LA MAGLIA ROTTA NELLA RETE: PER LIDIA MENAPACE

Cosa posso aggiungere io, al rimpianto collettivo per Lidia Menapace, che incrociai a Fahrenheit e seguii con tenerezza e immensa ammirazione da lontano? Un suo discorso che ho amato, e che risale a tre anni fa. Eccone una parte.
Io ho fatto studi storico-letterari, quindi se penso che cos’è il limite mi viene in mente “L’infinito” di Leopardi, naturalmente; che però è un limite romanticamente tenue perché è una siepe di là da quella di interminati spazi…
Ma un poeta italiano più recente invece che dice che il limite è una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia; così dice Montale della vita. E allora cosa faccio? Cerco la maglia rotta nella rete. Perché un disegno così irrazionale come quello del capitalismo in cui viviamo non può non avere maglie rotte. Perché altrimenti non sarebbe più vero niente di quello che appartiene all’essere umano, alla sua ragione, etc.
Insomma io sono perché nell’interno del nostro movimento o quello che ci pare, dei Comitati per il NO – Comitati per l’attuazione e la difesa della Costituzione, impariamo anche un modo di comportamento reciproco che non voglio che sia né a salamelecchi o a così, cose barocche, ma che sia del tutto aperto ed esplicito dove ciascuno di noi si dica in faccia quello che pensa. Io sono anche per lo sberleffo politico; mi sembra una cosa importante. L’ironia e l’autoironia mi piacciono molto.
Ma che tutto questo, non abbia però un seguito o un peso di rancore e soprattutto non stabilisca tra noi delle gare per apparire: per prendere l’applauso più forte, per essere sempre in prima fila… impariamo l’atteggiamento più solidale, più amichevole.
Visto che, da tutto quello che ho detto si dovrebbe dedurre, si può dedurre, che io sono dell’opinione che siamo in una fase pre-rivoluzionaria e ne sono convinta di questo. Sarebbe già la seconda volta in meno di un secolo che lasciamo perdere… abbiamo già perso il ’68; ci siamo lasciati portar via il ’68 di cui hanno ancora paura, ma tuttavia l’hanno sconfitto. Non si può lasciar perdere nel corso di una sola vita due occasioni rivoluzionarie; è impossibile.
Se siamo in un momento pre-rivoluzionario è importantissimo che ci domandiamo che tipo di rivoluzione si può immaginare oggi. Certamente non una rivoluzione strutturale come primo passo: se assalti le fabbriche vieni represso con il consenso delle masse, giustamente. Quindi devi fare una rivoluzione culturale non nel senso cinese del termine, ma qualche cosa di simile. Devi incominciare a cambiare la tua testa, il tuo modo di comportarti: il livello della tua coscienza. E questo si può fare.
Per esempio si può incominciare a dire: l’ospitalità è una grande virtù sociale e le forme politiche devono avere anche un aspetto sociale e un linguaggio non accademico, non ex-cathedra, perché altrimenti il modello di regnante che viene più apprezzato è papa Francesco. Papa Francesco – averne sicuramente di papi così – ma è molto pericoloso; non solo perché è gesuita (poi lì si va in altre questioni) ma perché, essendo un sovrano assoluto, lui non ha neanche bisogno di voti di fiducia. Veicola l’idea che un uomo solo al comando è il meglio che c’è.
E ricordate che, se a me si dice “un uomo solo al comando”, io invento subito qualche barzelletta o qualche sberleffo anche per papa Francesco… E infatti penso che una delle prime azioni a cui dovremmo pensare, sarebbe quella di far diventare – davvero e finalmente – la Repubblica italiana uno stato laico, abrogando l’articolo 7.
Spesso mi chiedono: “Ma secondo te la Costituzione italiana è così perfetta che non si può neanche riformarla o deformarla?”
Io sono contro la deforma e il revisionismo, ma non considero la Costituzione italiana un dogma e penso che, fino a quando c’è l’articolo 7, l’Italia non è un paese laico. E voglio ricordare che l’articolo 7 fu l’articolo sul quale, nella Assemblea costituente, si divisero per la prima volta clamorosamente i socialisti e i comunisti: quindi la Sinistra s’indebolì.
I socialisti votarono contro, più laici; i comunisti votarono a favore perché gli premeva soprattutto di prendere… pensavano che senza un rapporto con la Chiesa in Italia non si può far niente. Togliatti fece il discorso della mano tesa non per caso a Bergamo…
Vi invito anche ad un tantino di simpatia per un po’ di carnevale; non facciamo sempre e solo cose doverose, cupe; perché se dobbiamo dire “seguiteci che vi conduciamo alla rivoluzione”, sarà anche meglio che non siamo tanto musoni.
Lo slogan con il quale concludo, e che ha sempre un successo popolare molto diffuso, è che tra le tante vie per la rivoluzione che ci sono, io preferisco la via alcoolica al socialismo.

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