali là, fanno quasi tutti schifo mentre se ne stanno in fila alla cassa come tanti stupidi pecoroni con l’occhio smorto e niente di umano; e che odiosi poi quei cafoni che parlano al forte al cellulare in mezzo alla fila. Certo che è proprio un’ingiustizia: ho sgobbato tutto il santo giorno, muoio di fame, sono stanco e non posso nemmeno andare a casa a mangiare un boccone e a distendermi un po’ per colpa di tutte queste stupide, stramaledette PERSONE. Oppure, se gli studi umanistici fanno propendere la mia modalità predefinita verso una maggiore coscienza sociale, posso trascorrere il tempo imbottigliato nel traffico di fine giornata a inorridire per tutti gli enormi, stupidi Suv, Hummer e pickup con motore da 12 valvole che bloccano la corsia bruciando tutti e centottanta i litri di benzina che hanno in quei loro serbatoi spreconi e egoisti, posso riflettere sul fatto che gli adesivi patriottici o religiosi sembrano sempre appiccicati sui veicoli più grossi e schifosamente egoisti, guidati dagli autisti più osceni, spericolati e aggressivi, che di norma parlando al cellulare mentre ti tagliano la strada per guadagnare sei stupidi metri nel traffico congestionato, e posso pensare che i figli dei nostri figli ci disprezzeranno per aver sperperato tutto il carburante del futuro, mandando in malora il clima, e a quanto siamo viziati, stupidi, egoisti e ripugnanti, e a come fa tutto veramente SCHIFO e chi più ne ha più ne metta…
Guardate che se scegliete di pensarla così non c’è niente di male, lo facciamo in tanti, solo che pensarla così diventa talmente facile e automatico che non RICHIEDE una scelta. Pensarla così è la mia modalità predefinita naturale. E’ il mio modo automatico e inconsapevole di affrontare le parti noiose, frustranti e caotiche della mia vita da adulto quando agisco in base alla convinzione automatica e inconsapevole che sono io il centro del mondo, e che sono le mie sensazioni e i miei bisogni immediati a stabilire l’ordine di importanza delle cose. Il fatto è che in frangenti come questo si puo’ pensare in tanti modi diversi. Nel traffico, con tutti i veicoli che mi si piazzano davanti e mi intralciano, non è da escludere che a bordo dei Suv ci sia qualcuno che in passato ha avuto uno spaventoso incidente e ora ha un tale terrore di guidare che il suo analista gli ha ordinato di farsi un Suv mastodontico per sentirsi più sicuro alla guida; o che al volante dell’Hummer che mi ha appena tagliato la strada ci sia un padre che cerca di portare di corsa in ospedale il figlioletto ferito o malato che gli siede accanto, e la sua fretta è maggiore e più legittima della mia: anzi, sono io a intralciarlo. Oppure posso scegliere di prendere mio malgrado in considerazione l’eventualità che tutti gli altri in fila alla cassa del supermercato siano annoiati e frustrati almeno quanto me, e che qualcuno magari abbia una vita nel complesso più difficile, tediosa e sofferta della mia. Vi prego ancora una volta di non pensare che voglia darvi dei consigli morali, o che vi stia dicendo che “dovreste” pensarla così, o che qualcuno si aspetta che lo facciate automaticamente, perchè è difficile, richiede forza di volontà e impegno mentale e, se siete come me, certi giorni non ci riuscirete proprio, o semplicemente non ne avrete nessuna voglia. Ma quasi tutti gli altri giorni, se siete abbastanza consapevoli da offrirvi una scelta, potrete scegliere di guardare in modo diverso quella signora grassa con l’occhio smorto e il trucco pesante in fila in cassa che ha appena sgridato il figlio: forse non è sempre così; forse è stata sveglia tre notti di seguito a stringere la mano al marito che sta morendo di cancro alle ossa. O forse è quella stessa impiegata assunta alla Motorizzazione col minimo salariale che soltanto ieri ha aiutato vostra moglie a risolvere un problema burocratico da incubo facendole una piccola gentilezza di ordine amministrativo. Non è molto verosimile, d’accordo, ma non è nemmeno da escludere: dipende solo da cosa volete prendere in considerazione.
Se siete automaticamente certi di sapere cosa sia la realtà e chi e che cosa siano davvero importanti – se volete operare in modalità predefinita – allora anche voi, come me, probabilmente trascurerete tutte le eventualità che non siano inutili o fastidiose. Ma se avrete davvero imparato a prestare attenzione, allora saprete che le alternative non mancano. Avrete davvero la facoltà di affrontare una situazione caotica, chiassosa, lenta, iperconsumistica, trovandola non solo significativa ma sacra, incendiata dalla stessa forza che ha acceso le stelle: compassione, amore, l’unità sottesa a tutte le cose. Misticherie non necessariamente vere. L’unica cosa Vera con la V maiuscola è che riuscirete a decidere come cercare di vederla. Questa, a mio avviso, è la libertà che viene dalla vera cultura, dall’aver imparato a non essere disadattati; riuscire a decidere consapevolmente che cosa importa e che cosa no. Riuscire a decidere che cosa venerare…
Ecco un’altra cosa vera. Nelle trincee quotidiane della vita da adulti l’ateismo non esiste. Non venerare è impossibile. Tutti venerano qualcosa. L’unica scelta che abbiamo è CHE COSA venerare. E un motivo importantissimo per scegliere di venerare un certo dio o una cosa di tipo spirituale – che sia Gesù Cristo o Allah, che sia YHWH o la dea madre della religione Wicca, le Quattro Nobili Verità o una serie di principi etici inviolabili – è che qualunque altra cosa veneriate vi mangerà vivi. Se venerate il denaro e le cose, se è a loro che attribuite il vero significato della vita, non vi basteranno mai. Non avrete mai la sensazione che vi bastino. E’ questa la verità. Venerate il vostro corpo, la vostra bellezza e la vostra carica erotica e vi sentirete sempre brutti, e quando compariranno i primi segni del tempo e dell’età, morirete un milione di volte prima che vi sotterrino in via definitiva. Sotto un certo aspetto lo sappiamo già tutti benissimo: è codificato nei miti, nei proverbi, nei cliché, nei luoghi comuni, negli epigrammi, nelle parabole; è la struttura portante di tutte le grandi storie. Il segreto consiste nel dare un ruolo di primo piano alla verità nella consapevolezza quotidiana. Venerate il potere e finirete col sentirvi deboli e spaventati, e vi servirà sempre più potere sugli altri per tenere a bada la paura. Venerate l’intelletto, spacciatevi per persone in gamba, e finirete col sentirvi stupidi, impostori, sempre sul punto di essere smascherati. E così via.
Guardate che l’aspetto insidioso di queste forme di venerazione non è che sono malvagie o peccaminose, è che sono INCONSAPEVOLI. Sono modalità predefinite. Sono il genere di venerazione in cui scivolate per gradi, giorno dopo giorno, diventando sempre più selettivi su quello che vedete e sul metro che usate per giudicare senza rendervi nemmeno ben conto di farlo. E il cosiddetto “mondo reale” non vi dissuaderà dall’operare in modalità predefinita, perchè il cosiddetto “mondo reale” degli uomini, del denaro e del potere vi accompagna con quel suo piacevole ronzio alimentato dalla paura, dal disprezzo, dalla frustrazione, dalla brama e dalla venerazione dell’io. La cultura odierna ha imbrigliato queste forze in modi che hanno prodotto ricchezza, comodità, libertà personale a iosa. La libertà di essere tutti sovrani dei nostri minuscoli regni formato cranio, soli al centro di tutto il creato. Una libertà non priva di aspetti positivi. Cio’ non toglie che esistano svariati generi di libertà, e il genere più prezioso è spesso taciuto nel grande mondo esterno fatto di vittorie, conquiste e ostentazione. Il genere di libertà davvero importante richiede attenzione, consapevolezza, disciplina, impegno e la capacità di tenere davvero agli altri e di sacrificarsi costantemente per loro, in una miriade di piccoli modi che non hanno niente a che vedere col sesso, ogni santo giorno. Questa è la vera libertà. Questo è imparare a pensare. L’alternativa è l’inconsapevolezza, la modalità predefinita, la corsa sfrenata al successo: essere continuamente divorati dalla sensazione di aver avuto e perso qualcosa di infinito.
So che questa roba forse non vi sembrerà divertente, leggera o altamente ispirata come invece dovrebbe essere nella sostanza un discorso per il conferimento delle lauree. Per come la vedo io è la verità sfrondata da un mucchio di cazzate retoriche. Ovvio che potete prenderla come vi pare. Ma vi pregherei di non liquidarlo come uno di quei sermoni che la dottoressa Laura impartisce agitando il dito. Qui la morale, la religione, il dogma o le grandi domande stravaganti sulla vita dopo la morte non c’entrano. La Verità con la V maiuscola riguarda la vita PRIMA della morte. Riguarda il fatto di toccare i trenta, magari i cinquanta, senza il desiderio di spararsi un colpo in testa. Riguarda il valore vero della vera cultura, dove voti e titoli di studio non c’entrano, c’entra solo la consapevolezza pura e semplice: la consapevolezza di cio’ che è così reale e essenziale, così nascosto in bella vista sotto gli occhi di tutti da costringerci a ricordare di continuo a noi stessi: “Questa è l’acqua, questa è l’acqua; dietro questi eschimesi c’è molto più di quello che sembra”. Farlo, vivere in modo consapevole, adulto, giorno dopo giorno, è di una difficoltà inimmaginabile. E questo dimostra la verità di un altro cliché: la vostra cultura è realmente il lavoro di una vita, e comincia…adesso. Augurarvi buona fortuna sarebbe troppo poco”.
Qualsiasi cosa dicessi mi farebbe apparire come una ignorante. Ma ho apprezzato questo scritto e ringrazio Loredana Lipperini per averlo proposto e David Foster Wallace per averlo scritto. E’ semplicemente, disperatamente vero.
La forza delle parole di chi capisce il senso delle cose della vita. La grandiosità di questo discorso è anche legata al personaggio di Steve Jobs.
Ornella, Steve Jobs? Questo discorso è di David Foster Wallace.
ripassiamo i classici greci, poi i latini e ritroveremo un’unicità di intenti filosifici che ci debbono essere sempre presenti per aiutarci ad affrontare appunto il “giorno per giorno” di ognuno di noi.
La diffenza fra chi era capace di andare oltre la propria disperazione e capire che al di là della linea del proprio sé c’è la disperazione degli altri – e capire che QUELLO è il vero problema –, e un miliardario che si rivolgeva ai bulimici rampolli dell’1% del mondo per incitarli a divorare ancor più del 50% delle risorse del pianeta che già divoravano. Con buona pace di chi si fa abbagliare dalla fuffa creata dallo stesso Jobs, la sua “forza” e “grandiosità” consiste nel farti credere che i pani e pesci che sono sul tavolo non sono stati impastati e pescati da altri, ma moltiplicati da lui, e che tu devi pagarli (ma solo 99 centesimi su iTunes).
Il giorno dopo giorno, quando non è gravato da problemi di salute, è un meraviglioso giorno.
Notevole Wallace, quello di chiedi alla polvere immagino… cmq sia si e’ vero accidenti, e’ profondamente vero che dipende da me, da come vedo il mondo, e che le persone, le cose e le idee hanno il valore del lavoro e del tempo che hai sacrificato per loro, anche perche’ non c’e’ meta se non il presente e non c’e’ valore se non l’umanita’ soprattutto oggi che e’ attaccata costantemente da chi vorrebbe ridurne il numero giusto per spostare piu’ in la’ il problema delle risorse…. ma per fortuna c’e’ chi, come gocce dell’oceano, ogni giorno semina ipotesi di vita sostenibile a tutti i livelli.
“Questa è l’acqua, questa è l’acqua (…) vivere in modo consapevole, adulto, giorno dopo giorno, è di una difficoltà inimmaginabile” .
Ed è proprio questa la verità che da giovani non si arriva mai effettivamente a percepire .. Forse uno dei pochi “avvisi ai naviganti” che si possono dare . Forse lì per lì non capiranno realmente – forse crederanno di capire .. Ma magari un giorno di qualche anno dopo si ritroveranno a ripensarci . E avranno la consapevolezza dell’acqua .
Ho letto oggi il discorso di David F. Wallace, e devo dire (scusandomi per l’autoreferenzialità), che tutti i giorni combatto dentro di me questa battaglia; sono consapevole che gli altri sono anch’io e anch’io sono parte di una massa di individui stanchi, rabbiosi, frustrati. E pensare che le persone mi sono simpatiche. Sto sempre sui mezzi pubblici dalla mattina presto e devo dire che noi poveracci abbiamo subito una mutazione antropologica: un tempo passavamo più inosservati ora siamo rumorosi, dobbiamo crearci una bolla sonora in cui imponiamo agli altri le nostre risate, le nostre chiacchiere. Sulle prime metro alcuni si comportano come se fossero soli o meglio come se fossero pubblico in televisione, e non dico niente di nuovo.
Eppure a volte succede l’inaspettato in questo palcoscenico improvvisato; ieri per dire, un grosso signore sui cinquanta teneva la suola della sua scarpa sul sedile di fronte, come usa ormai da tempo purtroppo.
Con cortesia gli ho chiesto di tirare giù il piede e lui mi ha altrettanto cortesemente mandato a quel paese, ma un altro signore si è voltato e gli ha ribadito il concetto con garbo e tutto l’autobus si è schierato contro i comportamenti incivili; in minoranza, il primo signore ha avuto un ravvedimento operoso, almeno in quella circostanza. Scendendo dall’autobus l’altro signore mi ha detto quanto a lui stia a cuore che gli spazi pubblici comuni vengano rispettati.
La gentilezza a cui lei Loredana faceva riferimento tramite il discorso di George Saunders, è necessaria per sentirsi bene con gli altri, ma ci vuole chi faccia rispettare le regole e non possiamo essere quel signore bravo o io.